lunedì 16 aprile 2012

Toninó - 27 febbraio 2011

Sì, con l’accento finale, perché, malgrado il nome, è francese doc. Cero, figlio di immigrati (e non apriamo il doloroso capitolo delle migrazioni che tanto hanno di attuale), ma cinquantino francese. E se non parliamo di immigrati, parliamo di oriundi, che la terna di questa settimana, incentrata su Benacquista, vede partecipe nella sceneggiatura del fumettone, anche Daniel Pennacchioni. Una terna leggera, come si confà al carnevale, con i due episodi di Malavita, e la “Band Dessinée” dedicata ad uno dei personaggi che tanto ho amato in gioventù, il prode Lucky Luke.
Andando in ordine di lettura, prendiamo in mano Toninó, che all’inizio pensavo fosse uno dei tanti fuggitivi italiani in Francia, ma che poi ho imparato ad amare proprio in quanto francese.
Tonino Benacquista “Malavita Folio euro 7,10
[in: 13/02/2010 – out: 09/10/2010]
Mi piace di più quando parla dei piccoli delinquenti italiani nel sottobosco parigino (tipo “La comédie des ratés”) o in quell’epopea di humour che me lo fece conoscere (“Saga”). Qui, in realtà mescola un po’ le due cose. E non sempre ne viene fuori un cocktail saporito. Quando dico mi piace, mi riferisco all’autore Tonino che, benché di origini italiane, nasce, vive e lavora in Francia (dove ormai il suo maggior impegno è per la sceneggiatura). Ne avevo letto tanto ben prima di cominciare a scrivere trame, ed ora erano anni che non mi ricapitava tra le mani. In una delle solite visite a FNAC in Bruxelles, me lo sono ritrovato con questo titolo che non conoscevo. E, sebbene non ai livelli che più gradisco, non è mi è comunque dispiaciuto leggerlo. Il tentativo generale, l’idea direi, è quella di mescolare un po’ America e Francia, usando l’Italia (d’altra parte come dire, le radici…) come tratto unificante. Perché si parla sempre di “gente fuori della legge” o per meglio dire con una legge propria. Qui vediamo una famiglia americana che si trasferisce in una cittadina della Normandia. Impariamo a conoscere il padre che vuole scrivere, la moglie che si dedica ad opere sociali, la figlia maggiore, Bella di nome e di fatto, il figlio minore ed i suoi problemi di rapporti con i suoi coetanei a scuole, e soprattutto la cagna di casa, l’indolente Malavita. Poi a poco a poco, scopriamo che si tratta della famiglia Manzoni, e che è stata fatta rifugiare in Francia in quanto lui, Giovanni, è un pentito di Cosa Nostra. Così tutte le prospettive si capovolgono. I gesti quotidiani assumono altri significati. Interessanti gli intarsi riproposti con i caratteri di macchina da scrivere, quando Giovanni-Fred comincia a scrivere le sue memorie. Ed altrettanto interessanti le descrizioni della quotidianità del crimine a New York, ed il percorso (mai terminato, ad ora) di riflessione su sé stesso del capofamiglia. Poteva essere un “Padrino”, è ora una persona che non può neanche partecipare ad un dibattito sul cinema. E d’interesse anche i percorsi (più quello di Wayne che quello di Belle) dei figli che forse non riusciranno a perdonare mai al genitore di averli privati di una vita pubblica. Divertente è poi il viaggio, scritto in puro stile di quella “Saga” che tanti premi gli valse, del piccolo giornale di provincia che di mano in mano, casualmente, parte da Cholong-sur-Avre ed arriva a New York, transitando per Bangkok e Los Angeles. Certo, la parte finale, un po’ alla Manchette è come dire non appiccicata ma forse troppo lunga per l’economia del romanzo. Ma in fondo, riflettendoci, serve da catalizzatore alle azioni della famiglia ed a quelle del suo protettore americano, Tom Quint (ma che di vero nome fa Tommaso Quintiliani, sempre a significare quanto labile è il confine tra le leggi). La catarsi avviene quando Giovanni-Fred cerca con mezzi legali di risolvere il problema dell’acqua inquinata senza riuscirci e questo mette in crisi i suoi rapporti con figli e moglie. Si sentono gli echi dell’amore giovanile di Tonino per la serie televisiva “Gli intoccabili” e per il successivo omonimo film di Brian De Palma. Insomma, qualche bello spunto, qualche punta di humour (da ricordo il cambio di “senso” quando il mafioso italiano che mastica ma non parla americano scambia il titolo dell’opera “Boris Gudunov” con “good enough”), ma senza troppa convinzione. Qualche quiche in meno, ed un bel calvados normanno in più non guastano.
