Ma cominciamo da quel grande
affabulatore che l’ottantino Citati, alle prese con il Grande Alex.
Pietro Citati “Alessandro Magno” Adelphi
euro 9 (in realtà, scontato 7,02 euro)
[in: 03/04/10 – out: 23/05/10]
Non vorrei sbagliarmi, ma credo
sia il primo Citati che cito (ah ah). Seppur ormai ben datato (la prima stesura
del saggio è del 1973), l’immagine che in poche decine di pagine ci (mi)
restituisce del grande macedone è di gran forza. Un saggio breve, ma pieno di
spunti e, soprattutto, scritto con una capacità unica di prenderti e non
mollarti. Certo, interessante è anche la seconda parte dello scritto, con una
scelta di testi dovuta a Francesco Sisti, che ci porta alle fonti della storia
alessandrina. Innanzitutto, al fatto di non avere fonti dirette, ma basarsi su
racconti di seconda quando non terza mano. Come nelle Vite di Plutarco o
nell’Anabasi di Arriano. Ed anche quando sembriamo avvicinarci ad Alessandro
stesso, attraverso le sue lettere, scopriamo che anch’esse, molte volte sono
costruite posteriormente. Su questa
materia fragile e sabbiosa, Citati costruisce il volo di Alessandro dalla
vittoria su Dario alla conquista dell’India, passando velocemente in Egitto (dove
fonda la città di Alessandria che mai vedrà compiuta) e per le montagne
pakistane. Per poi dover tornare indietro ed infine morire (ma di che morte?)
nei palazzi e nei parchi di Ninive. Da buon scrittore, basandosi su quelle
fonti pur non stabili, Citati dipinge quello che potrebbe essere Alessandro,
con la bramosia di vedere sempre altro, con le sue quattro anime che si
intrecciano e che, portandolo in alto, poi lo danneranno. L’anima di Dioniso,
che gli fa amare tutti gli eccessi, dall’estrema mobilità all’estrema
convivialità. L’anima di Achille, vendicatore dei torti ed immarcescibile
riconoscitore del valore dell’amicizia, unito ad Efestione (il “suo” Patroclo).
L’anima di Ercole, che gli fa sopportare fame, sete, e fatiche, primo fra tutti
i suoi uomini. L’anima di Ciro il Grande, con l’idea di unificare e pacificare
non un grande territorio, ma tutto il mondo conosciuto. Senza dimenticare il
suo grande maestro, quell’Aristotele che gli insegnò il ragionamento e gli fece
amare, per sempre, il grande Omero (che Alessandro leggeva tutte le sere prima
di dormire, a meno di non essere ubriaco come spesso dionisiacamente gli
accadeva). Con Citati ci domandiamo cosa possa essere passato nella mente di
questo in fondo uomo, che prende le redini del mondo a 21 anni e per 12
scorrazza, vince, conquista. Muore, come si sa a 33 anni (e non il solo) il 10
giugno 323 a.e.v. Molto probabilmente di febbri malariche, ma qualche dubbio si
avanza verso possibili congiure. E a parte tutte le immagini delle conquiste,
del trascinare i suoi al di là ed oltre (come quando assaltando la fortezza dei
Melli si trova separato dal suo esercito, ma continua a lottare, e a vincere),
mi rimane nell’occhio quello sfilare dei suoi soldati, lui soldato tra i
soldati, che passano davanti al letto di Alessandro morente, che li saluta ad
uno ad uno. Immagine che racchiude in sé le molte anime del condottiero. Pieno
di eccessi, ma dai soldati amato fino in fondo. Poi certo rimangono i suoi
subalterni, che dovrebbero continuare la sua opera. Ma nessuno ne ha la
grandezza totale. Certo, molti avranno successo, come Seleuco che andrà a
fondare la dinastia persiana dei seleucidi e Tolomeo che tornerà in Egitto, e
riporterà in auge le stirpi faraoniche nel suo nome, che poi porterà sino a
Cleopatra. E con la sua morte tutto si disgrega. Resta solo, e sola, la sua
figura, potente. Ed ancora piena di misteri. Si vede che mi è piaciuto?
