lunedì 25 giugno 2012

Gialli d’Italia - 03 giugno 2012

Subito si volta pagina. Subito si ritorna alle trame più classiche, ai gialli più scacciapensieri, anche se non sempre. Con due libri di impianto classico che lasciano un po’ di delusione. Sicuramente Heinichen (che equiparo ad italico, visto l’ambiente triestino). Ma in parte anche i nostri amici bolognesi, da cui mi aspettavo qualcosa di più. Le avventure del commissario Ricciardi, come mi aspettavo, continuano, anche se non al top come la quadrilogia delle stagioni, ma sicuramente godibile. Ed anche l’unica donna, che all’inizio mi aveva lasciato freddino, ma si è andata scaldando in lettura.
Maurizio de Giovanni “Per mano mia” Einaudi euro 18 (in realtà, scontato euro 9,90)
[A: 04/12/2011 – I: 01/01/2012 – T: 03/01/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 313; anno: 2011]
Dopo la fine delle stagioni del Commissario Ricciardi, visto che le storie erano ancora sospese come avevo rilevato, il buon de Giovanni ha ben pensato di continuare a parlare del nostro commissario, iniziando una nuova serie che si rifà questa volta alle feste. Questa prima, infatti, è dedicata al Natale. E spero bene che ce ne siano presto altre, magari dedicate al Carnevale ed alla Pasqua. Chissà! La seconda notazione riguarda il cambio di casa editrice, che dopo aver pubblicato le quattro stagioni con Fandango, ora questa esce per i tipi di Einaudi. E per l’occasione, l’unica cosa veramente cambiata, in peggio, è il prezzo che sale da 15 a 18 euro. Venendo al libro, non possiamo che rilevare come l’impianto di base sia sempre lo stesso, o quanto meno similare. Un omicidio, il commissario che, con la sua strana facoltà di sentire i morti ammazzati, ripercorre le ultime parole dei morti, la ricerca di un filo per sbrogliare la matassa, ed il chiarimento finale. Meccanismo collaudato, ma qui un po’ in minore. C’eravamo ben abituati a seguire le passeggiate di Ricciardi che incontra i suoi morti ammazzati per le strade di Napoli, e ne fa una dolentissima Via Crucis. Qui ne rimangono pochi, sostituite, periodicamente, ad inizi di capitoli che fanno da cambio di scena, da alcune tirate sulla filosofia del mondo e sul resto, che, francamente, lascerei da parte nelle prossime uscite. Rallentano il filo dei pensieri e non portano nulla di nuovo. Prende giustamente più spazio il brigadiere Maione, che sta diventando una specie di Watson per Sherlock Holmes, o Goodwin per Nero Wolfe. Ma rispetto alle spalle generiche, se ne apprezza il mondo a sé, la famiglia con la simpatica moglie Lucia, e con quel dolore, che viene dal primo libro, della morte del figlio Luca, anch’esso poliziotto. Qui, tra l’altro, in un ramo secondario del racconto, apprendiamo anche che forse il colpevole di quella morte non era quello indicato. Ed il brigadiere “panzone” (che già mi sta simpatico per questo soprannome) dovrà combattere con la sua coscienza per capire se gli sviluppi di questa storia  vadano ripresi o meno. E sempre intrecciata c’è anche l’altra storia, quella che già dissi mi teneva sulle spine. L’intreccio amoroso tra il Commissario, l’avvenente Livia che cerca di conquistarlo in tutti i modi, e la dolce Enrica, che sta recuperando terreno e per la quale io faccio il tifo. Vedremo de Giovanni come se la caverà nelle prossime storie, che tutte le soluzioni sono ancora possibili. Non è invece possibile altra soluzione all’omicidio del centurione Garofalo e della di lui moglie. Qui, piacevolmente, un po’ ricalcando il primo Lucarelli, quello che pubblicava per Sellerio, l’autore si intreccia con lo spirito del tempo, che, come ricorderete, siamo nel 1931 e siamo a Napoli. Quindi la morte del centurione delle milizie fasciste deve essere risolta in fretta per non diventare un caso. Intanto, mentre ad inizio indagine, Garofalo sembra un brav’uomo, ci accorgiamo ben presto che invece è un fetente. E non perché fascista, ma perché malvagio ed arrogante. Incontriamo la gente che ha rovinato per farsi strada nella vita, e che avrebbe tutte le ragioni per essere lei la proprietaria delle mani assassine. E ci immergiamo nella Napoli natalizia, qui de Giovanni dà anche il meglio del narrare, nel mercato del pesce a Santa Brigida, nelle botteghe d’arte di San Gregorio Armeno, nei vari presepi, da quello di Suor Veronica, sorella della morta, a quello di Don Pierino, l’esperto di Ricciardi nelle tematiche religiose. E sarà proprio seguendo il filo di coloro cui Garofalo ha rovinato la vita che il Commissario avrà l’intuizione per trovare le mani assassine. Che ci riportano al titolo, ed al refrain del libro, che molti vorrebbero far giustizia con le proprie mani. Ma la giustizia deve essere affidata a chi ne è preposto. Insomma, un romanzo ben scritto, decentemente equilibrato, e pieno di spunti che mi sono piaciuti. Come la citazione di quella bellissima tragedia, “Natale in casa Cupiello”, la cui prima avvenne proprio per il Natale del ’31. Unico e finale neo: perché il risvolto insiste proprio su questo punto, che arriva dopo 250 pagine, ed è subito sorpassato, mentre l’estensore delle note fa credere che sia un elemento dorsale del racconto. Mi continuo a domandare se chi scrive quei testi abbia letto il romanzo prima di inventare sfondoni!
