Festa della Repubblica e dovuto
omaggio ad uno dei decani tra gli scrittori italiani (e si capisce dal titolo che ricorda anche si sia alla millesima recensione). Che sempre mi rimarrà
caro per avermi regalato Ezechiele Sheridan (questo l’augusto nome del famoso tenente).
E per aver ridato impulso ad uno scrivere civile che sembrava essersi perso.
Non sempre è all’altezza. A volte si ripete. A volte è troppo prolifico, e mi
fa preoccupare. Ma fino a quando farà sorridere mia madre continuerò a
comprarlo con gioia.
Andrea Camilleri “La strage dimenticata” Sellerio euro 7 (in realtà,
scontato 5,95 euro)
[in: 02/10/2011 – out:
14/11/2011]
[tit. originale; ling.
or.: italiano; anno 1984]
Un
Camilleri d’annata, alla ricerca della sua vena non Montalbaniana, senza molto
dialetto, ma con molta Sicilia. Anzi con molto Porto Empedocle. Siamo ancora
nell’era eroica della Sellerio, quando si pubblicavano piccole cose che
servivano a riscattare piccoli fatti dall’oblio. Così come si era cominciato
con Sciascia e Roussel. Camilleri, reduce o quasi dagli sceneggiati televisivi
(di cui ricordo sempre i suoi per me “must”: il tenente Sheridan ed il
commissario Maigret), non ha ancora iniziato a scrivere di Vigata e del suo
commissario (la prima inchiesta sarà solo dieci anni dopo). Così come non ha
sviluppato ancora gli stili e i modi della lingua mista che utilizzerà dal
Birraio di Preston in poi. Qui, molto agilmente e velocemente, rievoca una
strage minima, cui nessuno da più conto, ma che gli serve a mettere qualche
puntino sulle “i” della piccola storia. In maniera centrale, perché la morte
dei 114 detenuti (di cui in appendice riporta i nomi, ed è curioso leggerli,
uno accanto all’altro, questi topoi siciliani, passando da Liborio Bonsignore a
Giorgio Montalbano, da Stefano Mistretta a Giosuè Mineo, e via siciliando) avviene
nel 1848, durante i moti siciliani di gennaio, nel carcere mandamentale della
Borgata Molo del porto di Girgenti. E Girgenti diventerà Agrigento. E la
Borgata Molo sarà il nucleo del comune di Porto Empedocle (dove nascerà 77 anni
dopo il nostro Andrea). Ed i morti verranno sepolti sotto una croce, che
diventerà località "crocidda", dove c’è la casa avita dei Pirandello.
Con vena da cronista, passa in rassegna i pochi avvenimenti tra repubblicani e
borbonici che avvengono in loco. Lanciando però dei messaggi che saranno
costanti nella sua scrittura civile: la pubblica amministrazione corrotta,
l’incapacità dei dirigenti delle forze di polizia, ed altre storture. Infatti,
il colonnello Sarzana, comandante della guarnigione, quando iniziano i primi
vocii di rivolta pensa bene di chiudere i detenuti nella fossa del castello,
dimenticandosi che in quel modo non saranno solo privi della libertà, ma anche
dell’aria. E così moriranno tutti e 114. Ma son solo detenuti, e Sarzana, fatto
fuggire nottetempo, non pagherà il fio delle sue colpe. E di notabile Attard
non potrà che stilare l’elenco dei morti, per poi far carriera e diventare il primo
sindaco di Porto Empedocle (e dieci anni dopo ucciso con lupara di mafia). La
morte di quei 114 detenuti segna in un certo senso una pietra nella nascita del
comune, ricostruita anche con il filo della memoria della nonna di Camilleri, e
di altri resoconti coevi (tra l’altro, lui e molti cittadini della borgata sono
curiosamente di origine maltese). Ma almeno se ne tiene memoria, anche se ne
spariscono le tracce tombali. Non così avviene per la seconda strage che
rievoca, dice lui “come in una parentesi”, avvenuta nello stesso periodo in
quel di Pantelleria. Lì, in più, essendo allora terra di contese feroci tra
nobili stessi, tra personaggi oscuri e poliziotti depravati, quei 15 morti non
vengono registrati per nome, e se ne perde traccia ulteriore. Quante sono
state, e sono, le stragi grandi e piccole che si ripetono nel corso di anni e
di decenni? Quanto si dovrà aspettare perché il vivere civile sia ripristinato
a tutti i livelli? Ecco, l’affabulatore Camilleri non si spinge molto oltre.