“Callistene ad Aristotele: ‘ in tempi di discordie, anche i malvagi
acquistano onore” (112)
Alessandro Barbero “9 agosto 378 il giorno
dei barbari” Laterza euro 8 (in realtà, scontato 6,80 euro)
[in: 16/04/2010 – out: 13/10/2010]
Me
ne innamorai anni fa sentendo Barbero parlare di Adrianopoli al festival della
mente di Sarzana. Ora che ne ho trovato il relativo scritto devo ribadire:
bellissimo, scorrevole, appassionato ed appassionante. Parla di avvenimenti di
più di 1700 anni fa e li fa vivi e vibranti come si parlasse delle ultime
elezioni americane, o, meglio, dell’immigrazione clandestina e della modifica
del senso del territorio. Perché poi di questo si parla. Intanto perché stiamo
guardando ad un momento epocale, che poi verrà cristallizzato nella data del
476 intesa come caduta dell’Impero Romano d’Occidente, e la relativa
deposizione di Romolo Augustolo. Ma il momento di svolta si ha lì, nella torrida
estate del 378, quando nella battaglia campale di Adrianopoli i Goti (barbari?)
comandati da Fritigerno sconfiggono le truppe dell’Impero Romano d’Oriente
comandate da Valente (quello dell’acquedotto di Costantinopoli). E mentre
Barbero sapientemente ci porta per mano attraverso la genesi e le conseguenze
della battaglia (su cui torno), a me intanto va via la mente per uno di quei
percorsi delle sinapsi che si incanalano verso nomi e luoghi, una volta
mitizzati, ed ora diventati autentici e fonte di scoperte. Così i Goti,
chiamati così perché il nucleo originale veniva dal Gotland (Scandinavia), e
che poi non dividevamo in Visigoti ed Ostrogoti (italianizzazione del più
significativo West Goth e East Goth), e la discesa degli Unni e degli Alani
(altro decadimento, degli originali nomi cinesi di Hun-ya e Alai Nyo, visto che
da lì partivano). E qui incontriamo Fritigerno e Ricomere e Valente e
Valentiniano I e Teodosio il Grande, dopo aver lasciato Costantino ed in attesa
di Attila e Genserico. Già tutto questo mi dava idea e stimolo anche per
cercare altro (come quando si lesse di Massimiano che troveremo Imperatore 70
anni dopo), cioè chi erano i Goti, dove erano Roma e Bisanzio, chi erano
realmente Genserico ed Attila, ed i papi del periodo (Damaso, Siriaco fino a
Leone Magno) e le dispute tra cattolici ed ariani. E quant’altro ancora! Ma
torniamo al libro, dove innanzi tutto si comincia a sfatare un’altra di quelle
leggende che ci mettevano in testa da piccoli: i Goti non erano “Barbari” (così
come gli Arabi del “feroce” Saladino erano più civili dei Franchi di Goffredo
di Buglione, ed andiamoci a rileggere il bellissimo libro sulle crociate di
Amin Maalouf). Anche perché da decenni e decenni si instauravano scambi
commerciali tra le rive del Danubio, ed i Goti erano ben integrati nel sistema
militare romano, fino a scalarne il potere e diventare loro stessi generali
(magari contro popoli all’apparenza fratelli). Il mondo nato dalle iniziative
romane, ed allargatosi sempre più fino a comprendere l’Europa dalla Spagna al
Danubio e poi giù nei Balcani fino alla Turchia e parte del Medio Oriente, era
ormai troppo grande per essere facilmente gestito. E nella crisi di grandezza,
quali miglior elementi di integrazione che utilizzare (a tutti i livelli)
manodopera extracomunitaria a basso costo, prima nei campi, poi negli eserciti,
insomma in tutti i lavori pesanti. Ed i barbari entravano anche in Senato, e
premettevano il nome Flavio a quello Goto. Ma questo status quo, in precario
equilibrio e comunque alla lunga non sostenibile, viene rotto dalla calata
degli Unni che spinti via dalle orde asiatiche si cominciano a trasferire verso
le piane oltre danubiane. Ed i Goti si avvicinano al Danubio, dove però la
milizia di frontiera non li fa passare (mica si può fare entrare altra gente da
sfamare, e poi sono barbari). Ma le steppe rumeno bulgare hanno bisogno di
manodopera, e Valente imperatore d’Oriente e gestore di quella parte del
territorio decide di far entrare i Goti nel territorio imperiale promettendo
terre ed altri benefici. Fin qui tutto facile, se non ci si mettesse
l’elefantiasi burocratica nonché la miopia di molti funzionari imperiali. I
Goti vengono fatti entrare, si sparge la voce, e sempre più si riversano
