Sì, con l’accento finale, perché,
malgrado il nome, è francese doc. Cero, figlio di immigrati (e non apriamo il
doloroso capitolo delle migrazioni che tanto hanno di attuale), ma cinquantino
francese. E se non parliamo di immigrati, parliamo di oriundi, che la terna di
questa settimana, incentrata su Benacquista, vede partecipe nella sceneggiatura
del fumettone, anche Daniel Pennacchioni. Una terna leggera, come si confà al
carnevale, con i due episodi di Malavita, e la “Band Dessinée” dedicata ad uno
dei personaggi che tanto ho amato in gioventù, il prode Lucky Luke.
Andando in ordine di lettura,
prendiamo in mano Toninó, che all’inizio pensavo fosse uno dei tanti fuggitivi
italiani in Francia, ma che poi ho imparato ad amare proprio in quanto
francese.
Tonino Benacquista “Malavita” Folio euro 7,10
[in: 13/02/2010 – out: 09/10/2010]
Mi
piace di più quando parla dei piccoli delinquenti italiani nel sottobosco
parigino (tipo “La comédie des ratés”) o in quell’epopea di humour che me lo
fece conoscere (“Saga”). Qui, in realtà mescola un po’ le due cose. E non
sempre ne viene fuori un cocktail saporito. Quando dico mi piace, mi riferisco
all’autore Tonino che, benché di origini italiane, nasce, vive e lavora in
Francia (dove ormai il suo maggior impegno è per la sceneggiatura). Ne avevo
letto tanto ben prima di cominciare a scrivere trame, ed ora erano anni che non
mi ricapitava tra le mani. In una delle solite visite a FNAC in Bruxelles, me
lo sono ritrovato con questo titolo che non conoscevo. E, sebbene non ai
livelli che più gradisco, non è mi è comunque dispiaciuto leggerlo. Il
tentativo generale, l’idea direi, è quella di mescolare un po’ America e
Francia, usando l’Italia (d’altra parte come dire, le radici…) come tratto
unificante. Perché si parla sempre di “gente fuori della legge” o per meglio
dire con una legge propria. Qui vediamo una famiglia americana che si trasferisce
in una cittadina della Normandia. Impariamo a conoscere il padre che vuole
scrivere, la moglie che si dedica ad opere sociali, la figlia maggiore, Bella
di nome e di fatto, il figlio minore ed i suoi problemi di rapporti con i suoi
coetanei a scuole, e soprattutto la cagna di casa, l’indolente Malavita. Poi a
poco a poco, scopriamo che si tratta della famiglia Manzoni, e che è stata
fatta rifugiare in Francia in quanto lui, Giovanni, è un pentito di Cosa
Nostra. Così tutte le prospettive si capovolgono. I gesti quotidiani assumono
altri significati. Interessanti gli intarsi riproposti con i caratteri di
macchina da scrivere, quando Giovanni-Fred comincia a scrivere le sue memorie.
Ed altrettanto interessanti le descrizioni della quotidianità del crimine a New
York, ed il percorso (mai terminato, ad ora) di riflessione su sé stesso del
capofamiglia. Poteva essere un “Padrino”, è ora una persona che non può neanche
partecipare ad un dibattito sul cinema. E d’interesse anche i percorsi (più
quello di Wayne che quello di Belle) dei figli che forse non riusciranno a
perdonare mai al genitore di averli privati di una vita pubblica. Divertente è
poi il viaggio, scritto in puro stile di quella “Saga” che tanti premi gli
valse, del piccolo giornale di provincia che di mano in mano, casualmente,
parte da Cholong-sur-Avre ed arriva a New York, transitando per Bangkok e Los
Angeles. Certo, la parte finale, un po’ alla Manchette è come dire non
appiccicata ma forse troppo lunga per l’economia del romanzo. Ma in fondo, riflettendoci,
serve da catalizzatore alle azioni della famiglia ed a quelle del suo
protettore americano, Tom Quint (ma che di vero nome fa Tommaso Quintiliani,
sempre a significare quanto labile è il confine tra le leggi). La catarsi
avviene quando Giovanni-Fred cerca con mezzi legali di risolvere il problema
dell’acqua inquinata senza riuscirci e questo mette in crisi i suoi rapporti
con figli e moglie. Si sentono gli echi dell’amore giovanile di Tonino per la
serie televisiva “Gli intoccabili” e per il successivo omonimo film di Brian De
Palma. Insomma, qualche bello spunto, qualche punta di humour (da ricordo il
cambio di “senso” quando il mafioso italiano che mastica ma non parla americano
scambia il titolo dell’opera “Boris Gudunov” con “good enough”), ma senza
troppa convinzione. Qualche quiche in meno, ed un bel calvados normanno in più
non guastano.
