Allora non sembra, dopo tutti questi numeri, un anno ozioso, ma lo diventa ora che parlo di OZ. E benché le opere lette non siano al top, posso parlare male di qualcuno nato il 4 maggio? E che decide di cambiare il suo cognome di Klausner nell’ebraico Oz (che significa forza)? E con grande forza da più di 70 anni, scrive, presenta immagini della vita della sua terra. Ma anche dei rapporti umani, ed altro. Andiamo a cominciare.
Amos Oz “Scene dalla vita di un villaggio” Feltrinelli s.p. (regalo di A.) [in: 07/08/2010 – out: 23/08/2010]
Il libro che viaggia. Perché come ogni anno ed ogni viaggio, A. mi regala un libro che mi porto dietro. In Israele fu uno spagnolo, ed ora verso il Sudafrica è la volta di un israeliano. E non di uno qualsiasi, ma di quello che, per le cose che ho letto, risulta più gradito. È di certo interessante ma meno di altre prove di Oz. Non ha la forza della “Scatola Nera” né l’intensità della storia della sua adolescenza e maturità. È una prova strana, ambientata in quel villaggio dove, in ribellione con la famiglia, va a vivere la vita del kibuttzin, e dove (come sappiamo dall’autobiografia) troverà modo di scrivere, di sposarsi, e di diventare Oz da Klausner che era nato. Ma Tel Ilan è questo ed altro. Qui nella scrittura passano momenti della vita dei cittadini, più o meno lunghi, che si intrecciano nel tessuto della vita della cittadina stessa. Ed a poco a poco, veniamo a decifrarne le vicende. Perché dal racconto più o meno in soggettiva, il successivo brano ne riprende i personaggi visti dalla nuova ottica. Il limite (per cui l’ho amato meno di altri Oz) è forse questo non concludere, questo passaggio di varie prospettive senza affondarne. Ma tutti i personaggi, direttamente o indirettamente, poi, mostrano pregi e difetti, o terribili secreti. Figli morti, mogli malate di Alzheimer, scappatelle più o meno palesi, tumori ed altri accidenti, incapacità di stare con gli altri, e per questo, mascherarsi dietro una finta allegria, incapacità di invecchiare, ed anche, brevemente, empatia per l’altro, il palestinese, che viene un po’ ombrato, ma che si intuisce presente. Per finire con la (quasi) autobiografia dello scrittore stesso e della sua, ancora, incapacità di far parte realmente della comunità che si raccoglie in casa dei Levine per cantare canzoni sacre e profane. Si capisce che Oz comprende questo modo di vita, e si intuisce che si aspetta anche qualche altra cosa. Che però non sembra venire, che però non sembra presente nelle menti di questa brava gente, timorosa di Dio, e che verso il proprio Dio rivolge tutti i suoi sforzi, fino a diventare qualcosa di alieno in questo mondo. Sembra alla fine in trasparenza adombrare questo moto di critica verso il proprio paese: è bello, giusto, “santo”, dedicare la vita al Dio che andremo ad incontrare, ma, nel frattempo, dobbiamo vivere il qui ed ora. Che è pieno anche di altro, e con il quale dobbiamo rapportarci per non rischiare di diventare alieni su questa terra. Beh, si divaga un po’ sull’onda dei pensieri, e sul ricordo di viaggi sempre felici in Terrasanta. A domani, Gerusalemme!
