sabato 14 aprile 2012

Luoghi - 13 febbraio 2011

Luoghi d’Italia, a me cari (Roma, Napoli); luoghi fisici da cui guardare il mondo. Questa settimana un sentito e doveroso omaggio alla collana ControMano di Laterza, che segue con attenzione dato che propone un modo a me caro di guardare le cose. Di guardare dove si è (fisicamente), e di raccontare posti con gli occhi interni di chi ci vive. Ricordo il primo, tanti anni fa, credo anche uno dei primi della collana, che narrava di un quadrilatero di vie intorno a San Giovanni a Roma. Mi piacque e da allora l’ho sempre guardato con interesse. Ed ora ve ne propongo tre libri di egregia se non ottima fattura. A cominciare dal parmense Sebaste e dalla magia delle panchine. Per poi proseguire con la Roma dei conflitti tra le due sponde del Tevere. E per finire con un giro intorno alla baia di Napoli, con un occhio di attenzione alla zona di Baia.
Cominciamo quindi con il cinquantenne Beppe, giramondo e girellone, ma che mi ha stregato con le sue panchine.
Beppe Sebaste “Panchine” Laterza euro 9,50 (in realtà, scontato 8 euro)
[in: 16/04/2010 – out: 02/09/2010]
Bellissimo, mi ha emozionato (a parte l’ultimo forse inutile capitolo). Attirato dalla frase di quarta (e che riporto) avevo preso in mano questo libro anche perché della mia amata collana Contromano, che, a parte poche eccezioni, mi ha sempre portato a letture quanto meno gradevoli. E poi non conoscevo l’autore, altro elemento di curiosità. Ebbene, sono stato soddisfatto in pieno: un bellissimo viaggio ed una scrittura che mi ha portato all’unisono con il prima ignoto Beppe. Partendo dalle panchine, e da quel meraviglioso momento con il figlio su una panchina di Ginevra, per pagine e pagine si vola stando fermi, direi seduti a guardare il mondo ed a leggerlo. Perché l’autore parla delle panchine attuali come simbolo dovuto alla loro gratuità, delle panchine nella letteratura (una su tutte, quella dell’incipit del Maestro e Margherita, ma anche quella, forse irreale, ma presente, di Aspettando Godot), e delle sue panchine. Perché noi lettori tante panchine abbiamo onorato di una seduta durante l’andare del tempo. Ognuno ha le sue, e l’elenco di Beppe è fantastico. Ed è bello condividerle. Mi fa ripensare ai momenti di riposo, quando stanco di camminare sedevo su una panca alle Tuilleries a Parigi, o aspettavo seduto ai giardini di Prato. Ai momenti di ozio, mentre aspettavo una donna e mi sono seduto sulla panchina in pietra di una calle veneziana, e dalla chiesa vicina è partito un concerto d’organo. Alle panchine del lungomare di Beirut con il primo Maalouf in mano. O a quella all’interno del caffè Al-Hurrya al Cairo, a vedere i giocatori di scacchi e bere un caffè. Alle panchine e ai sedili che annunciavano viaggi, in stazioni ed aeroporti in tante parti del mondo. Alle panchine delle attese. E come per l’autore, si associavano a due momenti intensi: momenti di lettura (ovvio) ma anche momenti di sguardi, di scrutamento della vita. Io, lì, senza fretta apparente. Ed il resto che, quasi in un film, scorre. Guardo, ascolto. Entro a far parte, sovente, delle dinamiche che si succedono: qualcuno cerca una via, altri si chiamano, bambini corrono lontano da madri o baby-sitter (a volte anche da padri, a Nyhaven a Copenaghen). Ma torniamo al libro, di cui però non dico molto altro. Dico soltanto, leggetelo, commentate le belle panchine letterarie che si affollano (di autori noti e poco noti, ma se parlano di panchine diventeranno senz’altro amici) e poi parlate delle vostre. Ognuno ha le sue ripeto, ma è bello condividerle.     
