lunedì 18 giugno 2012

Amore ai nostri tempi/1 - 29 aprile 2012

Dedichiamo questa puntata di fine Aprile ad una delle tante iniziative editoriali di Repubblica. E ad una delle meno riuscite. Una serie uscita subito dopo l’estate 2011 è ribattezzata “L’amore ai nostri tempi”. Dovevano essere romanzi brevi che avrebbero messo in luce aspetti della vita di questo XXI secolo. Ebbene, la maggior parte degli inediti tocca (e non a casa) Internet e i Social Network. Ma in maniera molto stereotipata, senza molte idee nuove, e senza illuminarci sulla loro influenza nell’ambito amoroso. E poi ce ne sono di non inediti, di mal indicati. Insomma, tutti i soliti guasti cui i curatori di Repubblica ci hanno abituato e nei quali ancora caschiamo. Ma fino a quando?
Parliamo allora di metà di questa collana, la metà femminile, dove, a parte una scoperta interessante (Elisabetta Rasy) il resto sta tra la scarsa sufficienza e votazioni inqualificabili.
Paola Mastrocola “Facebook in the Rain” Repubblica Amore euro 3,90
[in: 16/09/2011 – out: 04/12/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2010]
Il primo libro della collana di Repubblica sull’amore ai nostri tempi. Meglio del primo che ho letto (che era l’ottavo), ma ancora basso nel gradimento. Soprattutto perché dalla Mastrocola mi aspettavo di più. È un’autrice che leggo sempre con piacere, piena di un delicato sentore della vita. Certo meglio nei romanzi, che anche altri racconti (brevi o lunghi) che ho letto mi hanno lasciato perplesso. Così come questo. Che gira intorno ad un’idea e ad un mondo interessanti. Ma vengono sfruttati non a fondo. La storia di Evandra che, rimasta vedova a 48 anni, sente la vita scorrerle via. Perché Aurelio era tutto per lei. Certo lo va a trovare al cimitero, ma quando piove? Ed ecco l’idea. Che la sua amica Rosalena butta là: vai su Facebook! Molto gustose le pagine sull’innocenza dell’approccio alla rete, sulla non conoscenza dei meccanismi dei social network. Ma perché, in un paesino di campagna se ne dovrebbe sapere tanto? E poi perché tanto ed in maniera distorta, come sappiamo noi che sulla rete, bene o male, ci viviamo tutti i giorni? Così prima Evandra è presa dalla rete, e tenta di interpretarla con i “buoni sentimenti di campagna”. Dove non ci si rifiuta di essere amico ad altri. Ma non è così sulla rete. E ben presto se ne accorge, dopo tutta una serie di sfortunati tentativi. Anche se aiutata dal buon Gesualdo, che però non riesce mai a trovare le parole giuste per dirle come indirizzare in maniera positiva questa energia. Così Evandra andrà avanti dilaniata tra la voglia di Facebook ed i sensi di colpa di non andare al cimitero. Ci saranno dei colpi di scena, verso la fine, di cui non vi parlo se non accennando che si collegano (ovviamente) al titolo ed al bisogno di trovare un modo per tutto. E poi il racconto finisce, con qualche amarezza (ma la vita è così) e qualche grossa domanda. Che la Mastrocola non porta avanti tutti i suoi discorsi, ne lascia qualcuno a metà. E forse sarebbe stato meglio portarlo un po’ più avanti. Detto del romanzo, vengo ad altri due commenti. La collana. Amore ai nostri tempi. Certo un titolo accattivante. Ma se per attualizzare un discorso sull’amore basta introdurre qualche elemento tecnologico, come Facebook, mi sembra uno sforzo di ben poco conto. Il messicano che ho letto per primo tirava fuori Dracula per le vie di una capitale moderna. Qui, si tira fuori un ritrovato tecnico nella campagna italiana. Come una specie di contrappasso. Si poteva parlarne meglio. Forse anche far capire meglio. Che si presuppone che tutti sappiano i meccanismi della rete. E non è detto. Chi ne sa, capisce, e ben presto, verso quali guasti la povera Evandra andrà a cacciarsi. Ma si poteva approfondirne meglio. Non so, ho avuto come l’impressione che ci manchi qualcosa, qualche piccolo gradino per essere un buon racconto. Vedremo le prossime uscite. Comunque, almeno, questo è inedito e scritto per la collana.
