Questa settimana, niente romanzi,
ma qualche libro di pensiero o per pensare. L’ultimo libro di Francesco
Piccolo, con qualche spunto interessante. Un libro di Mancuso (segnalatomi da
Luciana) che mi ha fatto pensare molto. Ed una raccolta di articoli di
Pennacchi, che invece mi hanno deluso.
Cominciamo da Piccolo, che leggo
sempre con piacere.
Francesco Piccolo “Momenti di trascurabile
felicità” Einaudi s.p. (regalo di A.)
[in: 21/12/2010 – out: 23/12/2010]
Non
ce l’ho fatta ad aspettare. Lo volevo leggere da tempo ed aspettavo di averlo
per regalo (un momento di trascurabile felicità, ricevere un regalo che si
voleva avere) per poterne leggere. Piccolo è sempre un autore gradito, mi piace
il suo modo di scrivere e di porgere la narrazione al lettore. Ci si sente un
po’ come intorno a qualche bicchierino di grappa la sera, quando un amico
comincia a dire, senti ti ricordi di … pensa che ieri … proprio mentre
telefonavo… ed altri attacchi di discorso. Devo subito dire, che mi aspettavo
qualcosa di più, forse qualche momento più ilare, o qualche arguzia inaspettata.
E questo non c’è stato. Da una parte forse perché nel mio immaginario ricalca
un po’ quel libro che non ho letto sul ‘primo sorso di birra’ (certo quelli non
erano etichettabili come trascurabili, ma poi si dovrà parlare su cosa sia la
‘trascurabile felicità’). Dall’altro perché alcuni spunti erano già presenti in
altri scritti suoi (le code, ad esempio) o perché altri brani li trovo mal
posti (il pezzo sulla bionda in spiaggia lo trovo poco felice e molto
trascurabile). Ma per molte pagine e molti spunti ritrovo il Piccolo che mi
aspetto, con quella sana dose di mescolanza tra bontà e cattiveria, e
soprattutto con quella empatia che mi fa dire, su moltissimi spunti, ecco anche
io farei così. Anche io cerco di prendere appuntamenti più vicini a casa mia, o
a volte non dico tutta la verità al telefono e tante altre piccole avventure
quotidiane. Ecco, lo spunto migliore è stato quello che mentre lui narrava di
sé e delle piccole caselle di felicità, a me venivano in mente le mie, i miei
piccoli momenti di serenità. Quelle piccole manie, che però rendono caldo il
cuore. La ricerca di un bar dove fanno un buon caffè, e l’orrore di entrare in
un bar con commessi che non conosco (la trascurabile felicità di avere la
tazzina senza cucchiaino perché io il caffè lo prendo amaro). Il voler entrare
in un posto da una certa strada, seguendo certi percorsi, perché così è più
bello (il giro che feci fare al mio gruppo per poter entrare a Marrakech dalla
porta che ritenevo migliore per dispiegarne il fascino discreto). Le piccole
decisioni giovanili, poi diventate pietre miliari della mia natura (la
decisione, presa in attesa dell’esame di maturità, che non sarei diventato
schiavo del tempo e che avrei cercato i sapori veri del cibo, per cui da allora
non porto orologi, prendo il caffè amaro, e mangio tutto quello che portano sul
desco, fatta eccezione, ma se dovesse capitare forse ne rimangerei, delle rape
rosse su cui potremmo innestare un piccolo racconto di non trascurabile
infelicità). Ecco il libro scorre via, non ha ovviamente trame, ha questi
spunti che rimandano, e che, per i più salienti, riporto come citazioni. Mi
sarebbe piaciuto sapere il testo degli SMS che ad un certo punto cita, ma
rimane sul vago, ed io rimango con la domanda: ma quale sarà il doppio senso che
vi circola? Forse adesso dovrei anche affrontare l’ultimo suo romanzo, ma ora
preferisco crogiolarmi con ancora un po’ di grappa e la trascurabile felicità
del ricordo di un bicchiere di Bordeaux Fleuri alla Cloche des Halles, con un
piattone di formaggi da sgranocchiare.
