martedì 17 aprile 2012

Siviglia - 06 marzo 2011

Visto che stiamo anelando sempre più di riuscire a partire (ed ancora si è tra color che son sospesi), dopo una settimana dedicata alla Francia, questa volta si fa un bell’omaggio alla Spagna, ed al (caloroso) viaggio estivo. In tutti i sensi, compreso quei 45° di media per tutto il fine settimana. Ma che c’entra la città con le trame? C’entra, che si è cominciato con leggere un libro ambientato a Siviglia, e poi si è passati a due libri spagnoli comprati colà.
Cominciamo allora con il sosia di Jean Reno.
Arturo Pérez-Reverte “La pelle del tamburo” Net euro 7,80 (regalo di A.)
[in: 01/06/2010 – out: 30/08/2010]
Regalato per la feria sevigliana e letto lì. Non è un “gran” libro, ma avevo letto che l’ambiente era Siviglia, e quale miglior regalo di leggere prima e/o durante la mitica celebrazione. Perché questo era, tra l’altro. Un ritorno a Siviglia teatro del mio primo “grande” viaggio: un Roma - Siviglia in autostop con l’amico Andrea, effettuato … 40 anni fa! Quel viaggio è ancora presente nei miei ricordi, meno lo era la città. Ma l’ho (ri)vista con piacere e Pérez mi ha accompagnato a ripercorrerne tratti. Perché quando il trio scapestrato si aggira per Triana, rivedo il barrio di là dal fiume. E quando Macarena cena con Padre Quart, mi aggiro di nuovo in Piazza Santa Cruz, deliziosa. Il libro, come detto, non è eccelso. Una solita cavalcata tra (finti) misteri, hacker che entrano nella rete del Vaticano ed una chiesa in rovina, dove troppa gente trova la morte. A fare da James Bond curiale, padre Lorenzo Quart, bello e di presenza. Ma anche lui con qualche scheletro nel passato, come tanti. E si trova al centro dei misteri della forse bella chiesa di Santa Maria delle Lacrime, con gli altri personaggi che ruotano attorno alla chiesa: don Ferro, il vecchio parroco; Pencho Gavira, il presidente della banca che otterrebbe dei vantaggi economici dalla demolizione della chiesa, Macarena Bruner, ex moglie di Gavira e fedele di don Ferro. Attorno ai personaggi principali, c'è un trio di disperati che vengono assoldati da Pencho Gavira per tentare di avere la meglio con qualunque mezzo: don Ibrahim, la Niña Puñales e il Potro del Mantelete. Un ex avvocato, un’ex cantante di flamenco e un ex pugile: tutti e tre disperati e derelitti, ma legati l'un l'altro da uno strano affetto. E questo trio è quello che meglio esce dalla penna dello scrittore. Padre Quart riuscirà a venire a capo della trama, ma avrà anche lui qualcosa da rimetterci. Ma questo è il libro, quello da leggere, che consiglio solo a chi è stato o chi pensa di andare a Siviglia. Quello che in vero resta è la frase di Don Ibrahim che sotto riporto, sulla magia di questa città, spagnola, ma quanto di più vicino all’impianto arabo io abbia mai visto in Spagna. Guardate i bellissimi patii, con le fontane ed i fiori, e gli azulejos, e tutto quanto di bello c’è da vedere in questo nostro mondo.
“quando arrivo in una città, chiedo sempre: chi sono le dodici donne più belle (Stendhal)” (39)
“sono convinta che ogni edificio, ogni quadro, ogni libro che viene distrutto o perduto, ci rende un po’ più orfani. Ci impoverisce” (50)
 “Noi donne siamo molto complicate in confronto agli uomini, così diretti nelle loro bugie, così infantili nelle loro contraddizioni… Così coerenti nella loro vigliaccheria” (185)
“Forse era solo la nostalgia della gioventù e basta. E dei sogni che poi la vita fa in modo di strapparti pian piano a morsi. … comunque … pensò che gli sarebbe sempre rimasta Siviglia … perché era l’unica città a conservare, agli incroci, nei colori e nella luce, il rumore del tempo che svanisce, anche se in realtà siamo noi a svanire assieme alle cose transitorie cui leghiamo la nostra vita e la nostra memoria” (262)
“Sono pochi i fatti così tragici nella vita come scoprire una verità importante nel momento sbagliato” (316)
Passiamo quindi ad un’autrice ormai consolidata del panorama ispanico, ma qui alla sua prima scrittura.