“Il se foutait bien de savoir si les mots qu’il frappait seraient lus un jour, si ses phrases lui survivraient. [Non gli importava molto di sapere se le parole che scriveva sarebbero state lette un giorno, né se le sue frasi gli sarebbero sopravvissute.] ” (132)
Intermezzo rilassante e quasi comico.
Daniel Pennac & Tonino Benacquista “Lucky Luke contre Pinkerton” Lucky Comics euro 10
[in: 21/10/2010 – out: 08/11/2010]
Una volta tanto torniamo ai miei amati fumetti. Qui non in veste di quelle “graphic novel” come le ottime prodotte dalla mia amica Luana (e quelle che lei mi ha fatto conoscere). Qui siamo più sul versante comico, su quello, per intenderci, dell’insuperabile Asterix di Goscinny & Uderzo (ed un giorno sarebbe bello tornarci sopra, in quella prima, insuperata edizione italiana delle avventure del gallo, tradotto in italiano da Marcello Marchesi. Una pura chicca!). Sempre di francesi parliamo (in questo eponimi, almeno come lingua, includendo qui almeno i belgi di Tintin e poi anche Morris era belga) e delle avventure del pistolero del West, quello che spara più veloce della sua ombra. Mi ricordo ancora delle prime volte di cui ne lessi, addirittura sul famoso e ben datato “Corrierino dei Piccoli” e sull’altrettanto famoso “Vittorioso” (quello che mi fece conoscere le follie grafiche dei salamini di Jacovitti). E mi ricordo che ad un certo punto ne rimasi un po’ deluso, quando le avventure dei fratelli Dalton, i cattivissimi, sembrarono prevaricare la figura del cavaliere (e del suo cavallo Jolly). Ora, il bravo disegnatore – inventore Morris è purtroppo deceduto da quasi dieci anni (e comunque ricordiamo che per anni il suo sceneggiatore fu proprio Goscinny). Altri hanno preso penne e matite con fortune alterne. Da qualche storia mi si dice che la parte grafica è affidata a Achdé, e direi (vedendo questa prova) che non fa rimpiangere l’originale, aggiungendo un po’ di tocco moderno a storie che altrimenti sembrerebbero ingessate nella memoria. Ma non è per questo che qui ne parlo. Ne parlo perché, nell’opera di celebrazione di Morris, questa quarta uscita della nuova serie è stata sceneggiata da due autori che amo particolarmente. L’uno quasi cinquantenne d’origine palesemente italiana, il nostro buon Tonino Benacquista, che infonde alla storia quei tocchi in parte “malavitosi”, ma con l’ironia ed il sarcasmo della sua Saga migliore. Il rivolgimento che l’inasprimento delle leggi seguite all’ascesa di Nat Pinkerton, con il conseguente folle sopraccarico delle carceri, si attua tra arresti ridicoli, ma soprattutto sguardi di una comicità irrefrenabile è da tenere per i momenti tristi (accanto alla partenza della galea di Asterix per l’Egitto e la sua ciurma di stralunati finto-schiavi). L’altro è invece il quasi settantenne di mista provenienza (italo-franco-marocchina) tal Daniele Pennacchioni, meglio noto come Daniel Pennac. Ed il suo tocco ironico, ma civile, nell’imbastire l’accoglienza trionfale ma fino ad un certo punto (in fondo vi verrà assassinato) di Lincoln a Baltimora è anch’esso da riporre nella memoria (accanto al the che bevono i Britanni!). Il filo rosso della storia conduce il nostro Lucky Luke prima ad una lotta contro Pinkerton che gli toglie il mestiere, poi ad una critica dei metodi di schedatura di Pinkerton stesso (e qui i nostri due fanno vedere in controluce i guasti dei nostri stati di poliziesca schedatura privata e mediatica, lì dove appunto si disquisisce tra i dati di natura privata gestiti da forze pubbliche e gli stessi messi in mano a privati. S’ode qualche riporto a vicende d’oggi…). Non manca una critica al “pensionamento anticipato”, che di grande attualità è nel panorama francofono attuale. Infine alla solita ma non per questo scontata vittoria dei buoni. Un bel fumetto comico, di bella fattura, di bella pensata, e di bella resa. Per questo lo inserisco con piacere tra le letture. E tra quelle di ottimo livello (per il cuore e per la testa).
