domenica 24 giugno 2012

Ca1000ri - 02 giugno 2012

Festa della Repubblica e dovuto omaggio ad uno dei decani tra gli scrittori italiani (e si capisce dal titolo che ricorda anche si sia alla millesima recensione). Che sempre mi rimarrà caro per avermi regalato Ezechiele Sheridan (questo l’augusto nome del famoso tenente). E per aver ridato impulso ad uno scrivere civile che sembrava essersi perso. Non sempre è all’altezza. A volte si ripete. A volte è troppo prolifico, e mi fa preoccupare. Ma fino a quando farà sorridere mia madre continuerò a comprarlo con gioia.
Andrea Camilleri “La strage dimenticata” Sellerio euro 7 (in realtà, scontato 5,95 euro)
[in: 02/10/2011 – out: 14/11/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 1984]
Un Camilleri d’annata, alla ricerca della sua vena non Montalbaniana, senza molto dialetto, ma con molta Sicilia. Anzi con molto Porto Empedocle. Siamo ancora nell’era eroica della Sellerio, quando si pubblicavano piccole cose che servivano a riscattare piccoli fatti dall’oblio. Così come si era cominciato con Sciascia e Roussel. Camilleri, reduce o quasi dagli sceneggiati televisivi (di cui ricordo sempre i suoi per me “must”: il tenente Sheridan ed il commissario Maigret), non ha ancora iniziato a scrivere di Vigata e del suo commissario (la prima inchiesta sarà solo dieci anni dopo). Così come non ha sviluppato ancora gli stili e i modi della lingua mista che utilizzerà dal Birraio di Preston in poi. Qui, molto agilmente e velocemente, rievoca una strage minima, cui nessuno da più conto, ma che gli serve a mettere qualche puntino sulle “i” della piccola storia. In maniera centrale, perché la morte dei 114 detenuti (di cui in appendice riporta i nomi, ed è curioso leggerli, uno accanto all’altro, questi topoi siciliani, passando da Liborio Bonsignore a Giorgio Montalbano, da Stefano Mistretta a Giosuè Mineo, e via siciliando) avviene nel 1848, durante i moti siciliani di gennaio, nel carcere mandamentale della Borgata Molo del porto di Girgenti. E Girgenti diventerà Agrigento. E la Borgata Molo sarà il nucleo del comune di Porto Empedocle (dove nascerà 77 anni dopo il nostro Andrea). Ed i morti verranno sepolti sotto una croce, che diventerà località "crocidda", dove c’è la casa avita dei Pirandello. Con vena da cronista, passa in rassegna i pochi avvenimenti tra repubblicani e borbonici che avvengono in loco. Lanciando però dei messaggi che saranno costanti nella sua scrittura civile: la pubblica amministrazione corrotta, l’incapacità dei dirigenti delle forze di polizia, ed altre storture. Infatti, il colonnello Sarzana, comandante della guarnigione, quando iniziano i primi vocii di rivolta pensa bene di chiudere i detenuti nella fossa del castello, dimenticandosi che in quel modo non saranno solo privi della libertà, ma anche dell’aria. E così moriranno tutti e 114. Ma son solo detenuti, e Sarzana, fatto fuggire nottetempo, non pagherà il fio delle sue colpe. E di notabile Attard non potrà che stilare l’elenco dei morti, per poi far carriera e diventare il primo sindaco di Porto Empedocle (e dieci anni dopo ucciso con lupara di mafia). La morte di quei 114 detenuti segna in un certo senso una pietra nella nascita del comune, ricostruita anche con il filo della memoria della nonna di Camilleri, e di altri resoconti coevi (tra l’altro, lui e molti cittadini della borgata sono curiosamente di origine maltese). Ma almeno se ne tiene memoria, anche se ne spariscono le tracce tombali. Non così avviene per la seconda strage che rievoca, dice lui “come in una parentesi”, avvenuta nello stesso periodo in quel di Pantelleria. Lì, in più, essendo allora terra di contese feroci tra nobili stessi, tra personaggi oscuri e poliziotti depravati, quei 15 morti non vengono registrati per nome, e se ne perde traccia ulteriore. Quante sono state, e sono, le stragi grandi e piccole che si ripetono nel corso di anni e di decenni? Quanto si dovrà aspettare perché il vivere civile sia ripristinato a tutti i livelli? Ecco, l’affabulatore Camilleri non si spinge molto oltre. Non va in profondità. Ci lascia la solita amarezza dell’ingiustizia del potere e del premiare che si meriterebbe tutt’altro.