Matilde Asensi “El Salón de Ámbar” Booket euro 8,95
[in: 01/09/2010 – out: 17/10/2010]
Acquisto sivigliano per esercitare ancora un po’ di spagnolo, quindi legato a quella città, anche se l’autrice è di Alicante e la base della protagonista è ad Avila. Come detto nasce ad Alicante (nel 1962), studia giornalismo, lavora qualche anno in radio, e dal 1999 comincia la sua carriera di scrittrice con questo giallo – avventura basato intorno alla ricerca – ritrovamento (o altro) della famosa “camera d’ambra”, trafugata a San Pietroburgo dai tedeschi durante l’ultimo conflitto. Non è ancora quella che viene considerata “maestra” in scritti storici (ed aspetterò di leggerne). Qui la storia è relativamente semplice e lineare. Un gruppo di ladri in guanti bianchi, che si autonomina “la banda degli scacchi” (e con raffinato umorismo si chiamano tra loro il Re, la Regina, l’Alfiere, il Cavallo, la Torre e il Pedone) trafuga (ruba e sostituisce con copie) opere d’arte. Motore ultimo delle operazioni è il povero pedone, la trenta e qualcosa Ana, che gira il mondo un po’ tipo “Caccia al ladro” di Cary Grantiana memoria. Per casualità, la banda si imbatte in un misterioso rompicapo di quadri che, decriptato, porta alla scoperta del nascondiglio ultimo della camera di cui sopra. Gli ingredienti classici ci sono tutti: scacchi innamorati, scacchi con figli, scacchi che tradiscono. L’operazione letteraria è condotta con ordine, e tutte le caselle alla fine vanno al loro posto (qualcuno giudicherà se quello giusto o meno). Anche un po’ di humour che non guasta, come la presenza della zia Juana, badessa del convento, che per risanare le scarse entrate delle suorine accetta di custodire i tesori che nel tempo la banda va “sostituendo” in giro per il mondo. Insomma, una storia diligente, senza troppi patemi, si sorride dove si può, si seguono un po’ di articolati intrecci di vite passate che portano ad attuali misteri. Certo, giallo come giallo, lascia un po’ a desiderare. Poca suspense ed abbastanza scontata. Non so dire se c’è un uso sapiente della lingua, ma, per quello che frequento io lo spagnolo, mi è sembrata un po’ come la scrittrice. Di piglio giornalistico, quindi sufficientemente scorrevole. Ma anche di un giornalismo non banale, per cui c’è un uso sapiente di parole non usuali, o comunque riferite a cose, persone, oggetti che non entrano normalmente nel colloquiare quotidiano. Un buon esercizio per mantenere in forma una lingua che prima o poi dovrò approfondire meglio. Per finire, ho messo alcune indicazioni sull’autrice nella trama, che mi sono sentito un po’ ripetitivo a metterle in finale e magari staccate. Ormai di autori ce ne sono tanti, e molti ritornano più e più volte. Della Asensi, tra l’altro, consiglierei meglio il sito spagnolo di Wikipedia rispetto a quello italiano. Aspettiamo di leggere altro per capire il grado di affezione che ne viene fuori (per ora ben lontano dalle prime prove dell’amata Alicia).
Il secondo acquisto di Siviglia ci fa tornare al buon Arturo, e tra l’altro introduce una piccola novità nei libri letti nel 2011: il titolo originale, la lingua e l’anno di uscita. Elementi che servono a collocare il libro in una cornice “concreta”.
Arturo Pérez-Reverte “El Húsar” Punto de lectura euro 7,95
[in: 31/08/2010 – out: 11/02/2011]
[tit. originale; ling. or.: spagnolo; anno 1986]
Il primo romanzo del sessantenne spagnolo, con la faccia da controfigura bonaria di Jean Reno. Comperato in quel di Siviglia mentre leggevo “La pelle del tamburo”. Scritto quando ancora Pérez-Reverte era solo un giornalista, inviato speciale del Pueblo per seguire le guerre degli anni ottanta, risente (in positivo) di questa capacità di farci entrare nel campo di battaglia. Ed è un’abilità che si ritroverà con tutto il suo bagaglio espressivo nelle più tarde storie del capitano Alatriste. Certo qui l’odore è diverso da Sarajevo. Siamo in Spagna, e si parla di cariche di cavalleria e combattimenti all’arma bianca. E siamo in Spagna nel 1808, durante la Campagna spagnola della Terza Guerra Napoleonica. Il romanzo segue 24 ore della vita del sottotenente Frederic Gluntz, del 4° reggimento Ussaro (a tal proposito una precisazione sul nome che Pérez-Reverte fa giustamente derivare dall’ungherese Huszár, che però significa uno su venti non uno su cento, perché ogni venti contadini il latifondista ungherese doveva darne uno all’esercito, dove venivano schierati in un corpo scelto d’assalto, il