“Ed è questo il punto cruciale della
questione: perché mento? Che ragione c’è? Non c’è una ragione: mi piace” (26)
“Dal Don Chisciotte: si sprofondò tanto in
quelle letture, che passava le notti dalla sera alla mattina e i giorni dalla mattina
alla sera, sempre a leggere; e così, a forza di dormire poco e di leggere
molto, gli si prosciugò il cervello …e si ficcò … nella testa che tutto
quell’arsenale di sogni e di invenzioni lette nei libri fosse la verità pura”
(46)
“E devo dirlo – con tutto il rispetto, devo
dirlo: non mi ha mai entusiasmato Conrad” (49)
“Le cose belle sono quelle che finiscono”
(67)
“Sono profondamente grato a tutti quelli che
mi hanno tenuto e mi terranno la testa quando mi viene da vomitare” (71)
“La malinconia che rimane ai padroni di casa
alla fine di una grande festa, quando restano ancora cinque minuti sul divano
prima di andare a dormire” (82)
“Ogni volta che esco di casa, tiro la porta
d’ingresso soprappensiero, andando via, e nell’ultimo millesimo di secondo, appena
ho staccato la mano dalla maniglia e la porta sta per concludere la sua corsa
verso la chiusura, mi viene in mente: ma le chiavi le ho prese? Allora mi volto
di scatto e provo a fare in tempo a fermarla prima che sia troppo tardi, e …
clack. È troppo tardi” (85)
“Quando prenoto al ristorante, lascio il
nome di uno di quelli che verranno a cena con me … perché ho sempre la
sensazione che i ristoratori possano perseguitare i clienti che non si sono
presentati dopo aver prenotato” (93)
“Tutte le cose che bisogna fare, mi piace
rimandarle, oppure averle già fatte” (108)
Vito Mancuso “La vita autentica” Raffaello
Cortina Editore euro 13,50 (in realtà, scontato
a 3,40 euro)
[in: 02/06/2010 – out: 14/01/2011]
[titolo originale; lingua italiano; anno 2009]
Altro
libro entrato dietro un suggerimento, e devo ringraziare quindi Luciana di aver
suggerito un grande libro di riflessione. Fortunata combinazione, è poi un
momento in cui mi serviva una riflessione. Come molti di voi sanno, quest’anno
è iniziato con un punto di svolta, il raggiungimento di una soglia di
tranquillità in quanto ufficialmente anziano. Allora cosa di meglio, che uno
stimolo a riflettere su cosa sia la vita. Stimolo che, ovviamente, suggerisco
anche a chi non è nella mia situazione. Tutto dobbiamo riflettere (dovremmo?)
su cosa sia la vita, e che cosa significa quell’aggettivo “autentico”. Mancuso,
con la semplicità che gli è propria, ci porta per mano a pensare ai significati
delle frasi. A quell’autentico, dal greco, che “è se stesso”. Perché (qui lo
aggiungo esplicitamente io), questa è la vita che viviamo. E dobbiamo viverla
per noi stessi. Come già altri ed in altri luoghi hanno detto meglio, sappiamo,
infatti, che le più grandi menzogne sono quelle che diciamo a noi stessi. E se
abbiamo il coraggio di non mentire, dobbiamo tutti i momenti far fronte alla
quotidianità dell’etica (stiamo andando sul pesante, quindi qui rimando a quei
leggeri svolazzi sull’etica del quotidiano inseriti nelle pagine di McCall
Smith su Scozia e filosofia). Mancuso molto sinteticamente ci porta al
paradigma di partenza e di arrivo del suo scritto: l’uomo è sé stesso
(autentico) se è libero, innanzi tutto da sé stesso (come detto le
auto-menzogne), e che vive per un momento “superiore” (giustizia? verità? etica?).
Ci sono molti temi che mi colpiscono (come risulta dal lungo elenco di frasi
che mi sono rimaste sulla penna). Due temi legati che sento molto miei, in
tutto lo scritto: il rispetto dell’altro e la relazione. Anche molto legati,
che la nostra è una vita di relazione e la mia libertà non deve andare a
scapito della tua. Quindi rispetto nelle relazioni. Poi, il dubbio cartesiano
sistematico, perché non dico socraticamente: so di non sapere (questo è
facile), ma so di sbagliare (e ci vuole coraggio per dirlo). E la vita come
viaggio, prima verso di sé, e poi fuori, verso la realtà, con quella citazione
dantesca che fin dal liceo mi risuonava nella mente. Ah, lo maggior corno della
fiamma antica… Certo, ci sono punti difficili, che non credo di aver capito veramente
(Nietzsche mi crea ostacoli ad ogni passo). Ma ammiro la diligenza di seguire
un filo, un discorso, di presentarne alternative, di confutarlo. Per arrivare a
delle affermazioni, che, come premette il teologo Mancuso, possiamo mettere in
discussione nella forma, ma che tutti (atei, agnostici, religiosi di qualsiasi
credo) dobbiamo alla fine ammettere di condividere. E così faccio io. Ne va
della mia autenticità. Se avrò la forza, affronteremo altri libri di Mancuso.
Pensare è l’unico modo di essere me stesso.
“Se la vita si presenta come contraddizione,
rispettare la contraddizione consentendo a ciascuno l’esercizio della libertà è
il modo migliore di rispettare la vita” (45)
“Da Cartesio: Chi cerca la verità deve una
volta nella vita dubitare di tutto” (61)
“Posso anche sbagliare, lo so bene che posso
sbagliare, per questo sottopongo a
verifica ogni affermazione e ogni negazione” (65)
“L’uomo autentico è l’uomo libero, l’uomo
che costruisce la sua vita su un fondamento interiore tutto suo, sulla sua consapevole
e autonoma personalità” (76)
“da Baudelaire: A me pare che starei sempre
bene là dove non sono …Non importa dove! Purché sia fuori da questo mondo!”
