Il ciclo dell’invisibile e
qualcos’altro. Questa settimana torniamo ad occuparci di Éric-Emmanuel Schmitt
e dei suoi scritti, con alti e bassi, ma sempre con qualche stimolo. Ricordo
che la mia passione per il cinquantenne alsaziano nasce da quel piccolo
gioiellino teatrale sugli equivoci coniugali (dove la parte di lei era recitata
dicono le cronache da una stupenda Charlotte Rampling). E prosegue con il
bellissimo film onorato dalla stupenda interpretazione di Omar Sharif su
Monsieur Ibrahim. Qui si affrontano altri capitoli del ciclo dell’invisibile,
entrambi non all’altezza di quello sul Corano, il primo (e più ostico) sul
buddismo tibetano e l’ultimo sul cristianesimo. In mezzo, di ben più alto
apprezzamento, anche se di più difficile lettura, una visione della passione di
Cristo con gli occhi di Pilato. E comunque, si tornerà ancora su questo
scrittore.
Éric-Emmanuel Schmitt “Milarepa” Magnard
euro 5,53
[in: 26/09/2010 – out: 27/09/2010]
Preso a Bruxelles durante il
Convegno, e letto alla Brasserie “à la morte subite”. Non alle punte più alte
del mio ormai amato Schmitt, ma con alcuni spunti interessanti. Se non altro
perché è l’inizio del “Ciclo dell’invisibile”, una serie di romanzi che ha
scritto sulle religioni, di cui ho già parlato per Monsieur Ibrahim e per Il
bambino di Noè. Ora manca da leggere solo “Oscar et la Dame Rose” per chiudere
il ciclo. Dal punto di vista interno, non l’ho trovato coinvolgente come altri,
per due ragioni correlate: da un lato è una trasposizione quasi “parola per
parola” della vita di Milarepa (certo con delle differenze su cui tornerò) per
cui sembra rimandare poca inventiva, dall’altra, tra le religioni monoteiste,
il buddhismo è forse quella che riesco meno ad interpretare, che riesco meno a
“sentire”, e quindi anche i risvolti (interessanti e colti) che se ne
potrebbero trarre, così come gli eventuali insegnamenti, mi rimangono forse
troppo esterni. Ma un’invenzione letteraria c’è, questo presente attuale di una
possibile reincarnazione non di Milarepa (troppo facile) ma dello zio cattivo
che tanto aveva angariato Mila da giovane. E questo ondeggiare tra il presente
parigino e le sue realtà ed il passato tibetano sognato – immaginato è forse
tra gli elementi di maggior interesse per me. Sono i caffè (o meglio i
Bistrot), sono le donne che spariscono, sono gli amici increduli che danno un
sostegno all’esile trama, tutta basata sulla realtà di Mila (personaggio reale
vissuto intorno all’anno 1000). Certo uno dei temi forti delle successive
prove, qui comincia ad essere presente: il problema del rispetto dell’altro. I
guai di Mila giovane sono l’assenza del senso del rispetto. La “gloria” di Mila
maturo è l’introiezione del rispetto come prassi quotidiana. E dal rispetto al
dono di qualcosa di sé all’altro il passo è breve. E Mila dona, dona pace e
serenità, soprattutto con il canto che poi sarà uno degli elementi maggiori dell’insegnamento
che ce ne viene tramandato. Anche qui, il tutto nasce dal rapporto con il
grande attore Bruno Abraham-Kremer (che ricordo interpretò anche Ibrahim a
teatro in un lungo monologo apprezzatissimo al festival di Avignone) ed anche
qui il corredo didattico è uno dei punti forti. Il testo in sé è, infatti,
anche più breve di Ibrahim, ma il corredo interpretativo (pur semplificato per
la scuola, ma si ritorna a dire, quanto sia importante avere una scuola che
utilizzi siffatti testi) è ben coinvolgente. A noi attenti lettori, porta
quanto meno in giro ad interrogarci sull’incipit, sui tempi narrativi, sull’uso
della prima persona, sulla presenza/assenza del narratore. Beh già così ce ne
sarebbe d’avanzo. Fino a quel finale dove si aspetta di sapere se lo zio
cattivo si reincarnerà ancora, e come, e quando. Fino a farci desiderare di
sapere il dopo, di tutta una narrazione basata sul filo del desiderio (di
vendetta, di riscatto, di purificazione, di diventare discepolo, di… di… di…) e
farci arrivare a ragionare che il principio primo del buddhismo è che solo
cessando di desiderare si riuscirà ad essere felici. Pensiamoci su…
“Je ne pense pas, je raconte.” [Io non penso, io racconto.] (19)
« La différence entre
toi et moi, c’est que moi, je vois les illusions » [La differenza tra noi
due è che io, le illusioni, le vedo.] (30)
« Les dictionnaires
n’expliquent bien que les mots qu’on connaît déjà » [I dizionari spiegano
solo le parole che già conosciamo.] (71)
Eric-Emmanuel Schmitt « L’évangile selon Pilate » Le livre de
Poche euro 6,15
[in: 13/02/2010 – out: 24/10/2010]
Ritorno
al buon giudizio di fondo del mio alsaziano. E prima di entrare nel libro,
inizio dall’intensa appendice “Diario di un romanzo rubato”, che non solo serve
a capire meglio la genesi del libro, ma anche a riportarmi ad altri furti. Dopo
7 anni di ricerche e scritture ha quasi terminato il libro, quando gli rubano
il PC con i salvataggi e tutto. Dopo un comprensibile scoramento, decide di
ri-scriverlo quasi di getto (qualche mese) ed è questa riscrittura che pubblica
e che ho appena finito di leggere. L’anno dopo trova uno scordato back-up: può
confrontarlo, studiarlo o altro, invece decide di distruggere i dischi, perché
il Vangelo di Pilato è ormai quello che ha pubblicato, anche per il suo cuore.