“Non importa se una donna ti dice di sparire, tu non lo devi fare … perché la donna è così, spesso dice una cosa che non vuole, e vuole una cosa che non dice.” (104)
Herta Müller “Le vie sottili” Repubblica Amore euro 3,90
[A: 11/11/2011 – I: 26/01/2012 – T: 27/01/2012]
[titolo: “Eine Fliege kommt durch einen halben Wald”, Die Anwendung der dünner Straßen”, Gelber Mais und Keine Zeit” ; lingua: tedesco; pagine: 88; anno: 2006]
Lessi un libro della Müller appena fatta Nobel, e rimase discretamente perplesso. Bella la scelta di alcune parole e di alcuni accostamenti, ma di un impianto generale molto difficile da entrarci in sintonia. Qui la storia si ripete. Intanto, invece di un romanzo breve o di un racconto lungo, sono tre scritti (e li chiamo così che non sono molto assimilabili ad alcunché). Ripeto le parole sopra scritte su alcuni accostamenti, su idee sparse qua e là. Il giallo del granturco con il nero del carbone. L’ansimare del nonno. La pala a forma di cuore. E quell’idea delle vie sottili cui aggrapparsi per non scivolare nell’oblio, proprio e altrui. Ma il resto, che senso ha? Quale la ragione dell’accostamento dei tre brani. Il primo, forse l’unico racconto, narra di una donna abbandonata (non si sa se per scelta o per obbligo) che si aggrappa alla routine quotidiana per non scomparire. Il secondo ed il terzo, uno più a fondo ed uno meno, hanno a che fare con la deportazione della sua gente da parte dei russi dopo l’occupazione sovietica. Il suo enclave tedesco in terra di Romania, motivo che torna sempre nei suoi scritti e nelle sue parole. Il secondo qualcosa narra, tra un filo e l’altro, del nonno, forse della madre. Il terzo non è. È il racconto della genesi di un romanzo sui deportati, scritto con e per l’amico poeta Oskar. Ci sono i motivi per cui una poesia contiene certe parole e non altre. Ci può essere empatia per lei e per Oskar, ma quale sia il significato? Veniamo quindi all’operazione complessiva, che fa precipitare la mia simpatia per questa collana verso abissi insondabili. Che senso ha pubblicare questi scritti? Cosa rappresentano per l’amore ai nostri tempi? Perché nella quarta si cerca di appendersi a quelle vie sottili (ma non era più consono strade sottili? Come suggerisce lo Straßen del titolo?) per creare un filo nei testi? Diciamo che Repubblica voleva pubblicare qualcosa di un premio Nobel (fa sempre fino, no). E avrà chiesto qualcosa all’agenzia della scrittrice. Ed ha scelto, tra le cose proposte, queste. Che però sono altro. Il primo è stato scritto come monologo (ed è acquistabile come CD su Amazon tedesco), e già si immagina diverso, quell’essere letto, che da un tono alla voce della donna che narra. Ne ho ascoltato un brano, e pur non capendo una parola del tedesco, mi dava già un’emozione diversa. Il secondo è un discorso tenuto alla Conferenza degli Scrittori tedeschi tenutasi a Klagenfurt nel 2007. Il terzo è l’intervento che ha fatto la Müller ad un incontro-evento dal titolo “La cultura del Dialogo” tenutosi nel 2008 in Germania. Cioè testi diversi, di contesti diversi, pensati per essere fruiti in modo diverso. E credo non siano neanche integrali. E che ci voleva a mettere uno straccio di spiegazione, anche in manchette non dico una prefazione (che almeno il libro della Sellerio aveva un’introduzione di Sofri che comunque era di interesse). Una bieca operazione di marketing, ed un giudizio complessivo più basso del minimo storico dei voti da me presi in un compito in classe (per chi non ha memoria lunga, ricordo 1^ liceo, dettato di francese, si avete letto bene, francese, voto 1--, ripeto uno meno meno, impagabile!).