“Voi morti non siete tutti uguali.” (61)
Andrea Camilleri “Maruzza Musumeci” Sellerio euro 10 (in realtà, scontato 8,10 euro)
[A: 16/05/2011 – I: 03/02/2012 – T: 04/02/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 151; anno 2007]
Un nuovo episodio della “storia inventata della città di Vigata”. Camilleri in questa favola di or sono cinque anni, si diletta appunto a tirare fuori altri tasselli di una storia della cittadina in periodo pre-montalbanico. A volte lo fa con le storie legate a realtà e possibili fatti (incendi, furti, episodi durante il fascismo), altre volte con invenzioni e favole. Così come in questa, dove, come confessa in finale, sulla scia dei racconti aviti, tira fuori una delle tante possibili storie di questo paese quasi-di-mare. E per chi ha visto quei posti, per chi è andato passeggiando tra Scicli e Donnalucata, è facile immaginarsi un paese che unisca l’entroterra ragusano, con i suoi vicoli, le sue chiese e le sue campagne, con il mare duro che si affaccia verso le coste d’Africa. Inventando certo, ma un po’ ricalcando, anzi cercando di percorrere a ritroso uno dei grandi miti dell’umanità. Quello di Ulisse e delle sirene. Perché il nostro eroe è l’anti - Ulisse per eccellenza. Che odia andar per mare, e quando, costretto dalla vita ad acquistare della terra in riva al mare, vi costruisce su una casa con tutte le finestre verso la costa. Ignazio detto Gnazio ha già avuto un bel po’ di vita, nato a metà dell’800 e poi emigrato in America a cercar fortuna. Ma infin tornato (tremando tutto il tempo sulle navi a vapore) per non dover cedere alla mafia italoamericana. E si sistema come sopra detto. Ma ora, volendo metter su famiglia, cerca una sposa. E gliela trova la sensale del paese, la Pina. Che convince lui a sposare la più bella ed indocile giovane di Vigata. Maruzza la bellissima, che sogna (ma sarà sogno o realtà?) di essere una sirena. Tanto che si fa costruire da Gnazio delle piscine per potersi bagnare quando ha la “gana” di essere un pesce. Maruzza è bella e strana. Ma Gnazio è calmo e paziente. E soprattutto, conscio dei suoi limiti, ma anche consapevole della sua fortuna, asseconda le volontà della bella Maruzza. E ne sarà ripagato, da quattro figli: Cola, il maggiore che si farà intelligente e astronomo emigrando anche lui in America negli anni ’30, Resina, la prima femmina, che seguirà le orme sirenesche della madre e della nonna Minica, Calorio e Ciccina, gli ultimi due di vita e sviluppi normali (se così si può dire della famiglia di Gnazio, dove ognuno ha comunque qualche buona dota). E così, inanellando favole e situazioni realistiche, Camilleri ci narra le vicende di tutta la famiglia. Delle vendette delle sirene contro una famiglia di pescatori, i cui primi figli si chiamano tutti Aulissi e il loro cane Grò (dove si ben legge Ulisse ed Argo). Della strana casa che costruisce Gnazio, e che, fotografata dal buon americano di passaggio, diverrà il modello delle prime case dell’architetto tedesco Gropius. Delle strane poesie che in greco antico si tramando le prime figlie femmine della dinastia. Insomma, sospesi tra favola e realtà, scorrono gli anni e si compiono i destini. Chiudendo i cerchi lasciati aperti a suo tempo, quando Ulisse sfidò e sconfisse le sirene. E che ora le sirene, sconfitti i moderni Ulisse, e rappacificate con gli uomini attraverso Gnazio, possono tornare a vivere la loro pacifica vita tra mare e delfini. Non è bellissimo, bisogna dirlo. Che rimane tutto sempre un po’ sospeso. Ma una buona prova del Camilleri favolista (anche se a me piace più lo scrittore quando si impegna e si appassiona di furore civile), sorretta da una delle più serrate scritture in vigatese stretto tra le sue opere. Da fare impallidire tutti i romanzi del buon Salvo. Qui, proprio perché stiamo più sul versante favole, l’italiano praticamente scompare, ed il dialetto ci culla nelle sue onde, a volte incomprensibili ma sempre affascinanti. Diciamo da gustare con qualche bel dolcetto locale, sorseggiando una malvasia o uno zibibbo.
