mercoledì 25 aprile 2012

Buddismo o zen? - 01 maggio 2011

Subito un chiarimento sul titolo: non è un dibattito filosofico, ma, essendo da poche ore tornato da un’immersione buddistica cingalese e parlando di autori giapponesi, la domanda viene spontanea. E come tutte le domande serie, non ha risposta, ma apre discussioni. Dopo alcuni giorni di buddismo rimango sempre perplesso della (mia) difficoltà di approccio con queste realtà. Dopo aver letto di autori giapponesi, rimango altresì perplesso verso la realtà del lontano Oriente. Ma l’analisi del buddismo la rimandiamo ad altri momenti. Incominciamo invece sottolineando come i due nippo sono comunque atipici nel panorama giapponese, avendo un grande successo anche fuori dal continente asiatico. Banana è ormai una presenza stabile nel mio panorama di letture, mentre Murakami entra solo ora, ma ha già un suo spazio.
Cominciamo quindi con due libri della ormai storica Banana, letti al finire dello scorso anno.
Banana Yoshimoto “Sonno profondo” Feltrinelli euro 6,50 (in realtà, scontato 4,87 euro)
[in: 25/07/2010 – out: 02/12/2010]
Non mi aspettavo tre racconti, ma, come dice poi Banana, sono in fondo legati da un filo: la notte e la presa di coscienza. Ho imparato a poco a poco ad apprezzare la scrittura delicata e forte di Banana, che a volte sembra veleggiare su degli inafferrabili haiku, ed altre volte affonda coltelli incandescenti nei nostri corpi addormentati. Devo dire che, all’inizio, mi ha un po’ sbalestrato. Stavo tornando infreddolito e stanco, da una settimana sotto la neve a Merano, ed inizio a leggere questo “Sonno profondo”. E mi appassiono alla storia della donna sull’orlo della narcolessia (ricordi Luana?). Dei suoi tentativi di uscirne, ma soprattutto del suo rapporto con questo uomo dolce, presente ma assente (è sposato ma la moglie è in coma da qualche parte). Sto finalmente entrando in sintonia con i suoi ritmi, e con lo sforzo di prendere una decisione (in fondo, è abbastanza trasparente il dormire per non scegliere), quando poco dopo inizia un nuovo capitolo. Data la mia ostinata ritrosia a leggere la quarta di copertina non mi ero accorto che erano 3 racconti. Mi sono allora fermato, quasi bloccato nel “disinganno”. E sono dovuto arrivare a Bologna per riprendermi ed affrontare il secondo scoglio. Qui lo scoglio della protagonista è duplice: una donna occidentale ex-fidanzata del fratello morto ed una quasi-cugina che si sente colpevole di quella morte. La scrittura è più lieve, anche se più dolorosa. Non succede gran che, tutti piccoli passi, abbracci, sorrisi, pensieri. Neve che cade. Tentativo di far vedere un possibile incontro ed un reale scontro fra diversi modi di affrontare la vita (occidentale ed orientale, tanto per banalizzare). Ma mi sono ripreso, e dopo Firenze ho affrontato lo scoglio dell’alcolizzata. Questo è più duro, anche perché è una sensazione a me aliena (ricordo solo una clamorosa sbronza, a casa di Giuzzo, ma sono ormai passati decenni…). Anche perché nell’alcol cerca di esorcizzare fantasmi di uno strano rapporto a tre ormai passato, ma che ha lasciato le tracce del non detto. Terribile andare avanti quando si doveva dire qualcosa a qualcuno e questo qualcuno muore. Ma anche qui, come contro-altare c’è un bravo ragazzo, che aiuta senza imporre, e che (si spera anche se non si sa) la aiuterà ad uscire dal tunnel. Questo alla fine, mi sembra il messaggio forte che ne esce: siamo solo noi che riusciremo ad uscire dai nostri demoni. Non può esserci salvezza che non ci nasca dentro. Tre racconti, tre donne ad un bivio, tre donne che si sentono colpevoli di qualcosa, e tre persone morte, che sono più ingombranti di macigni vivi. Ed ognuna, alla fine, usa qualcosa che non può venire che dal proprio interno, per trovare una via. Non sappiamo (i racconti finiscono sempre due passi prima) se ci riusciranno. Ma intanto quella è la via su cui pongono i primi timidi passi, per… e qui lascio i puntini, che ognuno sa cosa saranno per lui quei puntini. Io non posso che augurare a tutti (ed a me per primo) di trovare sempre qualcuno che ci sorregga se scivoliamo e ci sorrida se ci vede andare verso un briciolo in più di serenità. Alla fine, una prova onesta ed una riprova, che faccio bene a continuare a leggere della nostra amica giapponese.