(93)
“da Shakespeare: sii sincero con te stesso,
e ne seguirà come la notte al giorno che non potrai essere falso verso nessuno”
(110)
“da Bonhoeffer: quando qualcuno dice la
verità senza tener conto della persona a cui parla, c’è l’apparenza ma non la
sostanza della verità” (117)
“da Marco Aurelio: ognuno vale tanto quanto
le cose a cui si interessa” (126)
“Ogni uomo è definito dall’oggetto del suo
sperare. La vita è paragonabile ad un viaggio, e l’oggetto della speranza è la
meta verso la quale si viaggia” (131)
“La
vita autentica è all’insegna del viaggio, dell’uscita da sé verso la realtà,
fino a farsi compenetrare totalmente dalla realtà e diventare un autentico
frammento di realtà, che, come una pietra o come un pianta, esiste senza la
minima traccia di menzogna” (170)
“da Dante: fatti non foste a viver come
brutti / ma per seguire virtute (vita vissuta all’insegna del bene) e
canoscneza (vita vissuta all’insegna dell’amore per la verità)” (171)
Antonio
Pennacchi “Stregati da Pennacchi” Limes euro 12
[in: 01/09/2010 – out: 19/02/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2010]
Più
che altro, stregati da Limes e dalle sue “bugie”. Ho comperato questo speciale
di Limes incuriosito dalla scrittura e dai temi di Pennacchi. Ricordo ancora e
sempre con piacere il fascio-comunista. Ed aspettando di dedicarmi al Canale
Mussolini, di cui mi si parla bene, volevo leggere qualcosa d’altro. Qui sono
raccolti i suoi articoli, pubblicati nel tempo sull’ottima rivista del Gruppo
Espresso, a partire dai primi del 1998. Ma prima di entrare nel merito
pennacchico, torno sulle invettive alla rivista. Ripeto, è un’ottima rivista,
che affronta in modo serio e documentato problemi di ordine geo-politico. Ma
non si può mettere in copertina uno strillone che annuncia “….alcune pagine
inedite”. Sapete quante sono queste “alcune”: 2 su 198! Beh, se non è una presa
in giro poco ci manca. Certo, filologicamente corretto, perché il plurale va da
2 in su, ma eticamente mi sembra un po’ scorretto. Veniamo ora agli scritti.
Che ruotano intorno ad alcune fissazioni di Pennacchi: le bonifiche del Duce,
con tutti gli avvenimenti sociali ed urbanistici che ne ruotano intorno, il
concetto fondante dei riti, soprattutto quelli di passaggio, ed alcuni elementi
di rimembranze – invettive e simili aggettivi su lotta politica e mondo
attuale. I pezzi più riusciti sono senz’altro quelli sulle prime tematiche: su
Sabaudia, su Tresigallo, su Arborea. Belli, documentati, vividi mi viene da
dire. Si sente la passione per terra natia, e per la fatica degli uomini che ci
sono stati trapiantati, che ne hanno fatto un luogo in cui vivere. Quando
invece si cimenta su riti (soprattutto su quelli quotidiani) e su altre
tematiche, sembra che voglia fare un po’ troppo il saputo (non il sapiente),
scherzando a volte troppo, ma soprattutto, quello che non mi è piaciuto,
cercando sempre l’effettaccio, il paradosso. Certo, quando si scrive un
articolo a volte bisogna andare con l’accetta, si deve dare qualche colpo
forte, se no la gente passa oltre. Ma c’è colpo forte, d’effetto, che riesce e
colpo che rimane lì, solo un po’ provocatorio. Certo, Stalin aveva delle
ragioni a fare quello che faceva. Così come Romolo quando uccide il fratello e
rapisce le donne. Ma il crinale della giustificazione a volte scade nel voler
“scandalizzare” il lettore. Ora, io non mi scandalizzo, e ritengo che il mondo
sia molto complesso, e non sempre si riesce a spiegare grandi cose in poche
righe. Per farlo bisogna avere altre stature. Meglio in questi casi avere
obiettivi più ravvicinati. E più solidi ragionamenti. Come, per tornare a
bomba, su tutte le vicende della costruzione delle città del Duce. Vicende che
fanno venir voglia di saperne di più. E forse per questo leggerò presto il
Canale dello Strega. Un’ultima menzione al triste incontro sul treno pendolare
con il capo-reparto di quando stava alla Fulgorcavi, ed al ricordo delle lotte,
delle passioni, e, certo, anche degli errori, che si sono commessi. Alcune
pagine sul filo della memoria, che meritavano di essere lette, ponendoci
l’interrogativo di sempre: quanti errori si commettono, quanti errori possiamo
recuperare una volta commessi. Tuttavia, nel complesso, benché con quelle punte
di buona lettura, questo Pennacchi frammentario poco mi convince ed un po’ mi
annoia. Come da sempre mi annoia che si parla addossa e si incensa troppo.
Quando ci sono cose buone, io, ingenuo, penso che prima o poi verranno fuori.
Sempre!
Ripeto
ancora che sono soddisfatto del viaggio asiatico (ripetendo con Mancuso che la
vita è tutta un viaggio), che, come tutti i viaggi, fa sempre pensare: ai
posti, alle persone, ai viaggiatori, ed all’io viaggiante. Ma anche reduce da
un bellissimo week-end lungo a Palermo, sole, “meuza”, e tanti mercati (Ballarò
in testa). Ora si che comincia un mese intenso…
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