Per un finale, invece, di nuovo con Malavita.
Tonino Benacquista “Malavita encore” Folio euro 7,10
[in: 26/09/2010 – out: 09/12/2010]
Seconda parte della saga dei “mafiosi pentiti”. Buona con riserva. Perché buona e perché con riserva? Rispetto alla prima parte, di cui ho letto due mesi fa, i personaggi maturano, ed in un certo senso prendo vita al di là dello stereotipo di essere una famiglia in protezione da parte del Dipartimento di Stato. Fred (ex-Giovanni Manzoni) continua a scrivere, anzi il suo lato scrittura diventa più interessante (anche se compare meno in prima persona rispetto alla prima parte). Ma è sempre lui, con i suoi dubbi tra l’aver fatto la cosa giusta, avervi coinvolta la famiglia e la ricerca di bilanciare i lati “buoni” e “cattivi” del carattere. Ma in contraltare migliorano i comprimari, che acquistano dignità di “micro-racconti” nel flusso principale: la moglie Maggie, con l’impresa artigianale di “Parmigiana di Melanzane” nell’XI arrondisment, che si trova a lottare con i colossi del “Fast food” alla McDonald; la figlia Belle, sempre più bella e che finalmente trova un amore soddisfacente e fa di tutto (anche di più) per metterlo su buoni binari; il figlio Wayne ed il suo desiderio di emanciparsi, andando a ritagliarsi un lavoro artigianale di ebanisteria e l’amore per la bella Lena. E per ¾ del romanzo, tutto procede così, intrecciandosi, svolgendosi, avvolgendosi, ed io lo guardavo un po’ “stravaccato” così come mi immaginavo lo guardasse il buon cane di famiglia, il Malavita del titolo. La riserva è tutta nell’ultima parte. Nella fuga verso un mondo senza controlli di Fred (ma dovrà fare i conti con gli ex-amici ancora in libertà e con la sua coscienza). Nell’intiepidirsi delle melanzane. Ma soprattutto nella mancanza di coraggio verso l’ultimo passo possibile nella direzione trasparente, che fa risaltare in Wayne lo stesso lato double-face del padre. Vogliamo dire che c’è in noi parti che vengono dai nostri genitori? Si poteva dire meglio. Vogliamo lasciare porte aperte per una terza parte? Certo fa sempre piacere continuare a vivere con i personaggi dei romanzi, ma la bravura dello scrittore è lasciarci ad un certo punto e farne continuare la vita nella nostra memoria. Altrimenti andiamo verso situazioni alla Beautiful, o forse alla Friends per essere più buoni. Ma anche lì (i secondi diciamo) ad un certo punto si fermano. Qui la fermata è piena di dubbi, e non vi dico quali per lasciare la voglia, a chi l’avrà, di scoprirne anche se e quando verranno riproposti in italiano (per ora non mi risulta che il buon Tonino sia molto tradotto). Allora sedendomi alla tavola con Maggie per gustare la sua “Parmesane” aspetto che Fred dia sue notizie. Ma preferisco il cibo.
“Pour vous, un type est a priori bon jusqu’à ce qu’il se révèle mauvais. Pour moi, il est mauvais par nature, jusqu’à ce qu’il me surprenne par un geste envers son prochain. [Per te, una persona è a priori buona, sino a che non compie una malvagità. Per me, le persone son cattive per loro indole, fino a che non vengo sorpreso da un loro gesto verso il prossimo.] ” (170)
Ormai sapete tutti che l’India è tramontata, vedendo però sorgere al suo posto l’idea di un Brasile, breve eppur interessante. Speriamo che questa volta ci siano più adepti per un viaggio post-carnascialesco alla ricerca delle radici di Amado. S’ha bisogno di partire, e spero ci si riesca.

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