Banana Yoshimoto “Tsugumi” Feltrinelli euro 7 (in realtà, scontato 5,25 euro)
[in: 01/10/2010 – out: 28/12/2010]
Uno dei libri più osannati di Banana, ma che a me ha fatto più pensare ad un’occasione perduta. Intanto risente dall’essere uscito a puntate nell’edizione giapponese di “Marie Claire”. I vari capitoli sono tutti ugualmente lunghi (12 pagine ognuno) ed ognuno deve (per la natura del romanzo a puntate) avere una micro-storia, come fossero 12 racconti imperniati sugli stessi protagonisti. Che poi sono l’io-narrante, anche in questo testo di nome Maria, e Tsugumi, l’alter-ego della scrittrice. Come se Banana si scindesse tra il narratore onnisciente e il protagonista pieno di tutti quei caratteri (positivi e negativi) che ne fanno un personaggio. Certo non dimentico che, pur essendo il quarto libro della Yoshimoto, l’autrice all’epoca ha solo 25 anni. Scrittrice precoce, invero, con le sue caratteristiche peculiari (tocchi lievi, pochi momenti esteriori, molti movimenti interiori). Ma non dimentico altresì che siamo nel tumultuoso per l’Occidente 1989, e laggiù in Giappone nulla arriva dei grandi movimenti storici di quell’annata. I movimenti sono interni, come detto. In una trama, che si srotola in una cittadina di mare, durante un’intensa estate che segna una crescita forte dei protagonisti. Di Maria, che finalmente vede i suoi genitori sposarsi ed andare a vivere insieme. Insieme a Tokyo, dove non arriva l’odore del mare. Il mare che ha caratterizzato tutta la giovinezza di Maria, ed il suo rapporto con la cugina Tsugumi. Cugina che sappiamo malata (ma non di cosa) e sempre con il pericolo di perdere la vita. Per questo è arrabbiata, per questo tratta in modo che non possiamo non definire strambo gli altri esseri umani, che non hanno il suo problema di non sapere se ci sarà un domani. Ed in riva al mare, e sul filo dei ricordi, ricostruiamo le pietre miliari della loro storia di vita: il rapporto con il nonno, con i cani, i lavoretti, la figura del padre che torna i fine settimana (ancora non aveva divorziato), fino all’amore per il giovanotto simpatico (ma dal nome impossibile). In tutto ciò, si stabilisce questo legame profondo che fa in modo Maria essere l’unica ad andare oltre le parole ed i gesti di Tsugumi, per capirne i motivi e le espressioni. Ed anche per giudicarli, nel bene e nel male. Non sappiamo se poi Tsugumi morirà presto, il romanzo ci lascia prima (altro tratto di Banana questo di finire i romanzi ed i racconti uno o due passi prima). Ma ci lascia con la certezza che queste ragazze hanno fatto un salto in avanti. Tsugumi accettando la sua condizione, e vivendola senza compatimenti. Maria comprendendo che il mare (la giovinezza, l’incoscienza) è passata ed ora si deve costruire un futuro solido nella grande città, nella grande università. Ho parlato di occasione mancata, perché da questo che ho tirato fuori, che mi rimane delle altre 150 pagine? Poteva venire una storia forte, un intreccio, anche, minimale, un modo di guardare dal basso i grandi problemi (come accenna il giovanotto che confessa di riflettere sui grandi temi della vita quando sta con Tsugumi, ma poi non ci dice quali e come). Invece, tutto scorre un po’ così, con quelle piccole pennellate da acquarello giapponese, bellino ma un po’ lezioso, a me che servono emozioni, impressioni forti alla Van Gogh. Quindi minore, ma sempre con l’abilità gradevole di chi sa costruire belle frasi (e mi unisco ai ringraziamenti finali ad Alessandro Giovanni Gerevini che mi sembra abbia fatto una degna traduzione).
