Solita straordinaria puntata
festiva, dedicata al lavoro ed al riposo (mentale). Quindi un bel tuffo in
nuovi thriller, con tre autori nuovi o quasi ed una grande conferma. Non torno
su Connelly, che ho già lodato abbastanza. Mi è piaciuto lo scozzese Rankin. Sono
da rivedere Anne Perry e Pete Dexter. Infine sono da censurare i curatori, gli
editor e quanti fanno del mestiere letterario senza metterci passione.
Ian Rankin “Anime
morte” Repubblica Giallo euro 5,90
[A: 2004 – I:
04/01/2012 – T: 07/01/2012]
[titolo: Dead souls; lingua: inglese; pagine: 500; anno: 1999]
Una scoperta interessante. Un
autore noir, più che giallo, ma anche scrittore a tutto tondo, e soprattutto
intimamente scozzese. Ne avevo sentito parlare, e l’avevo visto citato in un
libro di un altro scrittore scozzese, McCall Smith, ma non mi era mai capitato
a tiro. A lettura ultimata del libro, debbo dire che mi ha fatto piacere
incontrarlo. Prima di tutto, le atmosfere. Scozia in generale, ed Edimburgo in
particolare, su tutti. Pioggia, nebbia, freddo, timido sole, scorci di
archeologia industriale (che mi faceva venire in mente un Cronin d’annata), e
poi pub e tante ma tante bevute (sino alla scoperta filologica che cito in
basso). Già tutta questa atmosfera dona un bel tocco pittorico ad una regione
che prima o poi si dovrà visitare. E poi, lo specifico. Il “procedural
thriller” come si chiama in inglese, cioè una storia che segue le indagini
procedurali dei poliziotti, imperniata sulla figura dell’ispettore John Rebus
(che significa proprio rebus, in quanto la parola italiana per designare una
figura con lettere da decrittare viene proprio dall’inglese, anche se l’inglese
viene dall’ablativo plurale della parola ‘res’, cioè ‘delle cose’). E certo
l’ispettore è ben complicato: un divorzio alle spalle, una figlia ventenne su
sedia a rotelle in seguito ad incidente automobilistico, una convivenza con una
simpatica dottoressa dal nome anch’esso significativo (Patience, e ce ne vuole
per sopportare Johnny). E soprattutto una sfiducia crescente nell’ordine
costituito. Che lo fa agire come se fosse lui a dover essere al tempo stesso
poliziotto e giudice (come non decideva di fare il buon brigadiere di de
Giovanni). Questo non può che portarlo in urto con le gerarchie poliziesche
scozzesi, ed anche lo porta a fare scelte ed azioni che non sempre sono
‘rette’, anche se comprensibili. Come additare al pubblico ludibrio un pedofilo
uscito di prigione, senza chiedersi se la natura umana potesse cambiare ed
evolversi. Nella storia, quindi, si intrecciano molte vicende: quella di Darren
Rough, il pedofilo pentito, quella di Damon Mee, ventenne che scompare e che
risulta essere figlio di Janice, sua vecchia fiamma ai tempi del liceo, quella
di Billy Boy, dodicenne in fuga, quella di Jim Margulis, giovane poliziotto
suicida, e soprattutto quella di Cary Oakes, serial killer psicopatico e molto
intelligente. Questa sarà poi l’ossatura principale del romanzo, dove si segue
la lotta di furbizie tra il killer che si prende gioco, anche in modo tragico,
di giornalisti e poliziotti, ed il nostro Rebus che cerca di arginarne le
malefatte. Non potrà che vincere il nostro, ma non sarà né facile né una
vittoria completa. E intanto si intrecciano le altre storie. Ci si chiede, con
Rankin, quanto l’ambiente influisca sul comportamento umano. Ci si chiede se si
riaccenderà la fiamma tra Johnny e Janice. Ci si chiede dove sia finito Billy
Boy. Ci si interroga sul bel mondo scozzese pieno di soldi che affitta barconi
per le sue feste lascive. Ed altro ancora. Intrecciando momenti di vita e
momenti di pensieri sulla vita. Pieni di empatia per Rebus e per i suoi