“Era perdutamente ma anche disperatamente innamorato, visto che lei aveva quasi il doppio dei suoi anni, oltre che un fidanzato, ed era chiaro che provava per lui solo una generosa pietà” (135)
“Magari avessi trovato il coraggio … di dirle diritto in faccia … che io e lei … siamo due anime gemelle … ma non si può rimediare al fatto che sono nato una quindicina d’anni dopo di te” (153)
“Intanto pensavo che se persino Bialik, il poeta nazionale, si domanda che cosa sia l’amore, allora noi che non siamo poeti come potremmo pretendere di conoscere la risposta a questa domanda?” (165)Amos Oz “Michael mio” Feltrinelli euro 8 (in realtà, scontato 6 euro)
[in: 25/07/2010 – out: 30/10/2010]
“Era perdutamente ma anche disperatamente innamorato, visto che lei aveva quasi il doppio dei suoi anni, oltre che un fidanzato, ed era chiaro che provava per lui solo una generosa pietà” (135)
“Magari avessi trovato il coraggio … di dirle diritto in faccia … che io e lei … siamo due anime gemelle … ma non si può rimediare al fatto che sono nato una quindicina d’anni dopo di te” (153)
“Intanto pensavo che se persino Bialik, il poeta nazionale, si domanda che cosa sia l’amore, allora noi che non siamo poeti come potremmo pretendere di conoscere la risposta a questa domanda?” (165)Amos Oz “Michael mio” Feltrinelli euro 8 (in realtà, scontato 6 euro)
[in: 25/07/2010 – out: 30/10/2010]
Uno dei primi romanzi di Oz, strano, spiazzante (torniamo sul discorso uomo – donna – scrittore – sentimenti). Comunque, interessante prova del trentenne Amos. Perché, oltre alla vicenda privata, ci immerge sempre (come farà in altre opere) nel clima del suo Israele e della sua Gerusalemme, tanto amata e pur tanto odiata. In questa tra le prime scritture Amos si cala completamente nella figura femminile che seguiamo crescere dai venti ai trenta anni. In soggettiva, lei ci racconta del passaggio dall’infanzia a quella che dovrebbe essere la maturità, ma potrà mai esserlo? All’innamoramento totale e senza ragione con il geologo Michael, che ama, sposa, fa un figlio e rimane sempre lì, dentro e fuori la storia. In fondo, quasi una lunga lettera da un grosso punto interrogativo. Perché ho fatto tante cose, piccole, grandi, visto, letto, sognato, ed ora, a trenta anni, sto male?. Male che non conosco il mio posto nel mondo. Male perché non riesco a rapportarmi agli altri: agli amici di Michael, ai miei, ai miei parenti (soprattutto quella mia madre lontana che vive nel kibbutz e parla male l’ebraico), ai parenti di Michael. E persino con Yuri, il figlio voluto, amato, che non capisce la mia difficoltà di essere, di esprimere, la mia voglia di rispondere per invenzioni, lì dove lui, preciso e serio, figlio del serio Michael (e quanti bimbi mi ricorda) interviene, chiede, e quando termina di parlare dice “Ho finito”, così che glia altri gli possano rispondere. Non succede niente di tragico, niente di dirompente (e forse questo è il tragico) nel decennio della storia che comincia nei primi anni cinquanta, poco dopo la nascita dello stato di Israele, e termina sul limitare degli anni sessanta. Mentre lei cresce e non riesce ad uscire da questa sua, mi verrebbe ben chiamarla depressione, comunque anche Israele cresce, Gerusalemme si allarga, si intravedono i tra non molto possibili conflitti con gli arabi di là del Muro del Pianto. Personalmente, mi culla la magia di girare con Amos tra le vie della città al di fuori delle mura, tra Ben Yehuda e Mea Shearim, lungo Jaffa Road fino a fare la spesa al mercato di Mahane Yehuda. Personali viaggi nel tempo e nella mia storia. Quella della nostra innominata trascorre invece lì, Michael presente è forse più presente quando si assenta per un periodo di richiamo alle armi. E lei si incarta perché anche Michael, Michael mio tanto amato non riesce ad entrare in comunicazione con il suo dolore. Ma dolore perché? Dolore del crescere, delle speranze abbandonate, dalle illusioni, e della difficoltà del quotidiano. Certo, non è un libro allegro, ma mi ha trascinato per i sentieri della mente, cosa che sempre ringrazio quando uno scrittore ci riesce. Difficile, perché, come dicevo all’inizio, lui, uomo, si cala nel personaggio – donna. Io lo seguo, ma mi domando anche quanto del suo esprimersi riesca ad essere vicino alla sensibilità femminile (da confrontare con quanto scrissi sul primo libro della Extebarria, donna su donna). Tuttavia di buon livello (ed ha più di quaranta anni!) che mi fa ribadire il mio ritenere Oz ben degno di altri riconoscimenti (Nobel ad esempio, certo la sua scrittura mi coinvolge molto di più del poco che ho letto di Le Clézio o della Muller…). Un felafel per andare avanti.