“Il se foutait bien de
savoir si les mots qu’il frappait seraient lus un jour, si ses phrases lui
survivraient. [Non gli importava molto di sapere se le parole che
scriveva sarebbero state lette un giorno, né se le sue frasi gli sarebbero
sopravvissute.] ” (132)
Intermezzo rilassante e quasi
comico.
Daniel Pennac & Tonino Benacquista
“Lucky Luke contre Pinkerton” Lucky Comics euro 10
[in: 21/10/2010 – out: 08/11/2010]
Una
volta tanto torniamo ai miei amati fumetti. Qui non in veste di quelle “graphic
novel” come le ottime prodotte dalla mia amica Luana (e quelle che lei mi ha
fatto conoscere). Qui siamo più sul versante comico, su quello, per intenderci,
dell’insuperabile Asterix di Goscinny & Uderzo (ed un giorno sarebbe bello
tornarci sopra, in quella prima, insuperata edizione italiana delle avventure
del gallo, tradotto in italiano da Marcello Marchesi. Una pura chicca!). Sempre
di francesi parliamo (in questo eponimi, almeno come lingua, includendo qui
almeno i belgi di Tintin e poi anche Morris era belga) e delle avventure del
pistolero del West, quello che spara più veloce della sua ombra. Mi ricordo
ancora delle prime volte di cui ne lessi, addirittura sul famoso e ben datato
“Corrierino dei Piccoli” e sull’altrettanto famoso “Vittorioso” (quello che mi
fece conoscere le follie grafiche dei salamini di Jacovitti). E mi ricordo che
ad un certo punto ne rimasi un po’ deluso, quando le avventure dei fratelli
Dalton, i cattivissimi, sembrarono prevaricare la figura del cavaliere (e del
suo cavallo Jolly). Ora, il bravo disegnatore – inventore Morris è purtroppo
deceduto da quasi dieci anni (e comunque ricordiamo che per anni il suo
sceneggiatore fu proprio Goscinny). Altri hanno preso penne e matite con
fortune alterne. Da qualche storia mi si dice che la parte grafica è affidata a
Achdé, e direi (vedendo questa prova) che non fa rimpiangere l’originale,
aggiungendo un po’ di tocco moderno a storie che altrimenti sembrerebbero
ingessate nella memoria. Ma non è per questo che qui ne parlo. Ne parlo perché,
nell’opera di celebrazione di Morris, questa quarta uscita della nuova serie è
stata sceneggiata da due autori che amo particolarmente. L’uno quasi cinquantenne
d’origine palesemente italiana, il nostro buon Tonino Benacquista, che infonde
alla storia quei tocchi in parte “malavitosi”, ma con l’ironia ed il sarcasmo
della sua Saga migliore. Il rivolgimento che l’inasprimento delle leggi seguite
all’ascesa di Nat Pinkerton, con il conseguente folle sopraccarico delle
carceri, si attua tra arresti ridicoli, ma soprattutto sguardi di una comicità
irrefrenabile è da tenere per i momenti tristi (accanto alla partenza della
galea di Asterix per l’Egitto e la sua ciurma di stralunati finto-schiavi).
L’altro è invece il quasi settantenne di mista provenienza
(italo-franco-marocchina) tal Daniele Pennacchioni, meglio noto come Daniel
Pennac. Ed il suo tocco ironico, ma civile, nell’imbastire l’accoglienza
trionfale ma fino ad un certo punto (in fondo vi verrà assassinato) di Lincoln
a Baltimora è anch’esso da riporre nella memoria (accanto al the che bevono i
Britanni!). Il filo rosso della storia conduce il nostro Lucky Luke prima ad
una lotta contro Pinkerton che gli toglie il mestiere, poi ad una critica dei
metodi di schedatura di Pinkerton stesso (e qui i nostri due fanno vedere in
controluce i guasti dei nostri stati di poliziesca schedatura privata e
mediatica, lì dove appunto si disquisisce tra i dati di natura privata gestiti
da forze pubbliche e gli stessi messi in mano a privati. S’ode qualche riporto
a vicende d’oggi…). Non manca una critica al “pensionamento anticipato”, che di
grande attualità è nel panorama francofono attuale. Infine alla solita ma non
per questo scontata vittoria dei buoni. Un bel fumetto comico, di bella
fattura, di bella pensata, e di bella resa. Per questo lo inserisco con piacere
tra le letture. E tra quelle di ottimo livello (per il cuore e per la testa).
