venerdì 13 aprile 2012

Monsieur Schmitt… - 06 febbraio 2011

Il ciclo dell’invisibile e qualcos’altro. Questa settimana torniamo ad occuparci di Éric-Emmanuel Schmitt e dei suoi scritti, con alti e bassi, ma sempre con qualche stimolo. Ricordo che la mia passione per il cinquantenne alsaziano nasce da quel piccolo gioiellino teatrale sugli equivoci coniugali (dove la parte di lei era recitata dicono le cronache da una stupenda Charlotte Rampling). E prosegue con il bellissimo film onorato dalla stupenda interpretazione di Omar Sharif su Monsieur Ibrahim. Qui si affrontano altri capitoli del ciclo dell’invisibile, entrambi non all’altezza di quello sul Corano, il primo (e più ostico) sul buddismo tibetano e l’ultimo sul cristianesimo. In mezzo, di ben più alto apprezzamento, anche se di più difficile lettura, una visione della passione di Cristo con gli occhi di Pilato. E comunque, si tornerà ancora su questo scrittore.
Éric-Emmanuel Schmitt “Milarepa” Magnard euro 5,53
[in: 26/09/2010 – out: 27/09/2010]
Preso a Bruxelles durante il Convegno, e letto alla Brasserie “à la morte subite”. Non alle punte più alte del mio ormai amato Schmitt, ma con alcuni spunti interessanti. Se non altro perché è l’inizio del “Ciclo dell’invisibile”, una serie di romanzi che ha scritto sulle religioni, di cui ho già parlato per Monsieur Ibrahim e per Il bambino di Noè. Ora manca da leggere solo “Oscar et la Dame Rose” per chiudere il ciclo. Dal punto di vista interno, non l’ho trovato coinvolgente come altri, per due ragioni correlate: da un lato è una trasposizione quasi “parola per parola” della vita di Milarepa (certo con delle differenze su cui tornerò) per cui sembra rimandare poca inventiva, dall’altra, tra le religioni monoteiste, il buddhismo è forse quella che riesco meno ad interpretare, che riesco meno a “sentire”, e quindi anche i risvolti (interessanti e colti) che se ne potrebbero trarre, così come gli eventuali insegnamenti, mi rimangono forse troppo esterni. Ma un’invenzione letteraria c’è, questo presente attuale di una possibile reincarnazione non di Milarepa (troppo facile) ma dello zio cattivo che tanto aveva angariato Mila da giovane. E questo ondeggiare tra il presente parigino e le sue realtà ed il passato tibetano sognato – immaginato è forse tra gli elementi di maggior interesse per me. Sono i caffè (o meglio i Bistrot), sono le donne che spariscono, sono gli amici increduli che danno un sostegno all’esile trama, tutta basata sulla realtà di Mila (personaggio reale vissuto intorno all’anno 1000). Certo uno dei temi forti delle successive prove, qui comincia ad essere presente: il problema del rispetto dell’altro. I guai di Mila giovane sono l’assenza del senso del rispetto. La “gloria” di Mila maturo è l’introiezione del rispetto come prassi quotidiana. E dal rispetto al dono di qualcosa di sé all’altro il passo è breve. E Mila dona, dona pace e serenità, soprattutto con il canto che poi sarà uno degli elementi maggiori dell’insegnamento che ce ne viene tramandato. Anche qui, il tutto nasce dal rapporto con il grande attore Bruno Abraham-Kremer (che ricordo interpretò anche Ibrahim a teatro in un lungo monologo apprezzatissimo al festival di Avignone) ed anche qui il corredo didattico è uno dei punti forti. Il testo in sé è, infatti, anche più breve di Ibrahim, ma il corredo interpretativo (pur semplificato per la scuola, ma si ritorna a dire, quanto sia importante avere una scuola che utilizzi siffatti testi) è ben coinvolgente. A noi attenti lettori, porta quanto meno in giro ad interrogarci sull’incipit, sui tempi narrativi, sull’uso della prima persona, sulla presenza/assenza del narratore. Beh già così ce ne sarebbe d’avanzo. Fino a quel finale dove si aspetta di sapere se lo zio cattivo si reincarnerà ancora, e come, e quando. Fino a farci desiderare di sapere il dopo, di tutta una narrazione basata sul filo del desiderio (di vendetta, di riscatto, di purificazione, di diventare discepolo, di… di… di…) e farci arrivare a ragionare che il principio primo del buddhismo è che solo cessando di desiderare si riuscirà ad essere felici. Pensiamoci su…