fantasmi, presenti e passati. Alla fine un bell’affresco alla maniera
fiamminga, con al fondo la dolenza nordica di cui abbiamo spesso avuto sentore,
in questa ed altre prove. Due considerazioni finali. La prima riguarda il
tessuto delle storie dell’ispettore, dato che questo è il decimo romanzo che lo
vede protagonista. Siamo piombati nel mezzo del suo cammino, e sono curioso di
vederne sia le prime che le successive. Infatti, Rankin alla fine scrive 17
romanzi con Rebus al centro, fino all’ultimo, che sono curioso di capire come
finisca, dal titolo intrigante di “Exit Music”. Un inciso, in tutto il libro
c’è una bella colonna sonora dei miei anni, che non solo esalta pezzi dei Rolling
Stones, ma recupera brani a volte dimenticati, come quelli di Nick Cave. La
seconda considerazione, sempre sugli editor di Repubblica che mi sembrano al
solito scarsamente all’altezza, come a pagina 236 dove lasciano il refuso di
chiamare la squadra di Glasgow “Ringers”. Senza commento! Ed in attesa di una
nuova lettura degli scritti di Rankin.
“Si versò da bere … Usquebaugh in lingua gaelica [Il Gaelico
"usquebaugh", significa “Acqua (uisqe) di vita (beatha –
baugh)", foneticamente diventa "usky" e quindi
"whisky" in Inglese]” (25)
“Quand’eravamo giovani, nessuna delle nostre famiglie possedeva la casa
in cui abitava … A sentirmi, mi darebbero almeno 78 anni” (323)
“Se … fosse entrato in una casa in cui si fosse sentito amato, le cose
avrebbero preso una piega diversa? Certi esseri umani erano destinati fin dalla
nascita a diventare assassini oppure era il concorso di altre persone (e di un
complesso di circostanze) a renderli tali, trasformando le potenzialità omicide
presenti nella maggior parte degli individui in qualcosa di più concreto?”
(443)
Anne Perry “Il battesimo” Repubblica Giallo euro 5,90
[A: 2004 – I: 05/02/2012 – T: 11/02/2012]
[titolo: Pentecost Alley; lingua: inglese; pagine: 470;
anno: 1996]
Le premesse erano decisamente
interessanti: autrice di cui non avevo letto nulla, poliziotto inglese,
ambientazione vittoriana, e perché no, anche inserito in una lunga serie di
titoli che Anne Perry dedica a Thomas Pitt e signora. Alcune promesse sono
state mantenute, altre si sono sgonfiate. Alla fine un libro scarsamente
sufficiente per un’autrice sicuramente da rivedere in altre prove. Autrice
particolare tra l’altro. Una sorta di Erika degli anni ’50, quando, vivendo in
Nuova Zelanda, per motivi ancora non tutti chiariti, insieme ad una sua amica,
entrambe sedicenni, uccidono la madre di quest’ultima. Minorenne, viene
condannata a stare in carcere a discrezione del giudice. Ci rimarrà cinque
anni, scarcerata con l’unico obbligo di non rivedere mai più l’amica (cosa che
sembra abbia mantenuto nel corso di questi 50 anni). Per alcuni anni fa la
hostess (ed è questa l’unica menzione nelle note della sempre pessima di
notizie collana di Repubblica), poi si ritira in Scozia (dove vive tuttora) ed
inizia a scrivere. Collocando la maggior parte dei suoi libri nell’epoca
vittoriana della seconda metà dell’800. E facendone eroe centrale il poliziotto
Thomas Pitt, protagonista del suo primo romanzo del 1979. Pitt ad un certo
punto si sposa con la simpatica Charlotte che gli porta in dote un’esuberante
sorella che ha la particolare tendenza a mettersi in difficoltà. Tutti
personaggi che ritroviamo in questo che è il sedicesimo titolo della serie
(ormai arrivata al romanzo numero 27). Come tutte le serie di cui ci si immette
in corso d’opera, a volte dà per scontati caratteri e riferimenti che si
perdono nel tempo (oppure si ricostruiscono, ma appesantiscono il testo,
