Parliamo allora di metà di questa
collana, la metà femminile, dove, a parte una scoperta interessante (Elisabetta
Rasy) il resto sta tra la scarsa sufficienza e votazioni inqualificabili.
Paola Mastrocola “Facebook in the Rain” Repubblica Amore euro 3,90
[in: 16/09/2011 – out:
04/12/2011]
[tit. originale; ling.
or.: italiano; anno 2010]
Il
primo libro della collana di Repubblica sull’amore ai nostri tempi. Meglio del
primo che ho letto (che era l’ottavo), ma ancora basso nel gradimento.
Soprattutto perché dalla Mastrocola mi aspettavo di più. È un’autrice che leggo
sempre con piacere, piena di un delicato sentore della vita. Certo meglio nei
romanzi, che anche altri racconti (brevi o lunghi) che ho letto mi hanno
lasciato perplesso. Così come questo. Che gira intorno ad un’idea e ad un mondo
interessanti. Ma vengono sfruttati non a fondo. La storia di Evandra che,
rimasta vedova a 48 anni, sente la vita scorrerle via. Perché Aurelio era tutto
per lei. Certo lo va a trovare al cimitero, ma quando piove? Ed ecco l’idea.
Che la sua amica Rosalena butta là: vai su Facebook! Molto gustose le pagine
sull’innocenza dell’approccio alla rete, sulla non conoscenza dei meccanismi
dei social network. Ma perché, in un paesino di campagna se ne dovrebbe sapere
tanto? E poi perché tanto ed in maniera distorta, come sappiamo noi che sulla
rete, bene o male, ci viviamo tutti i giorni? Così prima Evandra è presa dalla
rete, e tenta di interpretarla con i “buoni sentimenti di campagna”. Dove non ci
si rifiuta di essere amico ad altri. Ma non è così sulla rete. E ben presto se
ne accorge, dopo tutta una serie di sfortunati tentativi. Anche se aiutata dal
buon Gesualdo, che però non riesce mai a trovare le parole giuste per dirle
come indirizzare in maniera positiva questa energia. Così Evandra andrà avanti
dilaniata tra la voglia di Facebook ed i sensi di colpa di non andare al
cimitero. Ci saranno dei colpi di scena, verso la fine, di cui non vi parlo se
non accennando che si collegano (ovviamente) al titolo ed al bisogno di trovare
un modo per tutto. E poi il racconto finisce, con qualche amarezza (ma la vita
è così) e qualche grossa domanda. Che la Mastrocola non porta avanti tutti i
suoi discorsi, ne lascia qualcuno a metà. E forse sarebbe stato meglio portarlo
un po’ più avanti. Detto del romanzo, vengo ad altri due commenti. La collana.
Amore ai nostri tempi. Certo un titolo accattivante. Ma se per attualizzare un
discorso sull’amore basta introdurre qualche elemento tecnologico, come
Facebook, mi sembra uno sforzo di ben poco conto. Il messicano che ho letto per
primo tirava fuori Dracula per le vie di una capitale moderna. Qui, si tira
fuori un ritrovato tecnico nella campagna italiana. Come una specie di
contrappasso. Si poteva parlarne meglio. Forse anche far capire meglio. Che si
presuppone che tutti sappiano i meccanismi della rete. E non è detto. Chi ne
sa, capisce, e ben presto, verso quali guasti la povera Evandra andrà a
cacciarsi. Ma si poteva approfondirne meglio. Non so, ho avuto come l’impressione
che ci manchi qualcosa, qualche piccolo gradino per essere un buon racconto.
Vedremo le prossime uscite. Comunque, almeno, questo è inedito e scritto per la
collana.