“Je ne pense pas, je raconte.” [Io non penso, io racconto.] (19)
« La différence entre toi et moi, c’est que moi, je vois les illusions » [La differenza tra noi due è che io, le illusioni, le vedo.] (30)
« Les dictionnaires n’expliquent bien que les mots qu’on connaît déjà » [I dizionari spiegano solo le parole che già conosciamo.] (71)
Eric-Emmanuel Schmitt « L’évangile selon Pilate » Le livre de Poche euro 6,15
[in: 13/02/2010 – out: 24/10/2010]
Ritorno al buon giudizio di fondo del mio alsaziano. E prima di entrare nel libro, inizio dall’intensa appendice “Diario di un romanzo rubato”, che non solo serve a capire meglio la genesi del libro, ma anche a riportarmi ad altri furti. Dopo 7 anni di ricerche e scritture ha quasi terminato il libro, quando gli rubano il PC con i salvataggi e tutto. Dopo un comprensibile scoramento, decide di ri-scriverlo quasi di getto (qualche mese) ed è questa riscrittura che pubblica e che ho appena finito di leggere. L’anno dopo trova uno scordato back-up: può confrontarlo, studiarlo o altro, invece decide di distruggere i dischi, perché il Vangelo di Pilato è ormai quello che ha pubblicato, anche per il suo cuore. Il libro si divide in due parti distinte: nella prima parla Yéchoua aspettando di essere arrestato e ripercorre la sua storia dal suo punto di vista, con tutti i dubbi che lo hanno attanagliato nel corso degli anni. I rapporti con i genitori, con gli altri, il suo chiedersi se sia o meno il Messia, fino al suo intenso rapporto di amicizia con il discepolo più amato, di cui nei Vangeli canonici non viene mai detto il nome, ma che Schmitt fittivamente identifica con Yehoudah. Nella seconda parte invece, diventa centrale (perché parla anche qui in prima persona) la figura poco storicamente provata, ma indubbiamente certa di Pilato. E Pilato comincia a narrare dalla sparizione misteriosa del corpo del crocifisso. Comincia così una ricerca “poliziesca” della soluzione del mistero. Ricerca che ci fa calare nell’atmosfera di Gerusalemme, nei suoi complotti, tra le diverse tribù ebraiche, Caifa, gli interventi (bellissimi) di Myriam di Magdala ed anche (questo molto inventato) di una pentita Salomè. Nonché la figura della molta amata moglie Claudia e di tutti quelli che conoscevano Yéchoua e che si convertono o continuano il loro credo nel Cristo. Non ritroveremo mai di persona il Risorto, e la domanda su dove sei, si trasfigura prima nel problema di cosa sia successo, e poi nel mistero della Resurrezione. Forse si incarta un po’ sul finale, che risulta (anche se vibrante) meno intenso del resto. Ma ho trovato bellissime pagine sulla vita com’era e sugli interrogativi che ci si poneva. Sulla domanda – ricerca di capire la storia quando la stiamo vivendo. E sulla forza e la determinazione di una scelta che capiamo maturata (rivelata?) nel corso degli avvenimenti stessi. Ma che non poteva che essere quella. Le pagine sui dubbi che assillano di volta in volta Pilato sono molto interessanti. Insomma, uno strano libro, che ho letto con piacere, e con piacere consiglio (purtroppo non so se sia già disponibile anche in italiano).
