sabato 21 aprile 2012

Storia, non storie - 03 aprile 2011

Cominciamo benissimo questo primo week-end di aprile. Passata l’influenza, e finalmente letto un terzo saggio storico, che s’era fermi da quasi un anno. Così quest’oggi andiamo a spasso per l’antichità, ma si sa che è solo un modo per poi parlare del presente. Facciamo salti di un po’ più di 600 anni alla volta. Alessandro Magno (circa 300 a.e.v.), i Barbari (370 e.v.), le Crociate (dopo il Mille e.v.). Per la maggior parte del tempo, poi, ci accompagnerà quell’ottimo storico torinese che scopri a Sarzana al festival della Mente, direi 5-6 anni fa.
Ma cominciamo da quel grande affabulatore che l’ottantino Citati, alle prese con il Grande Alex.
Pietro Citati “Alessandro Magno” Adelphi euro 9 (in realtà, scontato 7,02 euro)
[in: 03/04/10 – out: 23/05/10]
Non vorrei sbagliarmi, ma credo sia il primo Citati che cito (ah ah). Seppur ormai ben datato (la prima stesura del saggio è del 1973), l’immagine che in poche decine di pagine ci (mi) restituisce del grande macedone è di gran forza. Un saggio breve, ma pieno di spunti e, soprattutto, scritto con una capacità unica di prenderti e non mollarti. Certo, interessante è anche la seconda parte dello scritto, con una scelta di testi dovuta a Francesco Sisti, che ci porta alle fonti della storia alessandrina. Innanzitutto, al fatto di non avere fonti dirette, ma basarsi su racconti di seconda quando non terza mano. Come nelle Vite di Plutarco o nell’Anabasi di Arriano. Ed anche quando sembriamo avvicinarci ad Alessandro stesso, attraverso le sue lettere, scopriamo che anch’esse, molte volte sono costruite posteriormente.  Su questa materia fragile e sabbiosa, Citati costruisce il volo di Alessandro dalla vittoria su Dario alla conquista dell’India, passando velocemente in Egitto (dove fonda la città di Alessandria che mai vedrà compiuta) e per le montagne pakistane. Per poi dover tornare indietro ed infine morire (ma di che morte?) nei palazzi e nei parchi di Ninive. Da buon scrittore, basandosi su quelle fonti pur non stabili, Citati dipinge quello che potrebbe essere Alessandro, con la bramosia di vedere sempre altro, con le sue quattro anime che si intrecciano e che, portandolo in alto, poi lo danneranno. L’anima di Dioniso, che gli fa amare tutti gli eccessi, dall’estrema mobilità all’estrema convivialità. L’anima di Achille, vendicatore dei torti ed immarcescibile riconoscitore del valore dell’amicizia, unito ad Efestione (il “suo” Patroclo). L’anima di Ercole, che gli fa sopportare fame, sete, e fatiche, primo fra tutti i suoi uomini. L’anima di Ciro il Grande, con l’idea di unificare e pacificare non un grande territorio, ma tutto il mondo conosciuto. Senza dimenticare il suo grande maestro, quell’Aristotele che gli insegnò il ragionamento e gli fece amare, per sempre, il grande Omero (che Alessandro leggeva tutte le sere prima di dormire, a meno di non essere ubriaco come spesso dionisiacamente gli accadeva). Con Citati ci domandiamo cosa possa essere passato nella mente di questo in fondo uomo, che prende le redini del mondo a 21 anni e per 12 scorrazza, vince, conquista. Muore, come si sa a 33 anni (e non il solo) il 10 giugno 323 a.e.v. Molto probabilmente di febbri malariche, ma qualche dubbio si avanza verso possibili congiure. E a parte tutte le immagini delle conquiste, del trascinare i suoi al di là ed oltre (come quando assaltando la fortezza dei Melli si trova separato dal suo esercito, ma continua a lottare, e a vincere), mi rimane nell’occhio quello sfilare dei suoi soldati, lui soldato tra i soldati, che passano davanti al letto di Alessandro morente, che li saluta ad uno ad uno. Immagine che racchiude in sé le molte anime del condottiero. Pieno di eccessi, ma dai soldati amato fino in fondo. Poi certo rimangono i suoi subalterni, che dovrebbero continuare la sua opera. Ma nessuno ne ha la grandezza totale. Certo, molti avranno successo, come Seleuco che andrà a fondare la dinastia persiana dei seleucidi e Tolomeo che tornerà in Egitto, e riporterà in auge le stirpi faraoniche nel suo nome, che poi porterà sino a Cleopatra. E con la sua morte tutto si disgrega. Resta solo, e sola, la sua figura, potente. Ed ancora piena di misteri. Si vede che mi è piaciuto?
