lunedì 30 aprile 2012

Una gialla risata italiana - 05 giugno 2011

Non è più il dì di festa, né odo augelli far festa. Passata è la tempesta? Parrebbe di sì, ed allora godiamoci qualche sorriso, niente di stravolgente, ma un onesto sorriso italiano, dipinto di giallo. Siamo sempre sul lato (più o meno) poliziesco. Siamo con alcuni amici autori italiani, e con le loro creature ricorrenti. Di quelle, appunto che ci strappano sorrisi. Il Gorilla di Sandrone alla sua prima storica apparizione, il “barrista” di Malvaldi, con gli anziani della Pineta a far da coro, ed un’altra prima, quella del commissario Santovito della bella coppia Guccini & Macchiavelli. Ognuno  con quel tanto (o poco, ma giusto) di ironia, a volte di spensieratezza, che ci consentono di affrontare il dopo la tempesta. Che, a volte, è più ingannevole del mare agitato.
Ma andiamo ad incominciare con il grande Gorilla.
Sandrone Dazieri “Attenti al gorilla” Repubblica Giallo euro 5,90
[in: 2004 – out: 28/01/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 1998]
Finalmente (ri-)leggo il primo episodio del Gorilla. Forse l’avevo letto a suo tempo, ma non sono riuscito a trovare il libro nelle mie Biblioteche. Allora, approfittando degli acquisti di mia madre di cui ho parlato, l'ho preso di nuovo in mano, e mi sono piacevolmente ritrovato con il buon vecchio Sandrone. E nonostante un po’ di anni passati, mi è di nuovo piaciuto. Innanzi tutto l’idea di base, di questa schizofrenia solidificata, di avere un doppio sé con cui vivere. Portandolo all’estremo. L’idea di base è, infatti, di una persona che non dorme mai, perché quando Sandrone dorme, si sveglia quello che chiama il Socio, l’altro sé, quello più forte, ed anche diverso nei gusti e negli atteggiamenti. Quello che, come dice prendendosi in giro, è il genio della famiglia. Dopo un po’ entriamo anche noi nel gioco e ci sembra normale. Anche perché le storie del Gorilla sono sempre viste dalla parte di Sandrone. A brandelli ricostruiamo la sua vita anteriore (papà morto giovane, mamma infermiera, difficoltà di rapporto con i “normali”) e con le scelte di una vita “in minore” ma non da buttare (riflesso della giovinezza dell’autore, tra Scienze Politiche, il Leoncavallo e l’impegno sociale). Il tutto calato nella storia gialla che non può mancare. Un punkabbestia ingiustamente accusato della morte della bella (e dalla giovinezza tormentata) Alice. E la nonna in carrozzella che non rinuncia a cercare la verità, ingaggiando il buon gorilla (e il Socio) nella ricerca della verità. Non facile, tra molti travisamenti. E soprattutto scomoda. Ma ci si arriverà. E Sandrone avrà il suo momento di gloria personale preferendo far vincere i sociali del Leoncavallo, dove ha sempre un po’ di resistenza nel coinvolgere la polizia. Ma la storia è quella che è (forse la parte meno forte del romanzo). Il meglio è il quotidiano di Sandrone, le persone che incontra (e di cui ci dà bei bozzetti, anche se veloci). E gli amici. Alex, l’Elefante, la bella Vale che ama più o meno ricambiato. Insomma, una bella banda che poi ho ritrovato negli altri episodi che ho letto. Ma rimane anche quella bella idea forte. Che il maestro di Aikido gli smaschera con la frase che riporto, e che ci fa riflettere sul nostro essere complessi, e sulla necessità di accettarci per intero. Solo così, possiamo rimettere al loro posto anche le parti peggiori di noi. Come diceva la mia mentore, non per cambiarci, non credo sia possibile, ma per conoscerci. E conoscendoci sapere le maschere che stiamo usando, ed avere la capacità di togliere quando serve. Vero Socio?
“Cercavo di decidere quale ricordo avrei voluto conservare … Duecento chilometri con il treno, il viaggio era stata per me la parte più bella della vacanza … Guardavo dal finestrino i paesaggi di quella giornata di sole e le tenevo una mano sulla gamba, ascoltandola dormire. Mi sentivo in pace con il mondo, non mi capita mai.” (138)
“Solo gli sciocchi non hanno paura, e tu non sei sciocco.” (142)
“Tutti abbiamo qualcosa che non funziona e che non ci piace. Non si combatte quello che non si può cambiare. … In aikido tutto è equilibrio, perché l’universo è equilibrio. Le energie del nostro corpo sono equilibrio, bene e male sono equilibrio. Se ti accetterai, anche quello che non ti piace troverà il suo posto.” (142)
Spostiamoci in Toscana, in quei lembi di terra, fra spiaggia e monte, per incontrar di nuovo il “Barrista” del barLume.
