Così come dico in una di queste trame. Torno a scrittori italiani, e mi trovo davanti scritture, pagine che non scorrono via e basta. Ma rimangono, e aiutano a riflettere. A cominciare dalla bellissima prosa di Goliarda Sapienza, che mi ha incantato e coinvolto. Passando per la prosa discreta, ma non piatta di Gian Mauro Costa. Finendo con uno Starnone, che anche lui non lascia indifferenti. Insomma, una settimana intensa.
Cominciamo da Goliarda, che già da quindici anni ci ha lasciato, ma, dice chi l’ha conosciuta da vicino, ha lasciato segni che ancora son vivi.
Goliarda Sapienza “L’arte della gioia” Einaudi euro 14,50
[in: 21/03/2010 – out: 16/09/2010]
Mi ha incantato, trascinato, travolto. Un libro come da anni non leggevo. Che è corso via, nonostante quelle 500 pagine che sembravano non finire mai, ma che alla fine ahi quanto poche sono. Ahi perché ci hai lasciato Modesta? Ed un libro che ad ogni momento non mi permetteva di essere indifferente. Ne avevo sentito parlare, ma non avevo voluto sentire. Rosa diceva che è bellissimo, ed io ho preso questo commento e l’ho messo in un cantuccio, che si sa tra attori ci si aiuta. Poi alla fine, ho preso in mano questo parallelepipedo di libro e mi son detto, veh mi accompagnerà per tutto il mese. Comincia così la mia lotta con Goliarda. Con quella prima parte, dura, piena di pugni nello stomaco. No, penso non sono convinto. Dov’è ‘sta gioia? Ma la sua scrittura avvince a poco a poco con i suoi fili d’oro. Che gioia, quei dialoghi, quella cascata argentina di parole, di rimandi. E qui si rompe la diga, capisco con lo stomaco che mi ero soffermato troppo. Ed allora, divoro, macino, non perdo una parola. Cerco la pagina seguente e assaporo, disteso e tormentato, le vicende di Mody per tutto il suo Novecento. E di Carmine, di Mattia, di Jacopo, di Bambù, di Joyce, di Nina, di Stella, di nonna Gaia, di, Carlo, di Pietro, e di… Di tutta questa folla che riempie le pagine, che ti entra nella pelle, che non vedevo l’ora di andare a letto, per coricarmici insieme e leggerne ancora. Ora l’ho finito, Modesta mi ha salutato con un ultimo sorriso, lasciandomi contento di averlo letto. E sentendoci tanti echi miei, diretti, personali. Perché parlandoci della storia dei Brandiforti, Goliarda parla a ciascuno che vuole intendere le sue parole, e che da quelle prende quello che vuole. Soprattutto la gioia, pura, trasparente come il mare della sua Sicilia. La gioia di costruire il proprio destino, di affrontare le vicende della vita per quello che sono, di cadere e poi di rialzarsi. Con la forza di potersi sempre guardare allo specchio senza provare vergogna. La forza di buttare via tutto per non diventarne schiavo, la forza di leggere, la forza di essere l’esempio (non di farlo, esserlo, così se qualcuno ne prenderà bontà lo farà suo). Non voglio entrare nella storia editoriale del libro, che ben è descritta nella prefazione e nella postfazione, se volete cercatela lì. Né voglio entrare nella storia di Goliarda. Quella è storia sua, ed in altri luoghi è scritta e commentata. Voglio tornare ancora al libro. Vorrei non staccarmene, almeno per un altro po’. Seguitare ancora a ripercorrere la lunga vita della Modesta anarchica, dall’impossibile infanzia, dalla presa di coscienza dell’adolescenza, dalla fortunata adozione di fatto, dalla maturità, dalle vicende degli amori, dei dolori, delle nascite, dall’attraversamento del fascismo, dalla lotta, dalla guerra, del dopo-guerra, dalla maturità e dalla reinvenzione della propria vita, dal rapporto con i figli, con i bambini, con gli adulti, con chi ci vuole imporre uno stile di vita. E con l’accettazione dell’altro. Ecco la grande gioia infinta. Non imporre, accettare, e chiedere di essere accettati. E se non succede? Andare avanti, col tono burbero di nonna Gaia, ma la fermezza di Carmine e la leggerezza di Beatrice e la dolcezza di Marco e … Quanti altri personaggi dovrei citare, quanti altri aggettivi dovrei usare. E quanto libro dovrei trascrivere per ricordare tutte queste sensazioni? Al solito, ricordo solo le frasi che galleggiano sul bordo della memoria. E vado a letto, nella stanza in alto al Carmelo, aprendo tutte le tende, che fuori c’è luce. E gioia!