Joyce Carol Oates “Sophie” Repubblica Amore euro 3,90
[A: 30/09/2011 – I: 07/02/2012 – T: 08/02/2012]
[tit. Sourland; ling. or.: inglese; pagine: 123; anno 2010]
Un nuovo capitolo della collana di Repubblica, il #3, che vede impegnata una maestra nella creazione di atmosfere, anche in un numero contenuto di pagine. La scrittrice americana (che ora vive in Canada, e si sente nelle sue descrizioni naturalistiche) ha scritto molto, ma io non ho letto tanto. Tuttavia ha sempre dei buoni numeri al suo arco, anche se a volte viene associata in quella corrente definita “realismo isterico” che associa fiction e non fiction insieme ad autori con Don DeLillo, Gore Vidal o Thomas Pynchon. Ci sono invece critiche, e molte, alla collana, ma le lascio a dopo, per non ingolfarmi subito in una campagna per la defenestrazione del curatore della collana, Mario Fortunato. Il racconto ha una sua eleganza nel cominciare lentamente, per poi accelerare e prenderci in un vortice di domande, che poi sono al fine una sola: come nasce, si sviluppa, un sentimento? Quali sono le radici che si innestano nel corpo e nella mente delle persone che si attraggono? Seguiamo così la Sophie del titolo (italiano) soffrire della morte del cinquantaseienne marito, esserne atterrata totalmente. Nel suo girare per casa proviamo a ripercorrere con lei i momenti, la nascita di questo rapporto, anche l’illusione e la sicurezza che lei vi è andata trovando nel corso degli anni. Poi, all’improvviso, dal loro passato sbuca un essere strano, Kolk, compagno degli anni della militanza della fine dei sessanta, quelli della lotta alla guerra nel Vietnam per intenderci. Un tempo molto legato a Matt, il marito di Sophie, poi se ne distacca (e sapremo anche il perché ma non ve lo dico), milita in qualche gruppuscolo para-rivoluzionario. Ed infine si ritira a fare la guardia forestale nella Riserva nazionale di Sourland (riserva esistente in Ontario). Da lì, si fa vivo, ed a Sophie scattano i meccanismi di cui sopra. Prima si aggrappa alle sue lettere ed alle sue fotografie della riserva, per cercare di tirarsi fuori dall’angoscia della morte di Matt. Poi decide di andarlo a trovare nella sperduta Sourland. Qui scopre che Kolk è rimasto sfigurato da una rudimentale bomba dei tempi militanti, ed ha la metà del viso deturpata. E che vive nella riserva quasi allo stato brado (con un evidente contrasto con l’ordine e la pulizia della sua casa cittadina). Ma qui scatta anche qualcosa che non riusciamo a prevedere. Passione selvaggia. Attrazione e repulsione. Ribellione e sottomissione. Non si riesce a capire (o forse io non capisco) quanto sia Sophie a volere o Kolk a pretendere. Nascono dalla pagina di JC Oates momenti drammatici, ma ugualmente realistici ed intensi. Rimangono le domande fatte. È scattata la molla dell’amore? C’è soltanto attrazione per uscire da una crisi abbarbicandosi all’unico appiglio che vediamo in un oceano di desolazione? E come si evolverà la storia? Domande cui sicuramente io non rispondo per non svelarvi parte della storia, ed alcune cui, volutamente, anche l’autrice non risponde. Alla fine, forse troppo cupo ed irrisolto nella seconda parte, rimane un racconto che si legge con interesse e partecipazione. Quella che dovremmo impiegare, per tornare alle promesse iniziali, per defenestrare il curatore della serie. Ora, a parte che questo è il 5° libro della collana che leggo e fortunatamente il migliore, l’unico che ha raggiunto la sufficienza (gli altri hanno una valutazione media di 1,5 su 5), quello che qui mi ha innervosito è il cambio di titolo inopinato. Il racconto originale si chiama Sourland (che si può anche tradurre Terra Amara o Acida), e dà il titolo alla raccolta di novelle pubblicata nel 2010 dalla scrittrice. Quindici racconti tutti incentrati (secondo una recensione americana) su rapporti difficili e/o problematici. Qui, poiché si parla di “amore” qualcuno (Fortunato?) ha deciso che un nome di donna avrebbe attirato di più. Ma il senso di un titolo, per l’autore che lo impone, serve anche ad indirizzare un taglio di lettura. Così, le premesse vengono stravolte, e si contrabbanda per “raccontino d’amore” qualcosa che, fortunatamente ripeto, è qualcosa in più. Ecco, mi sono sfogato!
