mercoledì 4 aprile 2012

Buon 2011 - 02 gennaio 2011

Iniziamo questo a prima vista ottimo anno: un numero primo (e non succedeva da otto anni), con l’inizio ufficiale di un'altra svolta della mia già molto rivoltata vita. Avviandoci a passo di carica (ma ce ne vuole ancora) verso una bella cifra tonda, accumuliamo i buoni propositi di dedicare più tempo ed energia alle cose cui tengo davvero. Ma essendo dei buoni propositi li tengo per me. Peccato solo che non si sia in giro per il mondo, che si era adusi a questi inizi altrove. Ma chissà che un inizio scarso non porti una messe abbondante. Infine, per tornare alle trame, quest’inizio contiene anche una novità che andrete scoprendo.
Intanto, ci dedichiamo ad autori italiani, per me ormai classici del mio scrivere. Carlotto, Baricco e De Luca (manca una A per fare un abbecedario…) e, come direbbe una vecchia pubblicità carosellica, “basta la parola…”.
Massimo Carlotto “Il fuggiasco” E/O euro 8 (in realtà, scontato 6,80 euro)
[in: 10/05/2010 – out: 25/09/2010]

Lo avrei inserito piacevolmente nella serie “ControMano”, perché, in effetti, anche qui si parla di luoghi. In questo caso (e chi sa le mie frequentazioni capisce la partecipazione allo scritto) si parla di carcere, con o senza sbarre. Ma è anche uno dei primi scritti di Carlotto, e quindi può far bella compagnia ai recuperi dei miei scrittori, ai loro inizi. Per i miei coetanei, ben nota è la storia di Massimo, con l’assurda vicenda giudiziaria che ne ha fatto seguito. Scopre il cadavere di una donna con cui ha più o meno legami, denuncia l’omicidio e ne viene in seguito incolpato.  Non intervengo sul merito, non è mio compito né voglio inserirmi in dibattimenti giuridici sulla sua colpevolezza o innocenza. Qui si parla del dopo e dell’oltre, di quegli anni in cui decide di fuggire all’estero, visto che veniva stritolato da elementi più grandi di lui. E se ne parla con il tono scanzonato cui poi ci abituerà l’Alligatore, il personaggio meglio riuscito del Carlotto scrittore. La quotidianità dell’inusuale, quel dissimularsi in mille personaggi, tutti più o meno normali, per non dare nell’occhio, per poter frequentare una vita “quasi” normale. Con due grandi “tagli” epici: l’Europa ed il Messico. In Europa, a Parigi, tutto sembra facile, sembra sempre possibile poter sopravvivere, travestendosi ora da impiegato serioso ora da professore eccentrico (ma nella norma). Potendo (sembrando di poter) continuare una vita “quasi” normale, riparato e coccolato dal filo rosso degli aiuti parigini. Ma avendo poi la coscienza che non se ne uscirà mai. Allora ancora fuga, verso un lontano Sud America, dove se da un lato più forte è la solidarietà, è anche più pericolosa la quotidianità, non al riparo da colpi di mano. E belli, toccanti, piangenti, sono i ritratti delle persone che incontra in Messico, con quel tocco di tristezza che ci vela quando li vediamo sparire (e spesso anche morire). E dove sembra essere possibile rifarsi una vita sotto altro nome. Se non fosse per tradimenti inaspettati ed altre vicende che lascio alla pagina di raccontare. Demenziale il ritorno in Italia, dove scopre che, dopo otto anni di fuga, non sembra esserci ancora un mandato di cattura nei suoi confronti. E poi l’ultima dolorosa parte, dove il carcere diventa reale, dove continua ad ingrassare fino quasi a stroncarsi la vita. E l’attesa dell’ultima sentenza e della preparazione ad un’alternativa: non più la fuga in vita, ma la fuga dalla vita. Qui i toni si fanno sentiti e duri, e solo il sapere la fine consente di attraversarli (quasi) indenni. Ma le pagine dietro le sbarre rimandano a quelle de “La Terra dell’anima mia” di cui ho già parlato ed a tutte le riflessioni che si sono fatte sulla vita di qua e di là delle sbarre. Detto tutto ciò, la parte “macchiettistica” pur a tratti divertente rimane un po’ scollegata dal filo centrale della riflessione. Come combattere l’ingiustizia? Fuggendo? Testimoniando fino in fondo una fede nelle Istituzioni (qui con la I maiuscola)? Non ho risposte. Ho solo fiducia nelle persone. Forse sbaglio, ma quando sento di persona parlare qualcuno di sé, sento dentro se avere fiducia o meno nelle sue parole. Ed in Massimo ho questa fiducia.
Alessandro Baricco “Senza sangue” Feltrinelli euro 6 (in realtà, scontato 4,50 euro)
[in: 25/07/2010 – out: 11/10/2010]