Marco Malvaldi “Il re dei giochi” Sellerio euro 13
[in: 17/07/2010 – out: 01/02/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2010]
Ed ecco, mentre si annuncia l’uscita di un altro romanzo di Malvaldi (ma sarà sempre in Pineta?), la terza storia di Massimo il “barrista” del barLume in Pineta di Pia. Una lettura gradevole, rilassante, con spunti carini e momenti quasi comici. Tra l’altro (ed è strano per me) mi sono trovato in sintonia anche con i risvolti di copertina (che solitamente sono bersaglio dei miei strali). Malvaldi ha aggiustato il tiro e dopo un esordio gradevolissimo ed un secondo episodio con molti punti negativi, qui ci fa immergere nell’atmosfera del litorale toscano, in un tipico spaccato italico esemplificato dai “vecchietti” del bar. Ed ha imbastito una storia su tre registri diversi ma questa volta ben oleati. La farsa comica dell’ininterrotto discorrere dei quattro vecchietti del bar (Ampelio il nonno, Aldo l’intellettuale, il Rimediotti pensionato di destra e il Del Tacca, quello del comune) che dall’ombra dell’unico albero del bar, si sono spostati nella sala dove campeggia il biliardo nuovo (appunto il re dei giochi). La commedia d’ambiente dove troviamo tutti gli ingredienti per farci vivere qualche mese a Pineta: i quattro di cui sopra, il deuteragonista Massimo, la prosperosa ed in via di matrimonio commessa Tiziana, il commissario Fusco; tutti attesi alle loro quotidianità e normalità, con le discussioni infinite ed intrecciate sulla politica, sul ciclismo, sull’etica del comportamento di un addetto del bar, e così via. Il giallo deduttivo, quello dove si ragiona sui fatti, sugli antefatti e sulle conseguenze. E dove si arriva alle conclusioni, logiche e forse anche un po’ facilmente prevedibili, ma tuttavia non banali. E, ma questo è piacere mio personale, ritrovare le elucubrazioni di Massimo, matematico di formazione e curioso di indole, tra qualche accenno (lieve questa volta) di interpretazioni logiche e di uso quotidiano della matematica (soprattutto delle probabilità, che sono una bestia da prendere con le molle, e fortemente ingannatrici per chi non è cauto). Il tranquillo scorrere della vita a Pineta, è terremotato dalla morte di un ragazzo in un incidente stradale e di sua madre, ricoverata in coma dopo l’incidente ma poi morta di un’embolia indotta. E tale madre era la segretaria di un politico del luogo, in corsa per le elezioni (per la sinistra). Elezioni cui partecipa anche (per la destra) il primario dell’ospedale dove muore la segretaria. Ed a capo della struttura ospedaliera c’è la moglie del politico di sinistra. E pare che la segretaria sia anche l’amante di detto politico. E sembra che a suo tempo sia stata diseredata dal marito con un testamento depositato presso un notaio, che si presenta alle elezioni per una minor formazione liberale. Su questo intreccio gialletto, capite anche voi che le “chiacchiere da bar” partono e si fomentano l’un l’altra, alimentate dallo strano comportamento del fratello della morta, padre francescano simpatico e pre-missionario. Massimo è l’unico che sembra mantenere un filo di logica in tutto ciò. E sarà la sua logica a risolvere il problema deduttivo di cui sopra. Detto il bello e l’intrigante, questa volta (rispetto alle precedenti) è mancato un po’ di “riso senza pensieri”. Sì, alcune situazioni e dialoghi hanno mosso il comico che è in me. Ma niente rispetto alle grasse risate della ricerca del parcheggio nel precedente romanzo. Tuttavia va bene così. Bravo Marco, auguri per la nascita del figlio Leonardo. Che non sembra averlo fermato nello scrivere. Speriamo di godere ancora un po’ di scene come la cascata del gelato sul tappeto del biliardo o il rifiuto di servire un cappuccino al pomeriggio, che il cappuccino si prende la mattina, al massimo fino alle 11.