Elisabetta Rasy “Molta luce in pieno inverno” Repubblica Amore euro 3,90
[A: 28/10/2011 – I: 10/02/2012 – T: 12/02/2012]
[tit. originale; ling. or.: italiano; pagine: 107; anno 2011]
Si sa che il numero 7 è uno dei numeri migliori, ed a questa ferrea legge non si sottrae anche la non particolarmente brillante collana di Repubblica, che alla settima uscita sforna questo libricino, forse non eccelso, ma sicuramente una spanna al di sopra degli altri. Forse per questo, e forse perché non conosco l’autrice quindi non ho altre pietre di paragone, ne do una buona valutazione e ne consiglio la lettura. Tra l’altro, per la maggior parte si svolge tra il Mausoleo di Santa Costanza, la chiesa di Sant’Agnese fuori le Mura, Piazza Annibaliano, includendo perfino un’attesa su una panchina a Villa Paganini. E son cose che riscaldano l’animo. Così come la storia di Costanza, che a spizzichi e flash-back, ricostruiamo lungo le pagine del racconto. Iniziando quasi in sordina, con qualcosa di poco chiarito. Il marito che va in pensione, il trasferimento in campagna, poi il ritorno in città di Costanza che non riesce a stare lontano da Roma. Ma poi, il flusso dei pensieri di Costanza ci fa ripercorrere le tappe della sua vita, ora che la immaginiamo cinquantenne e pensosa. La vita tranquilla e innamorata questo sempre, con Vincenzo il buon sindacalista. Il lavoro come segretaria in una scuola. Il tentativo, fallito, di avere figli. La storia di 93 giorni con Marzio, come un tentativo di auto-risarcimento per i patimenti dell’inseminazione artificiale mancata. Piccola fuga di testa, ma con il ritorno sempre lì da Vincenzo. E poi il lavoro con Bruno, il fotografo. A fargli da segretaria, a scoprire Roma con gli occhi dell’obiettivo, ma senza mai mettere mano alla Nikon digitale che pur le avevano regalato. La morte di Bruno per AIDS. L’incontro con l’ultimo amore di Bruno, lo spagnolo Martin. Ed ancora, i giri con lui, come si diceva sopra, nelle zone del Nomentano. E l’invito di Martin a stare con lui. Che farà Costanza? Continuerà a sentirsi giovane perché ha ancora successo? O deciderà di essere (non di sentirsi) giovane dentro e tornerà a vivere questa giovinezza con Vincenzo che sempre ama? Ovvio che non vi sciolgo questi pensosi enigmi, è bello leggerli e sentirli crescere. Come cresce, pagina dopo pagina, il piacere per questo racconto che diventa una sorta di romanzo di formazione della maturità, se mi si consente un piccolo salto temporale. Perché siamo abituati ai romanzi di formazione che accompagnano gli adolescenti nella crescita (“Il giovane Holden” in testa). Ma riflettiamo che bisogna imparare anche a crescere in tutte le età della vita. C’è sempre qualcosa da imparare, c’è sempre il modo di riflettere sulle azioni che si fanno. Fino a trovare il modo di affrontare crepuscoli e quanto viene dopo (ripenso a quel bel romanzo che ora chiamerei di formazione della vecchiaia, che è stato per me “Da qualche parte verso la fine” di Diana Athill). Elisabetta Rasy, da quanto ne leggo, è sempre stata attenta al mondo femminile, e ben si vede anche in queste pagine. Penso che cercherò di leggerne altro, prima o poi.