“Scrivo questa storia perché quando ero giovane avevo una grande capacità di amare, e ora questa capacità di amare sta morendo.” (7)
“Le sue parole mi davano quel senso di tranquillità che provo dopo una siesta, la tranquillità di un risveglio al crepuscolo, quando l’aria è più dolce e io sono calma e tutto è calmo intorno a me.” (19)
“Non ho dimenticato nulla. Dimenticare significa morire. E io non voglio morire.” (56)
“Non c’è tristezza al mondo che non possa trasformarsi in una grande gioia.” (89)
“Il tempo vola sapete… Il tempo vola. Voi due vivete la vostra vita come se il tempo stesse fermo ad aspettare voi. Lasciate che vi dica che il tempo non sta fermo. Il tempo non si ferma per nessuno.” (157)
“Non voleva provocare nuovi sogni. I sogni possono essere infranti. E come conseguenza rimane la bocca amara.” (221)Amos Oz “Fima” Feltrinelli euro 8,50 (in realtà, scontato 6,38 euro)
[in: 20/01/2010 – out: 04/11/2010]Ci sono voluti dieci mesi per cominciare al leggerlo, quasi che ne avessi timore. Ed a ragione. Un libro che è una spada puntata sul mio egocentrismo, e che riesce (potenza della traslazione) a tirarne fuori tutto il “cattivo” che è in me. O forse il dolente, l’irrisolto. Sono passati venti anni dal mio Michele, e qui Amos si immerge nel maschile. Forse per questo lo sento meglio, lo capisco meglio. Anche se, probabilmente, lo sento e lo capisco perché Efraim detto Fima, in molti sensi, mi è uguale. Rivedo in lui tutto il concentrarsi sulla propria persona, sul proprio io, ma in quel senso dolente che fa sì non tanto che si voglia attirare tutti e tutto su di sé, quasi un narcisismo dell’egoismo, ma quel farsi per pagine e pagine dei film in testa, scordandosi che quello che succede intorno è altro, ma se quello che succede introno sapesse quanto io-Fima siamo bravi, capaci di ragionare, capaci di trovare soluzioni. Peccato che poi dalla testa esca poco. E soprattutto esca in momenti e modi sbagliati. Perché Fima saprebbe come risolvere la questione dei rapporti tra arabi ed israeliani, ma il governo fa sempre altro. Ed altro fanno gli intellettuali. E se Fima scendesse in campo saprebbero tutti dove si dovrebbe andare per aver il successo. Perché Fima conosce il nome del generale finlandese che ha fermato Stalin, ma io ho risolto prima di lui la domanda sullo stato africano con una L come seconda lettera. Perché Fima cita poeti, scrittori, fatti, personaggi. Perché è capace di fermarsi a leggere sui costumi sessuali degli eschimesi come se fosse la cosa più importante per arrivare alla fine della giornata. Perché Fima non sa cambiare le lampadine. E lascia i piatti sporchi nel lavello (lui, sfortunato, non ha la santa signora Elisabetta!). Perché ad un certo punto si trova in una stanza con una decina di amici, e gli viene in mente che è andato a letto con tutte le donne presenti nella stanza. Perché legge tre giornali. Perché è pieno di buoni consigli, ma sbaglia sempre il modo di porgerli. Perché in venticinque anni non ha avuto modo di capire fino in fondo la lettera di addio di Yael. Perché pensa che il figlio di Teddy e Yael sia “quasi” suo figlio. Perché poteva raggiungere tanti traguardi, ma ad un certo punto si è perso. E sono trenta anni che non solo non si ritrova. Ma non capisce che si deve ritrovare. Succederà qualcosa, ci sarà un po’ di quella sana agnizione che un bravo scrittore non può non mettere. Ma servirà? Cambierà? Migliorerà? Questo certo non ve lo vado a dire. Ma oltre ad un parallelo con