Non è più il dì di festa, né odo
augelli far festa. Passata è la tempesta? Parrebbe di sì, ed allora godiamoci
qualche sorriso, niente di stravolgente, ma un onesto sorriso italiano, dipinto
di giallo. Siamo sempre sul lato (più o meno) poliziesco. Siamo con alcuni
amici autori italiani, e con le loro creature ricorrenti. Di quelle, appunto
che ci strappano sorrisi. Il Gorilla di Sandrone alla sua prima storica
apparizione, il “barrista” di Malvaldi, con gli anziani della Pineta a far da
coro, ed un’altra prima, quella del commissario Santovito della bella coppia
Guccini & Macchiavelli. Ognuno con
quel tanto (o poco, ma giusto) di ironia, a volte di spensieratezza, che ci
consentono di affrontare il dopo la tempesta. Che, a volte, è più ingannevole
del mare agitato.
Ma andiamo ad incominciare con il
grande Gorilla.
Sandrone Dazieri “Attenti al gorilla” Repubblica Giallo euro 5,90
[in: 2004 – out: 28/01/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 1998]
Finalmente (ri-)leggo il primo
episodio del Gorilla. Forse l’avevo letto a suo tempo, ma non sono riuscito a
trovare il libro nelle mie Biblioteche. Allora, approfittando degli acquisti di
mia madre di cui ho parlato, l'ho preso di nuovo in mano, e mi sono
piacevolmente ritrovato con il buon vecchio Sandrone. E nonostante un po’ di
anni passati, mi è di nuovo piaciuto. Innanzi tutto l’idea di base, di questa
schizofrenia solidificata, di avere un doppio sé con cui vivere. Portandolo
all’estremo. L’idea di base è, infatti, di una persona che non dorme mai, perché
quando Sandrone dorme, si sveglia quello che chiama il Socio, l’altro sé,
quello più forte, ed anche diverso nei gusti e negli atteggiamenti. Quello che,
come dice prendendosi in giro, è il genio della famiglia. Dopo un po’ entriamo
anche noi nel gioco e ci sembra normale. Anche perché le storie del Gorilla
sono sempre viste dalla parte di Sandrone. A brandelli ricostruiamo la sua vita
anteriore (papà morto giovane, mamma infermiera, difficoltà di rapporto con i
“normali”) e con le scelte di una vita “in minore” ma non da buttare (riflesso
della giovinezza dell’autore, tra Scienze Politiche, il Leoncavallo e l’impegno
sociale). Il tutto calato nella storia gialla che non può mancare. Un
punkabbestia ingiustamente accusato della morte della bella (e dalla giovinezza
tormentata) Alice. E la nonna in carrozzella che non rinuncia a cercare la
verità, ingaggiando il buon gorilla (e il Socio) nella ricerca della verità.
Non facile, tra molti travisamenti. E soprattutto scomoda. Ma ci si arriverà. E
Sandrone avrà il suo momento di gloria personale preferendo far vincere i
sociali del Leoncavallo, dove ha sempre un po’ di resistenza nel coinvolgere la
polizia. Ma la storia è quella che è (forse la parte meno forte del romanzo).
Il meglio è il quotidiano di Sandrone, le persone che incontra (e di cui ci dà
bei bozzetti, anche se veloci). E gli amici. Alex, l’Elefante, la bella Vale
che ama più o meno ricambiato. Insomma, una bella banda che poi ho ritrovato
negli altri episodi che ho letto. Ma rimane anche quella bella idea forte. Che
il maestro di Aikido gli smaschera con la frase che riporto, e che ci fa
riflettere sul nostro essere complessi, e sulla necessità di accettarci per
intero. Solo così, possiamo rimettere al loro posto anche le parti peggiori di
noi. Come diceva la mia mentore, non per cambiarci, non credo sia possibile, ma
per conoscerci. E conoscendoci sapere le maschere che stiamo usando, ed avere
la capacità di togliere quando serve. Vero Socio?
“Cercavo di decidere quale ricordo avrei voluto conservare … Duecento
chilometri con il treno, il viaggio era stata per me la parte più bella della
vacanza … Guardavo dal finestrino i paesaggi di quella giornata di sole e le
tenevo una mano sulla gamba, ascoltandola dormire. Mi sentivo in pace con il
mondo, non mi capita mai.” (138)
“Solo gli sciocchi non hanno paura, e tu non sei sciocco.” (142)
“Tutti abbiamo qualcosa che non funziona e che non ci piace. Non si
combatte quello che non si può cambiare. … In aikido tutto è equilibrio, perché
l’universo è equilibrio. Le energie del nostro corpo sono equilibrio, bene e
male sono equilibrio. Se ti accetterai, anche quello che non ti piace troverà
il suo posto.” (142)
Spostiamoci in Toscana, in quei
lembi di terra, fra spiaggia e monte, per incontrar di nuovo il “Barrista” del
barLume.