“Grandir fut une chute. … Qu’est-ce qu’un homme? Simplement quelqu’un-qui-ne-peut-pas… Qui-ne-peut-pas tout savoir. Qui-ne-peut-pas tout faire. Qui-ne-peut-pas ne pas mourir » [Crescere è stata una caduta. ... Che cos’è un uomo? Solo qualcuno-che-non-può… Che-non-può sapere tutto. Che-non-può fare tutto. Che-non-può non morire.] (15)
« C’est la seule chose que nous apprend la mort: qu’il est urgent d’aimer” [E l'unica cosa che ci insegna la morte: è urgente amare.] (29)
 « Ma plus grande et belle fierté sur cette terre est sans doute d’avoir, un jour, convaincu ma mère. » [Il mio orgoglio più grande e più bello su questa terra è senza dubbio di avere, un giorno, convinto mia madre.] (67)
« On ne voit jamais les autres tels qu’ils sont. On n’en a que des visions partielles, tronquées, à travers les intérêts du moment » [Non si vedono mai gli altri come sono. Ne abbiamo solo visioni parziali, tronche, a seconda degli interessi del momento.] (232)
« Douter et croire sont la même chose, Pilate. Seule l’indifférence est athée » [Dubitare e credere sono la stessa cosa, Pilato. Solo l'indifferenza è atea.] (236)
« Qu’est-ce qu’un mystère ? Tout autre chose qu’un problème ou une question. Une question est une demande d’information qui reçoit une réponse. Exemple : en quelle année fut publiée La Princesse de Clèves ? Réponse : en 1678. Un problème est une question qui peut recevoir plusieurs réponses. Exemple : la vie a-t-elle un sens ? Il y a de multiples réponses à ce problème, aucune n’est une solution, aucune ne clôt le problème, aucune ne peut prétendre à devenir plus qu’une réponse parmi d’autres. Un mystère est un problème qui fait exploser le cadre rationnel, qui mine la façon même de poser les questions, épuise la rationalité. Les deux piliers du christianisme sont deux mystères : l’Incarnation et la Résurrection » [Che cos’è un mistero? Tutt'altra cosa da un problema o una domanda. Una domanda è una richiesta di informazione che riceve una di risposta. Esempio: In che anno è stato pubblicato “La Principessa di Clèves”? Risposta: nel 1678. Un problema è una domanda che può ricevere diverse risposte. Esempio: Ha un senso la vita? Ci sono risposte molteplici a questo problema, nessuna ci da una soluzione, nessuna chiude la questione, nessuno può pretendere di essere qualcosa di diverso di una risposta tra le altre. Un mistero è un problema che fa esplodere il quadro razionale, che mina il modo stesso di fare domande, sgonfia la razionalità. I due pilastri del Cristianesimo sono due misteri: l'Incarnazione e la Resurrezione.] (263)
Éric-Emmanuel Schmitt « Oscar et la dame rose » Magnard euro 5,53
[in: 21/10/2010 – out: 15/11/2010]
Così finisce il « Ciclo dell’invisibile ». Anche questo preso all’inesauribile FNAC di Bruxelles, ed anche questo nell’utile collana didattica (come gli altri due) per le scuole. Che propone testi integrali, corredati da note ed ausili di lettura che forse sarebbe bene fossero noti dalle nostre Gelmini! Ma vienamo al testo. Semplice, difficile, spiazzante. Semplice, perché è un bambino, Oscar appunto, che parla in prima persona. Anzi più che parlare scrive lettere. Nello stile semplice che può avere un ragazzino, con tesi immediate e frasi che vanno nei problemi. Difficile perché Oscar è un bambino malato. E scrive dall’ospedale dopo un’operazione (non riuscita) di trapianto di midollo. È un bambino quindi che sta morendo. Spiazzante perché si rivolge a Dio, un Dio che nella sua bimbosità non riesce ad inquadrare. Un Dio che non deriva dalle corde della sua laica famiglia, ma dalla dama rosa. La dolce Mamie-Rose che fa volontariato negli ospedali pediatrici. E di fronte al blocco di Oscar verso il mondo, gli dona questo filo di speranza. Parlare, rivolgersi a qualcuno. E lettera dopo lettera, entriamo nella mente di Oscar, nel salto qualitativo che fa ad un certo punto, accettando la malattia, e soprattutto la morte. Noi, con la nostra cultura, con la nostra conoscenza del mondo, ci fermiamo davanti all’idea della morte. Un bambino riesce ad accettarla nel momento che la comprende inserita nel suo mondo ancora fatto di poche ed elementari cose. Riesce (mi scuso del bisticcio) a viverla. Noi no. O almeno, io lo seguivo parlare, capendolo, ma non “vivendolo”. D’altra parte è faticoso accettare la morte di chiunque. Figuriamoci di un