Mi è sembrato un po’ moscietto. Un’idea. 80 pagine per descriverla. Stile come ricordavo, simile tra lui e Fermine. Ma un po’ inconsistente. Non è una storia che prende, e neanche una che lascia tanti segni dietro di sé. Si svolge in un imprecisato paese probabilmente sudamericano. Dove c’è una guerra civile, lì palese, ma potrebbe essere ovunque nel mondo e meno palese. Un tizio, forse dottore, forse macellaio, viene giustiziato da “guerriglieri”. Si salva solo la figlia, che più di 50 anni dopo troviamo con l’unica persona di quel comando ancora in vita. E quella che, allora, le salvò la vita. Fine. Delle due idee che ho trovato, una forse più mia che consona al racconto, è quella di vedere questa storia che si racconta al tavolo del bar tra Nina e Tito. Ognuno ne ha dei brani propri ed altri che gli sono stati raccontati. Ed ognuno la racconta, ma ne escono storie diverse, come se ogni persona poi aggiustasse il filo del tempo secondo i propri bisogni di consolazione. Quasi a voler dimostrare (e noi ne siamo ben consci) che la storia la scrivono i vincitori. Chi perde, chiunque sia, ha altre storie da raccontare. L’altra è il perdono, o la riscrittura del passato togliendogli le macchie di sangue e facendolo vivere ancora, forse con dolore, ma senza “estremismi”. Forse Nina alla fine perdonerà Tito, forse. Non lo sapremo e Baricco non ha interesse a dircelo. Per lui è importante il percorso mentale che fanno i protagonisti. Chi è il cattivo? Il padre o il suo assassino? Perché Tito è entrato in guerra? Tito è buono o debole? E Nina è pazza o solo dolorosamente colpita dalla vita? Ma tutte queste domande, tutto questo pensamento, annegano nelle poche righe che sì, con maestria, sviluppano qualche descrizione, qualche sentimento. Ma non entrano, non hanno né la fulminante rapidità del racconto che consente all’autore di svelare in poche righe le sue idee sul mondo. Né tanto meno la complessità del romanzo che, nell’accumulare di pagine, descrizioni e sentimenti, ci fa arrivare ad una qualche conclusione sui nostri sentimenti verso la vicenda. Così, mi è sembrata un’operazione intellettuale, senza sentimento, più che senza sangue come dice il titolo. Altro è il Baricco che mi affascina, speriamo di ritrovarlo presto.
“Alla vita manca sempre qualcosa per essere perfetta.” (58)
“[ad una festa] c’era un famoso cantante che l’aveva invitata a ballare. A bassa voce raccontò che lui era vecchio, ma si muoveva con grande leggerezza, e prima che finisse la musica le aveva spiegato come il destino di una donna sia scritto nel modo che ha di ballare.” (70)

Erri De Luca “Aceto, arcobaleno” Feltrinelli euro 6,50 (in realtà, scontato 5,52 euro)
[in: 25/07/2010 – out: 16/10/2010]