nell’Impero. A questo punto si cerca di fermarli, ma ci si “dimentica” di
fornire viveri a quelli che sono entrati. I quali, ad un certo punto, se lo
procurano da soli. Questo fa scattare prodromi di battaglie. Ci sono
scaramucce, piccole battaglie a Marcianopoli e nella valle dei Salici. In tutto
questo Valente stava ancora ad Antiochia cercando di togliersi di mezzo i
fastidiosi persiani. Ma quando si arriva al punto di rottura, deve tornare
indietro. Alla fine i due eserciti si affronteranno ad Adrianopoli (ed è
mirabile il modo di Barbero di portarci lì per gradi, passo dopo passo, verso
una fine inevitabilmente scritta). E lì avverrà lo shock: i Goti hanno imparato
dai Romani a combattere, quindi non c’è più la sorpresa e l’organizzazione. In
più i Goti sono motivati (hanno fame). Alla fine, l’esercito romano sarà
sterminato e Valente morirà in battaglia. Continueranno ancora per 100 anni a
far credere che esista un Impero, ma ormai è morto. Teodosio, succeduto a
Valente, negozia pace, fa sempre più entrare i Goti nel meccanismo imperiale
romano (e nel secolo successivo sarà Ricimero il deus ex-machina di molti
decenni di vita imperiale). E fa immigrare sempre più verso l’Italia e la
Spagna la manodopera Gota. Così che anche lì inevitabilmente, una crisi nata
sul suolo d’Oriente deflagrerà in Occidente facendo dissolvere l’Impero Romano,
ma lasciando ancora quasi 1000 anni di vita ai regnanti di Bisanzio. Sono stato
lungo, ma il libro mi appassiona, proprio per questo decifrare elementi che ora
ci sono noti e che vediamo (traslati) presenti anche nel nostro vivere
quotidiano. E se il compito dello storico è di studiare il passato per farci
capire cosa fare nel presente, allora dico “Ben fatto, Barbero!”. Grazie a chi
me lo ha fatto conoscere. Vi piacerà.
Alessandro Barbero “Benedette guerre”
Laterza euro 10
[in: 27/01/2011 – out: 27/03/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2010]
Una delle letture di Barbero al
benemerito “Festival della Mente” di Sarzana. Quindi un libro agile, veloce,
piacevole. Fondato su un’unica idea (che è molto di più di quanto altri libri
siano fondati). Oltre all’autore, che stimo, mi aveva incuriosito il
sottotitolo “Crociate e Jihad”. Che rovescia l’accento del titolo, e che da una
chiave di lettura a queste due espressioni del convivere cruento. Lettura che
ci perseguita orami da quasi mille anni. In realtà, il primo millennio
cristiano era stato non dico pacifista, ma con una grossa tendenza
all’anti-militarismo. Non è forse un caso, che molti, moltissimi dei primi
martiri cristiani sono tali in quanto rifiutano di combattere, di prendere le
armi, di uccidere (non a caso uno dei comandamenti). E di là, nell’altro
emisfero religioso, dopo una prima sfuriata dovuta anche alla ricerca di
un’espansione che ne consolidasse i presupposti, non solo ideologici ma anche
economici, si avviava da qualche centinaio di anni una politica più pacifista
che altro. Non è un caso che, benché sotto l’egida islamica, chiunque volesse
poteva andare a fare un pellegrinaggio nei luoghi santi (in Terrasanta) e
nessuno avrebbe alzato la mano per impedirlo. La svolta, che è il nodo centrale
del libello, avviene nel momento che in Occidente il potere temporale di re,
imperatori, principi e altro segna il passo. Si stenta a trovare un elemento
unificante, ed il papato, in carenza di opposizione, decide di porre la sua
bandiera in testa all’Occidente. Decidendo, proprio per crearsi un potere, o
per occupare lo spazio vacante del potere, di bandire una Crociata (cioè un
pellegrinaggio nel segno della croce) al fine di “liberare” i luoghi santi. Non
perché non ci si potesse andare (l'ho detto poco fa, tutti potevano andare a
Gerusalemme, bastava andarci in pace), ma per aumentare lo spazio di egemonia
di signori locali che non avevano più tanto spazio. E secondo elemento, l’islam
arabo stava diventando molto stanziale, e, come tutte le civiltà troppo
stanziali, si stava indebolendo, soprattutto in vista degli arrivi di nuove
ondate di islamici bellicosi. Quelle orde turche, che dalla lontana Mongolia, a
poco a poco, si riversano verso l’Europa. Dove si metteranno prima o poi alla