Non va in profondità. Ci lascia la solita amarezza dell’ingiustizia del potere
e del premiare che si meriterebbe tutt’altro.
“Voi morti non siete tutti uguali.” (61)
Andrea Camilleri “Maruzza Musumeci” Sellerio euro 10 (in realtà,
scontato 8,10 euro)
[A: 16/05/2011 – I: 03/02/2012 – T: 04/02/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 151;
anno 2007]
Un nuovo episodio della “storia
inventata della città di Vigata”. Camilleri in questa favola di or sono cinque
anni, si diletta appunto a tirare fuori altri tasselli di una storia della
cittadina in periodo pre-montalbanico. A volte lo fa con le storie legate a
realtà e possibili fatti (incendi, furti, episodi durante il fascismo), altre
volte con invenzioni e favole. Così come in questa, dove, come confessa in
finale, sulla scia dei racconti aviti, tira fuori una delle tante possibili
storie di questo paese quasi-di-mare. E per chi ha visto quei posti, per chi è
andato passeggiando tra Scicli e Donnalucata, è facile immaginarsi un paese che
unisca l’entroterra ragusano, con i suoi vicoli, le sue chiese e le sue
campagne, con il mare duro che si affaccia verso le coste d’Africa. Inventando
certo, ma un po’ ricalcando, anzi cercando di percorrere a ritroso uno dei
grandi miti dell’umanità. Quello di Ulisse e delle sirene. Perché il nostro
eroe è l’anti - Ulisse per eccellenza. Che odia andar per mare, e quando,
costretto dalla vita ad acquistare della terra in riva al mare, vi costruisce
su una casa con tutte le finestre verso la costa. Ignazio detto Gnazio ha già
avuto un bel po’ di vita, nato a metà dell’800 e poi emigrato in America a
cercar fortuna. Ma infin tornato (tremando tutto il tempo sulle navi a vapore)
per non dover cedere alla mafia italoamericana. E si sistema come sopra detto.
Ma ora, volendo metter su famiglia, cerca una sposa. E gliela trova la sensale
del paese, la Pina. Che convince lui a sposare la più bella ed indocile giovane
di Vigata. Maruzza la bellissima, che sogna (ma sarà sogno o realtà?) di essere
una sirena. Tanto che si fa costruire da Gnazio delle piscine per potersi
bagnare quando ha la “gana” di essere un pesce. Maruzza è bella e strana. Ma
Gnazio è calmo e paziente. E soprattutto, conscio dei suoi limiti, ma anche
consapevole della sua fortuna, asseconda le volontà della bella Maruzza. E ne
sarà ripagato, da quattro figli: Cola, il maggiore che si farà intelligente e
astronomo emigrando anche lui in America negli anni ’30, Resina, la prima
femmina, che seguirà le orme sirenesche della madre e della nonna Minica,
Calorio e Ciccina, gli ultimi due di vita e sviluppi normali (se così si può
dire della famiglia di Gnazio, dove ognuno ha comunque qualche buona dota). E
così, inanellando favole e situazioni realistiche, Camilleri ci narra le vicende
di tutta la famiglia. Delle vendette delle sirene contro una famiglia di
pescatori, i cui primi figli si chiamano tutti Aulissi e il loro cane Grò (dove
si ben legge Ulisse ed Argo). Della strana casa che costruisce Gnazio, e che,
fotografata dal buon americano di passaggio, diverrà il modello delle prime
case dell’architetto tedesco Gropius. Delle strane poesie che in greco antico
si tramando le prime figlie femmine della dinastia. Insomma, sospesi tra favola
e realtà, scorrono gli anni e si compiono i destini. Chiudendo i cerchi
lasciati aperti a suo tempo, quando Ulisse sfidò e sconfisse le sirene. E che
ora le sirene, sconfitti i moderni Ulisse, e rappacificate con gli uomini
attraverso Gnazio, possono tornare a vivere la loro pacifica vita tra mare e
delfini. Non è bellissimo, bisogna dirlo. Che rimane tutto sempre un po’
sospeso. Ma una buona prova del Camilleri favolista (anche se a me piace più lo
scrittore quando si impegna e si appassiona di furore civile), sorretta da una
delle più serrate scritture in vigatese stretto tra le sue opere. Da fare
impallidire tutti i romanzi del buon Salvo. Qui, proprio perché stiamo più sul
versante favole, l’italiano praticamente scompare, ed il dialetto ci culla
nelle sue onde, a volte incomprensibili ma sempre affascinanti. Diciamo da
gustare con qualche bel dolcetto locale, sorseggiando una malvasia o uno
zibibbo.