Marco Malvaldi “Il re dei giochi” Sellerio
euro 13
[in: 17/07/2010 – out: 01/02/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2010]
Ed
ecco, mentre si annuncia l’uscita di un altro romanzo di Malvaldi (ma sarà
sempre in Pineta?), la terza storia di Massimo il “barrista” del barLume in
Pineta di Pia. Una lettura gradevole, rilassante, con spunti carini e momenti
quasi comici. Tra l’altro (ed è strano per me) mi sono trovato in sintonia
anche con i risvolti di copertina (che solitamente sono bersaglio dei miei
strali). Malvaldi ha aggiustato il tiro e dopo un esordio gradevolissimo ed un
secondo episodio con molti punti negativi, qui ci fa immergere nell’atmosfera
del litorale toscano, in un tipico spaccato italico esemplificato dai
“vecchietti” del bar. Ed ha imbastito una storia su tre registri diversi ma
questa volta ben oleati. La farsa comica dell’ininterrotto discorrere dei
quattro vecchietti del bar (Ampelio il nonno, Aldo l’intellettuale, il Rimediotti
pensionato di destra e il Del Tacca, quello del comune) che dall’ombra
dell’unico albero del bar, si sono spostati nella sala dove campeggia il
biliardo nuovo (appunto il re dei giochi). La commedia d’ambiente dove troviamo
tutti gli ingredienti per farci vivere qualche mese a Pineta: i quattro di cui
sopra, il deuteragonista Massimo, la prosperosa ed in via di matrimonio
commessa Tiziana, il commissario Fusco; tutti attesi alle loro quotidianità e
normalità, con le discussioni infinite ed intrecciate sulla politica, sul
ciclismo, sull’etica del comportamento di un addetto del bar, e così via. Il
giallo deduttivo, quello dove si ragiona sui fatti, sugli antefatti e sulle
conseguenze. E dove si arriva alle conclusioni, logiche e forse anche un po’
facilmente prevedibili, ma tuttavia non banali. E, ma questo è piacere mio
personale, ritrovare le elucubrazioni di Massimo, matematico di formazione e
curioso di indole, tra qualche accenno (lieve questa volta) di interpretazioni
logiche e di uso quotidiano della matematica (soprattutto delle probabilità,
che sono una bestia da prendere con le molle, e fortemente ingannatrici per chi
non è cauto). Il tranquillo scorrere della vita a Pineta, è terremotato dalla
morte di un ragazzo in un incidente stradale e di sua madre, ricoverata in coma
dopo l’incidente ma poi morta di un’embolia indotta. E tale madre era la
segretaria di un politico del luogo, in corsa per le elezioni (per la
sinistra). Elezioni cui partecipa anche (per la destra) il primario
dell’ospedale dove muore la segretaria. Ed a capo della struttura ospedaliera
c’è la moglie del politico di sinistra. E pare che la segretaria sia anche
l’amante di detto politico. E sembra che a suo tempo sia stata diseredata dal
marito con un testamento depositato presso un notaio, che si presenta alle
elezioni per una minor formazione liberale. Su questo intreccio gialletto,
capite anche voi che le “chiacchiere da bar” partono e si fomentano l’un
l’altra, alimentate dallo strano comportamento del fratello della morta, padre
francescano simpatico e pre-missionario. Massimo è l’unico che sembra mantenere
un filo di logica in tutto ciò. E sarà la sua logica a risolvere il problema
deduttivo di cui sopra. Detto il bello e l’intrigante, questa volta (rispetto
alle precedenti) è mancato un po’ di “riso senza pensieri”. Sì, alcune
situazioni e dialoghi hanno mosso il comico che è in me. Ma niente rispetto
alle grasse risate della ricerca del parcheggio nel precedente romanzo.
Tuttavia va bene così. Bravo Marco, auguri per la nascita del figlio Leonardo.
Che non sembra averlo fermato nello scrivere. Speriamo di godere ancora un po’
di scene come la cascata del gelato sul tappeto del biliardo o il rifiuto di
servire un cappuccino al pomeriggio, che il cappuccino si prende la mattina, al
massimo fino alle 11.