“Callistene ad Aristotele: ‘ in tempi di discordie, anche i malvagi acquistano onore” (112)
Alessandro Barbero “9 agosto 378 il giorno dei barbari” Laterza euro 8 (in realtà, scontato 6,80 euro)
[in: 16/04/2010 – out: 13/10/2010]
Me ne innamorai anni fa sentendo Barbero parlare di Adrianopoli al festival della mente di Sarzana. Ora che ne ho trovato il relativo scritto devo ribadire: bellissimo, scorrevole, appassionato ed appassionante. Parla di avvenimenti di più di 1700 anni fa e li fa vivi e vibranti come si parlasse delle ultime elezioni americane, o, meglio, dell’immigrazione clandestina e della modifica del senso del territorio. Perché poi di questo si parla. Intanto perché stiamo guardando ad un momento epocale, che poi verrà cristallizzato nella data del 476 intesa come caduta dell’Impero Romano d’Occidente, e la relativa deposizione di Romolo Augustolo. Ma il momento di svolta si ha lì, nella torrida estate del 378, quando nella battaglia campale di Adrianopoli i Goti (barbari?) comandati da Fritigerno sconfiggono le truppe dell’Impero Romano d’Oriente comandate da Valente (quello dell’acquedotto di Costantinopoli). E mentre Barbero sapientemente ci porta per mano attraverso la genesi e le conseguenze della battaglia (su cui torno), a me intanto va via la mente per uno di quei percorsi delle sinapsi che si incanalano verso nomi e luoghi, una volta mitizzati, ed ora diventati autentici e fonte di scoperte. Così i Goti, chiamati così perché il nucleo originale veniva dal Gotland (Scandinavia), e che poi non dividevamo in Visigoti ed Ostrogoti (italianizzazione del più significativo West Goth e East Goth), e la discesa degli Unni e degli Alani (altro decadimento, degli originali nomi cinesi di Hun-ya e Alai Nyo, visto che da lì partivano). E qui incontriamo Fritigerno e Ricomere e Valente e Valentiniano I e Teodosio il Grande, dopo aver lasciato Costantino ed in attesa di Attila e Genserico. Già tutto questo mi dava idea e stimolo anche per cercare altro (come quando si lesse di Massimiano che troveremo Imperatore 70 anni dopo), cioè chi erano i Goti, dove erano Roma e Bisanzio, chi erano realmente Genserico ed Attila, ed i papi del periodo (Damaso, Siriaco fino a Leone Magno) e le dispute tra cattolici ed ariani. E quant’altro ancora! Ma torniamo al libro, dove innanzi tutto si comincia a sfatare un’altra di quelle leggende che ci mettevano in testa da piccoli: i Goti non erano “Barbari” (così come gli Arabi del “feroce” Saladino erano più civili dei Franchi di Goffredo di Buglione, ed andiamoci a rileggere il bellissimo libro sulle crociate di Amin Maalouf). Anche perché da decenni e decenni si instauravano scambi commerciali tra le rive del Danubio, ed i Goti erano ben integrati nel sistema militare romano, fino a scalarne il potere e diventare loro stessi generali (magari contro popoli all’apparenza fratelli). Il mondo nato dalle iniziative romane, ed allargatosi sempre più fino a comprendere l’Europa dalla Spagna al Danubio e poi giù nei Balcani fino alla Turchia e parte del Medio Oriente, era ormai troppo grande per essere facilmente gestito. E nella crisi di grandezza, quali miglior elementi di integrazione che utilizzare (a tutti i livelli) manodopera extracomunitaria a basso costo, prima nei campi, poi negli eserciti, insomma in tutti i lavori pesanti. Ed i barbari entravano anche in Senato, e premettevano il nome Flavio a quello Goto. Ma questo status quo, in precario equilibrio e comunque alla lunga non sostenibile, viene rotto dalla calata degli Unni che spinti via dalle orde asiatiche si cominciano a trasferire verso le piane oltre danubiane. Ed i Goti si avvicinano al Danubio, dove però la milizia di frontiera non li fa passare (mica si può fare entrare altra gente da sfamare, e poi sono barbari). Ma le steppe rumeno bulgare hanno bisogno di manodopera, e Valente imperatore d’Oriente e gestore di quella parte del territorio decide di far entrare i Goti nel territorio imperiale promettendo terre ed altri benefici. Fin qui tutto facile, se non ci si mettesse l’elefantiasi burocratica nonché la miopia di molti funzionari imperiali. I Goti vengono fatti entrare, si sparge la