… è andato, la sua musica è finita (parafrasi di altro che sarà presente in questa chiusura). Una chiusura dedicata ad alcuni dei miei preferiti italiani, con i loro commissari eponimi, anche se non sempre alle massime altezze. E per chiusura di anno, anche la mia personale TOP 30 (li avete letti? Li togliereste tra i TOP? Ne metteresti altri? Aspetto a piè fermo le critiche!).
Per ora, doppiamo la boa del 2010 in compagni di Sarti, di Montalbano e di Ricciardi.
Loriano Macchiavelli “Cos’è accaduto alla signora perbene” Einaudi euro 11 (in realtà, scontato 8,80 euro)
[in: 23/04/2010 – out: 10/09/2010]
Un libro “difficile”, anche per il momento della scrittura. Non bellissimo, ma sicuramente con spunti di riflessione. Già altre volte ho parlato di Macchiavelli e del suo Sarti Antonio. Alcune prove interessanti, altre (soprattutto quelle pubblicate da Repubblica) molto meno. Qui ci troviamo di fronte ad un reperto storico, che contiene in sé molti degli alti e bassi macchiavellici. Infatti, il romanzo esce la prima volta nel 1979, a valle di tutti quei sommovimenti che ingrigirono la vita italiana nella seconda metà degli Anni Settanta. E dico ingrigirono e non rallegrarono, anche se erano gli anni della Pantera, degli Indiani, delle fantasie, perché erano anche gli anni che portarono a Moro ed oltre. Macchiavelli è già al suo settimo libro, e vive in quel di Bologna. Qui decide di utilizzare il suo strumento classico, il giallo, ed il suo personaggio eponimo, Sarti Antonio, per emettere una serie di grida perché qualcosa cambi. Grida inascoltato, se, come confessa nella prefazione, “da allora ad oggi le cose non sono cambiate”, tant’è che decide di ripubblicare il romanzo. C’è ovviamente una trama “gialla”, un morto ammazzato. E per le sue vie traverse, Sarti Antonio arriverà al disvelamento del mistero. Ma il morto viene ammazzato durante una manifestazione dell’estrema sinistra, durante quelli che venivano chiamati “espropri proletari”. Ed il morto era persona, d’apparato e non di spicco, del PCI bolognese. Ed era tra coloro che pensavano utile un dialogo tra le parti (seppur su posizioni distanti). E con durezza, Macchiavelli si scaglia contro la dabbenaggine di quell’estrema sinistra, contro le faide interne che a volte rimandano alla Spagna del ’36, ma anche contro l’inizio di un clientelismo palese anche all’interno della sinistra ufficiale, e per finire contro l’arroganza della borghesia (ora come allora). La prima metà del libro è tutta giocata su questi registri, e si capisce che il fino ad allora ben voluto “Macchia”, sia calato in popolarità e stima. Io ne trarrei utili lezioni, collegandomi a quegli scritti di etica che ho citato in trame post-estive. Il comportamento retto verso sé stessi, ed il rispetto verso l’altro, sempre, è una cosa che non può essere barattata con nessuna pretesa rivoluzionaria. La seconda parte scivola sulla soluzione del giallo, sulla costruzione del personaggio Sarti Antonio, e sui sodali, da Rosas a tutto quel mondo ai margini di ladruncoli e prostitute che (è questo il messaggio forte) sono molto più perbene di quel mondo di potere meschino e baro. Questa parte è un po’ flebile, rispetto ai pugni della prima, e rende il tutto degno di una considerazione mediana più che di una verso l’eccellenza. Tuttavia, nel complesso sono stato contento della lettura, chiedendomi con l’autore che cos’è accaduto alla Bologna perbene, a quella cantata anni dopo da Guccini in una memorabile canzone sui luoghi del vivere (ricordate: “Bologna è una strana signora, volgare matrona / Bologna bambina per bene, Bologna "busona").