“Quando pensava a lui sentiva quel sottile dolore che si prova per un importante sentimento che per incuria si sta lasciando morire.” (96)
“Tu non lo sai, mio solitario amico, ma i grandi amori sono così: senza sbarre e senza catenacci.” (133)
“In realtà è tutto così semplice. Se si vuole essere felici, bisogna darsi da fare per esserlo.” (225)
Veit Heinichen “La calma del più forte” E/O euro 10,50 (in realtà, scontato 8,40 euro)
[A: 18/05/2011 – I: 30/01/2012 – T: 02/02/2012]
[titolo: Die Ruhe des Stärkeren; lingua: tedesco; pagine: 331; anno 2009]
Già nel precedente romanzo, la vena più propriamente gialla (o nera) di Veit Heinichen si stava esaurendo. Si parlava di molte cose e la trama “noir” andava a nascondersi in un piano defilato. Beh, qui stiamo andando sempre più defilati. Sì, c’è la ricerca di costruire un plot di suspense. Ma fin dalle prime pagine sappiamo chi è minacciato di essere uccise, perché e da chi. Ci resta solo da sapere per chi la trama andrà a buon fine (i buoni? I cattivi? Altri?). Ma è una suspense minore. Anzi ci induce a ben poche riflessioni. Così come poco altro ci fanno pensare le altre 3 trame intrecciate. Seguiamo le vicende della famiglia Laurenti, con il commissario assediato da moglie, figlie e madre. Ma poco risalto hanno le sue azioni. Certo, ha ancora le sue idee, si arrabbia con i vari Ministeri degli Interni (italiano, sloveno, e altri se ce ne fossero). Ma non ha un ruolo veramente centrale. Da punto di gravità dei romanzi di Heinichen diventa un tratto di continuità, tanto per far vedere che stiamo sempre nella stessa serie, lì dalle parti di Trieste. Conosciamo meglio la giovane poliziotta Pina, il suo background, il suo coinvolgimento nelle storie, e soprattutto nella storia personale con il paraplegico Sedem, figlio dell’indiziato di morte, il grande finanziere Duke. Vengono sollevati tanti piccoli punti sparsi e relativi problemi, ma pochi vengono portati alla loro ultima conseguenza. Sappiamo meglio il significato del tatuaggio di Pina (quello con la scritta “Basta amore”). Ma non sappiamo perché Duke porta sempre i guanti. E seguiamo anche la storia dei combattimenti dei cani (pratica selvaggia che andrebbe stroncata ma che mi risulta essere invece ancora e sempre in auge). Storia che si intreccia con le altre. E con gli inserti dei pensieri del cane Argo. Per questa è poi la parte più debole del romanzo: un cane che racconta le azioni cui partecipa come fosse un umano, con pensieri e sensazioni umane. Poco credibile (si vada a rileggere Timbuctù di Auster). Tra tutte queste storie che si intrecciamo c’è la trama che sembra essere cara ad Heinichen. Quella del governo mondiale dell’economia. I grandi Board internazionali. Sedem che guadagna investendo sui derivati di borsa. E reinvestendo in scuole per lo sviluppo del terzo mondo, ah il buon filantropo. È quella che il nostro scrittore vorrebbe far risaltare come “vera” trama del romanzo. Non importa quello che succede, se ci sono o meno morti, se si sa chi abbia o non abbia ucciso. Ad Heinichen interessano le lotte per il potere tra i potentati internazionali, intrecciate con la caduta delle frontiere e gli accordi di Schengen, le speculazioni edilizie ed il contrabbando di droga. Ma questa parte risulta pallosa e scontata. Si vanno perdendo e rarefacendo le sensazioni positive dei primi romanzi: Trieste e le sue atmosfere, i dintorni di Trieste, con le osmizze dove si beve vino locale, le campagne ma anche il mare, il pesce da mangiare (possibilmente crudo) il Carso e la friulanità. Piccolo inciso, nella trama si inserisce lo smantellamento della frontiera italo - slovena, dove io avrei dato un piccolo risalto alla più ignota conseguenza di ciò: la caduta di uno degli ultimi muri del tempo della guerra fredda, quello tra Gorizia italiana e Nova Gorica slovena. Alla fine un libro riuscito a metà. Mi aspettavo di più, ora che i cattivi slavi dei primi romanzi erano usciti di scena. E mi aspettavo che qui nascessero altri antagonisti. Ma la trama non decolla. E credo se ne accorga anche Heinichen, tanto che alla fine sembra (e dico sembra che mi rimane sempre un piccolo punto interrogativo in fondo alla testa) che voglia eliminare tutti i contorni lasciando solo la nostra banda di eroi a continuare le prossime trame. Pochino. Speriamo meglio in futuro.