bimbo. E quanti noi più o meno genitori non sono stati trafitti dall’idea – paura della morte di un figlio. Qui Oscar ci fa attraversare tutti gli stadi di questa paura. La malattia, la sofferenza, il rapporto con gli altri. Come si fa ad avere il coraggio di affrontare un figlio che muore? Ma Oscar è lì che mette il dito della piaga. Capisce che morirà, ma non capisce perché la madre, il dottore, non ne parlano. Forse mi vogliono meno bene perché sto morendo? Che domanda angosciosa. Ma in questo esternare, tirar fuori le parole verso un altro fuori da sé, poi arriva il mistero. Non dico della fede, ma del passaggio ad altro. Oscar, che per tutte le lettere dice di non capire chi è questo Dio (e non sa a che indirizzo inviarle), fa un salto verso “altro”, un mattino vedendo sorgere un’alba che a poco a poco colora il mondo (e rimanda al salto interiore di Schmitt verso un qualcosa d’altro, avvenuto appunto un alba vedendo sorgere il sole nel deserto del Sahara…). Non è complessivamente un bel libro. Interessante certo. E pervaso dall’humour dello Schmitt migliore (per me sempre quello di Monsieur Ibrahim) con i fantomatici incontri di lotta libera tra donne che si inventa Mamie-Rose per rallegrare Oscar. E visto che ne parlo a lungo, anche pieno di punti interrogativi. Alla scrittura manca qualcosa (forse didascalica?), ma al pathos non manca nulla. E non manca di lasciar sospesi nel fondo della mente quegli interrogativi stavo per dire religiosi, ma non è così, verrebbe meglio dire filosofici. Chi siamo? Cosa facciamo in questo breve lasso di tempo in cui abbiamo una coscienza presente da condividere? Come dice Schmitt, cerca di esprimere una saggezza, un tipo di saggezza, che possa aiutare a vivere (così come gli altri libri del ciclo). Ma non credo sia molto facile trovare una saggezza che aiuti a morire. Io, per ora, mi fermo al titolo di quello spettacolo (uno dei primi per me) della mia amica Rosa (“Invecchiare è l’unico modo per non morire”).
« Il faut distinguer deux peines, mon petit Oscar, la souffrance physique et la souffrance morale. La souffrance physique on la subit. La souffrance morale, on la choisit. » [Ci sono due tipi di sofferenze, mio piccolo Oscar, quella fisica e quella mentale. Il dolore fisico lo si subisce. Il dolore morale, lo scegliamo noi.] (52)
“Les questions les plus intéressantes restent des questions. Elles enveloppent un mystère. A chaque réponse, on doit joindre un ‘peut-être’. Il n’y a que les questions sans intérêt qui ont une réponse définitive … Moi, c’est- ce que je pense, Mamie-Rose, il n’y a pas de solution à la vie sinon vivre” [Le domande più interessanti, rimangono delle domande. Avvolgono un mistero. Ad ogni risposta, si deve aggiungere un 'forse'. Solo le domande banali hanno una risposta definitiva ... Io è quello che penso, Mamie-Rose, non c'è soluzione alla vita se non vivere] (72)
“Ce n’est pas la longueur d’une vie qui fait sa valeur mais sa qualité” [Non è la sua lunghezza che dà valore alla vita, ma la sua qualità.] (110)
Devo solo emendare l’affermazione di cui sopra. Pensavo che con Oscar finisse il ciclo, ma nel 2009 è uscito un nuovo capitolo sullo zen. Vedremo.
Poiché è la prima trama del mese di febbraio ecco anche la lista dei libri letti in novembre, senza punte eccelse, con una caduta libera, ma una media di gradimento superiore al 3.

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Vicki Baum
Grand Hotel
Sellerio
14
3
2
Amos Oz
Fima
Feltrinelli
8,50
4
3
Daniel Pennac & Tonino Benacquista
Lucky Luke contre Pinkerton
Lucky Comics
10
4
4
Fred Vargas
Un lieu incertain
J’ai lu
7,60
4
5
Martin Cruz Smith
Lupo mangia cane
Noir Repubblica
7,90
1
6
Maxence Fermine
Billard Blues
Le Livre de Poche
4,50
3
7
Éric-Emmanuel Schmitt
Oscar et la dame rose
Magnard
5,53
3
8
Marco Aime
Eccessi di cultura
Einaudi
10
4
9
Bruce Chatwin
Anatomia dell’irrequietezza
Adelphi
10
4
10
Irene Nemirovsky
Due
Adelphi
s.p.
3
11
Clive Cussler & Paul Kemprecos
Lo zar degli oceani
TEA
9,80
2
12
Giorgio Scerbanenco
Milano calibro 9
Garzanti
9,50
4
13
Jorge Amado
Il paese del carnevale
Garzanti
8,90
3

Sembra che le cose si rimettano in moto. Forse si parte per un viaggio. Forse si ricomincia a lavorare in maniera organica. Forse si mette un po’ d’ordine anche in casa. Vedremo.

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