Andrea Camilleri “La caccia al tesoro” Sellerio euro 14 (regalato a mamma)
[in: 01/06/2010 – out: 22/09/2010]
Solito Montalbano di mestiere. E quando dico di mestiere è perché sembra siamo tornati qualche romanzo indietro (come tempo di scrittura) dove c’è sì il plot generale di Montalbano, ma sembra quasi essere scritto da un “ghost”. A parte la scrittura nel siculo parlato (caratteristica ormai quasi da marchio di fabbrica degli scritti di Camilleri, tanto da far dire ad Eco che la versione in siciliano di Wikipedia sembra scritta proprio dal nostro), c’erano altre caratteristiche che ci hanno fatto amare il commissario (e non parlo di quelle mie personali, come l’ambientazione in quel triangolo magico per me sempre legato a Scicli). Le potenzialità “eversive” che mettevano il commissario sempre su lunghezze d’onda non in sintonia con il potere. Il rapporto presente-assente con la bella Livia. Il macchiettismo dei poliziotti di contorno (dal mitico Catarella ad Augello, dai pizzini di Fazio a Gallo). Una storia che, anche nel giallo puro, rivelava sempre umanità e particolarità. Qui, come nelle ultime non esaltanti prove del commissario, tutte questi punti a favore vengono ridotti a caricature, ad elementi sterili privi di contenuto. L’a-sintonia rimane nel suo contrapporsi al questore o al patologo. Con Livia ora più che altro si litiga a telefono, ma senza un vero perché (forse, che come dice Salvo, si sta invecchiando?). Dei poliziotti rimane solo l’esasperazione comica (come le parole crociate di Catarella). Ed anche la storia, prima tirata in lungo sulla falsariga di una caccia al tesoro, di banale soluzione e di facile smontatura. Poi improvvisamente accelerando dopo metà del libro, verso quello che il chiosatore Salvatore Silvano Nigro chiama il lato “Hannibal Lecter” (ma ce ne vuole…). E poi, nella prima parte, tutte le uscite del commissario che ogni volta si accanisce a fare e scegliere il lato meno intelligente delle attività umane, per poi tentare di farci sorridere quando queste idiozie vengono disvelate e Salvo deve trovare il modo di uscirne. Come non pensare che mettere una bambola di gomma nello sgabuzzino avrebbe fatto impressione alla buona Adelina? O come non pensare che le parole astruse rivolte al Pasquale non avrebbero generato ulteriore confusione tra amori di gomma ed amori mercenari? Detto tutto il male dicibile, rimane comunque una lettura gradevole, che scorre in poltrona con un chill-out sul giradischi. Però si preferiva quel bel jazz alla Coltrane, e lo si rimpiange. E in un certo senso si rimpiangono anche le sparate di Salvo sul suo invecchiare. Almeno creavano un po’ di pensieri sul nostro crescere. Alla prossima, magari senza un commissario forse ormai troppo ingombrante.
Maurizio de Giovanni “Il giorno dei morti” Fandango euro 15
[in: 13/09/2010 – out: 10/10/2010]
Si chiude la promessa dello scrittore napoletano, di darci le quattro stagioni del commissario Ricciardi. Ho seguito con gusto l’inverno, la primavera e l’estate. Ora l’autunno ci porta un libro più dolente, meno “giallo”, ma anche più intenso e devo dire piacevole, tanto che mi sono bevuto le 400 pagine in due belle serate ottobrine. Ormai il commissario Ricciardi lo conosciamo bene, è quello che vede i fantasmi dei morti ammazzati, e su questo dono – condanna costruisce le sue indagini, per trovare riscontri, per risolvere il caso. E conosciamo gli altri pilastri di questa saga: il brigadiere Maione, corpulento ed umano verso i criminali per caso, la dolce Enrica Colombo, segretamente innamorata del Commissario, la settantenne tata Rosa, che il commissario cura ed accudisce, la bella Livia Lucani Vezzi, apertamente innamorata dello stesso commissario, il patologo ante-litteram dottor Modo. L’azione si svolge nel 1931 a Napoli, ed ormai con questo quarto libro siamo arrivati ad ottobre (anzi fine ottobre – inizio novembre), quando viene trovato, nel Tondo di Capodimonte, il corpo di un bambino di sette – otto anni morto per avvelenamento. Si scopre presto che lo scugnizzo Matteo, detto Tettè perché cacaglia, è morto per aver mangiato qualcosa cosparsa di veleno per topi. Quindi niente lascia supporre assassini e morti. Ma Ricciardi, un po’ sfasato sia dalla corte di Livia che dalla difficoltà sua di esternarsi ad Enrica, prende a spunto questa morte, perché ci vuole vedere chiaro, e perché (giustamente) non si può lasciare andare nella tomba un bambino senza aver cercato il perché di una morte assurda. Su questa base, il bravo autore (perché a me piace come scrive) ci porta per mano, per sette giorni a Napoli sotto la pioggia. E se da un lato sottolinea il mio lato “rimembranze di città” (il Vomero, Capodimonte, il San Carlo, Gambrinus, via Toledo, i Quartieri Spagnoli), dall’altro sottolinea il lato umano: i gli scugnizzi senza casa accolti in parrocchia, le dame di carità, il rigattiere, il ricco spiantato in cerca di rifarsi, il femminiello. Ed è tutto questo affresco, che piace e seguiamo. Perché ognuno ha i suoi lati (buoni o cattivi, ma comunque interessanti), anche il vice-questore Garzo che ha paura delle mosche che volano. E con quanta cura si ricostruisce l’atmosfera d’epoca, nei modi, nei vestiti, nell’andare sotto la pioggia con l’ombrello di tela, cerato la sera prima con le candele. E poi ci piace l’empatia del commissario. Verso i vivi e le loro fallacità, verso i morti e le loro dolenti frasi di addio. Forse dovrebbe avere un po’ di empatia verso sé stesso. Ma intanto, pur con la febbre, continua ad indagare, fino a risolvere, con maestria e con un bel tocco di classe dello scrittore. Non ho voluto leggere le ultime pagine. Ormai il mistero è risolto. Forse il commissario deve scegliere la sua donna. O forse no. Ma le leggerò prima o poi. Intanto le lascio lì, sperando che non siano conclusive, che ci consentano di avere un altro episodio del commissario Luigi Alfredo Ricciardi quarto barone di Malomonte.
“Perché sentiva di essere soltanto un debole e di avere, per debolezza, lasciato che accadesse qualcosa di profondamente sbagliato?” (363)
Continuando nel costume di questa chiusura d’anno, lascio l’epigrafe di Maurizio al mio amico fucecchiese.
Come lo scorso anno, a chiusura delle narrazioni di quest’anno, e vincendo le mie resistenze interne, vi voglio regalare una mia personale TOP 30 dei libri 2010. Sono in ordine alfabetico e non di gradimento, perché non ne sarei capace. E se vi capita, leggetene.
- Marco Aime Eccessi di cultura Einaudi
- Pieter Aspe Le Carrè de la vengeance Le livre de Poche
- Alessandro Barbero 9 agosto 378 il giorno dei barbari Laterza
- Zygmunt Bauman Vita liquida Laterza
- Zygmunt Bauman Modus vivendi Laterza
- Martin Buber Il cammino dell’uomo Edizioni Qiqajon
- Robert Byron La via per l’Oxiana Adelphi
- Davide Cammarone Questo è un uomo Sellerio
- Gianrico Carofiglio Le perfezioni provvisorie Sellerio
- Bruce Chatwin Anatomia dell’irrequietezza Adelphi
- Antonella Cilento Napoli sul mare luccica Laterza
- Pietro Citati Alessandro Magno Adelphi
- Mauro Covacich Trieste sottosopra Laterza
- Maurizio de Giovanni Il giorno dei morti Fandango
- Félix Fénéon Romanzi in tre righe Adelphi
- Ryszard Kapuscinski Shah-in-shah Feltrinelli
- Jack London Il vagabondo delle stelle Adelphi
- Amin Maalouf Un mondo senza regole Bompiani
- Sapo Matteucci Q.B. la cucina quanto basta Laterza
- Amos Oz Michael mio Feltrinelli
- Valeria Parrella Ma quale amore Rizzoli
- Francesco Piccolo Momenti di trascurabile felicità Einaudi
- Sue Roe Impressionisti Laterza
- Goliarda Sapienza L’arte della gioia Einaudi
- Roberto Saviano Gomorra Mondadori
- Giorgio Scerbanenco Milano calibro 9 Garzanti
- Eric-Emmanuel Schmitt Piccoli crimini coniugali E/O
- Beppe Sebaste Panchine Laterza
- Fred Vargas Un lieu incertain J’ai lu
- Evelyn Waugh Quando viaggiare era un piacere Adelphi
Sarebbe ora di conti e di somme, di pensieri e di propositi. Ma “or non è più quel tempo e quell’età”, ora sappiamo cos si vuole (anche se non sempre riusciamo ad ottenerlo). Allora niente (s-)propositi, ma piccole tappe quotidiane: attenzione alla salute, tenersi cari gli amici, ed aver proprie stelle comete sul cammino.
E poiché 11 è un numero primo, ed è primo il 2011, non potrà non essere un anno fausto (che attenti si sarà, come dicevano i Maya, a 2012 dove avremmo grandi cataclismi, soprattutto in un certo giorno di dicembre…)
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