Il libro si divide in due parti distinte: nella prima parla Yéchoua aspettando
di essere arrestato e ripercorre la sua storia dal suo punto di vista, con
tutti i dubbi che lo hanno attanagliato nel corso degli anni. I rapporti con i
genitori, con gli altri, il suo chiedersi se sia o meno il Messia, fino al suo
intenso rapporto di amicizia con il discepolo più amato, di cui nei Vangeli
canonici non viene mai detto il nome, ma che Schmitt fittivamente identifica
con Yehoudah. Nella seconda parte invece, diventa centrale (perché parla anche
qui in prima persona) la figura poco storicamente provata, ma indubbiamente
certa di Pilato. E Pilato comincia a narrare dalla sparizione misteriosa del
corpo del crocifisso. Comincia così una ricerca “poliziesca” della soluzione
del mistero. Ricerca che ci fa calare nell’atmosfera di Gerusalemme, nei suoi
complotti, tra le diverse tribù ebraiche, Caifa, gli interventi (bellissimi) di
Myriam di Magdala ed anche (questo molto inventato) di una pentita Salomè.
Nonché la figura della molta amata moglie Claudia e di tutti quelli che
conoscevano Yéchoua e che si convertono o continuano il loro credo nel Cristo.
Non ritroveremo mai di persona il Risorto, e la domanda su dove sei, si
trasfigura prima nel problema di cosa sia successo, e poi nel mistero della
Resurrezione. Forse si incarta un po’ sul finale, che risulta (anche se
vibrante) meno intenso del resto. Ma ho trovato bellissime pagine sulla vita
com’era e sugli interrogativi che ci si poneva. Sulla domanda – ricerca di
capire la storia quando la stiamo vivendo. E sulla forza e la determinazione di
una scelta che capiamo maturata (rivelata?) nel corso degli avvenimenti stessi.
Ma che non poteva che essere quella. Le pagine sui dubbi che assillano di volta
in volta Pilato sono molto interessanti. Insomma, uno strano libro, che ho
letto con piacere, e con piacere consiglio (purtroppo non so se sia già
disponibile anche in italiano).
“Grandir fut une chute. …
Qu’est-ce qu’un homme? Simplement quelqu’un-qui-ne-peut-pas… Qui-ne-peut-pas
tout savoir. Qui-ne-peut-pas tout faire. Qui-ne-peut-pas ne pas
mourir » [Crescere è stata
una caduta. ... Che cos’è un uomo? Solo qualcuno-che-non-può…
Che-non-può sapere tutto. Che-non-può fare tutto. Che-non-può non morire.] (15)
« C’est la seule chose que nous apprend la mort: qu’il est urgent
d’aimer” [E l'unica cosa che ci insegna la
morte: è urgente amare.]
