martedì 12 giugno 2012

Salmone - 01 aprile 2012

Perché il primo d’aprile è un giorno da … pesce. E perché parliamo di scrittori svedesi. Mediamente buoni, come un salmone appunto, magari ben condito. Così non crea sorprese, come le nostre vecchie conoscenze. Liza Marklund con la sempre interessante Annika Bengtzon e Nesser con il suo nuovo commissario Gunnar Barbarotti. Ed il nuovo entrato Jo Nesbø, con l’intrigante Harry Hole. Meno riuscito, con la solita operazione di strombazzamento mondadoriana che è veramente insopportabile, il forse onesto Lapidus, ma che a me è decisamente piaciuto poco. Altro elemento da sottolineare: il migliore (anche se di poco) per me è “Il pettirosso”, che fu scritto nel 2000; mentre gli altri tre sono tutti del 2006.
Liza Marklund “Il testamento di Nobel” Marsilio euro 12,50 (in realtà, scontato 8,75 euro)
[in: 04/02/2011 – out: 30/07/2011]
[tit. or.: Nobels Testamente; ling. or.: svedese; anno 2006]
Una nuova puntata della grande saga che ha per protagonista la giornalista Annika Bengtzon, da leggere in prospettiva del prossimo giro scandinavo. Anche qui siamo in Svezia, come lo saremo tra poco con Nesser. Ma soprattutto, siamo a Stoccolma. E non solo, siamo anche nelle sale del teatro che vede ogni anno il ricevimento in onore dei premi Nobel. Al solito, la nostra “intrepida” giornalista si trova coinvolta in qualche guaio più grosso di lei. Dato che proprio al ricevimento, una spietata killer professionista irrompe in sala ed uccide il premio nobel per la medicina e la donna che ballava con lui, capo della giuria che assegna i premi. Annika è un testimone oculare, costretta al silenzio dalla polizia. Perde anche il lavoro, ma non la voglia di indagare e la sua inchiesta la porta sulle tracce di un misterioso testamento lasciato da Alfred Nobel, l'uomo che desiderava promuovere la pace e il progresso, e che, per ironia della sorte, con il suo lascito sembra continuare a suscitare rivalità, violenza e morte. Ma tutta la tiritera su Nobel e sui suoi tentativi letterari è un po’ fuori registro. Nel frattempo continua ad inasprirsi il contrasto con il marito (traditore nella puntata precedente). Anche qui però la Marklund lavora di fino per una bella costruzione (forse un po’ prolissa) che porterà, con qualche sorpresina, alla risoluzione del giallo. Un giallo dove l’autrice dà anche qualche colpo al sociale, sia verso le storture dell’ordinato mondo svedese, sia verso le piccinerie del mondo della ricerca scientifica (perché purtroppo anche alle menti più eccelse capita di inciampare nelle bassezze più bieche). Ma la Marklund lavora bene anche sul registro privato, dove fa confrontare Annika con la quotidianità della propria vita, dilaniata tra un lavoro che la assorbe e appassiona, ed una sfera privata, non priva di problemi, come detto. È una moglie che, scoperto il tradimento del marito, ha sentimenti altalenanti nei confronti del coniuge. Ma è anche una madre con due figli piccoli succube spesso di quei tipici sensi di colpa delle donne moderne divise fra carriera e famiglia. È un’amica generosa ma straordinariamente poco di polso con persone che sembrerebbero soprattutto approfittarsi di lei. Ma è, più di tutto e prima di tutto, un’ottima reporter investigativa, nata per scrivere, che fortunatamente non dimentica mai di mettere nero su bianco i propri pensieri, le proprie impressioni, perché il tempo ha la tendenza a cancellare anche i ricordi che si potrebbero credere indelebili. In complesso, un libro con alti e bassi, che perde molto del mordente se non si è seguito il filo delle storie della Bengtzon, a cominciare dal lontano “Delitto a Stoccolma”, che poi, visto che la Marklund ne ha scritti 8 di libri su Annika, si colloca a metà della storia. E dove per altro il secondo libro della serie non è ancora stato tradotto in italiano (!). Questa prova la trovo un po’ troppo prolissa (visto che a volte deve riassumere avvenimenti precedenti), e con Annika non sempre così vispa e pronta all’opera come in altre prove. Sarà che il momento privato influisce, ma rimane sempre lì, quasi si facesse trascinare dalle cose. Speriamo che nelle prossime puntate ritrovi la serenità. Cosa che invece non riescono a trovare i paesi scandinavi (basta volgere uno sguardo agli orrori che sono successi pochi giorni or sono in Norvegia). Insomma, qualche spunto e qualche sbadiglio, anche se conditi da qualche bel salmone affumicato.
