giovedì 19 aprile 2012

Nero americano un po’ sbiadito - 20 marzo 2011

Una settimana di relax, dopo l’omaggio al Sud America. Passiamo nella parte Nord del continente con un autore non ortodosso ed in genere pieno di invenzioni, anche se qui non nella mia serie preferita (e grazie a Roberta per la sua segnalazione). Il secondo lo avevo lasciato anni fa che si faceva chiamare con il doppio cognome, ed ora rimane invece con la parte italiana. Un buon artigiano, da cui ricavare buoni film (bellissimo quello con Clint Eastwood e Gene Hackman).
Ma diamo inizio alle stelle e strisce con il sessantino Lansdale.
Joe R. Lansdale “La sottile linea scura” Noir Repubblica euro 7,90
[in: 01/09/2010 – out: 15/12/2010]
Discreto, un pochino noir, ed un pochino il Lansdale che più mi piace (quello di Hap e Leonard per intenderci). Però alla fine meno incisivo. Sembrano riecheggiare temi altri (da Harper Lee che sicuramente conosce ad Ammanniti, che forse è viceversa, visto che il buon Nicola se ne dichiara da sempre ammiratore). Intanto, proviamo a fare anche un esercizio di collocazione spazio-temporale del romanzo. Lansdale è uno scorpione del 1951, nato e cresciuto nel Texas (che in molta parte occuperà spazio interessane nei suoi scritti). Scrive il primo racconto a 20 anni e comincia la serie di Hap a 40. Questo romanzo è invece dei suoi 50, e si sente la maturità della penna, anche qui che torna a narrare vicende collocate nella giovinezza, percorrendo l’estate della maturazione del tredicenne Stanley. La vicenda, infatti, si colloca nell’estate del 1958, in una cittadina del Texas (che secondo Lansdale “è uno stato d’animo, non un luogo fisico”), dove la famiglia Mitchell gestisce un drive-in (citazione interna dei suoi romanzi del ciclo del Drive-In). Una cittadina dove sono presenti bianchi e neri, ed essendo ancora nel pieno Sud razziale, forti sono le tensioni tra gente di diverso colore. Ma la famiglia Mitchell, pur non essendo completamente “deregulated”, ha forte il senso della giustizia, quindi adotta Rosy, la tata nera (che d’altronde cucina molto meglio della signora Mitchell) e vede con simpatia il nero proiezionista del drive, il vecchio Buster (che ad un certo punto sorprenderà Stanley mettendo fuori combattimento uno più giovane di lui, reminiscenza delle arti marziali di cui è esperto il buon Joe). E mentre Stanley si aggira tra casa e boschi con l’amico Richard, trova una cassetta con delle lettere. Questo ritrovamento scatenerà tutta la vicenda. Stanley e Buster cominciano a fare i detective per risolvere il mistero di più di venti anni prima; Richard aiutando Stanley va in rotta di collisione con il padre manesco e religiosamente esaltato; la sorella Callie pur civettando (ma con giudizio) fa fare passi da gigante sia alla soluzione che alla scoperta, per Stanley, di un altro mistero (il sesso!!). La sapiente scrittura, dosando un linguaggio semplice per descrivere momenti non facili (mettersi dalla parte dei ragazzi aiuta in questo travestimento, come, appunto nella crudezza/lievità del Buio oltre la siepe di Harper Lee), ci porta lungo i caldi mesi estivi, sino allo sciogliersi delle vicende (almeno in buona parte) ed ad un breve epilogo dove lo Stanley ormai anziano riannoda i fili lasciati in sospeso dall’inizio delle scuole del nuovo anno. Una buona riuscita, una lettura corretta, anche senza troppi sussulti dell’anima. Comunque una buona spinta per pensare di girarsi un po’ del sud attuale, dove, New Orleans a parte, le mie scarpe non hanno ancora lasciato i loro solchi.