“-Tu hai un animo molto forte e una grande tenacia, così che se anche dovessi rimanere qui per sempre, riusciresti a vedere molte più cose tu, di quelli che fanno il giro del mondo. … -Mi sono innamorata di te.” (81)
“Per quanto uno possa invecchiare, l’amore è qualcosa che nel momento in cui te ne rendi conto, ormai lo stai già vivendo. Ce ne sono di due tipi, quelli di cui si riesce a vedere la fine e quelli di cui non è possibile. Siamo soltanto noi stessi che possiamo dire di quale dei due si tratti.” (91)
 “Mi piace così tanto che quando lo guardo negli occhi, mi viene voglia di spiaccicargli un gelato in faccia.” (92)
“Le cose ci passavano davanti agli occhi, e noi diventavamo grandi.” (104)
 “Quando penso a lei, senza accorgermene, mi viene da riflettere su cose più grandi di me … I miei pensieri vanno ad impegolarsi in questioni immense. Come, per esempio, la vita o la morte. Ma non perché lei è debole fisicamente. Quando la guardo negli occhi … vengo pervaso da un senso di rigore.” (131)
Segnalo quindi la scoperta di Murakami, autore noto per altre e ben più strane prose, che qui mi ha coinvolto (e così la sua musica).
Haruki Murakami “Norwegian Wood” Einaudi euro 12
[in: 04/03/2011 – out: 20/03/2011]
[tit. or.: Noruwei no mori; ling. or.: giapponese; anno 1987]
Grazie alla curiosità seguita ad un cenno in un libro di Licalzi (ed ai ricordi di discussioni con Rosa) ho finalmente affrontato Murakami (metto il nome nella giusta prospettiva europea: prima il nome, Haruki, poi il cognome, Murakami). E, nonostante le quasi 400 pagine, l’ho letto in un fiato. Bello, complesso nei sentimenti, ma come facevo a lasciarlo lì? E poi così pieno di musica, tanto che mi verrebbe la voglia di farne una compilation (tra l’altro, ho letto il libro solo ora perché non mi piaceva il primo titolo italiano di Feltrinelli, Tokyo blues, che non rispettava la colonna sonora dei Beatles che punteggia il romanzo, e soprattutto ne falsava un’interpretazione, se ben vi ricordate i primi due versi di John Lennon). Non posso dire di conoscere Murakami, e, soprattutto (dalle poche notizie sullo scrittore di Kyōto, capricorno del ’49), mi pare di capire che questo sia un romanzo atipico della sua produzione. Non solo perché parla d’amore, ma anche perché venne scritto in Europa, tra Atene e Roma, dal trentasettenne scrittore, che lascia la sua traccia proprio nell’incipit (“Avevo 37 anni, ed ero seduto a bordo di un Boeing 747”). Da questo ricordo, parte un lungo flashback sulla formazione del protagonista, che ci fa piombare nel suo primo biennio universitario a Tōkyō, ed in tutta l’elaborazione per la costruzione di un’identità adulta. Certamente, la bella introduzione di Giorgio Amitrano (nonché la sua traduzione, a parte un punto da chiarire di cui dirò in finale), e che io, al solito, avrei spostato come postfazione, chiarisce molto meglio di me sia la genesi che la scrittura del romanzo. Ed accenna ad analisi (altrove approfondite) sul parallelismo tra questo libro e sia il David Copperfield di Dickens che il Giovane Holden di Salinger (entrambi citati in omaggio nel testo). Ma non è su questo che volevo tramare. Solo prenderne spunto, ribadendone il carattere di “libro di formazione”. E poi passare al testo, ai personaggi. A Tōru, il protagonista, l’io-narrante, che inizia a parlare della sua formazione, e sa già dove andranno a finire i personaggi, ma non ne anticipa mai lo sviluppo, con un grande equilibrio tra il sapere ed il narrare. Tōru, che come Holden, è un alieno nel Giappone della fine degli Anni Sessanta (epoca del romanzo), perché non è imbevuto di samurai e tradizione (anche se li conosce), ma legge libri occidentali, segue corsi universitari