Il terzo libro scritto da Erri, e devo dire il primo, tra quelli che ho letto da lui scritti, che mi delude un po’.  Come diceva Monica quando se ne parlò, è ancora alla ricerca della “sua” scrittura, e non mi stupisce ora il rimando che me ne fece Rosa quando mi disse che non le piacque. Concordo, e pienamente. Non ha ancora il respiro che troverò una decina di anni dopo in “Tre cavalli” o in “Montedidio”. La frase gira contorta per l’urgenza di dire, di dare un significato alla scrittura. Non che non lo si debba dare, ma altrove è la frase che scorre a dare un senso al leggere. Qui siamo in ogni punto ad essere pungolati dall’autore: ecco, voglio dire questo, e lo metto in bocca al primo che capita. E volgo la frase in modo che prima risalti il senso e poi si colleghi alle altre e faccia una storia. Tutto questo sforzo, di testa e mai di pancia, lascia poi freddi. E lascia irrisolto il piacere di scorrere le righe. Perché qui non si può prescindere dal conoscere Erri. E se non lo conosci le scarse cento pagine risultano esterne e mai la sua penna riesce a scalfirti. Sarebbe stata bella, e forse in altri momenti scritta con più scorrevolezza, la storia di questi tre amici raccontata dal quarto che va esaurendo la sua vita senza speranze, senza domani, ma forse senza rimorsi. Ci sono le anime che Erri indossa durante le metamorfosi della sua vita. E per farcele crude, le spinge all’estremo. C’è il brigatista, estremizzazione della sua vita politica in Lotta Continua et similia. C’è il missionario, estremizzazione del suo sentire religioso, che sfocerà in bellissime pagine di traduzione laica di passi della Bibbia. C’è il bello, intelligente e colto che rinuncia ad essere, estremizzazione del suo stare dopo l’abbandono della politica attiva, con quel rimando che ci fa cogliere la sua scelta. In una cella d’isolamento, in un carcere senza motivo, l’unico motivo di conforto sono le parole. Ed a quelle ora si aggrappa. Ora in questo iniziale tentativo, graffiandole, usandole in tutta la loro crudezza, senza risparmiarsi, senza risparmiarci nulla. Ma poi si arriva alla fine e di questi brandelli di vita non ci rimane che un senso di spreco, di inutilità. Non suscita riflessioni sul terrorismo, sulla religione, sul come dirigere la propria vita nel mare in tempesta quando non ci sono approdi (e si sa, come si dice a Napoli, nel mare non ci sono taverne). Rimangono sono brandelli, qualche frase che al solito riporto, e, per il mio sentire, le poche pagine sul padre e sulla loro visita al Museo. Sulle parole che a questa persona di poche parole suscitano le tele del Ghirlandaio, di Pinturicchio, il “Baldassarre Castiglione” di Raffaello, “Le nozze di Cana”. Ecco quelle sono pagine mirabili, scritte con tutta la pancia e tutto il cuore, dimenticando di dover dire qualcosa a forza. E lì scorre la vita. Basta posare lo sguardo sul Raffaello e lasciarlo andare in quella mirabile sospensione che il pittore ha messo nello sguardo dell’erudito. Ecco, per queste poche pagine merita almeno di averlo sfogliato. Ma forse è così anche perché mi ostino a leggere e rileggere, e leggere a ritroso, soprattutto quando mi piace o mi interessa un filone. Così, rapsodicamente ma con metodo, sto accumulando i passi mancanti di autori piaciuti. A volte si cade in momenti non felici, come questo. Se ne coglie il senso pensandone il prima e il dopo. E quando ci delude, basta rallentare un po’ e lasciar decantare le punte d’amarezza. Fari meglio la prossima volta, Erri, sono sicuro.
“Amavo gli alfabeti, materia prima dell’infinita stesura di parole intorno.” (59)
“Ognuno ammansisce il corpo come può, non si può mentire alla propria carne” (76)
“In Africa c’era un cielo da ragazzi, una giostra sfrenata che invitava a farsi raggiungere. Il cielo di qui è più lontano” (87)
“quasi sempre il nostro lato migliore non dipende da noi, ma è affidato all’iniziativa di uno sconosciuto che viene a rianimarcelo per caso” (115)
Come avete notato, niente biografie, ormai questi autori sono citati e citati e forse se ne ha noia di ritornare su dove si nacque, quando e come.
Passiamo alla novità. Già avevo inserito, nell’ultimo anno, le segnalazioni che mi venivano da voi trama-lettori. Ora ricevo Renato mi invia anche una recensione, che mi fa piacere condividere (anche perché pone domande interessanti).