“Vecchiu ridiculu … com’è che ti capitò di pigliarti d’amuri a
quarantasette anni?” (43)
Andrea Camilleri “La setta degli angeli” Sellerio euro 14 (in realtà,
scontato 9,80 euro)
[A: 04/12/2011 – I: 19/02/2012 – T: 20/02/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 233;
anno 2011]
Un’onesta prova intellettuale, ed
una prova d’amore, al solito, per la sua Sicilia. Di cui conosce pro e contro,
che un po’ ironizza sui difetti, ma alla fine, non può che sottolinearne le
virtù. Anche, e soprattutto, se queste vengono sopraffatte dalla malasorteria
locale (neologismo di crasi per consorteria malvagia). Il nostro prolifico
autore (ed anche il più presente nella mia pur vasta biblioteca) prende le
mosse da un fatto realmente avvenuto ed utilizza, come elemento centrale della
storia, l’avvocato Matteo Teresi. Avvocato che ha avuto una sua vita ben interessante,
che, dopo gli avvenimenti narrati, decide di emigrare in America, dove farà
l’avvocato delle cause degli emigranti, e dove morirà alla veneranda età di 96
anni. Il fatto centrale della storia è narrato nelle cronache della città di
Alia e ripreso in due articoli pubblicati nel luglio del 1901, contenenti
dichiarazioni di Don Luigi Sturzo e di Filippo Turati. Camilleri prende questo
nocciolo duro, e lo trasferisce in una città inventata, e ci costruisce intorno
tutta una serie di personaggi “tipici” della vita siciliana a cavallo del
passaggio tra il XIX ed il XX secolo. Il mistero della città di Palazzolo è il
contemporaneo rimanere incinta di alcune giovani locali, anche di buona
famiglia e casata. Tutte ragazze a modo e non par dedite a fuitine o simili
sotterfugi. Poiché non solo siamo in anni bui, ma anche in Sicilia, del fatto
non se ne parla. O se ne parla a mezza bocca. Fatto che genera tutta una serie
di equivoci e rovesciamenti di situazioni. C’è il solito circolo dei notabili
(che spesso Camilleri utilizza come motore dell’azione, come nel racconto “La
targa” degli inediti del Corriere). C’è il solito barone che capisce fischi per
fiaschi, ed invece di capire il problema delle gravidanze, pensa ci sia
un’epidemia di colera e scatena il panico nel paese. Panico che i parroci del
paese stesso cercano di riversare su quello che viene considerato il
sovversivo. L’avvocato Teresi, mazziniano e difensore dei villici. La
situazione si intorbida, che il Regio Esercito invia uno squadrone con a capo
un capitano torinese (ahi quale difficoltà per il siculo accettare un
nordista!). Che pare allocco, ma poi si rivela anche lui “tutto d’un pezzo”.