“Zio Jacopo diceva che il lutto è una barbarie … che se si è veramente addolorati lo si porta nel cuore senza bisogno di inutili esibizionismi.” (64)
“Perché non cerchi di pensare anche ai lati positivi di quello che accade? Niente è completamente negativo nella vita.” (98)
“Sono … i vantaggi del viaggiare. Bisogna periodicamente allontanarsi da qualsiasi luogo dove la consuetudine ha ucciso l’obiettività.” (160)
“L’amore si fa in due… Io ti amo … ti amo e ti stimo. Solo che non ci siamo incontrati carnalmente. O forse avevo scambiato il fascino che tu avevi e hai ancora quando parliamo, per amore.” (167)
“Ma non è amore il sesso? L’amore il sesso sono figli l’uno dell’altro. L’amore senza sesso che cosa è? Una venerazione di statue, di madonne. Il sesso senza l’amore che cos’è? Una battaglia di organi genitali e basta.” (168)
“Tante cose si possono insegnare: andare a cavallo, fare all’amore, ma la propria esperienza a nessuno si può dare. Ognuno la propria, con gli anni, si deve fare, sbagliando e fermandosi, tornando indietro e ricominciando il cammino.” (210)
“Se ci impediscono la libertà di morire, la costrizione di vivere diviene una prigione atroce.” (305)
“Perché non si può essere felici sempre?” (345)
“C’è un limite preciso nell’aiutare gli altri. Oltre quel limite, a molti invisibile, non c’è che volontà di imporre il proprio modo d’essere.” (389)
“Il matrimonio… è un contratto assurdo che umilia l’uomo e la donna insieme. Per me se si incontra un uomo che ci piace lo si ama fino a quando, beh finché dura… E poi ci si lascia, se possibile, da buoni amici.” (399)
“- La giovinezza e la vecchiaia non sono che un’ipotesi. – E che vuol dire? – Vuol dire che anche l’età è quella che ti scegli, che ti convinci di avere.” (435)
“Il giovane serve, produce, sgrava i figli… Ma a quarant’anni, a cinquanta, l’essere umano diventa pericoloso, si pone dubbi, richiede libertà, riposo, gioia.” (481)
Goliarda ebbe i natali in Sicilia, un 10 maggio (ah! I tori) di troppi anni fa. Ed in Sicilia rimaniamo, con il giornalista dell’Ora mio coevo.
Gian Mauro Costa “Il libro di legno” Sellerio euro 13
[in: 16/04/2010 – out: 27/09/2010]
Discreto, eccepisco sul glissaggio tra Collodi ed il titolo, ma non si può avere tutto dalla vita. E se il titolo rimanda al burattino di legno, non è un caso che è uno dei cinque libri da ricercare per completare la biblioteca del defunto Mirabella, anzi ne è uno degli elementi chiave che permette di risolvere la seconda parte dei due misteri contenuti nel libro. Libro senz’altro interessante che in alcune parti svetta godibile, purtroppo eclissandosi in altre parti meno scorrevoli. Ma è con piacere che seguo le peripezie del detective – radiotecnico Enzo, che, per arrotondare le magre entrate, si lancia alla ben pagata ricerca dei libri “prestati” del suddetto Mirabella. Per tutta la prima parte, allora, lo seguiamo mentre cerca Il Piacere di D’Annunzio, o l’antologia dei poeti Beats, o La ragazza di Bube di Cassola o Nessun uomo è un’isola di Merton. Questa è la parte godibile, con i vari spaccati di mondo palermitano che ogni ricerca svela e che Enzo ci fa gustare, quasi come un’arancina o una granita. Da qui si innesta il secondo mistero, la strana figura della bella Cristina, l’altrettanto strana morte del soprannominato Denim, l’intervento della polizia, l’avvocato in odore di mafia, l’ex-compagno di scuola stranamente arricchito, il mafioso latitante, ed altre astruserie (astruserie rispetto alla vita normale che tranquillamente scorrerebbe nel quartiere dell’Olivuzza). E qui ci si eclissa un po’. La mano si irrigidisce, la materia diventa meno viva. Certo lo scrittore è scrittore, quindi riesce a tenerci per l’orlo della camicia e ad interessarci di alcuni rivoli, che poi forse tanto rivoli non sono. Ci piace l’Enzo Baiamonte e le partite a carte con gli amici, ci piace la signora Margherita che stona Paolo Conte a tutto spiano, ci piace anche la piccola Rosa, timida e sarta (sì, quella che taglia e cuce). Meno ci interessa e coinvolge il mondo della divina creatura. Estetica senza passione. Non conoscevo l’autore (che ora so essere giornalista in Rai, ma che scrisse anche su L’Ora di Palermo) e mi ha fatto piacere scovarlo tra i Sellerio, una casa che raramente lascia completamente insoddisfatti. Buona scrittura italica, senza quei voli di cuore che ti fanno star lì senza fiato, ma con l’onestà di riportarti alle minute cose, quelle che incontro nel mio mercato sotto casa, e nelle botteghe tra la mia casa ed il suddetto. La vita di tutti i giorni, eroicamente quotidiana.