“Vecchiu ridiculu … com’è che ti capitò di pigliarti d’amuri a quarantasette anni?” (43)
Andrea Camilleri “La setta degli angeli” Sellerio euro 14 (in realtà, scontato 9,80 euro)
[A: 04/12/2011 – I: 19/02/2012 – T: 20/02/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 233; anno 2011]
Un’onesta prova intellettuale, ed una prova d’amore, al solito, per la sua Sicilia. Di cui conosce pro e contro, che un po’ ironizza sui difetti, ma alla fine, non può che sottolinearne le virtù. Anche, e soprattutto, se queste vengono sopraffatte dalla malasorteria locale (neologismo di crasi per consorteria malvagia). Il nostro prolifico autore (ed anche il più presente nella mia pur vasta biblioteca) prende le mosse da un fatto realmente avvenuto ed utilizza, come elemento centrale della storia, l’avvocato Matteo Teresi. Avvocato che ha avuto una sua vita ben interessante, che, dopo gli avvenimenti narrati, decide di emigrare in America, dove farà l’avvocato delle cause degli emigranti, e dove morirà alla veneranda età di 96 anni. Il fatto centrale della storia è narrato nelle cronache della città di Alia e ripreso in due articoli pubblicati nel luglio del 1901, contenenti dichiarazioni di Don Luigi Sturzo e di Filippo Turati. Camilleri prende questo nocciolo duro, e lo trasferisce in una città inventata, e ci costruisce intorno tutta una serie di personaggi “tipici” della vita siciliana a cavallo del passaggio tra il XIX ed il XX secolo. Il mistero della città di Palazzolo è il contemporaneo rimanere incinta di alcune giovani locali, anche di buona famiglia e casata. Tutte ragazze a modo e non par dedite a fuitine o simili sotterfugi. Poiché non solo siamo in anni bui, ma anche in Sicilia, del fatto non se ne parla. O se ne parla a mezza bocca. Fatto che genera tutta una serie di equivoci e rovesciamenti di situazioni. C’è il solito circolo dei notabili (che spesso Camilleri utilizza come motore dell’azione, come nel racconto “La targa” degli inediti del Corriere). C’è il solito barone che capisce fischi per fiaschi, ed invece di capire il problema delle gravidanze, pensa ci sia un’epidemia di colera e scatena il panico nel paese. Panico che i parroci del paese stesso cercano di riversare su quello che viene considerato il sovversivo. L’avvocato Teresi, mazziniano e difensore dei villici. La situazione si intorbida, che il Regio Esercito invia uno squadrone con a capo un capitano torinese (ahi quale difficoltà per il siculo accettare un nordista!). Che pare allocco, ma poi si rivela anche lui “tutto d’un pezzo”. C’è anche il brigante Salamone che imperversa nelle campagne e si trastulla con fanciulle rapite, tra cui la Rosita che ne rimane sconvolta. Salamone verrà preso e fucilato. Rosita cercherà conforto dal parroco, ma rimarrà sempre più chiusa in sé. Tanto da saltare dalla finestra. Teresi intanto prosegue nelle sue indagini. Sul fatto che un ragazzo sia stato ridotto in fin di vita da un marchese del Circolo. Sulla morte di Rosita. Ed anche su quelle gravidanze che continuano ad essere misteriose. Gli sforzi congiunti di Teresi e del capitano porteranno alla soluzione di tutti i misteri, scoperchiando pentole che non andavano scoperchiate. Uno scandalo. Quello appunto riportato dai giornali