soprattutto se si volesse ogni volta ricapitolare tutto). Quindi ci
accontentiamo di sapere che Pitt ha fatto carriera, ed ora viene coinvolto in
casi che rischiano di avere risonanze maggiori del previsto. Come in questa
uccisione di una prostituta, cosa che avveniva senza troppe notizie in quegli
anni (basti pensare a Jack lo Squartatore, che assume notorietà solo per la
ripetizione delle uccisioni). Ma intorno al cadavere vengono rinvenuti oggetti
che potrebbero coinvolgere persone del “bel mondo”. Comincia così il calvario
di Pitt. Che per lunghe pagine arranca, così come i suoi aiutanti. Certo
veniamo ben presto a contatto con uno strano circolo di signori, che però da
anni si è sciolto. Finlay rimane sempre invischiato in qualche uccisione, ma
altri due giovanotti sono ormai fuori da circoli pericolosi ed il quarto, Jago,
è diventato sacerdote. Pitt trova il modo di risolvere il caso senza
coinvolgere Finlay, anche aiutato dalla cognata. E l’assassino viene processato
ed impiccato. Peccato che poco tempo dopo un’altra prostituta viene uccisa
secondo le stesse modalità (che non svelo, se non il fatto che la vittima è
sempre bagnata d’acqua). Si riaprono i giochi, e le buone doti di Pitt, del suo
nuovo capo, nonché di tutto il suo giro, moglie e cognata comprese, vengono
messe pesantemente in discussione. Sono già trascorse 400 lente pagine, e Anne
Perry, oltre a sfoggiare una discreta capacità di tratteggiare la società
vittoriana, ci sta facendo perdere un po’ di tempo. Il narrare è lento, la
vicenda non decolla mai tanto (sempre perché, non conoscendo i protagonisti,
non ne apprezziamo neanche i tic o le azioni). Poi ha un sussulto di orgoglio e
ci regala le ultime settanta intense pagine. Dove Pitt si riscatta, finalmente
riesce a mettere in fila i pensieri, a spiegare, in modo meno banale di quanto
si potesse pensare, tutte le morti e gli accadimenti connessi. Alla fine quindi
discreta scrittura, ma trame un po’ esili. Dipende dall’elevato numero di
romanzi o da debolezze strutturali? Per ora lasciamo il dubbio e godiamoci un
libro da discreto relax. Finendo però con un grido di dolore. Ma perché, dico
io, tradurre un titolo significativo come “Pentecost Alley”, sordido vicolo
della Londra vittoriana ove si affacciano case di prostitute e bordelli, con un
anodino “Battesimo”? E Battesimo di che? Dell’acqua che inonda le vittime?
Della prima volta che si va in un bordello? Della violenza che affiora? Tutte
le illazioni le ho provate, e non ne sono venuto a capo. Solo la solita
scontentezza e diffidenza per squallide operazioni che hanno come unico
risultato di tradire gli autori. Non so se sia sempre colpa dello staff di
Repubblica (e forse non è questo il caso), certo le sue collane accumulano un
tasso di errori da primato!
“Nessuno poteva avere tutto; in un modo o nell’altro bisognava fare
delle scelte. E si dovevano fare con franchezza e coraggio, e avere quel tanto
di buon senso per capire che una decisione andava accettata anche per quelle
che ne sarebbero state le conseguenze.” (112)
Michael Connelly “Il poeta”
Piemme euro 12 (in realtà, scontato 8,40 euro)
[A: 11/06/2011 – I: 16/02/2012 – T: 17/02/2012]
[titolo: The Poet; lingua: inglese; pagine: 535;
anno: 1996]
Un dei titoli più celebrati di
Connelly, e giustamente, anche se qui non abbiamo il grande Harry Bosch. Lo
scrittore americano infila una bella trama classica. Una persona coinvolta
emotivamente da una morte, per una serie di coincidenze e accostamenti, prima
disvela che il suicidio apparente è in realtà un omicidio, poi collega questo
ad altri casi, tirando fuori un serial killer agguerrito e molto intelligente.