Marzia Musneci “Doppia indagine” Mondadori euro 4,90
[A: 02/12/2011 – I: 18/03/2012 – T: 20/03/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 258; anno: 2011]
All’inizio ero un po’ scettico, mi sembrava la solita riproposizione di un giallo all’italiana sull’onda dei tanti guasti degli ultimi anni (tipo Sarah Scazzi o altri). Poi invece prende quota. Soprattutto quando finalmente si centra sulla figura dell’investigatore Matteo Montesi (doppia M come l’autrice?). Dal narrato si capisce che è stato il protagonista di un’altra storia (e sarà interessante andarla a ricercare, pubblicata da un’improbabile casa editrice chiamata “La Riflessione”). E si costruisce un bel gruppo intorno a lui. Un gruppo che lavora molto su Internet (ed è chiamato, infatti “La Rete”), con personaggi simpatici e singolari. Soprattutto l’autistico Palanca, che mi sta simpatico subito, a pelle. La storia, appunto, comincia in sordina, che siamo invischiati nella scomparsa di una ragazzina di 11 anni, molto dotata per la danza. La madre, dopo tre settimane di inutili tentativi, si rivolge al nostro Montesi, coinvolgendolo però in una storia più complicata. Che 7-8 anni prima anche il marito della Alessia è scomparso. E lei è convinta che ci sia un legame fra le due sparizioni. Legame che sembra condividere anche la persona da cui doveva andare Stella prima di sparire. La sua insegnante di disegno, Elena. Montesi brancola nel buio, anche se cerca di farsi aiutare dal commissario che segue le indagini (e che si capisce abbia avuto un ruolo interessante nel primo romanzo). Ma riesce soltanto a farsi francobollare dall’aiutante del commissario, la bella e spigliata agente Cristiana. E mentre indaga con Cristiana, trova tracce del famoso Gianmarco scomparso, ma subito dopo viene uccisa Elena, e compare sulla scena il suo tormentato figlio, il maestro di piano Ettore. Brancolando nel buio, Montesi (sempre più aiutato e vicino alla bella Cristiana) però riesce a mettere insieme alcuni pezzi di informazione. Un disegno qua, un gioiello là, un avvocato reticente, un cieco che si aggira per il paese, un rebus lasciato da Elena sulla sua agenda. A poco a poco tutta una realtà diversa viene fuori. Un po’ ce lo aspettiamo, che quando qualcuno scompare senza lasciare tracce si sente subito odore di servizi segreti. Le persone assumono prospettive diverse. Anche i rapporti tra i vari personaggi si vanno complicando. Lo scomparso era forse una spia, ma anche forse un trafficante di gioielli. Elena era una brava disegnatrice, ma anche una forte mente matematica ed a sua volta una spia legata (o slegata) con l’ex-Unione Sovietica. Il figlio pianista è anche un giocatore d’azzardo che abilmente dilapida i suoi averi e viene a sua vola ricattato da altri trafficanti. E la bella storia di futuro amore tra Matteo e Cristiana, è vera o anch’essa inquinata da depistaggi e sotterfugi? Certo è che Matteo, qualche neurone del suo cervello lo sa usare. E ci fa piacere che metta insieme i vari pezzi del rompicapo. E capisca tutto. Forse non riesce, non riuscirà a provarlo. Ma capisce dove sia andato a finire il marito scomparso, la ragazza scomparsa, le spie, e tutto il resto. E (come sembra abbia fatto nella prima storia) riuscirà a ricomporre la storia in tutto il suo splendore. Certo, ci si domanda se sia più consono un lieto fine o la disillusione della cruda realtà. Io ho le mie preferenze. E l’autrice le sue. Non ve lo svelo, così qualcuno si rilasserà passando alcune ore in compagnia di un romanzo sicuramente non travolgente, ma scritto in modo onesto. E che giustamente ha vinto il premio annuale rivolto ai romanzi gialli d’autore italiano.