“Sulle panchine si contempla lo spettacolo del mondo, si guarda senza essere visti, e ci si dà il tempo di perdere il tempo, come leggere un romanzo” (quarta di copertina)
“La lettura è un atto anarchico … per il rapporto che stabilisce con la cosiddetta realtà. A parte lo straniamento che induce una lettura prolungata … al lettore viene … rinfacciato continuamente di avere uno scarso rapporto con la realtà, di essere cioè uno svitato.” (117)
“L’altro giorno ero nella fase finale della lettura di un mastodontico giallo svedese … e improvvisamente mi è venuta per la prima volta l’idea che non era vero che non stavo facendo niente…. [stavo leggendo e] senza di me, se cioè avessi smesso di leggere, che ne sarebbe stato della storia e dei suoi personaggi?” (118)
Continuiamo con la mia praticamente coetanea Petrignani, anche lei emiliana ed anche lei poi trapiantata e vivente nella mia Roma.
Sandra Petrignani “E in mezzo il fiume” Laterza euro 10 (in realtà, scontato 8,50 euro)
[in: 17/07/2010 – out: 22/10/2010]
Altro buon volume ControMano, e poi su Roma, quindi ancora più meritorio. Ed ancor più se, prendendo a presto il fiume ed il suo strano rapporto con la città, l’autrice si aggira per i quartieri limitrofi, certo privilegiando nei racconti la rive droite trasteverina rispetto alla rive gauche testaccina, ma ci può stare. Anche perché sono le rive delle mie radici. Con mio padre nato in vicolo del Bologna e cresciuto nei dintorni di S. Maria alla Scala, e mia madre, aventiniana di locazione, ma testaccina di volontà e di fede (giallorossa). Poi ho accolto anche l’inciso che si riferiva a mio zio ed al Fate Bene Fratelli. Insomma, un libro familiare (così come il pranzo verso San Saba con Nanni Moretti, che mi rimandava agli anni settanta ed al liceo Dante), che seguivo rigo a rigo, perché mentre Sandra passeggiava stavo con lei, a volte anticipandone le scoperte visive. L’aprirsi di via Benedetta verso vicolo del Moro, le cupole della sinagoga, viste dalle sponde dell’Isola Tiberina. Il fascino del Ponte Rotto. Gli intrichi viari tra il ghetto ed il resto della città (ma saltando una passeggiata per via Margana…). Le notti di Campo de’ Fiori (ma saltando via del Pellegrino e la libreria del Viaggiatore). Il tutto però con qualche punta che mi ha lasciato freddino. Vado a spiegare. Si coinvolgono tante persone e personaggi, noti e meno noti, che parlano dei loro squarci romani, delle decisioni di viverci o di allontanarsene, dei ristornati che amano, delle professioni che spariscono, di aneddoti presenti ad ogni piè sospinto. Ma questa carrellata, a volte, sembra essere messa lì anche per far dire ma quanta gente conosci, e quante belle persone. No anche Patrizia Cavalli! E poi don Matteo! E … Certo uno si dimentica che la piacentina per sbaglio è stata per anni anche l’anima e il braccio e la mente della meritoria casa editrice Theoria. Un merito che ascriverò sempre a suo onore. Ma queste citazioni / coinvolgimenti li sento spesso distanti. Più intenso il rapporto con “la storia vista dal basso”, come con la Luigina di cui sotto, o la ricamatrice, o anche il barbone di sotto casa. Guardando con lei e tutti voi il tramonto dal balcone del Gianicolo, auguro a tutti una buona passeggiata romana, perché passeggiare è il modo più immediato di essere al mondo, di percorrerlo, di descriverlo. E scendendo verso Piazza del Popolo gustando un gelato siciliano di Via dei Gracchi, ricordo all’autrice e a tutti voi, che comunque io la guida di Roma di Georgina Masson, ce l’ho.
“Luigina [della Pasticceria Valzani di vicolo del Moro] approva la nostra comune passione per le scagliette d’arancio rivestite di fondente, ne abbiamo acquistato una cartocciata”  (36)
E terminiamo con la quarantenne Cilento, napoletana ed animatrice di laboratori di scrittura creativa.