e sopra indicato. Ma Camilleri è siculo, e sa che tutto si ridurrà ad ammuina. Che non si possono punire né notabili, né clerici, né mafiosi, né poliziotti. Insomma nessuno sarà colpevole di nulla, perché in fondo, i fatti non sussistono. Il capitano verrà, infatti, promosso e tornerà nel natio Piemonte. Solo Teresi rimane a prendersi i fulmini che continueranno a girare per il paese. E dovrà scegliere tra rimanere e subire o andarsene e dimenticare. Non torno al romanzo, ma come detto sopra, Teresi scelse l’America dove si trasferì trentino e vi rimase sino alla fine. L’operazione di Camilleri è carina, ma non tanto incisiva. Sì, vengono pur dati i soliti schiaffi a chi se li merita. E si vedrà fino in fondo la protervia dei “comandanti” siciliani (cioè di quelli che detengono il potere e sanno come esercitarlo). Ma non molto di più. Né molto a fondo vanno le solite vene ironiche, i bozzetti, ed altro. Forse perché sembra che li riprenda, a destra e a manca, da altri suoi scritti. In fondo, un libro decente, compagno di questi giorni di letto.
Andrea Camilleri “Il gioco degli specchi” Sellerio euro 14
[A: 02/06/2011 – I: 21/05/2012 – T: 23/05/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 204; anno 2011]
E siamo finalmente tornati dalle parti di Salvo! Era un po’ che si leggevano dei Camilleri disparati, e fa bene ogni tanto tornare al suo filone principe. Tra l’altro con una prova che risolleva un po’ le ultime uscite del commissario di Vigata, che si stavano attorcigliando e perdendo anche il poco smalto che avevano. Tanto che suggerivo l’ipotesi che avesse assoldato qualche scrittore-fantasma cui fornire l’idea e lasciar correre il testo. Qui, anche se in maniera non eccellentissima, si ritorna a calcare scene più usuali. Ed il nostro Grande Vecchio riprende in mano anche la sua bacchetta da regista teatrale, organizzando lo spettacolo scritto come una specie di recita da palcoscenico. C’è il protagonista, lui, Salvo Montalbano, al centro della scena, con i suoi ormai ben noti tic, e con l’andamento lento che lo porta dalle iniziali confusioni alla soluzione del giallo, ed anche a dare, qua e la, colpetti politico-civili che mai non guastano. Ci sono i corifei, suoi comprimari, anche loro ben incartati nelle loro caratteristiche pluriennali: Mimì Augello, ormai assurto al ruolo di “tonto felice”, quello che si muove senza capire ed a cui si devono spiegare le cose (così anche il pubblico capisce); Fazio, che da pedina di fondo, diventa sempre più un Montalbano in minore, capace di seguirne i ragionamenti, anche anticipandoli a volte; Catarella, la macchietta, il comico di spalla, cui si riservano siparietti, ma anche, a volte, momenti in primo piano (anche se altrove meglio si sfruttavano le sue capacità di sciocco tecnologico, mentre qui serve solo a smontare computer come fosse un meccanico d’officina; Adelina, con i suoi pasti favolosi (fin ad arrivare a celebrare festosamente i suoi arancini da collezione); la lontana Livia, che questa volta lì si mantiene, anche perché (come dissi nell’ultima uscita) o le si ritrova un ruolo, o meglio farla decadere (anche se qui, pur non essendoci, Camilleri ci fa capire che, tutto sommato, Salvo le rimane sempre fedele). E c’è la