su Euripide, e, soprattutto, ascolta jazz, rock e pop della migliore qualità. Si aggira per la città, e per la campagna, facendo quello che un po’ fan tutti i suoi coetanei (beve, scopa, studia, e così via), ma con una sua idea di fondo, etica e morale, sul trovare qualcosa di giusto per sé, senza cedere alle lusinghe del facile e dell’apparire. Qualcosa che lo realizzi, cercando di fare il meno male possibile agli altri, anche a costo di non figurare, di non stare sempre in primo piano. Per questo (ed è una cosa che mi ha fatto un piacere enorme) tace se non ha niente da dire. Cerca, nei limiti del possibile, di essere sincero. Anche a costi dover rimediare ad errori (bello e terribile quando non si accorge della pettinatura di Midori). Ma pagare per i propri errori è proprio la cresta dell’onda morale su cui viaggia. Anche a costo di dire le cose sbagliate, o di far capire di non avere un’opinione sulla domanda che gli si rivolge. E Tōru attraversa questa sua formazione incrociando due, o forse tre, donne, che avranno peso e sostanza per farlo maturare. Naoko, il lato-ombra della vita, la donna del suo amico Kizaki che si è suicidato a 17 anni senza un motivo, cui si lega affettivamente ed emotivamente. Anzi, direi che se ne innamora. Che vuole tirarla fuori dalla cupezza che ne avvolge la vita. Perché Naoko non capisce la morte di Kizaki, e questo condiziona tutto il suo modo di essere. Con quella difficoltà di articolare un discorso ben formato, che troppe parole ed idee le affollano la testa ed a cui non riesce a mettere ordine. Ordine di uscita. Per cui tace. E le passeggiate silenziose di Tōru e Naoko per la città sono bellissime. Midori, il lato-luce della vita, anche lei con problemi (la famiglia, la morte della madre per un tumore, e via discorrendo), ma che li affronta e li supera (o cerca di farlo). Come quando, accorgendosi di non volere più tanto bene al suo ragazzo, decide di lasciarlo senza prospettive, perché, in un certo senso, non sa fingere. E lei parla, inventa, tira fuori storie e coinvolge Tōru in avventure pazze, tra cinema pornografici, terrazze notturne, visite a malati. Tōru viaggia tra questi due poli, cercando di capire, dove dirigere la sua bussola, e facendo anche lui delle scelte, difficili, dolorose, ma scelte. Poi c’è la terza, la “vecchia” Reiko (che quando loro hanno 20 anni già sta sui 37), che diventa amica di Naoko, e poi amica, confidente e mentore di Tōru, cui (un po’ come il deus ex-machina del suo amato Euripide) tirerà fuori quello che Tōru sa di avere dentro, le sue decisioni. E nei colloqui con Reiko riesce a chiarirsi. La vita continuerà a non essere facile, ma sono arrivato contento all’ultima pagina. Rimpiangendo di aver aspettato questi 20 anni per leggerlo. Ma, come so bene dentro di me, la formazione non finisce mai. Guai se finisse. Qui finisco la trama, ahi quanto lunga, ma sarei rimasto a parlarne ancora. Non vorrei solo togliere il piacere a chi sarà spinto da me a prendere in mano il libro, se non lo ha già fatto. Termino rispettando la promessa iniziale, con una domanda al traduttore. A pagina 258 si parla di ragazzini che giocano a baseball (uno degli sport nazionali giapponesi), ma si traduce qualcosa con “un gioco pieno di falli e fuorigioco”. Ora, se c'è una cosa che NON esiste nel baseball sono proprio i fuorigioco (tipici del calcio in genere). L’unica cosa fuori nel baseball, sono i fuoricampo, che sono uno dei punti vincenti di una delle due squadre. Ebbene, se ha tradotto fuoricampo con fuorigioco, merita un 2- in traduzione; se invece ha tradotto qualcosa d’altro forse arriviamo a 3, ma non molto. Certo, una riga su 379 pagine può sfuggire, ma, si sa, io sono maniaco.