“Non importa se una donna ti dice di
sparire, tu non lo devi fare … perché la donna è così, spesso dice una cosa che
non vuole, e vuole una cosa che non dice.” (104)
Herta Müller “Le vie sottili” Repubblica Amore euro 3,90
[A: 11/11/2011 – I: 26/01/2012 – T: 27/01/2012]
[titolo: “Eine
Fliege kommt durch einen halben Wald”, “Die
Anwendung der dünner Straßen”,
“Gelber Mais und Keine Zeit” ; lingua: tedesco; pagine: 88; anno: 2006]
Lessi un libro della Müller
appena fatta Nobel, e rimase discretamente perplesso. Bella la scelta di alcune
parole e di alcuni accostamenti, ma di un impianto generale molto difficile da
entrarci in sintonia. Qui la storia si ripete. Intanto, invece di un romanzo
breve o di un racconto lungo, sono tre scritti (e li chiamo così che non sono
molto assimilabili ad alcunché). Ripeto le parole sopra scritte su alcuni
accostamenti, su idee sparse qua e là. Il giallo del granturco con il nero del
carbone. L’ansimare del nonno. La pala a forma di cuore. E quell’idea delle vie
sottili cui aggrapparsi per non scivolare nell’oblio, proprio e altrui. Ma il
resto, che senso ha? Quale la ragione dell’accostamento dei tre brani. Il
primo, forse l’unico racconto, narra di una donna abbandonata (non si sa se per
scelta o per obbligo) che si aggrappa alla routine quotidiana per non
scomparire. Il secondo ed il terzo, uno più a fondo ed uno meno, hanno a che
fare con la deportazione della sua gente da parte dei russi dopo l’occupazione
sovietica. Il suo enclave tedesco in terra di Romania, motivo che torna sempre
nei suoi scritti e nelle sue parole. Il secondo qualcosa narra, tra un filo e
l’altro, del nonno, forse della madre. Il terzo non è. È il racconto della
genesi di un romanzo sui deportati, scritto con e per l’amico poeta Oskar. Ci
sono i motivi per cui una poesia contiene certe parole e non altre. Ci può
essere empatia per lei e per Oskar, ma quale sia il significato? Veniamo quindi
all’operazione complessiva, che fa precipitare la mia simpatia per questa
collana verso abissi insondabili. Che senso ha pubblicare questi scritti? Cosa
rappresentano per l’amore ai nostri tempi? Perché nella quarta si cerca di appendersi
a quelle vie sottili (ma non era più consono strade sottili? Come suggerisce lo
Straßen del titolo?) per creare un filo nei testi? Diciamo che Repubblica
voleva pubblicare qualcosa di un premio Nobel (fa sempre fino, no). E avrà
chiesto qualcosa all’agenzia della scrittrice. Ed ha scelto, tra le cose
proposte, queste. Che però sono altro. Il primo è stato scritto come monologo
(ed è acquistabile come CD su Amazon tedesco), e già si immagina diverso,
quell’essere letto, che da un tono alla voce della donna che narra. Ne ho
ascoltato un brano, e pur non capendo una parola del tedesco, mi dava già
un’emozione diversa. Il secondo è un discorso tenuto alla Conferenza degli
Scrittori tedeschi tenutasi a Klagenfurt nel 2007. Il terzo è l’intervento che
ha fatto la Müller ad un incontro-evento dal titolo “La cultura del Dialogo”
tenutosi nel 2008 in Germania. Cioè testi diversi, di contesti diversi, pensati
per essere fruiti in modo diverso. E credo non siano neanche integrali. E che
ci voleva a mettere uno straccio di spiegazione, anche in manchette non dico
una prefazione (che almeno il libro della Sellerio aveva un’introduzione di
Sofri che comunque era di interesse). Una bieca operazione di marketing, ed un
giudizio complessivo più basso del minimo storico dei voti da me presi in un
compito in classe (per chi non ha memoria lunga, ricordo 1^ liceo, dettato di
francese, si avete letto bene, francese, voto 1--, ripeto uno meno meno,
impagabile!).