cui nome poi, data la pronuncia dura della “hu” iniziale venne presto storpiato in cursair, cioè “corsari”; ah quanto adoro la filologia…). In realtà non succede molto per gran parte del libro, fino alle scene di battaglia delle ultime cinquanta pagine, dove si percepisce con grande evidenza l’orrore che in ogni caso suscita la guerra (e ben narrato da uno che ci stava per rimettere la pelle in Eritrea). Ma è un romanzo di rimandi e di collegamenti. Perché la guerra è vista con gli occhi dei francesi invasori anche se scritta da uno spagnolo. Perché la notte prima della battaglia, Frederic e il suo amico Michel, ricordano (insieme o nelle loro teste), momenti altri. Di pace, per Frederic nella natia Strasburgo, tra la morte del nonno e l’innamoramento per la bella Claire. Di attriti e di duelli, per Michel che ha nel cognome la particella nobiliare e deve fare di tutto per farla scordare. E poi di esaltazione (vera? simulata?) per la prossimità della battaglia, per l’onore, e via discorrendo. Di rimandi, ai battaglioni ussari dei primi anni, quelli del 1500, i polacchi invincibili. Fino al ricordo della cena con il nobile spagnolo, culturalmente vicino alle idee napoleoniche della prima ora, ma che guarda con occhio realista lo sfaldarsi di quelle dietro l’arroganza del potere (e fornendo il vero occhio di Pérez-Reverte sulla vicenda: le idee, anche giuste, non si potranno mai imporre con la forza; e magari qualche Bush nostrano avrebbe potuto impararle). Ma detto tutto ciò, rimane un libro che non mi è piaciuto. Cioè l’ho letto, ne ho assaporato il suono del rostro, della carga, del “coñac a la madrugada”, il cozzare “sable contra navajos”, ne ho apprezzato l’orrore che suscita vedere un soldato sbudellato, quando le viscere si riversano al suolo ed altre “atrocidades”. Ma non mi ha coinvolto. Non sono riuscito ad immedesimarmi nei personaggi, nella scenografia, nella trama. Mi ha dato quello che mi aspettavo, che tuttavia speravo fosse di più. Dovrei riprendere quell’Ussaro sul tetto di Giono, per vederne altri risvolti, francesi su francesi. E sono anche in dubbio su quanto mi piaccia realmente il buon Arturo. Ne ho letto di diverse espressioni (questo sulla guerra, la pelle sivigliana e fumigante di Chiesa, gli intrecci “echeggiante” del Club Dumas), ma ogni volta c’è qualcosa che mi sfugge, che mi fa fermare qualche passo prima di dire: bello senza se senza ma. Forse la sua cosa migliore l’ho letta in un articolo di un paio di anni fa, dove, scagliandosi contro l’insipienza di politici ed altri personaggi pubblici, terminava con un grido che trovo di grande attualità: “quanto è più pericoloso un imbecille di un malvagio”.
“Los españoles no son, no somos, gente que se deje salvar a fuerza. Nos gustas salvarnos nosotros mismos, poco a poco ... Jamás las bayonetas impondrán aquí una sola idea.” [Gli spagnoli non sono, non siamo, persone che si possano salvare con la forza. Ci piace salvarci da soli, a poco a poco ... Mai le baionette imporranno qui una sola idea] (124)
Ebbene sì, siamo di nuovo ad inizio mese, e quindi terminiamo le liste del 2010, con quella di dicembre, mese senza acuti e senza cadute. Un po’ piatto (3 buoni libri italici, ma niente più).
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Gabriel Garcia Marquez
Racconto di un naufrago
Mondadori
8
3
2
Banana Yoshimoto
Sonno profondo
Feltrinelli
6,50
3
3
Alessandro Baricco
City
Feltrinelli
8
2
4
Tonino Benacquista
Malavita encore
Folio
7,10
3
5
Antonella Cilento
Napoli sul mare luccica
Laterza
9
4
6
Joe R. Lansdale
La sottile linea scura
Noir Repubblica
7,90
3
7
Domenico Starnone
Prima esecuzione
Feltrinelli
7
4
8
Jonathan Coe
Donna per caso
Feltrinelli
6,50
3
9
Alexander McCall Smith
L’uso sapiente delle buone maniere
TEA
8,60
3
10
Francesco Piccolo
Momenti di trascurabile felicità
Einaudi
s.p.
4
11
David Baldacci
I collezionisti
Noir Repubblica
7,90
3
12
Lorenzo Arruga
Suite Algérienne
Mondadori
4,20
2
13
Banana Yoshimoto
Tsugumi
Feltrinelli
7
2
14
Massimo Pietroselli
L’affare Testa di Morto
Mondadori
4,20
3
15
David Baldacci
Camel Club
Mondadori
9,40
3
E ancora niente dal Brasile. Il carnevale è agli sgoccioli, ma le notizie (interne ed esterne) ci fanno presagire una Quaresima più lunga e dura del prevedibile. Speriamo intanto che tutti i nostri amici (tunisini, libici, egiziani e qatarini) si mantengano in ottime condizioni di spirito.

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