Bruce Lipton “La biologia delle credenze” Macro Edizioni (www.macroedizioni.it), 2006, 16.50 euro.Si tratta di un libro che si inserisce nel filone della cosiddetta “biologia energetica”, che attribuisce cioè molta importanza alla “energia” che possiamo “trasferire” al nostro corpo (e quindi alle nostre cellule) con l’obiettivo di ottenere un migliore stato di salute complessivo degli individui. Il libro si muove in 3 ambiti, che cerca di collegare insieme in una visione unitaria: un ambito psicologico, un ambito legato alla biologia cellulare (definita dall’autore la “nuova biologia”) e un altro ambito legato alla “fisica quantistica”.
Nel primo ambito vengono evidenziati i concetti di un’interpretazione “olistica” dell’individuo, pensato come un’entità in cui corpo e mente, aspetti spirituali e biologici, sono indissolubilmente legati. La mente è descritta come costituita da una parte sub-conscia (che opera per il 95% del nostro tempo) e una parte cosciente. La parte sub-conscia è l’effetto dell’educazione e può essere pensata come un programma che, una volta acquisito nella fase pre-natale e dei primi anni di vita, viene mandato automaticamente in esecuzione e “condiziona” i nostri comportamenti (nel bene o nel male). Lo sforzo di ogni individuo dovrebbe quindi essere quello di migliorare il proprio livello di consapevolezza, “capendo” come si è strutturata la nostra mente sub-conscia, e riprogrammando quindi i comportamenti “dannosi” tramite diverse tecniche in grado di lavorare sulla parte sub-conscia della mente. Come si vede sono ripresi in questo approccio concetti tipici della psicanalisi (importanza dell’inconscio) e della psicologia cognitivista (importanza dell’attaccamento genitoriale nell’evoluzione dell’individuo). Questa parte appare ben strutturata nel libro.
Nell’ambito della biologia cellulare viene supportato un approccio epigenetico, cioè quell’approccio che ritiene che il nostro patrimonio genetico possa essere condizionato (o forse anche modificato) da aspetti ambientali e anche dai nostri stessi comportamenti. Riconosce in sostanza una maggiore influenza del “soggetto” rispetto ai “condizionamenti” puramente genetici. C’è quindi un approccio che tende a “superare” il darwinismo a favore di un nuovo lamarckismo. Va evidenziato che l’autore è stato un biologo in ambito accademico per diversi anni (anche se ha poi abbandonato l’Università verso la fine degli anni 80) e quindi questo rientra nel suo campo specifico di competenze. Dall’inizio degli anni 90 l’autore si è poi dedicato alla diffusione di questa teoria sintetizzata nel libro, senza lavorare direttamente all’interno del contesto accademico.
La terza componente è quella fisica. Qui è continuo il richiamo alla fisica quantistica, che dovrebbe giustificare, a detta dell’autore, le argomentazioni energetiche alla base dell’approccio generale sopra descritto. Mentre nell’ambito della biologia cellulare le argomentazioni possono essere controverse (come il dibattito storico tra darwinisti e lamarckiani), ma sono ben argomentate, nel campo fisico si nota che l’autore si muove in un campo non suo, e senza aver fatto verificare le sue affermazioni da colleghi esperti nel campo della fisica e della fisica quantistica in particolare, come sarebbe doveroso in un contesto complesso e pluri-disciplinare come questo libro vuol essere.
Va anche detto, per completezza di informazione, che questi errori di fisica sono costantemente presenti nella maggior parte dei riferimenti della medicina energetica e non sono quindi un’esclusività di questo autore. Può essere considerato un peccato che i principi psicologici presenti nel libro, probabilmente condivisibili da molte persone, siano “offuscati” da argomentazioni  fisiche così “improprie”
.
Grazie Renato. Se poi si vuole approfondire questa parte più problematica, il nostro recensore ha pronte alcune ulteriori riflessioni specifiche sulla fisica, che potremmo condividere tra gli interessati al dibattito. Per me, la parte più interessante (e che per la mia storia ben condivido) è quella sull’approccio bio-energetico alla vita. Sul resto, parliamone.
Poiché è la prima trama del mese di gennaio, come sanno i miei assidui lettori, vi riporto infine l’elenco dei libri letti in ottobre.

 
Avevo iniziato l’anno con l’augurio di capire qualcosa di più se me stesso. Continuo quest’anno rispondendo di sì, rispondendo che non tutto quello che ho capito mi è piaciuto, e che quindi si continuerà a cercare e a cambiare. Come diceva quella vecchia canzone “with a little help from my friends”.

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