“La vita, si sa, è una questione di tempismo. La cosa giusta al momento giusto nel posto giusto. Sbagli una delle tre e sei fregato.” (58)
Francesco Guccini & Loriano Macchiavelli “Malastagione” Mondadori euro 10 (in realtà, scontato 7,50 euro)
[A: 18/03/2012 – I: 05/04/2012 – T: 08/04/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 305; anno: 2011]
È sempre piacevole leggere gli scritti a quattro mani dei due “bolognesi”. Anche quando, come in quest’ultima fatica, non sono proprio ai massimi livelli. Finite, o tralasciate, le storie ottocentesche di briganti ed anarchici (e dell’ottimo maresciallo Santovito che un po’ ci manca) i nostri si dedicano al presente. Con alcune caratteristiche che ne fanno la cifra stilistica: ambientazione in un paesino Appennino, direi tosco-emiliano, anche se più emiliano che tosco. Una piccola comunità, con tutti gli esponenti tipici: il vecchio bracconiere però leale, il giovane forestale (anima del romanzo e forse futuro protagonista di altri, con quel soprannome, Poiana, che già me lo rende simpatico), la locanda, le case, in paese o isolate, il maresciallo dei carabinieri (e già dire carabinieri basta), l’ex-sindaco ora titolare di un’agenzia immobiliare (ed anche qui si intuisce qualcosa), il costruttore edile con moglie belloccia, uno stuolo di immigrati (più o meno regolare), la ragazza cittadina con radici campagnole. Ed il solito, lodevole, impegno civile. Che sì, parliamo di gialli ed intrighetti (quelli che tanto non piacciono all’amico Baricco), ma sempre presente l’etica della nostra coppia. Il rispetto per la natura (e non a caso, il protagonista è una guardia forestale che proprio al rispetto della natura ed al ripopolamento di boschi e torrenti ha dedicato i suoi giovani anni), l’astio verso le beghe, l’insofferenza verso le gerarchie. Come aspettarsi altro dai nostri due fondamentalmente anarchici dentro? La storia prende le mosse dal ritrovamento di un piede nel bosco, ma senza il resto del corpo. E si sviluppa, lentamente è ovvio, verso un incendio, sicuramente doloso, ed il ritrovamento di un secondo morto, carbonizzato ma forse già cadavere. Il tutto condito dalla bella Francesca che, delusa dalla città, cerca le sue radici nella casa del nonno. Abbandonata, sembrava, ma dove trova tracce di passaggi non autorizzati. Dalla misteriosa scomparsa di un tunisino, forse carpentiere, sicuramente ingegnere. Dagli intrecci di affari e malaffari, che tutti ruotano intorno all’agenzia immobiliare, dall’incerta e sicuramente poco limpida proprietà. Il tutto condito dalle solite macchiette dei simpatici bolognesi. Prima fra tutti quella del bracconiere, che il padre, illetterato amante de “I tre moschettieri” chiama come il nome che appare sulla copertina, Adumas (!). Corretto e beone (come rinnegare i trascorsi, eh Francesco?). E poi l’altrettanto immancabile trattoria (per ribadire il bel mangiare contadino, come riesce a fare solo l’Adele). I quattro giovinastri perdigiorno. Il giovane ed un po’ scapestrato aiutante di Poiana. Il cameriere extra-comunitario (ed il caffè che rimanda al brigadiere Sarti Antonio, eh Loriano?). La ragazza-madre che vive nei boschi. Le vedove del casolare sperduto. Insomma, tutto procede ai ritmi di campagna, compreso il prevedibile filarino che nasce tra Poiana e Francesca. Ma tutto sull’onda del possibile. Onda che ci porterà al dipanamento dei diversi misteri sorti lungo le trecento pagine, anche se (sempre per rimanere in tema con i nostri), non saranno conclusioni consolatorie. Questo è poi il bello delle storie dei nostri due. Storie possibili, intrecci probabili, e finali (quasi) sempre aperti, in cui il lieto fine non è mai scontato, perché la vita è purtroppo complessa. E qui se ne tracciano alcuni fili. Mi piace, ribadisco, l’anima ecologista dei nostri. E la facilità di una lettura dipanatesi tra la pioggia amalfitana. Via, che vi offro una sfogliatella di Santa Rosa, a voi del Nord (che magari non la conoscete, ma l’apprezzerete senz’altro).
Inizio giugno, ed inizio, propriamente detto, del mio lavoro di sostituto di maternità. La collega è andata in permesso, ed io sarò lì da solo, nella sede tuscolana, a dipanar matasse, a volte di cui si capisce poco. Scommessa o testa dura? Si vedrà. Per ora

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