Antonella Cilento “Napoli sul mare luccica” Laterza euro 9
[in: 19/09/2010 – out: 14/12/2010]
Un altro bel capitolo dei luoghi di Laterza. Questa volta ci spostiamo a Napoli, e cerchiamo di capire qualcosa di questa strana città nuova (Neo polis…). Mi è molto piaciuto questo affrontare la grande partenopea partendo dagli elementi fondamentali, e fondanti dell’epos cittadino. Il fuoco, l’acqua, la terra, l’aria. Il fuoco che la circonda dal Sud del Vesuvio (ahi, come non ricordarmi la mia prima gita liceale, sulle pendici del monte con la gamba ingessata) al Nord delle solfatare di Pozzuoli. L’acqua che ne è un elemento principe, certo con il porto, ma più ancora con le terme di Baia (unione di acqua e fuoco) e l’isolotto di San Martino (ma mi avrebbe fatto piacere anche una puntata a Nisida). La terra che si dirama sull’asse del più storto decumano della terra, via Toledo, per sbandare tra Montesanto e la Sanità, cercando di non perdersi nei sotterranei. L’aria dei monti circostanti, quelli che si raggiungono con la funicolare, il Parco delle Rimembranze (ahi, Tony Tammaro) e la Certosa su al Vomero. Certo, le parti più vivide per me sono state quelle domiziane della stirpe guardascionica (il Castello Aragonese, il lago di Lucrino e punta Epitaffio, ma anche Miliscola, il Monte di Procida e Torregaveta). Tuttavia mi faceva piacere passeggiare con la brava Antonella, là per i Tribunali, tra una pasta di Scaturchio e la chiesa al contrario di S. Domenico. O per i mercati, ormai quasi indistinguibili dai suk del mondo, tra Forcella e Piazza Garibaldi, al di là di Porta Nolana. O su, salire da S. Chiara per i presepi di San Gregorio Armeno. Ed anche fermarsi alle stazioni della Metropolitana nuova, tra i mosaici di Cucchi e quelli di Palladino. Quante cose. Quanti pensieri. Quante visioni di cose che potrebbero andare meglio e purtroppo continuano a non andare. L’arte di arrangiarsi alla Totò laggiù verso Sanità. E la nascita dei toponimi, del modo di chiamare le cose (perché nei mercati di Napoli, l’ananas diventa femmina, e s’ode gridare a destra e a manca come una litania “nananassaneuro”?) e del modo che i napoletani hanno di rapportarsi. Mi rivenivano quindi in mente, le mie passeggiate per la città, nei veri periodi della mia vita, solitario, in compagnia, tra amici e parenti, fino a quel momento un po’ straniante ma di grande riflessione, quando entrai per caso in una mostra di libri e foto dedicate a Chatwin che allora non conoscevo, e che mi fece fare una svolta (una delle tante) al turbinio della mia vita. Si sente la folla della città che ci preme alle costole. Si sente il degrado. Si percepisce la possibile bellezza. E mi ha fatto piacere essere accompagnato da questa irregolare giornalista (irregolare non perché non sia giornalista, ma una napoletana che lavora al giornale “Le Scimmie” di Bolzano??). Soprattutto in alcuni dei bozzetti ironici, ma molto derivanti dalla sua vita ed esperienza, come quello spiegare di non poter “salire a Bolzano per il week-end”. Non perché sia in montagna, ma perché (come ricordo ancora dalle lezioni della maestra Alba) si guardava la carta geografica, e Bolzano, ma anche Bologna o Firenze, sono sopra Napoli, Roma e quindi, si sale a Bologna e si scende a Napoli. Grazie, e visto che non amo i Babà, da Scaturchio preferisco una fetta di pastiera.
Come sapete, ho deciso di accettare il viaggio in India. Non so se si concretizza (per ora pochi iscritti), ma io lo sto preparando e faremo di tutto per partire. A me serve.

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