Håkan Nesser “L’uomo senza un cane” TEA euro 9 (in realtà, scontato 7,30 euro)
[in: 22/01/2011 – out: 11/08/2011]
[tit. or.: Månniska utan hund; ling. or.: svedese; anno 2006]
Visto che si parte tra poco (domani) per la Scandinavia, ho deciso di dedicarmi ad un autore locale, tanto per entrare nel clima. Mi ritrovo quindi tra le mani un nuovo scritto di Nesser. L’autore ha scritto una lunga serie con protagonista il commissario Van Veeteren, che ho letto integralmente. Ora, verso la metà del decennio, ha deciso di dedicarsi ad un nuovo personaggio. Ed ecco qui, allora, la prima inchiesta dell’ispettore Gunnar Barbarotti. Intanto è divertente il fatto che il protagonista sia di padre italiano e madre svedese. Personaggio interessante (anche se fa la sua prima comparsa dopo 120 pagine). Primo perché è meglio vivendo in Svezia, chiamarsi Gunnar Barbarotti che Giuseppe Larsson. Poi è un poco più che cinquantenne, da qualche anno single, dopo un divorzio di media difficoltà, che a lui è andato bene, anche perché la figlia diciottenne Sara ha deciso di rimanere con lui. Infine perché continua a fare un gioco interiore sull’esistenza o meno di Dio, a seconda degli avvenimenti che deve affrontare e di come si svolgono. Detto questo (che mi fa già affermare che sarà il caso di seguire altre puntate delle sue inchieste) veniamo al libro in sé. Che in ogni caso non è affatto male. È vero, l’inchiesta parte ad un certo punto, ma facciamo in tempo a vedere qualche spaccato di vita scandinava. Soprattutto la vita della famiglia Hermansson. Si festeggiano, infatti, i sessantacinque anni del capostipite, ma non è una festa allegra. Ha tre figli, due femmine, la solida Ebba e l’insicura Kristina, ed un maschio, Robert, diventato la pecora nera della famiglia da quando, ospite di un Grande Fratello svedese, si è ubriacato e masturbato in diretta TV. Per la vergogna gli Hermansson decidono di vendere casa e trasferirsi in Spagna. Questa sarà la festa d’addio, solo familiare, con anche i due nipoti, il piccolo Kristoffer e Henrik, studente ad Uppsala e forse di tendenze omosessuali. Già questo è un bel plot, ma su questo si innesta il giallo, la scomparsa a poche ore di distanza prima di Robert poi di Henrik. Ed è a questo punto che interviene il nostro Gunnar. Il romanzo procede e si arricchisce man mano, non tanto di colpi di scena (anche se qua e là qualcosa accade), ma soprattutto di tratti psicologici di questi strani svedesi. Un po’ dei due che se ne vanno in Spagna. Molto di Ebba, distrutta senza rimedio dalla scomparsa del figlio. E di Kristina, la figlia un po’ hippie, che ha un difficile rapporto con il marito (inciso, abita nel quartiere floreale di Stoccolma!). E di Kristoffer, che a suo modo cerca di aiutare le indagini alla ricerca del fratello. Ne escono fuori i caratteri strambi di scandinavi forse tipici, certo problematici. Ma anche descrizioni di luoghi (si dovrà andare assolutamente a Uppsala, sembra molto interessante), di modi di vita. Ed esce anche lì non in modo prepotente, ma rigo dopo rigo con qualche connotazione in più, la figura di Gunnar. Un po’ insicuro, un po’ sornione, un po’ ingenuo, riflessivo, e molto legato alla figlia. Ed è Gunnar che alla fine, annodando qua e là fili sparsi, risolve tutti i misteri. Che come tutti i misteri sono dolorosi, nascondono mezze verità che forse sarebbe bene tacere. Qui esce fuori la pietas dell’ispettore che, comunque, mette in prima fila le persone, il lato umano, piuttosto che la mera risoluzione del caso. A volte non tutto è giusto che venga detto, se quello che già si dice è sufficiente. Insomma un bel libro estivo, ed un personaggio da coltivare.