Per
un finale, invece, di nuovo con Malavita.
Tonino Benacquista “Malavita encore” Folio
euro 7,10
[in: 26/09/2010 – out: 09/12/2010]
Seconda
parte della saga dei “mafiosi pentiti”. Buona con riserva. Perché buona e
perché con riserva? Rispetto alla prima parte, di cui ho letto due mesi fa, i
personaggi maturano, ed in un certo senso prendo vita al di là dello stereotipo
di essere una famiglia in protezione da parte del Dipartimento di Stato. Fred
(ex-Giovanni Manzoni) continua a scrivere, anzi il suo lato scrittura diventa
più interessante (anche se compare meno in prima persona rispetto alla prima
parte). Ma è sempre lui, con i suoi dubbi tra l’aver fatto la cosa giusta,
avervi coinvolta la famiglia e la ricerca di bilanciare i lati “buoni” e
“cattivi” del carattere. Ma in contraltare migliorano i comprimari, che
acquistano dignità di “micro-racconti” nel flusso principale: la moglie Maggie,
con l’impresa artigianale di “Parmigiana di Melanzane” nell’XI arrondisment,
che si trova a lottare con i colossi del “Fast food” alla McDonald; la figlia
Belle, sempre più bella e che finalmente trova un amore soddisfacente e fa di
tutto (anche di più) per metterlo su buoni binari; il figlio Wayne ed il suo
desiderio di emanciparsi, andando a ritagliarsi un lavoro artigianale di
ebanisteria e l’amore per la bella Lena. E per ¾ del romanzo, tutto procede
così, intrecciandosi, svolgendosi, avvolgendosi, ed io lo guardavo un po’
“stravaccato” così come mi immaginavo lo guardasse il buon cane di famiglia, il
Malavita del titolo. La riserva è tutta nell’ultima parte. Nella fuga verso un
mondo senza controlli di Fred (ma dovrà fare i conti con gli ex-amici ancora in
libertà e con la sua coscienza). Nell’intiepidirsi delle melanzane. Ma
soprattutto nella mancanza di coraggio verso l’ultimo passo possibile nella
direzione trasparente, che fa risaltare in Wayne lo stesso lato double-face del
padre. Vogliamo dire che c’è in noi parti che vengono dai nostri genitori? Si
poteva dire meglio. Vogliamo lasciare porte aperte per una terza parte? Certo
fa sempre piacere continuare a vivere con i personaggi dei romanzi, ma la
bravura dello scrittore è lasciarci ad un certo punto e farne continuare la
vita nella nostra memoria. Altrimenti andiamo verso situazioni alla Beautiful,
o forse alla Friends per essere più buoni. Ma anche lì (i secondi diciamo) ad
un certo punto si fermano. Qui la fermata è piena di dubbi, e non vi dico quali
per lasciare la voglia, a chi l’avrà, di scoprirne anche se e quando verranno
riproposti in italiano (per ora non mi risulta che il buon Tonino sia molto
tradotto). Allora sedendomi alla tavola con Maggie per gustare la sua
“Parmesane” aspetto che Fred dia sue notizie. Ma preferisco il cibo.
“Pour vous, un type est a
priori bon jusqu’à ce qu’il se révèle mauvais. Pour moi, il est mauvais par
nature, jusqu’à ce qu’il me surprenne par un geste envers son prochain. [Per
te, una persona è a priori buona, sino a che non compie una malvagità. Per me,
le persone son cattive per loro indole, fino a che non vengo sorpreso da un loro
gesto verso il prossimo.] ” (170)
Ormai sapete tutti che l’India è
tramontata, vedendo però sorgere al suo posto l’idea di un Brasile, breve eppur
interessante. Speriamo che questa volta ci siano più adepti per un viaggio
post-carnascialesco alla ricerca delle radici di Amado. S’ha bisogno di
partire, e spero ci si riesca.
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