me-lettore, più interessante è il suscitare in me un parallelo tra Fima e l’essenza stessa dell’ebreo-israeliano-intellettuale (e qualche altro aggettivo, anche se in ebraico, come in arabo, non c’è sintassi che regga un doppio stato costrutto). Si vede in controluce, l’irrisolutezza del ben pensante di sinistra, che ben saprebbe consigliare Rabin, o mettere a posto Sharon. Che sa cosa vorrebbero gli arabi. Ma che poi incontra l’ortodosso che gli regala un fiore, il soldato che gli augura un buon Sabato. E si perde nel pantano. L’Israele, come Fima, è sempre pieno di buoni propositi. Ma non riesce mai a metterli in pratica. Alla fine, questa doppia cavalcata di lettura è stata sfibrante. Perché mi fa riflettere su quello che avviene in quei posti a me comunque cari. E perché mi fa riflettere sulla cosa che di più caro ho: me stesso. Ma io dirò buona giornata lo stesso all’autista dell’autobus, e continuerò a leggere il giornale. Ed a rispondere quando mi si chiede qualcosa.
“Il suo tempo libero lo trascorreva in compagnia delle donne.” (67)
“I cherokee hanno una legge che proibisce di buttar via qualunque cosa. … Tutto quello che ti è servito una volta … non buttarlo, forse ora è lui ad avere bisogno di te.” (138)
“Fima … decise in cuor suo che non avrebbe fatto più lo scemo in sua presenza. O in presenza di altri. D’ora in poi si sarebbe concentrato.” (258)Ho già detto molto di Amos, anche in inizio. Ora non ci torno su. Torno sui saluti e gli auguri. Sui saluti ai miei amici che tornano in Qàtar, di quelli che sono in giro per l’Europa, e di quelli sparsi per monti e valli italiche (comprese città e spiagge).
Quest’anno da poco iniziato già mi sembra promettere. E faremo di tutto perché mantenga.
“Scrivo questa storia perché quando ero giovane avevo una grande capacità di amare, e ora questa capacità di amare sta morendo.” (7)
“Le sue parole mi davano quel senso di tranquillità che provo dopo una siesta, la tranquillità di un risveglio al crepuscolo, quando l’aria è più dolce e io sono calma e tutto è calmo intorno a me.” (19)
“Non ho dimenticato nulla. Dimenticare significa morire. E io non voglio morire.” (56)
“Non c’è tristezza al mondo che non possa trasformarsi in una grande gioia.” (89)
“Il tempo vola sapete… Il tempo vola. Voi due vivete la vostra vita come se il tempo stesse fermo ad aspettare voi. Lasciate che vi dica che il tempo non sta fermo. Il tempo non si ferma per nessuno.” (157)
“Non voleva provocare nuovi sogni. I sogni possono essere infranti. E come conseguenza rimane la bocca amara.” (221)Amos Oz “Fima” Feltrinelli euro 8,50 (in realtà, scontato 6,38 euro)
[in: 20/01/2010 – out: 04/11/2010]Ci sono voluti dieci mesi per cominciare al leggerlo, quasi che ne avessi timore. Ed a ragione. Un libro che è una spada puntata sul mio egocentrismo, e che riesce (potenza della traslazione) a tirarne fuori tutto il “cattivo” che è in me. O forse il dolente, l’irrisolto. Sono passati venti anni dal mio Michele, e qui Amos si immerge nel maschile. Forse per questo lo sento meglio, lo capisco meglio. Anche se, probabilmente, lo sento e lo capisco perché Efraim detto Fima, in molti sensi, mi è uguale. Rivedo in lui tutto il concentrarsi sulla propria persona, sul proprio io, ma in quel senso dolente che fa sì non tanto che si voglia attirare tutti e tutto su di sé, quasi un narcisismo dell’egoismo, ma quel farsi per pagine e pagine dei film in testa, scordandosi che quello che succede intorno è altro, ma se quello che succede introno