testa dell’Impero Romano d’Oriente. E dove si creerà di nuovo una forte
contrapposizione. Intanto, il Papato cerca di approfittare di questo primo
secolo dopo il Mille. E riuscirà (nella prima crociata) a riconquistare
Gerusalemme. Poi comincerà una lunga guerra (o lunghe riprese di guerre) ed
alla fine, turchi ed islamici rimarranno incontrastati padroni nel Medio
Oriente. Ma quella prima vittoria è stata importante per aver messo in luce che
si poteva fare, si poteva tornare allo splendore dell’Antica Roma. A prezzo di
rinnegare un elemento fondante proprio del Cristianesimo. Quel comandamento di
Non Uccidere. Ed il Papato benedisse l’uccisione, sancendo che non era peccato
uccidere in nome della fede. Barbero discetta ed esprime molto meglio di me,
antefatti e conseguenze di questa decisione. Che porta nell’altro campo a
rivalutare il concetto di santità della guerra, dando di nuovo dignità di
esistenza alla Jihad, ed a tutte le sue conseguenze che ben conosciamo. Una
contrapposizione ed una scintilla nata nel 1095, con la voce tuonante ma
“clamans in desertum” di Pietro l’Eremita. Ecco, tutta questa discussione la
lascio volentieri a chi avrà voglia ed agio di leggersi le novanta paginette di
Barbero (o chi avrà l’opportunità di sentirne una conferenza sempre
affascinante). Io mi accontento di aver cercato di sintetizzare in poche righe
quest’idea che a me è parsa semplice ed efficace. E come tutte le cose
semplici, di una potenza inusitata. Del resto a me rimangono sprazzi che
sarebbe bello approfondire (e sfatare). L’inconsistenza di Goffredo di Buglione
(rimastoci noto come liberatore di Gerusalemme, ma forse il più debole dei
cavalieri presenti). La santità, ma anche l’ingenuità, di San Luigi IX. La
crudeltà di quello che per molti anni è stato un campione della mia
immaginazione cavalleresca, Riccardo Cuor di Leone. La bravura e la
raffinatezza dell’ingiustamente soprannominato “feroce” Saladino (che tra
l’altro era curdo!). La colta presenza in Bisanzio della figlia dell’Imperatore
d’Oriente, Anna Comnena, che parla greco e latino, cita Euripide, ma che
necessita di un interprete se vuole discutere con i Principi Crociati in
transito. La nascita, questa sì portatrice di nefaste conseguenze, di un ordine
di monaci guerrieri, i Cavalieri del Santo Sepolcro (meglio noti come i
Templari). E via discorrendo, che ce ne sarebbe da narrare a iosa, ricordando
solo in finale quel libro (difficile perché pieno di nomi, ma denso anche di
idee “diverse”) di uno dei miei autori preferiti, Amin Maalouf e le sue
Crociate viste dalla parte degli Arabi.
“Un uomo che sta chiuso dentro i valori della sua civiltà non riesce ad
interpretare il comportamento degli altri.” (86)
Prima domenica del mese, prima
lista dei libri di quest’anno, cominciando con gennaio (fino ad ora si è letto
molto, anche un po’ di più; effetto pensione?), dove si sta poco più della
sufficienza ma c’è un top (bellissimo) ed un flop (illeggibile).
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Luis Sepulveda
|
Diario di un Killer
sentimentale
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
3
|
2
|
Maj Sjowall & Per Wahloo
|
La camera chiusa
|
Sellerio
|
14
|
3
|
3
|
Matilde Asensi
|
Iacobus
|
BUR
|
8,60
|
2
|
4
|
Patricia Cornwell
|
A rischio
|
Noir Repubblica
|
7,90
|
2
|
5
|
Thomas Bernhard
|
Il soccombente
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
4
|
6
|
Simone Tordi
|
Luna in Scorpione
|
Mondadori
|
4,20
|
1
|
7
|
Vito Mancuso
|
La vita autentica
|
Raffaello Cortina Editore
|
13,50
|
5
|
8
|
Martha Grimes
|
La morte ha i capelli lunghi
|
Repubblica Giallo
|
5,90
|
2
|
9
|
Liza Marklund
|
Il lupo rosso
|
Marsilio
|
12,50
|
3
|
10
|
Fabio Volo
|
È una vita che ti aspetto
|
Mondadori
|
9
|
4
|
11
|
Jonathan Coe
|
Questa notte mi ha aperto gli
occhi
|
Feltrinelli
|
7,50
|
2
|
12
|
Dominique Manotti
|
Il sentiero della speranza
|
Il Saggiatore
|
9
|
4
|
13
|
Andrea Camilleri
|
Il sorriso di Angelica
|
Sellerio
|
14
|
3
|
14
|
Massimo Carlotto
|
Il maestro di nodi
|
E/O
|
8
|
3
|
15
|
Sandrone Dazieri
|
Attenti al gorilla
|
Repubblica Giallo
|
5,90
|
4
|
16
|
Auguste Le Breton
|
Rififi
|
Repubblica Giallo
|
5,90
|
4
|
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