C’è anche il brigante Salamone che imperversa nelle campagne e si trastulla con
fanciulle rapite, tra cui la Rosita che ne rimane sconvolta. Salamone verrà
preso e fucilato. Rosita cercherà conforto dal parroco, ma rimarrà sempre più
chiusa in sé. Tanto da saltare dalla finestra. Teresi intanto prosegue nelle
sue indagini. Sul fatto che un ragazzo sia stato ridotto in fin di vita da un
marchese del Circolo. Sulla morte di Rosita. Ed anche su quelle gravidanze che
continuano ad essere misteriose. Gli sforzi congiunti di Teresi e del capitano
porteranno alla soluzione di tutti i misteri, scoperchiando pentole che non
andavano scoperchiate. Uno scandalo. Quello appunto riportato dai giornali e
sopra indicato. Ma Camilleri è siculo, e sa che tutto si ridurrà ad ammuina.
Che non si possono punire né notabili, né clerici, né mafiosi, né poliziotti.
Insomma nessuno sarà colpevole di nulla, perché in fondo, i fatti non
sussistono. Il capitano verrà, infatti, promosso e tornerà nel natio Piemonte.
Solo Teresi rimane a prendersi i fulmini che continueranno a girare per il
paese. E dovrà scegliere tra rimanere e subire o andarsene e dimenticare. Non
torno al romanzo, ma come detto sopra, Teresi scelse l’America dove si trasferì
trentino e vi rimase sino alla fine. L’operazione di Camilleri è carina, ma non
tanto incisiva. Sì, vengono pur dati i soliti schiaffi a chi se li merita. E si
vedrà fino in fondo la protervia dei “comandanti” siciliani (cioè di quelli che
detengono il potere e sanno come esercitarlo). Ma non molto di più. Né molto a
fondo vanno le solite vene ironiche, i bozzetti, ed altro. Forse perché sembra
che li riprenda, a destra e a manca, da altri suoi scritti. In fondo, un libro
decente, compagno di questi giorni di letto.
Andrea Camilleri “Il gioco degli specchi” Sellerio euro 14
[A: 02/06/2011 – I: 21/05/2012 – T: 23/05/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 204;
anno 2011]
E siamo finalmente tornati dalle
parti di Salvo! Era un po’ che si leggevano dei Camilleri disparati, e fa bene
ogni tanto tornare al suo filone principe. Tra l’altro con una prova che
risolleva un po’ le ultime uscite del commissario di Vigata, che si stavano
attorcigliando e perdendo anche il poco smalto che avevano. Tanto che suggerivo
l’ipotesi che avesse assoldato qualche scrittore-fantasma cui fornire l’idea e
lasciar correre il testo. Qui, anche se in maniera non eccellentissima, si
ritorna a calcare scene più usuali. Ed il nostro Grande Vecchio riprende in mano
anche la sua bacchetta da regista teatrale, organizzando lo spettacolo scritto
come una specie di recita da palcoscenico. C’è il protagonista, lui, Salvo
Montalbano, al centro della scena, con i suoi ormai ben noti tic, e con
l’andamento lento che lo porta dalle iniziali confusioni alla soluzione del
giallo, ed anche a dare, qua e la, colpetti politico-civili che mai non
guastano. Ci sono i corifei, suoi comprimari, anche loro ben incartati nelle
loro caratteristiche pluriennali: Mimì Augello, ormai assurto al ruolo di “tonto
felice”, quello che si muove senza capire ed a cui si devono spiegare le cose
(così anche il pubblico capisce); Fazio, che da pedina di fondo, diventa sempre
più un Montalbano in minore, capace di seguirne i ragionamenti, anche anticipandoli
a volte; Catarella, la macchietta, il comico di spalla, cui si riservano
siparietti, ma anche, a volte, momenti in primo piano (anche se altrove meglio
si sfruttavano le sue capacità di sciocco tecnologico, mentre qui serve solo a
smontare computer come fosse un meccanico d’officina; Adelina, con i suoi pasti
favolosi (fin ad arrivare a celebrare festosamente i suoi arancini da
collezione); la lontana Livia, che questa volta lì si mantiene, anche perché
(come dissi nell’ultima uscita) o le si ritrova un ruolo, o meglio farla
decadere (anche se qui, pur non essendoci, Camilleri ci fa capire che, tutto
sommato, Salvo le rimane sempre fedele). E c’è la storia. Che comincia con
delle bombe di vago stampo mafioso che non si sa perché scoppino dove scoppino.