voce, e sempre più si riversano nell’Impero. A questo punto si cerca di fermarli, ma ci si “dimentica” di fornire viveri a quelli che sono entrati. I quali, ad un certo punto, se lo procurano da soli. Questo fa scattare prodromi di battaglie. Ci sono scaramucce, piccole battaglie a Marcianopoli e nella valle dei Salici. In tutto questo Valente stava ancora ad Antiochia cercando di togliersi di mezzo i fastidiosi persiani. Ma quando si arriva al punto di rottura, deve tornare indietro. Alla fine i due eserciti si affronteranno ad Adrianopoli (ed è mirabile il modo di Barbero di portarci lì per gradi, passo dopo passo, verso una fine inevitabilmente scritta). E lì avverrà lo shock: i Goti hanno imparato dai Romani a combattere, quindi non c’è più la sorpresa e l’organizzazione. In più i Goti sono motivati (hanno fame). Alla fine, l’esercito romano sarà sterminato e Valente morirà in battaglia. Continueranno ancora per 100 anni a far credere che esista un Impero, ma ormai è morto. Teodosio, succeduto a Valente, negozia pace, fa sempre più entrare i Goti nel meccanismo imperiale romano (e nel secolo successivo sarà Ricimero il deus ex-machina di molti decenni di vita imperiale). E fa immigrare sempre più verso l’Italia e la Spagna la manodopera Gota. Così che anche lì inevitabilmente, una crisi nata sul suolo d’Oriente deflagrerà in Occidente facendo dissolvere l’Impero Romano, ma lasciando ancora quasi 1000 anni di vita ai regnanti di Bisanzio. Sono stato lungo, ma il libro mi appassiona, proprio per questo decifrare elementi che ora ci sono noti e che vediamo (traslati) presenti anche nel nostro vivere quotidiano. E se il compito dello storico è di studiare il passato per farci capire cosa fare nel presente, allora dico “Ben fatto, Barbero!”. Grazie a chi me lo ha fatto conoscere. Vi piacerà.
Alessandro Barbero “Benedette guerre” Laterza euro 10
[in: 27/01/2011 – out: 27/03/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2010]
Una delle letture di Barbero al benemerito “Festival della Mente” di Sarzana. Quindi un libro agile, veloce, piacevole. Fondato su un’unica idea (che è molto di più di quanto altri libri siano fondati). Oltre all’autore, che stimo, mi aveva incuriosito il sottotitolo “Crociate e Jihad”. Che rovescia l’accento del titolo, e che da una chiave di lettura a queste due espressioni del convivere cruento. Lettura che ci perseguita orami da quasi mille anni. In realtà, il primo millennio cristiano era stato non dico pacifista, ma con una grossa tendenza all’anti-militarismo. Non è forse un caso, che molti, moltissimi dei primi martiri cristiani sono tali in quanto rifiutano di combattere, di prendere le armi, di uccidere (non a caso uno dei comandamenti). E di là, nell’altro emisfero religioso, dopo una prima sfuriata dovuta anche alla ricerca di un’espansione che ne consolidasse i presupposti, non solo ideologici ma anche economici, si avviava da qualche centinaio di anni una politica più pacifista che altro. Non è un caso che, benché sotto l’egida islamica, chiunque volesse poteva andare a fare un pellegrinaggio nei luoghi santi (in Terrasanta) e nessuno avrebbe alzato la mano per impedirlo. La svolta, che è il nodo centrale del libello, avviene nel momento che in Occidente il potere temporale di re, imperatori, principi e altro segna il passo. Si stenta a trovare un elemento unificante, ed il papato, in carenza di opposizione, decide di porre la sua bandiera in testa all’Occidente. Decidendo, proprio per crearsi un potere, o per occupare lo spazio vacante del potere, di bandire una Crociata (cioè un pellegrinaggio nel segno della croce) al fine di “liberare” i luoghi santi. Non perché non ci si potesse andare (l'ho detto poco fa, tutti potevano andare a Gerusalemme, bastava andarci in pace), ma per aumentare lo spazio di egemonia di signori locali che non avevano più tanto spazio. E secondo elemento, l’islam arabo stava diventando molto stanziale, e, come tutte le civiltà troppo stanziali, si stava indebolendo, soprattutto in vista degli arrivi di nuove ondate di islamici bellicosi. Quelle orde turche, che dalla lontana Mongolia, a poco a poco, si riversano verso