Ed alla fine, risolve il caso. Detto così sembra quasi banale. Ma Connelly
riesce a costruire su tutto ciò un castello dalla consistenza robusta. Prima di
tutto, adombrando se stesso nel personaggio centrale di Jack, come lui
giornalista di nera che tenta (anche) di diventare scrittore. Connelly ce la
farà. E Jack? Vedremo. Poi l’apparente suicidio non solo è di un poliziotto, ma
di suo fratello poliziotto. Anzi, fratello gemello. Che lascia una frase sul
vetro della macchina dove si uccide, apparentemente senza senso. Ma Jack è
tenace, ricerca altri casi di poliziotti suicidi. Ne trova. E trova altre
frasi. Che poi risultano essere prese da poesie del maestro americano del
genere poliziesco – nero - tenebroso, Edgar Allan Poe. Arriva così ad
intrufolarsi in una squadra speciale ben agguerrita, una dell’FBI, che si
occupa sia di crimini violenti che di suicidi. Qui c’è tutta la verve del
giornalista che esce fuori, con salti, agnizioni, e messa in luce di
particolari. E la triplice lotta delle anime della squadra. Il capo Bob, sempre
alla ricerca di un caso che lo faccia uscire dall’ombra di un padre grande
poliziotto. Rachel, l’esperta di profili, che viene anch’essa da un’esperienza
traumatica (il suicidio del padre poliziotto, corsi e ricorsi). E Gordon,
l’ex-marito di Rachel, pieno di rabbia e di frustrazione, dipinto con tutte le
caratteristiche del macho poliziotto americano. Ovviamente Jack e Rachel si
innamorano. Ovviamente Gordon cerca di mettere i bastoni tra le ruote a tutto.
E si scopre che i poliziotti suicidi poi (almeno alcuni) in realtà non lo
erano. Erano tutti dietro un caso di particolare efferatezza, che li
sconvolgeva per la brutalità (vuoi donne tagliate in due, vuoi ragazzi
violentati ed altro). Casi che non riescono a risolvere, e che li portano alla
morte. Con questa teoria della presenza di un serial killer che uccide
brutalmente ma senza senso, per poi far fuori il vero obiettivo, cioè i
poliziotti. O la presenza di due serial killer, uno “puro” ed uno simbiotico
che approfitta delle morti provocate dal primo per perseguire un proprio scopo.
La capacità giornalistica esce fuori anche nel contraltare alla storia. Che
mentre seguiamo le evoluzioni di Jack e della squadra, stiamo anche sulle piste
di un giovane trentenne, con tendenze pedofile e voyeuristiche. Con l’abilità
di Connelly di farci intuire i possibili collegamenti, ma di tenerli in sospeso
fino alla sarabanda dei finali e dei contro finali. E quando sembra tutto
risolto, Jack continua ad interrogarsi su piccole incongruenze, cercando di
capire se la soluzione sia stata LA soluzione, o una soluzione, anche perché (e
questo lo sospettavamo fin dall’inizio) i tre perni della squadra hanno anche
loro luci ed ombre. E sarà soltanto quando riuscirà a togliere tutte le ombre
che Jack arriverà alla fine della strada. Tutta una strada, come detto, costellata
poi da elementi che riempiono, senza stancare, le più di 500 pagine. Il
rapporto tra i fratelli. Le psicologie dei killer. Il mondo dei pedofili. La
capacità (o la mancanza di capacità) di amare. Il mondo del giornalismo con il
coltello tra i denti, dove conta chi pubblica per primo la notizia, non chi
risolve il caso. Come nel mondo amaro dei poliziotti, dove non conta chi
risolve il caso, ma chi arresta il colpevole. E via scrivendo, con ritmo e
scioltezza. Ed anche intelligenza, e piccolo gioco di parole, dove il serial
killer che mette poesie di POE viene soprannominato POEt (non è un errore di
battuta, ho voluto farvi gustare il calembour). Insomma, bello ed utile per
passare questa giornata allettata e riprendersi al più presto.
