Cominciamo quindi con il
cinquantenne Beppe, giramondo e girellone, ma che mi ha stregato con le sue
panchine.
Beppe Sebaste “Panchine” Laterza euro 9,50
(in realtà, scontato 8 euro)
[in: 16/04/2010 – out: 02/09/2010]
Bellissimo,
mi ha emozionato (a parte l’ultimo forse inutile capitolo). Attirato dalla
frase di quarta (e che riporto) avevo preso in mano questo libro anche perché
della mia amata collana Contromano, che, a parte poche eccezioni, mi ha sempre
portato a letture quanto meno gradevoli. E poi non conoscevo l’autore, altro
elemento di curiosità. Ebbene, sono stato soddisfatto in pieno: un bellissimo
viaggio ed una scrittura che mi ha portato all’unisono con il prima ignoto
Beppe. Partendo dalle panchine, e da quel meraviglioso momento con il figlio su
una panchina di Ginevra, per pagine e pagine si vola stando fermi, direi seduti
a guardare il mondo ed a leggerlo. Perché l’autore parla delle panchine attuali
come simbolo dovuto alla loro gratuità, delle panchine nella letteratura (una
su tutte, quella dell’incipit del Maestro e Margherita, ma anche quella, forse
irreale, ma presente, di Aspettando Godot), e delle sue panchine. Perché noi
lettori tante panchine abbiamo onorato di una seduta durante l’andare del
tempo. Ognuno ha le sue, e l’elenco di Beppe è fantastico. Ed è bello
condividerle. Mi fa ripensare ai momenti di riposo, quando stanco di camminare
sedevo su una panca alle Tuilleries a Parigi, o aspettavo seduto ai giardini di
Prato. Ai momenti di ozio, mentre aspettavo una donna e mi sono seduto sulla
panchina in pietra di una calle veneziana, e dalla chiesa vicina è partito un
concerto d’organo. Alle panchine del lungomare di Beirut con il primo Maalouf
in mano. O a quella all’interno del caffè Al-Hurrya al Cairo, a vedere i
giocatori di scacchi e bere un caffè. Alle panchine e ai sedili che
annunciavano viaggi, in stazioni ed aeroporti in tante parti del mondo. Alle
panchine delle attese. E come per l’autore, si associavano a due momenti
intensi: momenti di lettura (ovvio) ma anche momenti di sguardi, di scrutamento
della vita. Io, lì, senza fretta apparente. Ed il resto che, quasi in un film,
scorre. Guardo, ascolto. Entro a far parte, sovente, delle dinamiche che si
succedono: qualcuno cerca una via, altri si chiamano, bambini corrono lontano
da madri o baby-sitter (a volte anche da padri, a Nyhaven a Copenaghen). Ma
torniamo al libro, di cui però non dico molto altro. Dico soltanto, leggetelo,
commentate le belle panchine letterarie che si affollano (di autori noti e poco
noti, ma se parlano di panchine diventeranno senz’altro amici) e poi parlate
delle vostre. Ognuno ha le sue ripeto, ma è bello condividerle.
“Sulle panchine si contempla lo spettacolo del mondo, si guarda senza
essere visti, e ci si dà il tempo di perdere il tempo, come leggere un romanzo”
(quarta di copertina)
“La lettura è un atto anarchico … per il rapporto che stabilisce con la
cosiddetta realtà. A parte lo straniamento che induce una lettura prolungata …
al lettore viene … rinfacciato continuamente di avere uno scarso rapporto con
la realtà, di essere cioè uno svitato.” (117)
“L’altro giorno ero nella fase finale della lettura di un mastodontico
giallo svedese … e improvvisamente mi è venuta per la prima volta l’idea che
non era vero che non stavo facendo niente…. [stavo leggendo e] senza di me, se
cioè avessi smesso di leggere, che ne sarebbe stato della storia e dei suoi
personaggi?” (118)
Continuiamo con la mia
praticamente coetanea Petrignani, anche lei emiliana ed anche lei poi
trapiantata e vivente nella mia Roma.
Sandra Petrignani “E in mezzo il fiume”
Laterza euro 10 (in realtà, scontato 8,50 euro)
[in: 17/07/2010 – out: 22/10/2010]
Altro
buon volume ControMano, e poi su Roma, quindi ancora più meritorio. Ed ancor
più se, prendendo a presto il fiume ed il suo strano rapporto con la città,
l’autrice si aggira per i quartieri limitrofi, certo privilegiando nei racconti
la rive droite trasteverina rispetto alla rive gauche testaccina, ma ci può
stare. Anche perché sono le rive delle mie radici. Con mio padre nato in vicolo
del Bologna e cresciuto nei dintorni di S. Maria alla Scala, e mia madre,
aventiniana di locazione, ma testaccina di volontà e di fede (giallorossa). Poi
ho accolto anche l’inciso che si riferiva a mio zio ed al Fate Bene Fratelli.
