Visto che stiamo anelando sempre
più di riuscire a partire (ed ancora si è tra color che son sospesi), dopo una
settimana dedicata alla Francia, questa volta si fa un bell’omaggio alla
Spagna, ed al (caloroso) viaggio estivo. In tutti i sensi, compreso quei 45° di
media per tutto il fine settimana. Ma che c’entra la città con le trame?
C’entra, che si è cominciato con leggere un libro ambientato a Siviglia, e poi
si è passati a due libri spagnoli comprati colà.
Cominciamo allora con il sosia di
Jean Reno.
Arturo Pérez-Reverte “La pelle del tamburo”
Net euro 7,80 (regalo di A.)
[in: 01/06/2010 – out: 30/08/2010]
Regalato
per la feria sevigliana e letto lì. Non è un “gran” libro, ma avevo letto che
l’ambiente era Siviglia, e quale miglior regalo di leggere prima e/o durante la
mitica celebrazione. Perché questo era, tra l’altro. Un ritorno a Siviglia
teatro del mio primo “grande” viaggio: un Roma - Siviglia in autostop con
l’amico Andrea, effettuato … 40 anni fa! Quel viaggio è ancora presente nei
miei ricordi, meno lo era la città. Ma l’ho (ri)vista con piacere e Pérez mi ha
accompagnato a ripercorrerne tratti. Perché quando il trio scapestrato si
aggira per Triana, rivedo il barrio di là dal fiume. E quando Macarena cena con
Padre Quart, mi aggiro di nuovo in Piazza Santa Cruz, deliziosa. Il libro, come
detto, non è eccelso. Una solita cavalcata tra (finti) misteri, hacker che
entrano nella rete del Vaticano ed una chiesa in rovina, dove troppa gente
trova la morte. A fare da James Bond curiale, padre Lorenzo Quart, bello e di
presenza. Ma anche lui con qualche scheletro nel passato, come tanti. E si
trova al centro dei misteri della forse bella chiesa di Santa Maria delle
Lacrime, con gli altri personaggi che ruotano attorno alla chiesa: don Ferro,
il vecchio parroco; Pencho Gavira, il presidente della banca che otterrebbe dei
vantaggi economici dalla demolizione della chiesa, Macarena Bruner, ex moglie
di Gavira e fedele di don Ferro. Attorno ai personaggi principali, c'è un trio
di disperati che vengono assoldati da Pencho Gavira per tentare di avere la
meglio con qualunque mezzo: don Ibrahim, la Niña Puñales e il Potro del
Mantelete. Un ex avvocato, un’ex cantante di flamenco e un ex pugile: tutti e
tre disperati e derelitti, ma legati l'un l'altro da uno strano affetto. E
questo trio è quello che meglio esce dalla penna dello scrittore. Padre Quart
riuscirà a venire a capo della trama, ma avrà anche lui qualcosa da rimetterci.
Ma questo è il libro, quello da leggere, che consiglio solo a chi è stato o chi
pensa di andare a Siviglia. Quello che in vero resta è la frase di Don Ibrahim
che sotto riporto, sulla magia di questa città, spagnola, ma quanto di più
vicino all’impianto arabo io abbia mai visto in Spagna. Guardate i bellissimi
patii, con le fontane ed i fiori, e gli azulejos, e tutto quanto di bello c’è da
vedere in questo nostro mondo.
“quando arrivo in una città, chiedo sempre: chi sono le dodici donne
più belle (Stendhal)” (39)
“sono convinta che ogni edificio, ogni quadro, ogni libro che viene
distrutto o perduto, ci rende un po’ più orfani. Ci impoverisce” (50)
“Noi donne siamo molto
complicate in confronto agli uomini, così diretti nelle loro bugie, così
infantili nelle loro contraddizioni… Così coerenti nella loro vigliaccheria”
(185)
“Forse era solo la nostalgia della gioventù e basta. E dei sogni che
poi la vita fa in modo di strapparti pian piano a morsi. … comunque … pensò che
gli sarebbe sempre rimasta Siviglia … perché era l’unica città a conservare,
agli incroci, nei colori e nella luce, il rumore del tempo che svanisce, anche
se in realtà siamo noi a svanire assieme alle cose transitorie cui leghiamo la
nostra vita e la nostra memoria” (262)
“Sono pochi i fatti così tragici nella vita come scoprire una verità
importante nel momento sbagliato” (316)
Passiamo quindi ad un’autrice
ormai consolidata del panorama ispanico, ma qui alla sua prima scrittura.