“Svegliati, sforzati di capire! È per questo che sto scrivendo. Sono uno di quelli che per capire le cose ha assolutamente bisogno di scriverle” (6)
“Non [leggi] proprio gli autori del momento. – È proprio per questo che li leggo. Se uno legge quello che leggono gli altri, finisce col pensare allo stesso modo” (41)
“Sei proprio un tipo strano, tu. Fai battute con l’aria di chi dice la cosa più seria del mondo.” (93)
“Comunque sai che cosa ho pensato? Come sarebbe bello se il primo bacio della mia vita fosse stato questo! … Non sarebbe bello, arrivare, che ne so, a cinquantotto anni, pensare: chissà dove sarà adesso … il ragazzo che per la prima volta mi diede un bacio sulla terrazza tra i fili per stendere la biancheria?” (221)
“Ho bisogno di tempo … Tempo per pensare, per fare ordine dentro di me, per capire. Mi rendo conto che non è giusto nei tuoi confronti, ma per adesso è tutto quello che posso dire…. – Va bene, aspetterò… Ma quando mi prenderai, dev’essere solo me che prendi. E quando mi stringerai dev’essere a me che pensi.” (337)
“La morte non è qualcosa di opposto ma di intrinseco alla vita, che questo fosse vero era fuori di dubbio. Nel momento stesso in cui viviamo, cresciamo in noi la morte. Ma questa era solo una parte della verità che dobbiamo imparare…. Per quanto uno possa raggiungere la verità, niente può lenire la sofferenza di perdere una persona amata. Non c’è verità, sincerità, forza, dolcezza che ci possa guarire da una sofferenza del genere. L’unica cosa che possiamo fare è superare la sofferenza attraverso la sofferenza, possibilmente cercando di trarne qualche insegnamento, pur sapendo che questo insegnamento non ci sarà di nessun aiuto la prossima volta che la sofferenza ci colpirà all’improvviso.” (349)
Essendo inoltre la prima trama di maggio, riporto l’elenco delle numerose letture del mese di febbraio, con una punta assoluta nel bellissimo libro di padre Bianchi e con due illeggibili libri della Biblioteca del Novecento di Repubblica.

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Marco Malvaldi
Il re dei giochi
Sellerio
13
3
2
Michael Connelly
La bionda di cemento
Piemme
11,50
4
3
Yukio Mishima
Confessioni di una maschera
Repubblica Novecento
4,90
1
4
Håkan Nesser
Carambole
TEA
8,60
2
5
Petros Markaris
La lunga estate calda del commissario Charitos
SuperPocket
5,90
3
6
Ellery Queen
Il re è morto
Repubblica Giallo
5,90
3
7
Arturo Pérez-Reverte
El Húsar
Punto de lectura
7,95
2
8
Åsa Larsson
Tempesta solare
Marsilio
12
2
9
Don DeLillo
Rumore bianco
Repubblica Novecento
4,90
1
10
Patricia Cornwell
L’ultimo distretto
Mondadori
9,50
3
11
Antonio Pennacchi
Stregati da Pennacchi
Limes
12
2
12
Lello Gurrado
Assassinio in libreria
Marcos y Marcos
12
3
13
Henning Mankell
Il cinese
SuperPocket
5,90
4
14
Enzo Bianchi
L’altro siamo noi
Einaudi
10
5
15
David  Herbert Lawrence
L'amante di Lady Chatterley
Repubblica Novecento
4,90
3
16
Ryszard Kapuscinski
In viaggio con Erodoto
Feltrinelli
7,50
4
17
Elias Canetti
Le voci di Marrakech
Adelphi
9
4

Come si diceva sopra, da poche ore si è ritoccato il suolo italico, dopo due settimane di intensa lontananza, fortunatamente senza notizie volte a turbare il godimento dei posti nuovi visiti e (ri-) visitabili. Ancora troppo vicino è il viaggio per parlarne in tutti i suoi risvolti, ma sono contento di averlo fatto. Ora comincia Maggio ed altre prove ci attendono.

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