“Devi amare prima te stesso prima che puoi amare tutto il resto.” (60)
“La vita ha delle risposte precise, e poi ha anche delle situazioni in cui non sono chiare nemmeno le domande.” (97)
“Quel che ti voglio far notare è che la vita non è mica giusta. Non basta volere qualcosa, per averlo automaticamente.” (204)
E continuiamo con la serie dedicata al bel virginiano.
David Baldacci “I collezionisti” Noir Repubblica euro 7,90
[in: 11/08/2010 – out: 24/12/2010]
Un noir “classico”, con due storie che si intrecciano, ma solo una finisce. David Baldacci è un discreto artigiano di romanzi di successo, ora cinquantenne, che iniziò la carriera una quindicina di anni fa. Non riuscendo a farsi pubblicare il primo titolo, aggiunse il nome della madre per dare un tocco alle copertine, infatti, i primi romanzi escono come David Baldacci Ford. Ma seppur a fatica, una volta pubblicato, il suo primo titolo “Potere assoluto” poi realizzato in ottimo film con Clint Eastwood e Gene Hackman, diviene un successo. E da allora continua a produrne. Io ne seguii le prime mosse con i primi cinque titoli, che lessi con gusto: discrete le trame, di quelle americane “filmevoli”. Ma piacevoli per passare del tempo a rilassare la mente in altri impegni impegnata. Poi ne ho perse le tracce. Ora lo ritrovo con questo noir di 3 anni fa, che a posteriori scopro essere uno della serie che ha per protagonisti quattro amici, che si riuniscono sotto il nome di Camel Club. Un ex-agente segreto, un bibliotecario, un ex-poliziotto ed un mago del computer. E qui la storia li tocca da vicino, che ad un certo punto muore il bibliotecario capo del buon e timoroso Caleb. Ma non è una morte isolata, dato che pochi giorni prima muore anche un deputato del Congresso. Morti collegate? Sarà il disilluso Oliver, l’ex-agente “Triplo Sei” (l’equivalente del doppio zero di Bondiana memoria) a tirare le fila, e dopo peripezie ed agnizioni, troverà il modo di incastrare il cattivo. Che guarda caso (e non rivelo niente, perché il buon David lo dice fin dalle prime righe) è un altro agente “Triplo Sei”, che però vende segreti militari al miglior offerente. E sarà interessante campire come i segreti si intreccino con la Biblioteca Del Congresso. Ma come dicevo, sono due le storie che si intrecciano. Perché in parallelo, seguiamo la bella Annabelle (bisticcio di parole o premonizione?) organizzare una mega truffa ad un capo di Atlantic City. Divertente questa parte, anche se dal punto di vista del marchingegno truffaldino un po’ scontata. L’intreccio verrà scoprendo che Annabelle era legata al primo morto di cui sopra. E si metterà di buon grado (anche se con mille paure di doversi allontanare dal mafiosetto un po’ incazzato) ad aiutare il Camel nella sua opera non facile di smontare le trame del cattivo. Tra le righe si vede anche nascere della simpatia tra Oliver ed Annabelle. Ma mentre la storia centrale arriva alla sua fine naturale con lo scioglimento di tutti i nodi, nelle ultime pagine vediamo il cattivo Jerry che cerca di capire fino in fondo chi lo ha truffato e dove si è cacciata. Su questo fondo sfumato, Baldacci lascia terminare il romanzo. Ed è ovvio che (anche se ancora non l’ho comprato) seguiterà la vicenda nel successivo “Cani da guardia”. Io invece cercherò di vedere se è ancora in giro il primo romanzo del Camel Club (essendo questo il secondo). Un onesto artigiano di romanzi, che scrive in modo leggibile, che gusto in questi giorni natalizi. E con un po’ di invidia, ma non per la scrittura, ma per il fatto che una decina di anni fa è stato inserito tra i 50 uomini più belli del mondo!! (Ma sicuramente la rivista People non aveva ricevuto la mia candidatura).