Pete Dexter “Così si muore a God’s Pocket” Repubblica Noir euro 6,90
[A: 05/09/2011 – I: 18/02/2012 – T: 19/02/2012]
[titolo: God’s Pocket; lingua: inglese; pagine: 331;
anno: 1983]
Inizio e poi termino la trama di
questo libro con delle critiche, prima di passare al romanzo ed al suo
contenuto. Il dato iniziale, forse ormai scontato, è la faciloneria con cui i
curatori di Repubblica classificano i libri. Perché “Noir”? Perché ci sono dei
morti? Allora tutta la vita di ognuno può essere così etichettata. Si dovrebbe
fare uno sforzo di approfondimento ed andare alle radici. Questo è un romanzo,
né Noir né Giallo né Thriller. Non ne ha le atmosfere. È un romanzo che
descrive una tranche di vita a Filadelfia, con alcune (molte?) appendici autobiografiche
dello stesso Dexter. Va beh, ci sono morti. Ma non c’è ricerca di colpevoli.
Che colpevoli non ce ne sono. Si narra e si descrive una settimana, più o meno,
della vita di un quartiere povero di Filadelfia. Pieno di personaggi, così come
piena di personaggi è la città stessa. Lo stile è quello che già avevo notato
in Dexter. Si fanno piccoli brani con al centro uno dei personaggi – corifei
della vicenda. Andando avanti sino alle conclusioni incrociate e di riassunto.
Quello che ne esce fuori è un quadro della vita e degli abitanti del quartiere
di God’s Pocket (la tasca di Dio). C’è l’allargata famiglia Hubbard, con il
giovane poco più che ventenne Leon, quello che muore, al centro. Un giovane
sbandato, sballato, attaccabrighe. Con il padre morto giovane, la madre ancora
belloccia ed il padrigno Michael che si arrabatta con furtarelli e giocate ai
cavalli. C’è il mafiosetto Angelo Bird Scapezio, che procura i furtarelli a
Michael e lo aiuta a piazzare Leon in un cantiere da muratore. Ci sono il
capocantiere (bianco) ed il mastro anziano (nero) del cantiere dove muore Leon.
C’è l’Hollywood Pub dove tutti (o quasi) i personaggi si ritrovano per bere
pinte dietro pinte di birra (e per commentare gli avvenimenti del quartiere e
decidere cosa fare). E poi fuori, esterno, l’alter-ego dello scrittore, il
giornalista Richard, quello che scrive corsivi di colore sulla città da venti
anni, avviato ormai al declino fisico e produttivo. Tutti questi personaggi si
muovono sullo sfondo di una gigantesca commedia degli equivoci, tutti apparentemente
logici, e tutti che tirano fuori i lati peggiori di ogni persona o categoria di
persone. L’unico dato certo è la morte di Leon. Che il capomastro attribuisce
ad un incidente sul lavoro. Che il giornale buca perché scrive un trafiletto
sbagliato e Richard non ne fa un corsivo. Che la gente del Pocket travisa,
perché Leon, pur essendo un attaccabrighe, è uno del quartiere, e si fa
quadrato intorno. Poi Michael perde ai cavalli i soldi del funerale. Il
becchino gli restituisce il cadavere che lui piazza nel suo camion frigorifero,
con il quale avrà un incidente, e la polizia troverà di nuovo il morto. Ed il
giornale ripubblicherà la notizia della morte facendo sempre più innervosire
gli abitanti di Pocket. Che la mafia di Bird vuole vendicare Leon, ma manda
degli sballati che si fanno massacrare dal capomastro, e poi altri sballati da
Bird che si fanno massacrare dalla vecchia zia. In tutto questo assistiamo alla
caduta verso l’abisso di Richard, assistiamo alla scoperta ed alla perdita dei
suoi sogni. Al suo invaghirsi della madre di Leon, ma senza costrutto alcuno.