“Quando raramente … si convinceva a prestare uno dei volumi della sua biblioteca … lo sostituiva con uno di legno. Si era fatto costruire da un falegname dei volumi perfettamente sagomati, lisci, di due o tre misure. Quando prestava un libro, lo sostituiva subito con una copia di legno.” (19)
“Ma si era stufato davvero di molte cose, anche di quel lato del suo carattere. Decise di smetterla con i riepiloghi, con le messe a punto, con le cose tutte sistemate e in ordine. Non avrebbe sentito la mancanza di tutto quello che stava eliminando.” (291)
E finiamo con il campano ex-insegnante di liceo, che in tante pagine di Cuore e di Linus ho già incontrato (e di cui lessi le prime raccolte sulla scuola).
Domenico Starnone “Prima esecuzione” Feltrinelli euro 7 (in realtà, scontato 1,75 euro)
[in: 05/06/2010 – out: 17/12/2010]
Uno dei libri che è entrato in lettura su consiglio dei miei cari lettori di trame. Grazie ad Anto, che mi ha consigliato di riprendere in mano uno Starnone, dopo che “Via Gemito” mi aveva lasciato molto perplesso (a suo tempo, ricco di premi ma a me non particolarmente piaciuto). Qui, al contrario, mi sono trovato meglio. Certo non è un capolavoro da 5 stelle, ma ha una sua dignità di contenuto ed un modo di andare per la trama che (questo si) mi è decisamente piaciuto. C’è sempre, quando si scrive, la scelta del modo di porgere dell’autore: dall’autore “assente” che racconta e si mette vicino al lettore, ignorando cosa succederà nel futuro del romanzo all’autore “onnisciente” che sa, accenna, si pone un po’ al di fuori ed al di sopra, giocando con il lettore, a volte spiazzandolo, e spesso utilizzando la prima persona. E tutta la gamma che va tra i due estremi. Qui, viene utilizzata una tecnica trasversale. Si entra e si esce dal racconto – romanzo. Ne si narra lo scrivere, si ritorna a volte a ritroso, facendo realmente un work-in-progress tra la lettura e la scrittura. Questo non da forma compiuta al prodotto finale “racconto”, ma lo dà al prodotto “romanzo”. Perché poi, più che le domande e le risposte che l’autore darebbe se si ponesse “in modo tradizionale”, qui in fondo sono interessanti le domande che nascono dal tessuto della narrazione. E le risposte sono altrettanto interessanti, ma queste le lascio a chi sarà preso dalla curiosità di leggere. Detto questo “plus”, c’è senza meno qualche punto meno intenso (per me): alcune digressioni su momenti di vita, su di un alterco in autobus, che forse potrebbe avere una chiave, ma su cui ci si torna con stanca intensità. Ed altri momenti minori. Andando avanti in questa trama ondivaga, veniamo allora ai punti che più mi hanno fatto riflettere. Il protagonista del racconto è un insegnante, direi intellettualmente onesto, che ha attraversato, dalla cattedra anni intensi (’68, ’77, ad altri), ponendo il suo lavoro per far crescere generazioni e generazioni. Ad un certo punto (per una serie di combinazioni che non narriamo) si trova di fronte una sua ex-alunna forse vicina alle BR, un suo ex-alunno ispettore di polizia, un suo ex-collega forse passato in clandestinità. E sono questi gli elementi che scatenano le domande: quanto si influisce sugli altri da docenti? Fino a dove arriva la responsabilità? È giusto reprimere moti di rabbia se vanno “oltre le righe”? E quali sono queste righe? Il tutto andando su e giù per la pagina, e per il tempo, con momenti che ci fanno fare balzi indietro e sulle sedie. Quando si poteva decidere di portare una borsa a qualcuno senza sapere cosa c’era dentro. Quando qualcuno parlava di “compagni che sbagliano”. E qualcuno, altrettanto onestamente, parlava dei poliziotti di Valle Giulia dalla parte anche dei poliziotti. Ecco, queste domande, più che la storia in sé, più