Joyce Carol Oates “Sophie” Repubblica Amore euro 3,90
[A: 30/09/2011 – I: 07/02/2012 – T: 08/02/2012]
[tit. Sourland; ling. or.: inglese; pagine: 123;
anno 2010]
Un nuovo capitolo della collana
di Repubblica, il #3, che vede impegnata una maestra nella creazione di
atmosfere, anche in un numero contenuto di pagine. La scrittrice americana (che
ora vive in Canada, e si sente nelle sue descrizioni naturalistiche) ha scritto
molto, ma io non ho letto tanto. Tuttavia ha sempre dei buoni numeri al suo
arco, anche se a volte viene associata in quella corrente definita “realismo
isterico” che associa fiction e non fiction insieme ad autori con Don DeLillo,
Gore Vidal o Thomas Pynchon. Ci sono invece critiche, e molte, alla collana, ma
le lascio a dopo, per non ingolfarmi subito in una campagna per la
defenestrazione del curatore della collana, Mario Fortunato. Il racconto ha una
sua eleganza nel cominciare lentamente, per poi accelerare e prenderci in un
vortice di domande, che poi sono al fine una sola: come nasce, si sviluppa, un
sentimento? Quali sono le radici che si innestano nel corpo e nella mente delle
persone che si attraggono? Seguiamo così la Sophie del titolo (italiano) soffrire
della morte del cinquantaseienne marito, esserne atterrata totalmente. Nel suo
girare per casa proviamo a ripercorrere con lei i momenti, la nascita di questo
rapporto, anche l’illusione e la sicurezza che lei vi è andata trovando nel
corso degli anni. Poi, all’improvviso, dal loro passato sbuca un essere strano,
Kolk, compagno degli anni della militanza della fine dei sessanta, quelli della
lotta alla guerra nel Vietnam per intenderci. Un tempo molto legato a Matt, il
marito di Sophie, poi se ne distacca (e sapremo anche il perché ma non ve lo
dico), milita in qualche gruppuscolo para-rivoluzionario. Ed infine si ritira a
fare la guardia forestale nella Riserva nazionale di Sourland (riserva
esistente in Ontario). Da lì, si fa vivo, ed a Sophie scattano i meccanismi di
cui sopra. Prima si aggrappa alle sue lettere ed alle sue fotografie della riserva,
per cercare di tirarsi fuori dall’angoscia della morte di Matt. Poi decide di
andarlo a trovare nella sperduta Sourland. Qui scopre che Kolk è rimasto
sfigurato da una rudimentale bomba dei tempi militanti, ed ha la metà del viso
deturpata. E che vive nella riserva quasi allo stato brado (con un evidente
contrasto con l’ordine e la pulizia della sua casa cittadina). Ma qui scatta
anche qualcosa che non riusciamo a prevedere. Passione selvaggia. Attrazione e
repulsione. Ribellione e sottomissione. Non si riesce a capire (o forse io non
capisco) quanto sia Sophie a volere o Kolk a pretendere. Nascono dalla pagina
di JC Oates momenti drammatici, ma ugualmente realistici ed intensi. Rimangono
le domande fatte. È scattata la molla dell’amore? C’è soltanto attrazione per
uscire da una crisi abbarbicandosi all’unico appiglio che vediamo in un oceano
di desolazione? E come si evolverà la storia? Domande cui sicuramente io non rispondo
per non svelarvi parte della storia, ed alcune cui, volutamente, anche
l’autrice non risponde. Alla fine, forse troppo cupo ed irrisolto nella seconda
parte, rimane un racconto che si legge con interesse e partecipazione. Quella
che dovremmo impiegare, per tornare alle promesse iniziali, per defenestrare il
curatore della serie. Ora, a parte che questo è il 5° libro della collana che
leggo e fortunatamente il migliore, l’unico che ha raggiunto la sufficienza
(gli altri hanno una valutazione media di 1,5 su 5), quello che qui mi ha
innervosito è il cambio di titolo inopinato. Il racconto originale si chiama
Sourland (che si può anche tradurre Terra Amara o Acida), e dà il titolo alla
raccolta di novelle pubblicata nel 2010 dalla scrittrice. Quindici racconti
tutti incentrati (secondo una recensione americana) su rapporti difficili e/o
problematici. Qui, poiché si parla di “amore” qualcuno (Fortunato?) ha deciso
che un nome di donna avrebbe attirato di più. Ma il senso di un titolo, per
l’autore che lo impone, serve anche ad indirizzare un taglio di lettura. Così,
le premesse vengono stravolte, e si contrabbanda per “raccontino d’amore”
qualcosa che, fortunatamente ripeto, è qualcosa in più. Ecco, mi sono sfogato!