Per poi sbottare con un corsivo, finalmente completo ed esaustivo su tutta la
vicenda. Ma talmente costruito nella sua testa, che non verrà capito da nessuno
e lo porterà alla sconfitta finale. Che tutti usciranno sconfitti dalla
vicenda. O comunque con la vita e le aspettative diverse da quelle che
sembravano avere. Non vi dico tutti i finali, ma ne esce complessivamente fuori
un quadro interessante di Filadelfia e dei suoi abitanti di margine. Quelli su
cui scriveva anche Dexter, prima di essere preso a mazzate da baseball per un
suo articolo non capito. Dov’è allora il Noir? È un discreto romanzo, a volte
furbescamente giornalistico, anche senza troppe velleità finali. Un romanzo
così così, insomma. Ma ciò non dovrebbe esimere dal rispetto delle idee
dell’autore. Che chiama il romanzo “God’s Pocket” intendendo ironizzare su un
reale quartiere di Filadelfia che si chiama “Devil’s Pocket”. Ed allora perché
introdurre quella frase “Così si muore a…”? Marketing? Classificare il romanzo
come Noir quando non lo è? Solito, infinito, immarcescibile malcostume. Finirà
mai?
Prima trama di maggio, e piccola
analisi del mese di Febbraio, con un buon tasso di letture e di letture “di
livello”. Nessun top, ma la conferma della Gordimer, di Milena Agus e
dell’ottimo Connelly, nonché la scoperta di Elisabetta Rasy. Di converso, per
fortuna, niente di realmente illeggibile.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Veit Heinichen
|
La calma del più forte
|
E/O
|
10,50
|
2
|
2
|
Erik Orsenna
|
La Révolte des accents
|
Livre de Poche
|
5,60
|
3
|
3
|
Andrea Camilleri
|
Maruzza Musumeci
|
Sellerio
|
10
|
3
|
4
|
Nadine Gordimer
|
Nessuno al mio fianco
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
4
|
5
|
Eric-Emmanuel Schmitt
|
La Rêveuse d’Ostende
|
Livre de Poche
|
6,50
|
3
|
6
|
Joyce Carol Oates
|
Sophie
|
Repubblica Amore
|
3,90
|
3
|
7
|
Paolo Maurensig
|
Canone inverso
|
Mondadori
|
9
|
3
|
8
|
Anne Perry
|
Il battesimo
|
Repubblica Giallo
|
5,90
|
2
|
9
|
Elisabetta Rasy
|
Molta luce in pieno inverno
|
Repubblica Amore
|
3,90
|
4
|
10
|
Osvaldo Soriano
|
Triste, solitario y final
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
2
|
11
|
Mariusz Szczygieł
|
Reality
|
Nottetempo
|
8
|
3
|
12
|
Milena Agus
|
Sottosopra
|
Nottetempo
|
s.p.
|
4
|
13
|
Michael Connelly
|
Il poeta
|
Piemme
|
12
|
4
|
14
|
Anna Gavalda
|
Je l’aimais
|
J’ai lu
|
4,80
|
2
|
15
|
Pete Dexter
|
Così si muore a God’s Pocket
|
Repubblica Noir
|
6,90
|
2
|
16
|
Andrea Camilleri
|
La setta degli angeli
|
Sellerio
|
14
|
3
|
17
|
Amos Oz
|
Conoscere una donna
|
Feltrinelli
|
8,50
|
3
|
Come
prima trama tutta di libri 2012, faccio notare la novità delle indicazioni
bibliofile di ogni libro tramato: data di arrivo nella mia libreria (A), data
di inizio e fine lettura (I e T), e numero di pagine.
Ma
per tornare al resto, come dice il mio oroscopo di oggi, questo sarà un mese
fortunato. Speriamo di sì. Certo mi hanno chiesto di rinnovare il contratto di
lavoro, e dovrebbe essere bene. Ma sento anche che, preso dagli impegni
contrattuali, trascuro tutto il resto: amici, salute, impegni e forse dimentico
anche qualcosa. Cari fedeli amici e lettori, mi saprete perdonare?
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