che i risvolti, più che i colpi finali, sono quelli che più mi hanno colpito. Mi tornano sempre in mente le immagini del carcere, delle persone dentro e di quelle fuori, e di quanto labile ed a volte indecifrabile ne sia il confine. E tu che sai, tu che elargisci conoscenza, come fai ad essere distaccato? Come fai a non pensare quanto il tuo modo di dire può influenzare. È facile per gli outsider come me pensare, ora, che c’è una specie di scivolamento tra il sapere e la sua espressione. Io narro la mia realtà, e non ho interesse né a colorarla né ad imporla. Tu che la senti prendine quello che più ti serve. Ma se questo è vero tra persone “formate”, cosa succede se chi ascolta è anche “affascinato” dal tuo ruolo (quando non da te come persona)? Mi sa che qui si potrebbe aprire veramente un bel contraddittorio (meglio di discussione, no, che Moretti ci ha troppo traviato sul termine “dibattito” per poterlo usare senza sussulti). E quindi, alla fine, bravo Domenico a farsi e farci tutte queste domande. E brava Anto, per averci permesso di far girare un altro po’ i pochi neuroni rimastici.
“Ero invecchiato facendo non quello che mi andava di fare ma quello che mi sembrava coerente col sentimento che avevo di me” (7)
“-Ho 28 anni e ne dimostro 40… - Io ne ho sessantasette, un’età in cui si è imparato che il problema non è come portiamo gli anni ma quanti ne portiamo” (9)
“Nel cuore della battaglia non è così semplice capire dov’è il bene e dov’è il male” (53)
Febbraio è alle porte, e con lui la candelora. Speriamo che sia bel tempo, così da poter uscire da tutti gli inverni.
Cominciamo da Goliarda, che già da quindici anni ci ha lasciato, ma, dice chi l’ha conosciuta da vicino, ha lasciato segni che ancora son vivi.
Goliarda Sapienza “L’arte della gioia” Einaudi euro 14,50
[in: 21/03/2010 – out: 16/09/2010]
Mi ha incantato, trascinato, travolto. Un libro come da anni non leggevo. Che è corso via, nonostante quelle 500 pagine che sembravano non finire mai, ma che alla fine ahi quanto poche sono. Ahi perché ci hai lasciato Modesta? Ed un libro che ad ogni momento non mi permetteva di essere indifferente. Ne avevo sentito parlare, ma non avevo voluto sentire. Rosa diceva che è bellissimo, ed io ho preso questo commento e l’ho messo in un cantuccio, che si sa tra attori ci si aiuta. Poi alla fine, ho preso in mano questo parallelepipedo di libro e mi son detto, veh mi accompagnerà per tutto il mese. Comincia così la mia lotta con Goliarda. Con quella prima parte, dura, piena di pugni nello stomaco. No, penso non sono convinto. Dov’è ‘sta gioia? Ma la sua scrittura avvince a poco a poco con i suoi fili d’oro. Che gioia, quei dialoghi, quella cascata argentina di parole, di rimandi. E qui si rompe la diga, capisco con lo stomaco che mi ero soffermato troppo. Ed allora, divoro, macino, non perdo una parola. Cerco la pagina seguente e assaporo, disteso e tormentato, le vicende di Mody per tutto il suo Novecento. E di Carmine, di Mattia, di Jacopo, di Bambù, di Joyce, di Nina, di Stella, di nonna Gaia, di, Carlo, di Pietro, e di… Di tutta questa folla che riempie le pagine, che ti entra nella pelle, che non vedevo l’ora di andare a letto, per coricarmici insieme e leggerne ancora. Ora l’ho finito, Modesta mi ha salutato con un ultimo sorriso, lasciandomi contento di averlo letto. E sentendoci tanti echi miei, diretti, personali. Perché parlandoci della storia dei Brandiforti, Goliarda parla a ciascuno che vuole intendere le sue parole, e che da quelle prende quello che vuole. Soprattutto la gioia, pura, trasparente come il mare della sua Sicilia. La gioia di costruire il proprio destino, di affrontare le vicende della vita per quello che sono, di cadere e poi di rialzarsi. Con