storia. Che comincia con delle bombe di vago stampo mafioso che non si sa perché scoppino dove scoppino. Che continua con i misteriosi vicini della villa di Marinella, i nordici Lombardo, con l’attenzione che poi si concentra sulla signora Liliana. “Bedda fimmina”, come direbbe Salvo. Che prima lo tiene a distanza, poi gli si butta addosso, anche senza arrivare al dunque (per le circostanze o perché Salvo pensa alla Livia lontana?). Con la scoperta della tresca amorosa tra la bella Liliana ed un giovane in odore di mafia della nuova generazione. Anche se il buon Antonio è ancora alle prime armi, ma comincia a fare il galoppino per uno dei boss locali (quelli della famiglia Sinagra, che ben conosciamo dal corso delle storie di Vigata). E con tutto il gioco di specchi che si viene costruendo intorno, dove tutto si vede, ma non è quello che sembra, o ben si travisa, o si muta in altro (come le scene di specchi al Luna Park, di cui si cita la più famosa, quella della “Signora di Shangai” di Orson Wells, ma che ogni trent’anni fa una sua ricomparsa a citazione negli anni ’70 in “007 L’uomo dalla pistola d’oro” e negli anni 2000, in “Tom e Thomas: un solo destino” – e se non trovate la citazione chiedete pure al vostro tramatore). Alla fine tuttavia Salvo riesce ad uscire da tutti questi specchi e porta a compimento la missione di trovare il vero assassino. Il disincanto di Camilleri per la giustizia è comunque palese, tanto da risolvere le sue personali “vendette” in modo extra-giudiziale (e di fare qualche colpetto trasversale alla politica isolana, dove mette lo sfuggente signor Lombardo al soldo del clan rivale dei Sinagra, comandato dalla famiglia Cuffaro; e chi sa di Sicilia ne può trarre conclusioni). Ma il romanzo scorre bene, la penna è felice, e noi ci riavviciniamo alla sua scrittura in modo più amichevole del passato.
“Non gli piaciva parlari delle sò cose, non gli piaciva essiri compatuto” (51)
Prima trama di giugno ed allora riporto i libri, non tanti né di troppa qualità, letti nel mese di marzo, più laotiano che italiano. A parte un buon Joseph Roth ed un pessimo Moravia, il resto decisamente nella media. Si è letto di meglio suvvia.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Zygmunt  Baumann
Le sfide dell'etica
Feltrinelli
10
3
2
Clive Cussler & Jack du Brul
I predatori
TEA
8,90
2
3
Antonio Tabucchi
Piazza d’Italia
Feltrinelli
7
3
4
Elizabeth Peters
Il caso del sarcofago scomparso
TEA
9
3
5
Nick Hornby
Febbre a 90’
Guanda
7,50
3
6
Marzia Musneci
Doppia indagine
Mondadori
4,90
3
7
Alberto Moravia
Gli indifferenti
Repubblica Novecento
4,90
1
8
Joseph Roth
La Cripta dei Cappuccini
Repubblica Novecento
4,90
4
9
Jo Nesbø
Il pettirosso
Piemme
11,50
3
10
Dino Buzzati
Il deserto dei tartari
Repubblica Novecento
4,90
3
11
Alfredo Colitto
Il libro dell’angelo
Piemme
11
3
12
Camilla Läckberg
La principessa di ghiaccio
SuperPocket
6,90
3
13
Angeles Mastretta
Donne dagli occhi grandi
Giunti
5,90
2

Vi dico poco, e aspetto molto. Peccato che pochi siano venuti allo spettacolo dei GARSS sull’acqua del 20 maggio. È stato bello, e speriamo di riuscire (tutti insieme) a farne qualcosa. Cosa? Lo vedremo le prossime settimane, spero.

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