Jens Lapidus “La traiettoria della neve” Mondadori euro 17,50 (in realtà, scontato 5 euro)
[in: 13/12/2010 – out: 08/12/2011]
[tit. or.: Snobba Cash – Hatet Drivet Jakten; ling. or.: svedese; anno 2006]
Anche qui c’è voluto un anno per portare a termine un esperimento. La domanda che mi facevo appunto un anno fa, era: “Ma qual è il motivo di questa invasione di gialli nordici? Ed in particolare svedesi?” La risposta, ora, dopo tante letture, e soprattutto dopo questa lettura, è che siamo in presenza di uno dei più limpidi esempi di operazione di marketing. Lo sospettavamo, in verità. E qui, con questo inutile, lungo ed insensato romanzo ne abbiamo avuto la prova lampante, e per me definitiva. Allora, il buon avvocato Lapidus viene lanciato in Italia come il campione delle vendite in Svezia, per due anni primo in classifica. Ora, fatto salvo che non si trova un sito che è uno che dia la classifica delle vendite al top in Svezia, noi possiamo anche ribadire e vendere al mondo che “La lettera sulla felicità” di Epicuro è da 5 anni in testa alle vendite in Italia. Certo, ed è vero, peccato sia in testa alle vendite nella sezione “Super Tascabili” visto che costa (a seconda delle edizioni) da 1 a 3 euro. Secondo elemento di marketing, questa volta valido anche in Svezia. Questo viene presentato come il Primo libro della “Trilogia di Stoccolma”, ovviamente, sia qui che lì, per ricalcare il compianto Stieg. Peccato che il secondo libro sia uscito in Svezia nel 2008 ed in Italia due anni dopo. Ed il terzo, di pochi mesi fa, è inedito in Italia. Terzo elemento, tutto italiano: in tutto il mondo il titolo viene tradotto più o meno fedelmente come “Denaro facile” (Easy money in USA, L’argent facile in Francia e così via). Da noi si sfrutta: la neve di Peter Hoeg, ed un titolo freddolino per ricollegarsi subito alla Scandinavia. E tutti dimenticano il sottotitolo: L’odio guida la caccia. Veniamo allora al contenuto, che, appunto, dovrebbe almeno giustificare le sperticate lodi. Ora, sono più di 600 pagine, incentrate su tre personaggi che seguiamo a capitoli alterni, cioè uno dedicato a Jorge il profugo cileno maestro delle fughe e della coca, uno dedicato a JW, lo svedese normale, studente e poi mago di droghe e riciclaggi, ed uno dedicato a Mrado, profugo sloveno, palestrato e membro esimio della mafia slava. Ma nessuno dei tre diventa mai un “eroe” del romanzo, un personaggio che ci fa piacere seguire anche se fa stronzate, cattiverie o peggio. Rimangano lì, ne vediamo le gesta, ma sono freddi sulla pagina (ah, ah, siamo in Svezia). Lapidus ha poi la pretesa di fare un quadro della malavita scandinava, così ci presenta la grande ragnatela di corruzioni e corruttele presenti, il tutto gestito dal capo serbo, il mitico signor R. Ha forse la pretesa di farci sorridere, quando cerca di incasinare il quadro dove Mrado pesta Jorge, Jorge per vendicarsi si lega a JW, JW che lavora per il turco Abdul, Abdul che prende ordini da Nenad, che è il numero 2 dietro al signor R, il cui maggior sodale è Mrado. Ma che siamo dalle parti del Doppio Sogno di Schnitzler? Per fare finta poi di aver parvenze di serietà, ogni tanto inserisce interrogatori dei Tribunali, dispacci della polizia ed altri elementi ufficiali. Che non fanno altro che porre eventualmente domande sul perché non si faccia piazza pulita, viste le informazioni che si hanno. Ed ultimo tocco, JW è inserito nella Stoccolma bene, e si capisce che lì giri cocaina a piovere. Ma il romanzone è pieno di domande per la maggior parte irrisolte (ne parlerà nelle altre puntate? Ma ha mai visto come si confezionano i serial book?). Ad esempio abbiamo il forte sospetto che Sophie sia legata alla polizia, ma il mistero rimane. Come rimane il mistero di Camille, che a pagina due sembra essere stata rapita ma non uccisa. Poi scompare. Poi, cinquecento pagine e quattro anni dopo riappare in un video dove sembra venga uccisa. E come fa JW da normale studente di economia a diventare un mago del riciclaggio, tanto da aprire società off-shore con sede nell’Isola di Man? Ha seguito corsi serali per diventare così bravo? E dopo 600 pagine, una veloce resa dei conti, con buona parte dei personaggi in prigione, meno il sempre fuggiasco Jorge, che troviamo in Thailandia. No, veramente troppo. Lapidus, forse è meglio che torni a fare l’avvocato, dove ti serviranno certamente i fiumi di parole che hai consumato in questi scritti. Insomma, negativo su tutti i fronti.