“La tua libertà finisce dove inizia quella degli altri.” (117)
“Non capisco cosa ci sia di vergognoso nello sbagliarsi. Sbagliare è umano. Un esperto è uno che ha fatto tutti gli errori possibili nel suo campo, e se li ricorda tutti uno per uno. Sbagliando si cresce. Perché allora uno ammette di potersi sbagliare quando fa un dolce, e crede di essere infallibile quando giudica le azioni degli esseri umani?” (121)
E terminiamo spostandoci un po’ a Nord, tra la coppia bolognese e le avventure in Appennino.
Francesco Guccini & Loriano Macchiavelli “Macaronì: romanzo di santi e delinquenti” Mondadori euro 9
[in: 01/10/2010 – out: 11/03/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 1997]
La prima puntata della saga ambientata nell’Appennino Emiliano, dove vediamo muovere i primi passi del maresciallo Santovito (di cui abbiamo già parlato in altre puntate della storia, dal disco dei Platters a Tango ed altri briganti, mancando ora solo la storia di Spirito). Intanto, un saluto reverendissimo ai due autori. Il Guccini delle canzoni l’ho sempre seguito con attenzione (il mio secondo disco in vinile fu FolkBeat n.1), mentre quello delle lettere mi ha dato alti e bassi. Non ho ben digerito le sue Croniche ed altri dialettismi, mentre ho sempre letto con piacere i suoi sforzi a quattro mani con il grande Loriano. E Macchiavelli non lo discuto, lo metto lì, tra i miei padri putativi delle storie sull’Italia che va avanti (purtroppo solo nel tempo). Quindi ho sempre cercato di non perdere le loro storie. Questa, invece, l’avevo tralasciata. Ora recuperata, mi è sembrata una buona prova. Certo, alcune cose già si sanno. Alcuni personaggi ritorneranno più avanti nel tempo, quindi non danno “stupore”. Ma il loro modo di costruire questo micro-cosmo delle montagne a cavallo tra Emilia e Toscana, mi piacque e mi è piaciuto. Così come l’umanità del maresciallo trasferito dalla natia Campania in punizione in questo posto di montanari, che deve imparare a conoscere, dove deve apprendere ad andare sotto le apparenze. Poi, negli altri libri, sapremmo i perché di questa punizione. Come capiremo meglio chi sia la Contessa della Mezzacosta. Ma anche Blèblè della Ca’ Rossa, o l’osteria della Serafina. E ancora, e ancora, tutti i personaggi, piccoli e grandi che si chiudono a riccio se qualche forestiero cerca di penetrare i loro modi di vita. Soprattutto se cerca di sconvolgerli dall’esterno, senza entrarci. Ma Santovito, no. Lui si siede al tavolo vicino alla stufa, beve il buon vino rosso, ed intraprende lunghe partite a tresette e briscola, nella migliore tradizione paesana. La parte centrale della storia, poi, si colloca tra il ’38 ed il ’40, e quindi non possono mancare le critiche del regime (allora come di adesso, e come sarà poi di prima, quando si parlerà dei briganti di fine ‘800). Ma fatte sempre con il piglio legalitario: non si prende in giro per il gusto dello sberleffo, ma perché c’è una legge (ed una Costituzione!) da difendere. Come in altre loro storie, si va sempre un po’ su e giù sull’onda del tempo, ricostruendo le vicende attuali sul filo delle vicende antiche. Che nulla si dimentica. E per risolvere i problemi dell’oggi, bisogna sciogliere i nodi dell’allora. E così, pian piano che si accumulano i morti in paese (ed alla fine saranno ben quattro, almeno), si parla con Nasone e con Tripoli, con la Stiria e con Cutigno, ed alla fine (anche se un po’ facilmente) si arriva al bandolo. Che come sempre nelle storie del duo non è un bandolo facile a sciogliere, che qualche motivo poi ci sarebbe, ma…  Due soli punti mi hanno lasciato perplesso (motivo quindi di un voto mediano al romanzo). A che punto della sua vicenda personale Ciarèin da buono e disponibile, diventa poco affidabile? E perché muore Don Quinto? Forse mi son distratto, ma non ho capito questi due passaggi. Per il resto, con il 25 a bastoni quarto si batte o no, maresciallo?
E dopo alcuni bei giorni di sole, questa settimana si annuncia con un dì di pioggia. Ma passerà che già vediamo nel cielo delle macchie d’azzurro e di blu.

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