Matilde Asensi “El Salón de Ámbar” Booket euro 8,95
[in: 01/09/2010 – out: 17/10/2010]
Acquisto
sivigliano per esercitare ancora un po’ di spagnolo, quindi legato a quella
città, anche se l’autrice è di Alicante e la base della protagonista è ad
Avila. Come detto nasce ad Alicante (nel 1962), studia giornalismo, lavora
qualche anno in radio, e dal 1999 comincia la sua carriera di scrittrice con
questo giallo – avventura basato intorno alla ricerca – ritrovamento (o altro)
della famosa “camera d’ambra”, trafugata a San Pietroburgo dai tedeschi durante
l’ultimo conflitto. Non è ancora quella che viene considerata “maestra” in
scritti storici (ed aspetterò di leggerne). Qui la storia è relativamente semplice
e lineare. Un gruppo di ladri in guanti bianchi, che si autonomina “la banda
degli scacchi” (e con raffinato umorismo si chiamano tra loro il Re, la Regina,
l’Alfiere, il Cavallo, la Torre e il Pedone) trafuga (ruba e sostituisce con
copie) opere d’arte. Motore ultimo delle operazioni è il povero pedone, la
trenta e qualcosa Ana, che gira il mondo un po’ tipo “Caccia al ladro” di Cary
Grantiana memoria. Per casualità, la banda si imbatte in un misterioso
rompicapo di quadri che, decriptato, porta alla scoperta del nascondiglio
ultimo della camera di cui sopra. Gli ingredienti classici ci sono tutti:
scacchi innamorati, scacchi con figli, scacchi che tradiscono. L’operazione
letteraria è condotta con ordine, e tutte le caselle alla fine vanno al loro posto
(qualcuno giudicherà se quello giusto o meno). Anche un po’ di humour che non
guasta, come la presenza della zia Juana, badessa del convento, che per
risanare le scarse entrate delle suorine accetta di custodire i tesori che nel
tempo la banda va “sostituendo” in giro per il mondo. Insomma, una storia
diligente, senza troppi patemi, si sorride dove si può, si seguono un po’ di
articolati intrecci di vite passate che portano ad attuali misteri. Certo,
giallo come giallo, lascia un po’ a desiderare. Poca suspense ed abbastanza
scontata. Non so dire se c’è un uso sapiente della lingua, ma, per quello che
frequento io lo spagnolo, mi è sembrata un po’ come la scrittrice. Di piglio
giornalistico, quindi sufficientemente scorrevole. Ma anche di un giornalismo
non banale, per cui c’è un uso sapiente di parole non usuali, o comunque
riferite a cose, persone, oggetti che non entrano normalmente nel colloquiare
quotidiano. Un buon esercizio per mantenere in forma una lingua che prima o poi
dovrò approfondire meglio. Per finire, ho messo alcune indicazioni sull’autrice
nella trama, che mi sono sentito un po’ ripetitivo a metterle in finale e
magari staccate. Ormai di autori ce ne sono tanti, e molti ritornano più e più
volte. Della Asensi, tra l’altro, consiglierei meglio il sito spagnolo di
Wikipedia rispetto a quello italiano. Aspettiamo di leggere altro per capire il
grado di affezione che ne viene fuori (per ora ben lontano dalle prime prove
dell’amata Alicia).
Il
secondo acquisto di Siviglia ci fa tornare al buon Arturo, e tra l’altro
introduce una piccola novità nei libri letti nel 2011: il titolo originale, la
lingua e l’anno di uscita. Elementi che servono a collocare il libro in una
cornice “concreta”.
Arturo Pérez-Reverte “El Húsar” Punto de lectura euro 7,95
[in: 31/08/2010 – out: 11/02/2011]
[tit. originale; ling. or.: spagnolo; anno 1986]
Il
primo romanzo del sessantenne spagnolo, con la faccia da controfigura bonaria
di Jean Reno. Comperato in quel di Siviglia mentre leggevo “La pelle del
tamburo”. Scritto quando ancora Pérez-Reverte era solo un giornalista, inviato
speciale del Pueblo per seguire le guerre degli anni ottanta, risente (in
positivo) di questa capacità di farci entrare nel campo di battaglia. Ed è
un’abilità che si ritroverà con tutto il suo bagaglio espressivo nelle più
tarde storie del capitano Alatriste. Certo qui l’odore è diverso da Sarajevo.