la forza di potersi sempre guardare allo specchio senza provare vergogna. La forza di buttare via tutto per non diventarne schiavo, la forza di leggere, la forza di essere l’esempio (non di farlo, esserlo, così se qualcuno ne prenderà bontà lo farà suo). Non voglio entrare nella storia editoriale del libro, che ben è descritta nella prefazione e nella postfazione, se volete cercatela lì. Né voglio entrare nella storia di Goliarda. Quella è storia sua, ed in altri luoghi è scritta e commentata. Voglio tornare ancora al libro. Vorrei non staccarmene, almeno per un altro po’. Seguitare ancora a ripercorrere la lunga vita della Modesta anarchica, dall’impossibile infanzia, dalla presa di coscienza dell’adolescenza, dalla fortunata adozione di fatto, dalla maturità, dalle vicende degli amori, dei dolori, delle nascite, dall’attraversamento del fascismo, dalla lotta, dalla guerra, del dopo-guerra, dalla maturità e dalla reinvenzione della propria vita, dal rapporto con i figli, con i bambini, con gli adulti, con chi ci vuole imporre uno stile di vita. E con l’accettazione dell’altro. Ecco la grande gioia infinta. Non imporre, accettare, e chiedere di essere accettati. E se non succede? Andare avanti, col tono burbero di nonna Gaia, ma la fermezza di Carmine e la leggerezza di Beatrice e la dolcezza di Marco e … Quanti altri personaggi dovrei citare, quanti altri aggettivi dovrei usare. E quanto libro dovrei trascrivere per ricordare tutte queste sensazioni? Al solito, ricordo solo le frasi che galleggiano sul bordo della memoria. E vado a letto, nella stanza in alto al Carmelo, aprendo tutte le tende, che fuori c’è luce. E gioia!
“Zio Jacopo diceva che il lutto è una barbarie … che se si è veramente addolorati lo si porta nel cuore senza bisogno di inutili esibizionismi.” (64)
“Perché non cerchi di pensare anche ai lati positivi di quello che accade? Niente è completamente negativo nella vita.” (98)
“Sono … i vantaggi del viaggiare. Bisogna periodicamente allontanarsi da qualsiasi luogo dove la consuetudine ha ucciso l’obiettività.” (160)
“L’amore si fa in due… Io ti amo … ti amo e ti stimo. Solo che non ci siamo incontrati carnalmente. O forse avevo scambiato il fascino che tu avevi e hai ancora quando parliamo, per amore.” (167)
“Ma non è amore il sesso? L’amore il sesso sono figli l’uno dell’altro. L’amore senza sesso che cosa è? Una venerazione di statue, di madonne. Il sesso senza l’amore che cos’è? Una battaglia di organi genitali e basta.” (168)
“Tante cose si possono insegnare: andare a cavallo, fare all’amore, ma la propria esperienza a nessuno si può dare. Ognuno la propria, con gli anni, si deve fare, sbagliando e fermandosi, tornando indietro e ricominciando il cammino.” (210)
“Se ci impediscono la libertà di morire, la costrizione di vivere diviene una prigione atroce.” (305)
“Perché non si può essere felici sempre?” (345)
“C’è un limite preciso nell’aiutare gli altri. Oltre quel limite, a molti invisibile, non c’è che volontà di imporre il proprio modo d’essere.” (389)
“Il matrimonio… è un contratto assurdo che umilia l’uomo e la donna insieme. Per me se si incontra un uomo che ci piace lo si ama fino a quando, beh finché dura… E poi ci si lascia, se possibile, da buoni amici.” (399)
“- La giovinezza e la vecchiaia non sono che un’ipotesi. – E che vuol dire? – Vuol dire che anche l’età è quella che ti scegli, che ti convinci di avere.” (435)
“Il giovane serve, produce, sgrava i figli… Ma a quarant’anni, a cinquanta, l’essere umano diventa pericoloso, si pone dubbi, richiede libertà, riposo, gioia.” (481)
Goliarda ebbe i natali in Sicilia, un 10 maggio (ah! I tori) di troppi anni fa. Ed in Sicilia rimaniamo, con il giornalista dell’Ora mio coevo.