Insomma, un libro familiare (così come il pranzo verso San Saba con Nanni
Moretti, che mi rimandava agli anni settanta ed al liceo Dante), che seguivo
rigo a rigo, perché mentre Sandra passeggiava stavo con lei, a volte
anticipandone le scoperte visive. L’aprirsi di via Benedetta verso vicolo del
Moro, le cupole della sinagoga, viste dalle sponde dell’Isola Tiberina. Il
fascino del Ponte Rotto. Gli intrichi viari tra il ghetto ed il resto della
città (ma saltando una passeggiata per via Margana…). Le notti di Campo de’
Fiori (ma saltando via del Pellegrino e la libreria del Viaggiatore). Il tutto
però con qualche punta che mi ha lasciato freddino. Vado a spiegare. Si
coinvolgono tante persone e personaggi, noti e meno noti, che parlano dei loro
squarci romani, delle decisioni di viverci o di allontanarsene, dei ristornati
che amano, delle professioni che spariscono, di aneddoti presenti ad ogni piè
sospinto. Ma questa carrellata, a volte, sembra essere messa lì anche per far
dire ma quanta gente conosci, e quante belle persone. No anche Patrizia
Cavalli! E poi don Matteo! E … Certo uno si dimentica che la piacentina per
sbaglio è stata per anni anche l’anima e il braccio e la mente della meritoria
casa editrice Theoria. Un merito che ascriverò sempre a suo onore. Ma queste
citazioni / coinvolgimenti li sento spesso distanti. Più intenso il rapporto
con “la storia vista dal basso”, come con la Luigina di cui sotto, o la
ricamatrice, o anche il barbone di sotto casa. Guardando con lei e tutti voi il
tramonto dal balcone del Gianicolo, auguro a tutti una buona passeggiata
romana, perché passeggiare è il modo più immediato di essere al mondo, di
percorrerlo, di descriverlo. E scendendo verso Piazza del Popolo gustando un
gelato siciliano di Via dei Gracchi, ricordo all’autrice e a tutti voi, che
comunque io la guida di Roma di Georgina Masson, ce l’ho.
“Luigina [della Pasticceria Valzani di vicolo del Moro] approva la
nostra comune passione per le scagliette d’arancio rivestite di fondente, ne
abbiamo acquistato una cartocciata” (36)
E terminiamo con la quarantenne
Cilento, napoletana ed animatrice di laboratori di scrittura creativa.
Antonella Cilento “Napoli sul mare luccica”
Laterza euro 9
[in: 19/09/2010 – out: 14/12/2010]
Un
altro bel capitolo dei luoghi di Laterza. Questa volta ci spostiamo a Napoli, e
cerchiamo di capire qualcosa di questa strana città nuova (Neo polis…). Mi è
molto piaciuto questo affrontare la grande partenopea partendo dagli elementi
fondamentali, e fondanti dell’epos cittadino. Il fuoco, l’acqua, la terra,
l’aria. Il fuoco che la circonda dal Sud del Vesuvio (ahi, come non ricordarmi
la mia prima gita liceale, sulle pendici del monte con la gamba ingessata) al
Nord delle solfatare di Pozzuoli. L’acqua che ne è un elemento principe, certo
con il porto, ma più ancora con le terme di Baia (unione di acqua e fuoco) e
l’isolotto di San Martino (ma mi avrebbe fatto piacere anche una puntata a
Nisida). La terra che si dirama sull’asse del più storto decumano della terra,
via Toledo, per sbandare tra Montesanto e la Sanità, cercando di non perdersi
nei sotterranei. L’aria dei monti circostanti, quelli che si raggiungono con la
funicolare, il Parco delle Rimembranze (ahi, Tony Tammaro) e la Certosa su al
Vomero. Certo, le parti più vivide per me sono state quelle domiziane della
stirpe guardascionica (il Castello Aragonese, il lago di Lucrino e punta
Epitaffio, ma anche Miliscola, il Monte di Procida e Torregaveta). Tuttavia mi
faceva piacere passeggiare con la brava Antonella, là per i Tribunali, tra una
pasta di Scaturchio e la chiesa al contrario di S. Domenico. O per i mercati,
ormai quasi indistinguibili dai suk del mondo, tra Forcella e Piazza Garibaldi,
al di là di Porta Nolana. O su, salire da S. Chiara per i presepi di San
Gregorio Armeno. Ed anche fermarsi alle stazioni della Metropolitana nuova, tra
i mosaici di Cucchi e quelli di Palladino. Quante cose. Quanti pensieri. Quante
visioni di cose che potrebbero andare meglio e purtroppo continuano a non andare.
L’arte di arrangiarsi alla Totò laggiù verso Sanità. E la nascita dei toponimi,
del modo di chiamare le cose (perché nei mercati di Napoli, l’ananas diventa
femmina, e s’ode gridare a destra e a manca come una litania “nananassaneuro”?)
e del modo che i napoletani hanno di rapportarsi. Mi rivenivano quindi in
mente, le mie passeggiate per la città, nei veri periodi della mia vita,
solitario, in compagnia, tra amici e parenti, fino a quel momento un po’
straniante ma di grande riflessione, quando entrai per caso in una mostra di
libri e foto dedicate a Chatwin che allora non conoscevo, e che mi fece fare
una svolta (una delle tante) al turbinio della mia vita. Si sente la folla
della città che ci preme alle costole. Si sente il degrado. Si percepisce la possibile
bellezza. E mi ha fatto piacere essere accompagnato da questa irregolare
giornalista (irregolare non perché non sia giornalista, ma una napoletana che
lavora al giornale “Le Scimmie” di Bolzano??). Soprattutto in alcuni dei
bozzetti ironici, ma molto derivanti dalla sua vita ed esperienza, come quello
spiegare di non poter “salire a Bolzano per il week-end”. Non perché sia in
montagna, ma perché (come ricordo ancora dalle lezioni della maestra Alba) si
guardava la carta geografica, e Bolzano, ma anche Bologna o Firenze, sono sopra
Napoli, Roma e quindi, si sale a Bologna e si scende a Napoli. Grazie, e visto
che non amo i Babà, da Scaturchio preferisco una fetta di pastiera.
Come sapete, ho deciso di
accettare il viaggio in India. Non so se si concretizza (per ora pochi
iscritti), ma io lo sto preparando e faremo di tutto per partire. A me serve.
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