sapesse quanto io-Fima siamo bravi, capaci di ragionare, capaci di trovare soluzioni. Peccato che poi dalla testa esca poco. E soprattutto esca in momenti e modi sbagliati. Perché Fima saprebbe come risolvere la questione dei rapporti tra arabi ed israeliani, ma il governo fa sempre altro. Ed altro fanno gli intellettuali. E se Fima scendesse in campo saprebbero tutti dove si dovrebbe andare per aver il successo. Perché Fima conosce il nome del generale finlandese che ha fermato Stalin, ma io ho risolto prima di lui la domanda sullo stato africano con una L come seconda lettera. Perché Fima cita poeti, scrittori, fatti, personaggi. Perché è capace di fermarsi a leggere sui costumi sessuali degli eschimesi come se fosse la cosa più importante per arrivare alla fine della giornata. Perché Fima non sa cambiare le lampadine. E lascia i piatti sporchi nel lavello (lui, sfortunato, non ha la santa signora Elisabetta!). Perché ad un certo punto si trova in una stanza con una decina di amici, e gli viene in mente che è andato a letto con tutte le donne presenti nella stanza. Perché legge tre giornali. Perché è pieno di buoni consigli, ma sbaglia sempre il modo di porgerli. Perché in venticinque anni non ha avuto modo di capire fino in fondo la lettera di addio di Yael. Perché pensa che il figlio di Teddy e Yael sia “quasi” suo figlio. Perché poteva raggiungere tanti traguardi, ma ad un certo punto si è perso. E sono trenta anni che non solo non si ritrova. Ma non capisce che si deve ritrovare. Succederà qualcosa, ci sarà un po’ di quella sana agnizione che un bravo scrittore non può non mettere. Ma servirà? Cambierà? Migliorerà? Questo certo non ve lo vado a dire. Ma oltre ad un parallelo con me-lettore, più interessante è il suscitare in me un parallelo tra Fima e l’essenza stessa dell’ebreo-israeliano-intellettuale (e qualche altro aggettivo, anche se in ebraico, come in arabo, non c’è sintassi che regga un doppio stato costrutto). Si vede in controluce, l’irrisolutezza del ben pensante di sinistra, che ben saprebbe consigliare Rabin, o mettere a posto Sharon. Che sa cosa vorrebbero gli arabi. Ma che poi incontra l’ortodosso che gli regala un fiore, il soldato che gli augura un buon Sabato. E si perde nel pantano. L’Israele, come Fima, è sempre pieno di buoni propositi. Ma non riesce mai a metterli in pratica. Alla fine, questa doppia cavalcata di lettura è stata sfibrante. Perché mi fa riflettere su quello che avviene in quei posti a me comunque cari. E perché mi fa riflettere sulla cosa che di più caro ho: me stesso. Ma io dirò buona giornata lo stesso all’autista dell’autobus, e continuerò a leggere il giornale. Ed a rispondere quando mi si chiede qualcosa.
“Il suo tempo libero lo trascorreva in compagnia delle donne.” (67)
“I cherokee hanno una legge che proibisce di buttar via qualunque cosa. … Tutto quello che ti è servito una volta … non buttarlo, forse ora è lui ad avere bisogno di te.” (138)
“Fima … decise in cuor suo che non avrebbe fatto più lo scemo in sua presenza. O in presenza di altri. D’ora in poi si sarebbe concentrato.” (258)Ho già detto molto di Amos, anche in inizio. Ora non ci torno su. Torno sui saluti e gli auguri. Sui saluti ai miei amici che tornano in Qàtar, di quelli che sono in giro per l’Europa, e di quelli sparsi per monti e valli italiche (comprese città e spiagge).
Quest’anno da poco iniziato già mi sembra promettere. E faremo di tutto perché mantenga.
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