(29)
« Ma plus grande et belle fierté sur
cette terre est sans doute d’avoir, un jour, convaincu ma mère. » [Il mio orgoglio più grande e
più bello su questa terra è senza dubbio di avere, un giorno, convinto mia
madre.] (67)
« On ne voit jamais les
autres tels qu’ils sont. On n’en a que des visions partielles, tronquées, à
travers les intérêts du moment » [Non si vedono mai gli altri come
sono. Ne abbiamo solo visioni parziali, tronche, a seconda degli interessi
del momento.] (232)
« Douter et croire sont
la même chose, Pilate. Seule l’indifférence est athée » [Dubitare e credere sono la stessa cosa, Pilato. Solo
l'indifferenza è atea.] (236)
« Qu’est-ce qu’un
mystère ? Tout autre chose qu’un problème ou une question. Une question
est une demande d’information qui reçoit une réponse. Exemple : en quelle
année fut publiée La Princesse de Clèves ? Réponse : en 1678. Un
problème est une question qui peut recevoir plusieurs réponses. Exemple :
la vie a-t-elle un sens ? Il y a de multiples réponses à ce problème,
aucune n’est une solution, aucune ne clôt le problème, aucune ne peut prétendre
à devenir plus qu’une réponse parmi d’autres. Un mystère est un problème qui
fait exploser le cadre rationnel, qui mine la façon même de poser les
questions, épuise la rationalité. Les deux piliers du christianisme sont deux
mystères : l’Incarnation et la Résurrection » [Che cos’è
un mistero? Tutt'altra cosa da un problema o
una domanda. Una domanda è una richiesta di informazione che riceve una di
risposta. Esempio: In che anno è stato pubblicato “La Principessa di
Clèves”? Risposta: nel 1678. Un problema è una domanda che
può ricevere diverse risposte. Esempio: Ha un senso la vita? Ci sono risposte
molteplici a questo problema,
nessuna ci da una soluzione, nessuna chiude la questione, nessuno può
pretendere di essere qualcosa di diverso di una risposta tra le altre. Un mistero è un problema che fa
esplodere il quadro razionale, che mina il modo stesso di fare domande, sgonfia
la razionalità. I due pilastri del Cristianesimo sono due misteri: l'Incarnazione
e la Resurrezione.] (263)
Éric-Emmanuel Schmitt « Oscar et la dame rose » Magnard euro 5,53
[in: 21/10/2010 – out: 15/11/2010]
Così
finisce il « Ciclo dell’invisibile ». Anche questo preso all’inesauribile
FNAC di Bruxelles, ed anche questo nell’utile collana didattica (come gli altri
due) per le scuole. Che propone testi integrali, corredati da note ed ausili di
lettura che forse sarebbe bene fossero noti dalle nostre Gelmini! Ma vienamo al
testo. Semplice, difficile, spiazzante. Semplice, perché è un bambino, Oscar
appunto, che parla in prima persona. Anzi più che parlare scrive lettere. Nello
stile semplice che può avere un ragazzino, con tesi immediate e frasi che vanno
nei problemi. Difficile perché Oscar è un bambino malato. E scrive
dall’ospedale dopo un’operazione (non riuscita) di trapianto di midollo. È un
bambino quindi che sta morendo. Spiazzante perché si rivolge a Dio, un Dio che
nella sua bimbosità non riesce ad inquadrare. Un Dio che non deriva dalle corde
della sua laica famiglia, ma dalla dama rosa. La dolce Mamie-Rose che fa
volontariato negli ospedali pediatrici. E di fronte al blocco di Oscar verso il
mondo, gli dona questo filo di speranza. Parlare, rivolgersi a qualcuno. E lettera
dopo lettera, entriamo nella mente di Oscar, nel salto qualitativo che fa ad un
certo punto, accettando la malattia, e soprattutto la morte. Noi, con la nostra
cultura, con la nostra conoscenza del mondo, ci fermiamo davanti all’idea della
morte. Un bambino riesce ad accettarla nel momento che la comprende inserita
nel suo mondo ancora fatto di poche ed elementari cose. Riesce (mi scuso del
bisticcio) a viverla. Noi no. O almeno, io lo seguivo parlare, capendolo, ma
non “vivendolo”. D’altra parte è faticoso accettare la morte di chiunque.