“Cercò di regolare l’acqua [della doccia] alla giusta temperatura. Chissà perché, si trovò a pensare, è così difficile regolare l’acqua al calore giusto. Prima troppo calda, poi basta un nanomillimetro a sinistra e diventa troppo fredda.” (156)
Jo Nesbø “Il pettirosso” Piemme euro 11,50 (in realtà, scontato 8,05 euro)
[A: 02/06/2011 – I: 21/03/2012 – T: 24/03/2012]
[titolo: Rǿdstrupe; lingua: svedese; pagine: 491; anno: 2000]
E finalmente si legge qualcosa di questo quasi cinquantaduenne (compie gli anni tra cinque giorni il 29 marzo) autore norvegese, presentato dall’orrendo battage italico quasi fosse un Giorgio Faletti norvegese, perché canta e scrive. Tuttavia il suo percorso è inverso, che prima inizia a scrivere (ed ancor prima fa il giornalista) e poi a cantare in un suo complesso norreno (tra l’altro con il fratello, ex-giocatore di calcio ed ora giornalista sportivo). Secondo punto dolente del modo italiano di approcciare autori stranieri, questo primo romanzo tradotto in italiano è il terzo episodio della serie incentrata sul poliziotto Harry Hole. E mentre si continuano a tradurre i successivi tasselli delle storie, i primi due episodi rimangono inediti in Italia (anche se qualche elemento trapela nel corso della storia). Una storia, questa del Pettirosso, devo dire potente e coinvolgente. Scritta nel 2000, nel periodo in cui su temi analoghi Mankell scriveva “Il ritorno del Maestro di danza”, ma con un bel respiro, ed una scrittura coinvolgente. L’ambientazione risente di qualcosa che forse è molto sentito in Norvegia. Quei rigurgiti neo-nazisti e razzisti che sembrano minare molte basi del perbenismo norvegese (per poi arrivare al culmine lo scorso anno con la strage di Utoya). È la storia di base è quasi troppo lineare: un ex-combattente norvegese nelle file dell’esercito di Hitler, ora cinquanta anni dopo la fine della guerra, sta morendo di cancro. E decide di porre fine alla sua vita con una grande strage e giustiziando persone che, nella sua mente, hanno “tradito”: lui, la sua fede, la sua storia, i suoi amori. Per farci entrare nella testa di questo assassino, Nesbø ci racconta, per brani e salti temporali, la storia di questo gruppo di soldati, del loro arruolamento, della loro sconfitta (personale e storica), dei loro amori, e dei loro furori. E poi del suo presente, i collegamenti appunto con i razzisti attuali ed altre politiche attualità che non vi dico. Ma questo filone si intreccia con il presente (che qualcuno muore e la polizia se ne deve occupare). Qui entra in scena il protagonista, Harry Hole, reduce (nei libri precedenti) da qualche buon successo investigativo, ma che ha lasciato dei segni. Ad esempio, e soprattutto, nel cedere un po’ facilmente all’alcool. Harry viene comunque presentato a tutto tondo. È un discreto ragionatore. Ha una (per me) piacevole empatia con le situazioni. È anche un orso solitario, con, pare, sorella disabile (che però non incontriamo). La storia primaria si intreccia qui con altre sotto-storie: il summit israelo-palestinese ad Oslo con visita del presidente americano, qualche problema d’ordine pubblico, un segretario del Ministero degli Esteri un po’ troppo incline alle donne, avvocati ruffiani, poliziotti corrotti. Si complica anche con la morte di una giovane collega di Harry e con il suo innamorarsi di una ragazza nubile con figlio a carico. Ma Nesbø ha la capacità di mantenere le fila del discorso, di narrare le storie e di farle intrecciare in un unico, complesso filone. Come in tutti i gialli di spessore, siamo portati dall’autore verso facili (e false) soluzioni, che però Harry sbaraglia arrivando alla soluzione reale. In un finale che a me è piaciuto sia perché non trancia giudizi avventati, ma colloca le persone ad un (quasi) corretto punto di prospettiva, dove possiamo comprendere e condannare i cattivi senza fare di tutta l’erba un fascio. Sia perché lascia aperte alcune porte che ci fanno intuire (se già non lo sapessimo) che ci sarà un dopo. E siamo curiosi di capire come e dove ci porterà questo dopo. Insomma, un buon autore cui mi sono accostato lentamente, ma che prenderò di nuovo in mano.