Gian Mauro Costa “Il libro di legno” Sellerio euro 13
[in: 16/04/2010 – out: 27/09/2010]
Discreto, eccepisco sul glissaggio tra Collodi ed il titolo, ma non si può avere tutto dalla vita. E se il titolo rimanda al burattino di legno, non è un caso che è uno dei cinque libri da ricercare per completare la biblioteca del defunto Mirabella, anzi ne è uno degli elementi chiave che permette di risolvere la seconda parte dei due misteri contenuti nel libro. Libro senz’altro interessante che in alcune parti svetta godibile, purtroppo eclissandosi in altre parti meno scorrevoli. Ma è con piacere che seguo le peripezie del detective – radiotecnico Enzo, che, per arrotondare le magre entrate, si lancia alla ben pagata ricerca dei libri “prestati” del suddetto Mirabella. Per tutta la prima parte, allora, lo seguiamo mentre cerca Il Piacere di D’Annunzio, o l’antologia dei poeti Beats, o La ragazza di Bube di Cassola o Nessun uomo è un’isola di Merton. Questa è la parte godibile, con i vari spaccati di mondo palermitano che ogni ricerca svela e che Enzo ci fa gustare, quasi come un’arancina o una granita. Da qui si innesta il secondo mistero, la strana figura della bella Cristina, l’altrettanto strana morte del soprannominato Denim, l’intervento della polizia, l’avvocato in odore di mafia, l’ex-compagno di scuola stranamente arricchito, il mafioso latitante, ed altre astruserie (astruserie rispetto alla vita normale che tranquillamente scorrerebbe nel quartiere dell’Olivuzza). E qui ci si eclissa un po’. La mano si irrigidisce, la materia diventa meno viva. Certo lo scrittore è scrittore, quindi riesce a tenerci per l’orlo della camicia e ad interessarci di alcuni rivoli, che poi forse tanto rivoli non sono. Ci piace l’Enzo Baiamonte e le partite a carte con gli amici, ci piace la signora Margherita che stona Paolo Conte a tutto spiano, ci piace anche la piccola Rosa, timida e sarta (sì, quella che taglia e cuce). Meno ci interessa e coinvolge il mondo della divina creatura. Estetica senza passione. Non conoscevo l’autore (che ora so essere giornalista in Rai, ma che scrisse anche su L’Ora di Palermo) e mi ha fatto piacere scovarlo tra i Sellerio, una casa che raramente lascia completamente insoddisfatti. Buona scrittura italica, senza quei voli di cuore che ti fanno star lì senza fiato, ma con l’onestà di riportarti alle minute cose, quelle che incontro nel mio mercato sotto casa, e nelle botteghe tra la mia casa ed il suddetto. La vita di tutti i giorni, eroicamente quotidiana.
“Quando raramente … si convinceva a prestare uno dei volumi della sua biblioteca … lo sostituiva con uno di legno. Si era fatto costruire da un falegname dei volumi perfettamente sagomati, lisci, di due o tre misure. Quando prestava un libro, lo sostituiva subito con una copia di legno.” (19)
“Ma si era stufato davvero di molte cose, anche di quel lato del suo carattere. Decise di smetterla con i riepiloghi, con le messe a punto, con le cose tutte sistemate e in ordine. Non avrebbe sentito la mancanza di tutto quello che stava eliminando.” (291)
E finiamo con il campano ex-insegnante di liceo, che in tante pagine di Cuore e di Linus ho già incontrato (e di cui lessi le prime raccolte sulla scuola).