Figuriamoci di un bimbo. E quanti noi più o meno genitori non sono stati
trafitti dall’idea – paura della morte di un figlio. Qui Oscar ci fa
attraversare tutti gli stadi di questa paura. La malattia, la sofferenza, il rapporto
con gli altri. Come si fa ad avere il coraggio di affrontare un figlio che
muore? Ma Oscar è lì che mette il dito della piaga. Capisce che morirà, ma non
capisce perché la madre, il dottore, non ne parlano. Forse mi vogliono meno
bene perché sto morendo? Che domanda angosciosa. Ma in questo esternare, tirar
fuori le parole verso un altro fuori da sé, poi arriva il mistero. Non dico
della fede, ma del passaggio ad altro. Oscar, che per tutte le lettere dice di
non capire chi è questo Dio (e non sa a che indirizzo inviarle), fa un salto
verso “altro”, un mattino vedendo sorgere un’alba che a poco a poco colora il
mondo (e rimanda al salto interiore di Schmitt verso un qualcosa d’altro,
avvenuto appunto un alba vedendo sorgere il sole nel deserto del Sahara…). Non
è complessivamente un bel libro. Interessante certo. E pervaso dall’humour
dello Schmitt migliore (per me sempre quello di Monsieur Ibrahim) con i
fantomatici incontri di lotta libera tra donne che si inventa Mamie-Rose per
rallegrare Oscar. E visto che ne parlo a lungo, anche pieno di punti
interrogativi. Alla scrittura manca qualcosa (forse didascalica?), ma al pathos
non manca nulla. E non manca di lasciar sospesi nel fondo della mente quegli
interrogativi stavo per dire religiosi, ma non è così, verrebbe meglio dire
filosofici. Chi siamo? Cosa facciamo in questo breve lasso di tempo in cui
abbiamo una coscienza presente da condividere? Come dice Schmitt, cerca di
esprimere una saggezza, un tipo di saggezza, che possa aiutare a vivere (così come
gli altri libri del ciclo). Ma non credo sia molto facile trovare una saggezza
che aiuti a morire. Io, per ora, mi fermo al titolo di quello spettacolo (uno
dei primi per me) della mia amica Rosa (“Invecchiare è l’unico modo per non
morire”).
« Il
faut distinguer deux peines, mon petit Oscar, la souffrance physique et la
souffrance morale. La souffrance physique on la subit. La souffrance morale, on
la choisit. » [Ci sono due tipi di sofferenze, mio piccolo Oscar, quella
fisica e quella mentale. Il dolore fisico lo si subisce. Il dolore morale, lo
scegliamo noi.] (52)
“Les
questions les plus intéressantes restent des questions. Elles enveloppent un
mystère. A chaque réponse, on doit joindre un ‘peut-être’. Il n’y a que les
questions sans intérêt qui ont une réponse définitive … Moi, c’est- ce que
je pense, Mamie-Rose, il n’y a pas de solution à la vie sinon vivre” [Le
domande più interessanti, rimangono delle domande. Avvolgono un mistero.
Ad ogni risposta, si deve aggiungere un 'forse'. Solo le domande banali hanno
una risposta definitiva ... Io è quello che penso, Mamie-Rose, non c'è
soluzione alla vita se non vivere] (72)
“Ce n’est pas la longueur d’une vie qui fait
sa valeur mais sa qualité” [Non è la sua lunghezza che dà valore alla vita, ma
la sua qualità.] (110)
Devo solo emendare l’affermazione
di cui sopra. Pensavo che con Oscar finisse il ciclo, ma nel 2009 è uscito un
nuovo capitolo sullo zen. Vedremo.
Poiché è la prima trama del mese
di febbraio ecco anche la lista dei libri letti in novembre, senza punte
eccelse, con una caduta libera, ma una media di gradimento superiore al 3.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Vicki Baum
|
Grand Hotel
|
Sellerio
|
14
|
3
|
2
|
Amos Oz
|
Fima
|
Feltrinelli
|
8,50
|
4
|
3
|
Daniel Pennac & Tonino
Benacquista
|
Lucky Luke contre Pinkerton
|
Lucky Comics
|
10
|
4
|
4
|
Fred Vargas
|
Un lieu incertain
|
J’ai lu
|
7,60
|
4
|
5
|
Martin Cruz Smith
|
Lupo mangia cane
|
Noir Repubblica
|
7,90
|
1
|
6
|
Maxence Fermine
|
Billard Blues
|
Le Livre de Poche
|
4,50
|
3
|
7
|
Éric-Emmanuel Schmitt
|
Oscar et la dame rose
|
Magnard
|
5,53
|
3
|
8
|
Marco Aime
|
Eccessi di cultura
|
Einaudi
|
10
|
4
|
9
|
Bruce
Chatwin
|
Anatomia
dell’irrequietezza
|
Adelphi
|
10
|
4
|
10
|
Irene Nemirovsky
|
Due
|
Adelphi
|
s.p.
|
3
|
11
|
Clive Cussler & Paul
Kemprecos
|
Lo zar degli oceani
|
TEA
|
9,80
|
2
|
12
|
Giorgio Scerbanenco
|
Milano calibro 9
|
Garzanti
|
9,50
|
4
|
13
|
Jorge Amado
|
Il paese del carnevale
|
Garzanti
|
8,90
|
3
|
Sembra che le cose si rimettano
in moto. Forse si parte per un viaggio. Forse si ricomincia a lavorare in
maniera organica. Forse si mette un po’ d’ordine anche in casa. Vedremo.
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