Che continua con i misteriosi vicini della villa di Marinella, i nordici
Lombardo, con l’attenzione che poi si concentra sulla signora Liliana. “Bedda
fimmina”, come direbbe Salvo. Che prima lo tiene a distanza, poi gli si butta
addosso, anche senza arrivare al dunque (per le circostanze o perché Salvo
pensa alla Livia lontana?). Con la scoperta della tresca amorosa tra la bella
Liliana ed un giovane in odore di mafia della nuova generazione. Anche se il
buon Antonio è ancora alle prime armi, ma comincia a fare il galoppino per uno
dei boss locali (quelli della famiglia Sinagra, che ben conosciamo dal corso
delle storie di Vigata). E con tutto il gioco di specchi che si viene
costruendo intorno, dove tutto si vede, ma non è quello che sembra, o ben si
travisa, o si muta in altro (come le scene di specchi al Luna Park, di cui si
cita la più famosa, quella della “Signora di Shangai” di Orson Wells, ma che
ogni trent’anni fa una sua ricomparsa a citazione negli anni ’70 in “007 L’uomo
dalla pistola d’oro” e negli anni 2000, in “Tom e Thomas: un solo destino” – e
se non trovate la citazione chiedete pure al vostro tramatore). Alla fine
tuttavia Salvo riesce ad uscire da tutti questi specchi e porta a compimento la
missione di trovare il vero assassino. Il disincanto di Camilleri per la
giustizia è comunque palese, tanto da risolvere le sue personali “vendette” in
modo extra-giudiziale (e di fare qualche colpetto trasversale alla politica
isolana, dove mette lo sfuggente signor Lombardo al soldo del clan rivale dei
Sinagra, comandato dalla famiglia Cuffaro; e chi sa di Sicilia ne può trarre conclusioni).
Ma il romanzo scorre bene, la penna è felice, e noi ci riavviciniamo alla sua
scrittura in modo più amichevole del passato.
“Non gli piaciva parlari delle sò cose, non gli piaciva essiri
compatuto” (51)
Prima
trama di giugno ed allora riporto i libri, non tanti né di troppa qualità,
letti nel mese di marzo, più laotiano che italiano. A parte un buon Joseph Roth
ed un pessimo Moravia, il resto decisamente nella media. Si è letto di meglio
suvvia.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Zygmunt Baumann
|
Le sfide dell'etica
|
Feltrinelli
|
10
|
3
|
2
|
Clive Cussler & Jack du
Brul
|
I predatori
|
TEA
|
8,90
|
2
|
3
|
Antonio Tabucchi
|
Piazza d’Italia
|
Feltrinelli
|
7
|
3
|
4
|
Elizabeth Peters
|
Il caso del sarcofago scomparso
|
TEA
|
9
|
3
|
5
|
Nick Hornby
|
Febbre a
|
Guanda
|
7,50
|
3
|
6
|
Marzia Musneci
|
Doppia indagine
|
Mondadori
|
4,90
|
3
|
7
|
Alberto Moravia
|
Gli indifferenti
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
1
|
8
|
Joseph Roth
|
La Cripta dei Cappuccini
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
4
|
9
|
Jo Nesbø
|
Il pettirosso
|
Piemme
|
11,50
|
3
|
10
|
Dino Buzzati
|
Il deserto dei tartari
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
3
|
11
|
Alfredo Colitto
|
Il libro dell’angelo
|
Piemme
|
11
|
3
|
12
|
Camilla Läckberg
|
La principessa di ghiaccio
|
SuperPocket
|
6,90
|
3
|
13
|
Angeles Mastretta
|
Donne dagli occhi grandi
|
Giunti
|
5,90
|
2
|
Vi
dico poco, e aspetto molto. Peccato che pochi siano venuti allo spettacolo dei
GARSS sull’acqua del 20 maggio. È stato bello, e speriamo di riuscire (tutti
insieme) a farne qualcosa. Cosa? Lo vedremo le prossime settimane, spero.
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