Siamo in Spagna, e si parla di cariche di cavalleria e combattimenti all’arma
bianca. E siamo in Spagna nel 1808, durante la Campagna spagnola della Terza
Guerra Napoleonica. Il romanzo segue 24 ore della vita del sottotenente
Frederic Gluntz, del 4° reggimento Ussaro (a tal proposito una precisazione sul
nome che Pérez-Reverte fa giustamente derivare dall’ungherese Huszár, che però
significa uno su venti non uno su cento, perché ogni venti contadini il
latifondista ungherese doveva darne uno all’esercito, dove venivano schierati
in un corpo scelto d’assalto, il cui nome poi, data la pronuncia dura della
“hu” iniziale venne presto storpiato in cursair, cioè “corsari”; ah quanto
adoro la filologia…). In realtà non succede molto per gran parte del libro,
fino alle scene di battaglia delle ultime cinquanta pagine, dove si percepisce
con grande evidenza l’orrore che in ogni caso suscita la guerra (e ben narrato
da uno che ci stava per rimettere la pelle in Eritrea). Ma è un romanzo di
rimandi e di collegamenti. Perché la guerra è vista con gli occhi dei francesi
invasori anche se scritta da uno spagnolo. Perché la notte prima della
battaglia, Frederic e il suo amico Michel, ricordano (insieme o nelle loro
teste), momenti altri. Di pace, per Frederic nella natia Strasburgo, tra la
morte del nonno e l’innamoramento per la bella Claire. Di attriti e di duelli,
per Michel che ha nel cognome la particella nobiliare e deve fare di tutto per
farla scordare. E poi di esaltazione (vera? simulata?) per la prossimità della
battaglia, per l’onore, e via discorrendo. Di rimandi, ai battaglioni ussari
dei primi anni, quelli del 1500, i polacchi invincibili. Fino al ricordo della
cena con il nobile spagnolo, culturalmente vicino alle idee napoleoniche della
prima ora, ma che guarda con occhio realista lo sfaldarsi di quelle dietro
l’arroganza del potere (e fornendo il vero occhio di Pérez-Reverte sulla
vicenda: le idee, anche giuste, non si potranno mai imporre con la forza; e
magari qualche Bush nostrano avrebbe potuto impararle). Ma detto tutto ciò,
rimane un libro che non mi è piaciuto. Cioè l’ho letto, ne ho assaporato il
suono del rostro, della carga, del “coñac a la madrugada”, il cozzare “sable
contra navajos”, ne ho apprezzato l’orrore che suscita vedere un soldato
sbudellato, quando le viscere si riversano al suolo ed altre “atrocidades”. Ma non
mi ha coinvolto. Non sono riuscito ad immedesimarmi nei personaggi, nella
scenografia, nella trama. Mi ha dato quello che mi aspettavo, che tuttavia
speravo fosse di più. Dovrei riprendere quell’Ussaro sul tetto di Giono, per
vederne altri risvolti, francesi su francesi. E sono anche in dubbio su quanto
mi piaccia realmente il buon Arturo. Ne ho letto di diverse espressioni (questo
sulla guerra, la pelle sivigliana e fumigante di Chiesa, gli intrecci
“echeggiante” del Club Dumas), ma ogni volta c’è qualcosa che mi sfugge, che mi
fa fermare qualche passo prima di dire: bello senza se senza ma. Forse la sua
cosa migliore l’ho letta in un articolo di un paio di anni fa, dove,
scagliandosi contro l’insipienza di politici ed altri personaggi pubblici,
terminava con un grido che trovo di grande attualità: “quanto è più pericoloso
un imbecille di un malvagio”.
“Los
españoles no son, no somos, gente que se deje salvar a fuerza. Nos gustas
salvarnos nosotros mismos, poco a poco ... Jamás las bayonetas impondrán aquí
una sola idea.” [Gli spagnoli non sono, non siamo, persone che si
possano salvare con la forza. Ci piace salvarci da soli, a poco a poco ... Mai
le baionette imporranno qui una sola idea] (124)
Ebbene sì, siamo di nuovo ad
inizio mese, e quindi terminiamo le liste del 2010, con quella di dicembre,
mese senza acuti e senza cadute. Un po’ piatto (3 buoni libri italici, ma
niente più).
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Gabriel Garcia Marquez
|
Racconto di un naufrago
|
Mondadori
|
8
|
3
|
2
|
Banana Yoshimoto
|
Sonno profondo
|
Feltrinelli
|
6,50
|
3
|
3
|
Alessandro Baricco
|
City
|
Feltrinelli
|
8
|
2
|
4
|
Tonino Benacquista
|
Malavita encore
|
Folio
|
7,10
|
3
|
5
|
Antonella Cilento
|
Napoli sul mare luccica
|
Laterza
|
9
|
4
|
6
|
Joe R. Lansdale
|
La sottile linea scura
|
Noir Repubblica
|
7,90
|
3
|
7
|
Domenico Starnone
|
Prima esecuzione
|
Feltrinelli
|
7
|
4
|
8
|
Jonathan Coe
|
Donna per caso
|
Feltrinelli
|
6,50
|
3
|
9
|
Alexander McCall Smith
|
L’uso sapiente delle buone
maniere
|
TEA
|
8,60
|
3
|
10
|
Francesco Piccolo
|
Momenti di trascurabile
felicità
|
Einaudi
|
s.p.
|
4
|
11
|
David Baldacci
|
I collezionisti
|
Noir Repubblica
|
7,90
|
3
|
12
|
Lorenzo Arruga
|
Suite Algérienne
|
Mondadori
|
4,20
|
2
|
13
|
Banana Yoshimoto
|
Tsugumi
|
Feltrinelli
|
7
|
2
|
14
|
Massimo Pietroselli
|
L’affare Testa di Morto
|
Mondadori
|
4,20
|
3
|
15
|
David Baldacci
|
Camel Club
|
Mondadori
|
9,40
|
3
|
E ancora niente dal Brasile. Il
carnevale è agli sgoccioli, ma le notizie (interne ed esterne) ci fanno
presagire una Quaresima più lunga e dura del prevedibile. Speriamo intanto che
tutti i nostri amici (tunisini, libici, egiziani e qatarini) si mantengano in
ottime condizioni di spirito.
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