“La tua libertà finisce dove inizia quella degli altri.” (117)
“Non capisco cosa ci sia di vergognoso nello sbagliarsi. Sbagliare è
umano. Un esperto è uno che ha fatto tutti gli errori possibili nel suo campo,
e se li ricorda tutti uno per uno. Sbagliando si cresce. Perché allora uno
ammette di potersi sbagliare quando fa un dolce, e crede di essere infallibile
quando giudica le azioni degli esseri umani?” (121)
E terminiamo spostandoci un po’ a
Nord, tra la coppia bolognese e le avventure in Appennino.
Francesco Guccini & Loriano
Macchiavelli “Macaronì: romanzo di santi e delinquenti” Mondadori euro 9
[in: 01/10/2010 – out: 11/03/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 1997]
La prima puntata della saga
ambientata nell’Appennino Emiliano, dove vediamo muovere i primi passi del
maresciallo Santovito (di cui abbiamo già parlato in altre puntate della
storia, dal disco dei Platters a Tango ed altri briganti, mancando ora solo la
storia di Spirito). Intanto, un saluto reverendissimo ai due autori. Il Guccini
delle canzoni l’ho sempre seguito con attenzione (il mio secondo disco in
vinile fu FolkBeat n.1), mentre quello delle lettere mi ha dato alti e bassi.
Non ho ben digerito le sue Croniche ed altri dialettismi, mentre ho sempre
letto con piacere i suoi sforzi a quattro mani con il grande Loriano. E
Macchiavelli non lo discuto, lo metto lì, tra i miei padri putativi delle
storie sull’Italia che va avanti (purtroppo solo nel tempo). Quindi ho sempre
cercato di non perdere le loro storie. Questa, invece, l’avevo tralasciata. Ora
recuperata, mi è sembrata una buona prova. Certo, alcune cose già si sanno.
Alcuni personaggi ritorneranno più avanti nel tempo, quindi non danno
“stupore”. Ma il loro modo di costruire questo micro-cosmo delle montagne a
cavallo tra Emilia e Toscana, mi piacque e mi è piaciuto. Così come l’umanità
del maresciallo trasferito dalla natia Campania in punizione in questo posto di
montanari, che deve imparare a conoscere, dove deve apprendere ad andare sotto
le apparenze. Poi, negli altri libri, sapremmo i perché di questa punizione.
Come capiremo meglio chi sia la Contessa della Mezzacosta. Ma anche Blèblè
della Ca’ Rossa, o l’osteria della Serafina. E ancora, e ancora, tutti i
personaggi, piccoli e grandi che si chiudono a riccio se qualche forestiero
cerca di penetrare i loro modi di vita. Soprattutto se cerca di sconvolgerli
dall’esterno, senza entrarci. Ma Santovito, no. Lui si siede al tavolo vicino
alla stufa, beve il buon vino rosso, ed intraprende lunghe partite a tresette e
briscola, nella migliore tradizione paesana. La parte centrale della storia,
poi, si colloca tra il ’38 ed il ’40, e quindi non possono mancare le critiche
del regime (allora come di adesso, e come sarà poi di prima, quando si parlerà
dei briganti di fine ‘800). Ma fatte sempre con il piglio legalitario: non si
prende in giro per il gusto dello sberleffo, ma perché c’è una legge (ed una
Costituzione!) da difendere. Come in altre loro storie, si va sempre un po’ su
e giù sull’onda del tempo, ricostruendo le vicende attuali sul filo delle
vicende antiche. Che nulla si dimentica. E per risolvere i problemi dell’oggi,
bisogna sciogliere i nodi dell’allora. E così, pian piano che si accumulano i
morti in paese (ed alla fine saranno ben quattro, almeno), si parla con Nasone
e con Tripoli, con la Stiria e con Cutigno, ed alla fine (anche se un po’
facilmente) si arriva al bandolo. Che come sempre nelle storie del duo non è un
bandolo facile a sciogliere, che qualche motivo poi ci sarebbe, ma… Due soli punti mi hanno lasciato perplesso
(motivo quindi di un voto mediano al romanzo). A che punto della sua vicenda
personale Ciarèin da buono e disponibile, diventa poco affidabile? E perché
muore Don Quinto? Forse mi son distratto, ma non ho capito questi due passaggi.
Per il resto, con il 25 a bastoni quarto si batte o no, maresciallo?
E dopo alcuni bei giorni di sole,
questa settimana si annuncia con un dì di pioggia. Ma passerà che già vediamo
nel cielo delle macchie d’azzurro e di blu.
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