Elisabetta Rasy “Molta luce in pieno inverno” Repubblica Amore euro
3,90
[A: 28/10/2011 – I: 10/02/2012 – T: 12/02/2012]
[tit. originale; ling. or.: italiano; pagine: 107;
anno 2011]
Si sa che il numero 7 è uno dei
numeri migliori, ed a questa ferrea legge non si sottrae anche la non
particolarmente brillante collana di Repubblica, che alla settima uscita sforna
questo libricino, forse non eccelso, ma sicuramente una spanna al di sopra
degli altri. Forse per questo, e forse perché non conosco l’autrice quindi non
ho altre pietre di paragone, ne do una buona valutazione e ne consiglio la
lettura. Tra l’altro, per la maggior parte si svolge tra il Mausoleo di Santa
Costanza, la chiesa di Sant’Agnese fuori le Mura, Piazza Annibaliano,
includendo perfino un’attesa su una panchina a Villa Paganini. E son cose che
riscaldano l’animo. Così come la storia di Costanza, che a spizzichi e
flash-back, ricostruiamo lungo le pagine del racconto. Iniziando quasi in
sordina, con qualcosa di poco chiarito. Il marito che va in pensione, il
trasferimento in campagna, poi il ritorno in città di Costanza che non riesce a
stare lontano da Roma. Ma poi, il flusso dei pensieri di Costanza ci fa
ripercorrere le tappe della sua vita, ora che la immaginiamo cinquantenne e
pensosa. La vita tranquilla e innamorata questo sempre, con Vincenzo il buon
sindacalista. Il lavoro come segretaria in una scuola. Il tentativo, fallito,
di avere figli. La storia di 93 giorni con Marzio, come un tentativo di
auto-risarcimento per i patimenti dell’inseminazione artificiale mancata.
Piccola fuga di testa, ma con il ritorno sempre lì da Vincenzo. E poi il lavoro
con Bruno, il fotografo. A fargli da segretaria, a scoprire Roma con gli occhi
dell’obiettivo, ma senza mai mettere mano alla Nikon digitale che pur le
avevano regalato. La morte di Bruno per AIDS. L’incontro con l’ultimo amore di
Bruno, lo spagnolo Martin. Ed ancora, i giri con lui, come si diceva sopra,
nelle zone del Nomentano. E l’invito di Martin a stare con lui. Che farà
Costanza? Continuerà a sentirsi giovane perché ha ancora successo? O deciderà
di essere (non di sentirsi) giovane dentro e tornerà a vivere questa giovinezza
con Vincenzo che sempre ama? Ovvio che non vi sciolgo questi pensosi enigmi, è
bello leggerli e sentirli crescere. Come cresce, pagina dopo pagina, il piacere
per questo racconto che diventa una sorta di romanzo di formazione della
maturità, se mi si consente un piccolo salto temporale. Perché siamo abituati
ai romanzi di formazione che accompagnano gli adolescenti nella crescita (“Il
giovane Holden” in testa). Ma riflettiamo che bisogna imparare anche a crescere
in tutte le età della vita. C’è sempre qualcosa da imparare, c’è sempre il modo
di riflettere sulle azioni che si fanno. Fino a trovare il modo di affrontare
crepuscoli e quanto viene dopo (ripenso a quel bel romanzo che ora chiamerei di
formazione della vecchiaia, che è stato per me “Da qualche parte verso la fine”
di Diana Athill). Elisabetta Rasy, da quanto ne leggo, è sempre stata attenta
al mondo femminile, e ben si vede anche in queste pagine. Penso che cercherò di
leggerne altro, prima o poi.
Dacia Maraini “Menzogna felice” Repubblica Amore euro 3,90
[A: 14/10/2011 – I: 04/04/2012 – T: 05/04/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 126;
anno: 2011]
Continuano e se vogliamo
aumentano le riserve che ho verso questa ennesima collana di Repubblica. Nata
con un’idea che non sembrava malvagia, parlare d’amore ai nostri giorni, vederne
aspetti mutare per il concorso di tante con-cause: tecnologie, idee, economie.