“Forse faceva davvero collezione di qualcosa, forse collezionava occasioni perdute” (205)
David Baldacci “Camel Club” Mondadori euro 9,40
[in: 29/12/2010 – out: 31/12/2010]
Dopo una breve ricerca, ecco che da Feltrinelli all’Argentina spunta il primo romanzo del Camel Club, che appunto si chiama Camel Club, dove tra l’altro si spiega l’origine del nome, dedicato alla resistenza del Cammello, quindi alla sua tenacia. Data la mia mania di completezza non potevo mancare di leggerlo subito, fuori dagli schemi, anche perché sapevo di volerlo finire insieme alla fine di quest’anno pari. E così è. Questa volta, come nelle prime opere di Baldacci che lessi, siamo sulla storia univoca, complicata se si vuole, ma tutta sullo stesso filone. Il filone (data la tipologia dell’eroe della serie) molto centrata sui servizi segreti americani, su alcuni innegabili meriti, ma anche, e molto, su tutti gli innegabili guasti che trascina con sé una tale istituzione di potere. Lotte a coltello per la supremazia dell’informazione che, come sappiamo, è quella che sottende la maggior parte del potere. Quindi, da un lato le strutture istituzionali americani, tipo FBI, CIA ed altre sigle meno note ma più pericolose, e dall’altro pochi e sparuti individui che cercano di andare avanti solo con il lume della ragione. Vediamo così sorgere questo cenacolo di gente “out”, che, come dice il cartello che Oliver innalza davanti alla Casa Bianca, “vuole la verità”. Vediamo le loro storie, molte riprese nel successivo ma precedentemente letto e commentato. Impariamo però anche di Caleb, che nell’altra storia è solo il pauroso bibliotecario, e che qui sappiamo essere stato anche lui un attivista dei diritti civili durante quella lunga ferita americana che fu la Guerra nel Vietnam. E conosciamo meglio Alex (che altrimenti non capiremmo nella seconda storia) ed altri contorni. Il tutto che ruota intorno alla costruzione di un attentato al Presidente americano, in clima post-2001. Con i servizi “deviati” che mettono in ballo mediorientali e nordcoreani. Ben costruita è questa parte, con intrecci strani, come l’ambigua figura di Tom sempre sul crinale tra bene e male, quasi una storta di Batman ma un po’ più nero che buono. La scena clou dell’attentato e delle sue conseguenze è degna di un bel film d’azione americano, di quelli con i grandi attori (non so, ci vedevo Robert Duvall e Denzel Washington senz’altro, ma forse anche un Clint Eastwood con 30 anni di meno). Qualcosa rimane un po’ aperto sul finale, come se Baldacci volesse tenersi la porta aperta per seguire rivoli di storie future. Anche se poi nel secondo libro questi rivoli non vengono ripresi. Ma nel complesso una discreta lettura distensiva, ed un risalire di Baldacci dai fondi cui l’avevo lasciato. Un unico appunto, sulla traduzione (attenti!). Ad un certo punto, un terrorista fa un commento sulla violenza in conseguenza di un classico film americano, “Il buio oltre la siepe”, commentandone la violenza del titolo. Purtroppo questa violenza si perde, perché il titolo originale qui riportato nella classica versione italiana, era, nella traduzione letterale “Uccidere un pettirosso” (che fa più colpo dell’oscurità sulla siepe). Forse una nota con due righe di commento sarebbe stata utile.

Domani tutti a guardare le rondini che passano e si fermano sotto i tetti. Così forse passerà questa “orsitudine” che mi trascino da un po’ (e mi scuso fin da ora con tutti gli amici che ricevono aggiornamenti solo tramando, ma, come diceva la canzone ‘ci vuole pazienza con me’). Ancora, nonostante buona volontà ed altro, i 6 viaggiatori rimangono 6. E mancano 3 settimane. Speriamo di farcela, via. Un bicchiere di birra (che dicono fa buon sangue) e via così… 

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