“Come sempre, quando la sua vita privata diventava troppo problematica … si era rifugiato nel lavoro.” (345)
Prima trama d’aprile, e come sanno i miei affezionati tramatori, presentiamo una piccola analisi dei libri letti due mesi fa. Un inizio di anno con molte letture: ben 20 titoli,  con tre prove interessanti (la scoperta di Rankin, la sorpresa Jonasson e l’outsider Michela Murgia) e tre decisamene brutte (con Bellow ed Herta Muller che me li aspettavo ed un vecchio inaspettato De Luca). Ed essendo da poco passato il Natale, sono presenti ben 5 regali.
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Maurizio De Giovanni
Per mano mia
Einaudi
18
3
2
Saul Bellow
Herzog
Repubblica Novecento
4,90
1
3
Erri De Luca
I pesci non chiudono gli occhi
Feltrinelli
s.p.
2
4
Ian Rankin
Anime morte
Repubblica Giallo
5,90
4
5
Giuseppe Pontiggia
Nati due volte
Repubblica Novecento
4,90
2
6
Dominique Fernandez
Porporino ovvero I misteri di Napoli
Colonnese
s.p.
2
7
Giorgio Bassani
Il giardino dei Finzi-Contini
Repubblica Novecento
4,90
3
8
Michela Murgia
Accabadora
Einaudi
s.p.
4
9
Massimo Vitali
Se son rose
Fernandel
s.p.
2
10
Stefano Benni
La Compagnia dei Celestini
Repubblica Novecento
4,90
2
11
Michael Muhammad Knight
Islampunk
Newton Compton
6,90
2
12
Jonas Jonasson
Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve
Bompiani
s.p.
4
13
John Fante
Chiedi alla polvere
Repubblica Novecento
4,90
3
14
Giuseppina Torregrossa
Il conto delle minne
Mondadori
9,50
2
15
Roddy Doyle
Matto weekend
Repubblica Amore
3,90
2
16
Francesco Guccini
Vacca d’un cane
Feltrinelli
7
3
17
Vincenzo Vigo
Sorry, mister Ungaretti
Aliberti editore
9,90
2
18
Herta Müller
Le vie sottili
Repubblica Amore
3,90
1
19
Chiara Gamberale
La zona cieca
Bompiani
8,90
3
20
Erri De Luca
In alto a sinistra
Feltrinelli
7
1

Vogliamo dire che è stata una settimana pesante? Che abbiamo cominciato un nuovo lavoro che impegna lunghe ore di tavolo, e, per ora, taglia palestre e divertimenti? Che abbiamo continuato con grandi riunioni telefoniche tra Bologna e Bruxelles per presentare altre proposte europee? Che è finita tra lacrime e sospiri? Fortuna che tra sette giorni è Pasqua, e, fortuna, che si stacca un po’. Che sono decisamente al punto interrogativo.
Vi piacerebbe ricevere il solito bacio settimanale, ma essendo primo d’aprile, facciamo un po’ di scherzi, e lo razioniamo, magari portandolo ad Orlando.

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