Ma dall’idea alla pratica, quanto siamo saltati in basso. Nessuno degli autori
che ho fin qui letto (7 su 10) mi ha dato qualche brivido. Come nessun brivido
questo ennesimo racconto lungo dell’altrimenti interessante Dacia Maraini. Ho
già detto che alcuni suoi romanzi (ed in particolare quello di Ucrìa) mi erano
piaciuti. Ed ho già detto che i racconti mi avevano lasciato di molto freddo
(come l’inutile a suo tempo tra gli Inediti del Corriere). Questo segue la
seconda sorte. Intanto, sembra una scrittura alternativa del primo racconto
della serie, quello di Paola Mastrocola, sui guasti di Facebook. Qui non
entriamo nei social network, ma la maggior parte della non-azione si svolge in
una chat, che (unica idea carina) ha il nome intrigante di “Menzogna felice”.
Una chat dove è bandita la verità. Dove tutti possono intervenire e dire quelle
che Byron etichettava come abbellimenti della realtà. Bugie? Menzogne?
Nascondimenti di sé? Poteva nascere un intrigante guazzabuglio filosofico, se
tutti dicono bugie, o travisano la realtà per renderla a sé migliore, poteva
nascere un discorso che ci avrebbe portati nelle sabbie mobili di non sapere
dove mettere i piedi per non affondare. Invece la chat si riempie di personaggi
cui piace la poesia (perché è più facile mentire in versi?) o sono patiti di
cose strane (Rilke e Lou Salomè, Gesualdo da Verona, e via con altri voli
intellettuali). E la nostra eroina Jessica, in cerca invece di qualcosa cui
aggrapparsi, si tuffa nella chat con la sua innocenza, e con la sua supposta
verità. Ne diventa dipendente (oh quanto è facile l’equazione qualcosa in rete à
non ci si stacca più, si scordano amici, lavori, pasti, e chi più ne ha…).
Fortuna che c’è anche il contraltare della vita “fuori della rete”. Dove
Jessica ha un lavoro, che deve mantenere per poter vivere, delle persone
intorno. Che giustamente Dacia etichetta come reali. Anche se, a ben vedere,
piene anche loro di mascheramenti della realtà. Chicca che si mostra bella e
vezzosa, e rimane inopinatamente incinta e non sa se tenere il nascituro o
abortire. Anche perché il padre è un uomo sposato. Il collega quarantenne che
tradisce la moglie con una quasi ventenne. La bigotta. Il seguace di Don Milani
(come non citare i luoghi dove Dacia svolge le sue azioni teatrali?). Il
cameriere extra-comunitario senza permesso di soggiorno. Il capo-ufficio a
volte burbero, a volte scherzoso, sempre antipatico (almeno a me). Qui anche
avrebbe potuto giocare sul registro del confronto: la vita dentro la rete dove
ci si aggira per dire bugie (ed a volte si dicono molte verità) e la vita fuori
della rete dove non si dovrebbe mentire (ma dove la bugia è più facile, ed
anche più subdola). Ma l’autrice si lascia sfuggire anche questa chiave di
scrittura. Prosegue così, un po’ altezzosa, un po’ prendendo troppo in giro gli
affezionati di Internet. Ma senza partecipazioni, né dentro né fuori la rete.
Tutto scorre un po’ banale. E si conclude senza nessuna idea e (quasi) senza
aver preso posizione. Insomma, un raccontino scritto molto di testa, e che lì
rimane. Peccato! Un’altra buona occasione sprecata.
“Da bambini si vuole capire. Da adulti si vuole dimenticare. Sia dolce
il dubbio a chi nuocer può ‘l vero.” (33)
Mi
accorgo che spesso all’inizio di una trama, ripeto alcune costanti, soprattutto
qui che parlo di una collana. Ma le trame nascono indipendenti, e potrebbero
essere lette in “a solo” invece che in concerto. Quindi, mi auto-assolvo. E mi
protendo verso questo mese di maggio festevole ma non ancora festoso,
viaggevole ma non viaggiante, come direbbe Fossati per gli Italiani
d’Argentina. O gli spagnoli di Ibiza. O le caravaggesche visioni di campagna.
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