l’Europa. Dove si metteranno prima o poi alla testa dell’Impero Romano d’Oriente. E dove si creerà di nuovo una forte contrapposizione. Intanto, il Papato cerca di approfittare di questo primo secolo dopo il Mille. E riuscirà (nella prima crociata) a riconquistare Gerusalemme. Poi comincerà una lunga guerra (o lunghe riprese di guerre) ed alla fine, turchi ed islamici rimarranno incontrastati padroni nel Medio Oriente. Ma quella prima vittoria è stata importante per aver messo in luce che si poteva fare, si poteva tornare allo splendore dell’Antica Roma. A prezzo di rinnegare un elemento fondante proprio del Cristianesimo. Quel comandamento di Non Uccidere. Ed il Papato benedisse l’uccisione, sancendo che non era peccato uccidere in nome della fede. Barbero discetta ed esprime molto meglio di me, antefatti e conseguenze di questa decisione. Che porta nell’altro campo a rivalutare il concetto di santità della guerra, dando di nuovo dignità di esistenza alla Jihad, ed a tutte le sue conseguenze che ben conosciamo. Una contrapposizione ed una scintilla nata nel 1095, con la voce tuonante ma “clamans in desertum” di Pietro l’Eremita. Ecco, tutta questa discussione la lascio volentieri a chi avrà voglia ed agio di leggersi le novanta paginette di Barbero (o chi avrà l’opportunità di sentirne una conferenza sempre affascinante). Io mi accontento di aver cercato di sintetizzare in poche righe quest’idea che a me è parsa semplice ed efficace. E come tutte le cose semplici, di una potenza inusitata. Del resto a me rimangono sprazzi che sarebbe bello approfondire (e sfatare). L’inconsistenza di Goffredo di Buglione (rimastoci noto come liberatore di Gerusalemme, ma forse il più debole dei cavalieri presenti). La santità, ma anche l’ingenuità, di San Luigi IX. La crudeltà di quello che per molti anni è stato un campione della mia immaginazione cavalleresca, Riccardo Cuor di Leone. La bravura e la raffinatezza dell’ingiustamente soprannominato “feroce” Saladino (che tra l’altro era curdo!). La colta presenza in Bisanzio della figlia dell’Imperatore d’Oriente, Anna Comnena, che parla greco e latino, cita Euripide, ma che necessita di un interprete se vuole discutere con i Principi Crociati in transito. La nascita, questa sì portatrice di nefaste conseguenze, di un ordine di monaci guerrieri, i Cavalieri del Santo Sepolcro (meglio noti come i Templari). E via discorrendo, che ce ne sarebbe da narrare a iosa, ricordando solo in finale quel libro (difficile perché pieno di nomi, ma denso anche di idee “diverse”) di uno dei miei autori preferiti, Amin Maalouf e le sue Crociate viste dalla parte degli Arabi.
“Un uomo che sta chiuso dentro i valori della sua civiltà non riesce ad interpretare il comportamento degli altri.” (86)
Prima domenica del mese, prima lista dei libri di quest’anno, cominciando con gennaio (fino ad ora si è letto molto, anche un po’ di più; effetto pensione?), dove si sta poco più della sufficienza ma c’è un top (bellissimo) ed un flop (illeggibile). 
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Luis Sepulveda
Diario di un Killer sentimentale
Repubblica Novecento
4,90
3
2
Maj Sjowall & Per Wahloo
La camera chiusa
Sellerio
14
3
3
Matilde Asensi
Iacobus
BUR
8,60
2
4
Patricia Cornwell
A rischio
Noir Repubblica
7,90
2
5
Thomas Bernhard
Il soccombente
Repubblica Novecento
4,90
4
6
Simone Tordi
Luna in Scorpione
Mondadori
4,20
1
7
Vito Mancuso
La vita autentica
Raffaello Cortina Editore
13,50
5
8
Martha Grimes
La morte ha i capelli lunghi
Repubblica Giallo
5,90
2
9
Liza Marklund
Il lupo rosso
Marsilio
12,50
3
10
Fabio Volo
È una vita che ti aspetto
Mondadori
9
4
11
Jonathan Coe
Questa notte mi ha aperto gli occhi
Feltrinelli
7,50
2
12
Dominique Manotti
Il sentiero della speranza
Il Saggiatore
9
4
13
Andrea Camilleri
Il sorriso di Angelica
Sellerio
14
3
14
Massimo Carlotto
Il maestro di nodi
E/O
8
3
15
Sandrone Dazieri
Attenti al gorilla
Repubblica Giallo
5,90
4
16
Auguste Le Breton
Rififi
Repubblica Giallo
5,90
4
 Per il resto, si sa, si cominciano a fare i bagagli per lo Sri Lanka, a mettere nel beauty creme e cremine (ma non cremini). 

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