Dacia Maraini “Menzogna felice” Repubblica Amore euro 3,90
[A: 14/10/2011 – I: 04/04/2012 – T: 05/04/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 126; anno: 2011]
Continuano e se vogliamo aumentano le riserve che ho verso questa ennesima collana di Repubblica. Nata con un’idea che non sembrava malvagia, parlare d’amore ai nostri giorni, vederne aspetti mutare per il concorso di tante con-cause: tecnologie, idee, economie. Ma dall’idea alla pratica, quanto siamo saltati in basso. Nessuno degli autori che ho fin qui letto (7 su 10) mi ha dato qualche brivido. Come nessun brivido questo ennesimo racconto lungo dell’altrimenti interessante Dacia Maraini. Ho già detto che alcuni suoi romanzi (ed in particolare quello di Ucrìa) mi erano piaciuti. Ed ho già detto che i racconti mi avevano lasciato di molto freddo (come l’inutile a suo tempo tra gli Inediti del Corriere). Questo segue la seconda sorte. Intanto, sembra una scrittura alternativa del primo racconto della serie, quello di Paola Mastrocola, sui guasti di Facebook. Qui non entriamo nei social network, ma la maggior parte della non-azione si svolge in una chat, che (unica idea carina) ha il nome intrigante di “Menzogna felice”. Una chat dove è bandita la verità. Dove tutti possono intervenire e dire quelle che Byron etichettava come abbellimenti della realtà. Bugie? Menzogne? Nascondimenti di sé? Poteva nascere un intrigante guazzabuglio filosofico, se tutti dicono bugie, o travisano la realtà per renderla a sé migliore, poteva nascere un discorso che ci avrebbe portati nelle sabbie mobili di non sapere dove mettere i piedi per non affondare. Invece la chat si riempie di personaggi cui piace la poesia (perché è più facile mentire in versi?) o sono patiti di cose strane (Rilke e Lou Salomè, Gesualdo da Verona, e via con altri voli intellettuali). E la nostra eroina Jessica, in cerca invece di qualcosa cui aggrapparsi, si tuffa nella chat con la sua innocenza, e con la sua supposta verità. Ne diventa dipendente (oh quanto è facile l’equazione qualcosa in rete à non ci si stacca più, si scordano amici, lavori, pasti, e chi più ne ha…). Fortuna che c’è anche il contraltare della vita “fuori della rete”. Dove Jessica ha un lavoro, che deve mantenere per poter vivere, delle persone intorno. Che giustamente Dacia etichetta come reali. Anche se, a ben vedere, piene anche loro di mascheramenti della realtà. Chicca che si mostra bella e vezzosa, e rimane inopinatamente incinta e non sa se tenere il nascituro o abortire. Anche perché il padre è un uomo sposato. Il collega quarantenne che tradisce la moglie con una quasi ventenne. La bigotta. Il seguace di Don Milani (come non citare i luoghi dove Dacia svolge le sue azioni teatrali?). Il cameriere extra-comunitario senza permesso di soggiorno. Il capo-ufficio a volte burbero, a volte scherzoso, sempre antipatico (almeno a me). Qui anche avrebbe potuto giocare sul registro del confronto: la vita dentro la rete dove ci si aggira per dire bugie (ed a volte si dicono molte verità) e la vita fuori della rete dove non si dovrebbe mentire (ma dove la bugia è più facile, ed anche più subdola). Ma l’autrice si lascia sfuggire anche questa chiave di scrittura. Prosegue così, un po’ altezzosa, un po’ prendendo troppo in giro gli affezionati di Internet. Ma senza partecipazioni, né dentro né fuori la rete. Tutto scorre un po’ banale. E si conclude senza nessuna idea e (quasi) senza aver preso posizione. Insomma, un raccontino scritto molto di testa, e che lì rimane. Peccato! Un’altra buona occasione sprecata.
“Da bambini si vuole capire. Da adulti si vuole dimenticare. Sia dolce il dubbio a chi nuocer può ‘l vero.” (33)
Mi accorgo che spesso all’inizio di una trama, ripeto alcune costanti, soprattutto qui che parlo di una collana. Ma le trame nascono indipendenti, e potrebbero essere lette in “a solo” invece che in concerto. Quindi, mi auto-assolvo. E mi protendo verso questo mese di maggio festevole ma non ancora festoso, viaggevole ma non viaggiante, come direbbe Fossati per gli Italiani d’Argentina. O gli spagnoli di Ibiza. O le caravaggesche visioni di campagna.

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