Domenico Starnone “Prima esecuzione” Feltrinelli euro 7 (in realtà, scontato 1,75 euro)
[in: 05/06/2010 – out: 17/12/2010]
Uno dei libri che è entrato in lettura su consiglio dei miei cari lettori di trame. Grazie ad Anto, che mi ha consigliato di riprendere in mano uno Starnone, dopo che “Via Gemito” mi aveva lasciato molto perplesso (a suo tempo, ricco di premi ma a me non particolarmente piaciuto). Qui, al contrario, mi sono trovato meglio. Certo non è un capolavoro da 5 stelle, ma ha una sua dignità di contenuto ed un modo di andare per la trama che (questo si) mi è decisamente piaciuto. C’è sempre, quando si scrive, la scelta del modo di porgere dell’autore: dall’autore “assente” che racconta e si mette vicino al lettore, ignorando cosa succederà nel futuro del romanzo all’autore “onnisciente” che sa, accenna, si pone un po’ al di fuori ed al di sopra, giocando con il lettore, a volte spiazzandolo, e spesso utilizzando la prima persona. E tutta la gamma che va tra i due estremi. Qui, viene utilizzata una tecnica trasversale. Si entra e si esce dal racconto – romanzo. Ne si narra lo scrivere, si ritorna a volte a ritroso, facendo realmente un work-in-progress tra la lettura e la scrittura. Questo non da forma compiuta al prodotto finale “racconto”, ma lo dà al prodotto “romanzo”. Perché poi, più che le domande e le risposte che l’autore darebbe se si ponesse “in modo tradizionale”, qui in fondo sono interessanti le domande che nascono dal tessuto della narrazione. E le risposte sono altrettanto interessanti, ma queste le lascio a chi sarà preso dalla curiosità di leggere. Detto questo “plus”, c’è senza meno qualche punto meno intenso (per me): alcune digressioni su momenti di vita, su di un alterco in autobus, che forse potrebbe avere una chiave, ma su cui ci si torna con stanca intensità. Ed altri momenti minori. Andando avanti in questa trama ondivaga, veniamo allora ai punti che più mi hanno fatto riflettere. Il protagonista del racconto è un insegnante, direi intellettualmente onesto, che ha attraversato, dalla cattedra anni intensi (’68, ’77, ad altri), ponendo il suo lavoro per far crescere generazioni e generazioni. Ad un certo punto (per una serie di combinazioni che non narriamo) si trova di fronte una sua ex-alunna forse vicina alle BR, un suo ex-alunno ispettore di polizia, un suo ex-collega forse passato in clandestinità. E sono questi gli elementi che scatenano le domande: quanto si influisce sugli altri da docenti? Fino a dove arriva la responsabilità? È giusto reprimere moti di rabbia se vanno “oltre le righe”? E quali sono queste righe? Il tutto andando su e giù per la pagina, e per il tempo, con momenti che ci fanno fare balzi indietro e sulle sedie. Quando si poteva decidere di portare una borsa a qualcuno senza sapere cosa c’era dentro. Quando qualcuno parlava di “compagni che sbagliano”. E qualcuno, altrettanto onestamente, parlava dei poliziotti di Valle Giulia dalla parte anche dei poliziotti. Ecco, queste domande, più che la storia in sé, più che i risvolti, più che i colpi finali, sono quelli che più mi hanno colpito. Mi tornano sempre in mente le immagini del carcere, delle persone dentro e di quelle fuori, e di quanto labile ed a volte indecifrabile ne sia il confine. E tu che sai, tu che elargisci conoscenza, come fai ad essere distaccato? Come fai a non pensare quanto il tuo modo di dire può influenzare. È facile per gli outsider come me pensare, ora, che c’è una specie di scivolamento tra il sapere e la sua espressione. Io narro la mia realtà, e non ho interesse né a colorarla né ad imporla. Tu che la senti prendine quello che più ti serve. Ma se questo è vero tra persone “formate”, cosa succede se chi ascolta è anche “affascinato” dal tuo ruolo (quando non da te come persona)? Mi sa che qui si potrebbe aprire veramente un bel contraddittorio (meglio di discussione, no, che Moretti ci ha troppo traviato sul termine “dibattito” per poterlo usare senza sussulti). E quindi, alla fine, bravo Domenico a farsi e farci tutte queste domande. E brava Anto, per averci permesso di far girare un altro po’ i pochi neuroni rimastici.
“Ero invecchiato facendo non quello che mi andava di fare ma quello che mi sembrava coerente col sentimento che avevo di me” (7)
“-Ho 28 anni e ne dimostro 40… - Io ne ho sessantasette, un’età in cui si è imparato che il problema non è come portiamo gli anni ma quanti ne portiamo” (9)
“Nel cuore della battaglia non è così semplice capire dov’è il bene e dov’è il male” (53)
Febbraio è alle porte, e con lui la candelora. Speriamo che sia bel tempo, così da poter uscire da tutti gli inverni.
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