martedì 19 giugno 2012

New Thriller - 01 maggio 2012

Solita straordinaria puntata festiva, dedicata al lavoro ed al riposo (mentale). Quindi un bel tuffo in nuovi thriller, con tre autori nuovi o quasi ed una grande conferma. Non torno su Connelly, che ho già lodato abbastanza. Mi è piaciuto lo scozzese Rankin. Sono da rivedere Anne Perry e Pete Dexter. Infine sono da censurare i curatori, gli editor e quanti fanno del mestiere letterario senza metterci passione.
Ian Rankin “Anime morte” Repubblica Giallo euro 5,90
[A: 2004 – I: 04/01/2012 – T: 07/01/2012]
[titolo: Dead souls; lingua: inglese; pagine: 500; anno: 1999]
Una scoperta interessante. Un autore noir, più che giallo, ma anche scrittore a tutto tondo, e soprattutto intimamente scozzese. Ne avevo sentito parlare, e l’avevo visto citato in un libro di un altro scrittore scozzese, McCall Smith, ma non mi era mai capitato a tiro. A lettura ultimata del libro, debbo dire che mi ha fatto piacere incontrarlo. Prima di tutto, le atmosfere. Scozia in generale, ed Edimburgo in particolare, su tutti. Pioggia, nebbia, freddo, timido sole, scorci di archeologia industriale (che mi faceva venire in mente un Cronin d’annata), e poi pub e tante ma tante bevute (sino alla scoperta filologica che cito in basso). Già tutta questa atmosfera dona un bel tocco pittorico ad una regione che prima o poi si dovrà visitare. E poi, lo specifico. Il “procedural thriller” come si chiama in inglese, cioè una storia che segue le indagini procedurali dei poliziotti, imperniata sulla figura dell’ispettore John Rebus (che significa proprio rebus, in quanto la parola italiana per designare una figura con lettere da decrittare viene proprio dall’inglese, anche se l’inglese viene dall’ablativo plurale della parola ‘res’, cioè ‘delle cose’). E certo l’ispettore è ben complicato: un divorzio alle spalle, una figlia ventenne su sedia a rotelle in seguito ad incidente automobilistico, una convivenza con una simpatica dottoressa dal nome anch’esso significativo (Patience, e ce ne vuole per sopportare Johnny). E soprattutto una sfiducia crescente nell’ordine costituito. Che lo fa agire come se fosse lui a dover essere al tempo stesso poliziotto e giudice (come non decideva di fare il buon brigadiere di de Giovanni). Questo non può che portarlo in urto con le gerarchie poliziesche scozzesi, ed anche lo porta a fare scelte ed azioni che non sempre sono ‘rette’, anche se comprensibili. Come additare al pubblico ludibrio un pedofilo uscito di prigione, senza chiedersi se la natura umana potesse cambiare ed evolversi. Nella storia, quindi, si intrecciano molte vicende: quella di Darren Rough, il pedofilo pentito, quella di Damon Mee, ventenne che scompare e che risulta essere figlio di Janice, sua vecchia fiamma ai tempi del liceo, quella di Billy Boy, dodicenne in fuga, quella di Jim Margulis, giovane poliziotto suicida, e soprattutto quella di Cary Oakes, serial killer psicopatico e molto intelligente. Questa sarà poi l’ossatura principale del romanzo, dove si segue la lotta di furbizie tra il killer che si prende gioco, anche in modo tragico, di giornalisti e poliziotti, ed il nostro Rebus che cerca di arginarne le malefatte. Non potrà che vincere il nostro, ma non sarà né facile né una vittoria completa. E intanto si intrecciano le altre storie. Ci si chiede, con Rankin, quanto l’ambiente influisca sul comportamento umano. Ci si chiede se si riaccenderà la fiamma tra Johnny e Janice. Ci si chiede dove sia finito Billy Boy. Ci si interroga sul bel mondo scozzese pieno di soldi che affitta barconi per le sue feste lascive. Ed altro ancora. Intrecciando momenti di vita e momenti di pensieri sulla vita. Pieni di empatia per Rebus e per i suoi fantasmi, presenti e passati. Alla fine un bell’affresco alla maniera fiamminga, con al fondo la dolenza nordica di cui abbiamo spesso avuto sentore, in questa ed altre prove. Due considerazioni finali. La prima riguarda il tessuto delle storie dell’ispettore, dato che questo è il decimo romanzo che lo vede protagonista. Siamo piombati nel mezzo del suo cammino, e sono curioso di vederne sia le prime che le successive. Infatti, Rankin alla fine scrive 17 romanzi con Rebus al centro, fino all’ultimo, che sono curioso di capire come finisca, dal titolo intrigante di “Exit Music”. Un inciso, in tutto il libro c’è una bella colonna sonora dei miei anni, che non solo esalta pezzi dei Rolling Stones, ma recupera brani a volte dimenticati, come quelli di Nick Cave. La seconda considerazione, sempre sugli editor di Repubblica che mi sembrano al solito scarsamente all’altezza, come a pagina 236 dove lasciano il refuso di chiamare la squadra di Glasgow “Ringers”. Senza commento! Ed in attesa di una nuova lettura degli scritti di Rankin.
“Si versò da bere … Usquebaugh in lingua gaelica [Il Gaelico "usquebaugh", significa “Acqua (uisqe) di vita (beatha – baugh)", foneticamente diventa "usky" e quindi "whisky" in Inglese]” (25)
“Quand’eravamo giovani, nessuna delle nostre famiglie possedeva la casa in cui abitava … A sentirmi, mi darebbero almeno 78 anni” (323)
“Se … fosse entrato in una casa in cui si fosse sentito amato, le cose avrebbero preso una piega diversa? Certi esseri umani erano destinati fin dalla nascita a diventare assassini oppure era il concorso di altre persone (e di un complesso di circostanze) a renderli tali, trasformando le potenzialità omicide presenti nella maggior parte degli individui in qualcosa di più concreto?” (443)
Anne Perry “Il battesimo” Repubblica Giallo euro 5,90
[A: 2004 – I: 05/02/2012 – T: 11/02/2012]
[titolo: Pentecost Alley; lingua: inglese; pagine: 470; anno: 1996]
Le premesse erano decisamente interessanti: autrice di cui non avevo letto nulla, poliziotto inglese, ambientazione vittoriana, e perché no, anche inserito in una lunga serie di titoli che Anne Perry dedica a Thomas Pitt e signora. Alcune promesse sono state mantenute, altre si sono sgonfiate. Alla fine un libro scarsamente sufficiente per un’autrice sicuramente da rivedere in altre prove. Autrice particolare tra l’altro. Una sorta di Erika degli anni ’50, quando, vivendo in Nuova Zelanda, per motivi ancora non tutti chiariti, insieme ad una sua amica, entrambe sedicenni, uccidono la madre di quest’ultima. Minorenne, viene condannata a stare in carcere a discrezione del giudice. Ci rimarrà cinque anni, scarcerata con l’unico obbligo di non rivedere mai più l’amica (cosa che sembra abbia mantenuto nel corso di questi 50 anni). Per alcuni anni fa la hostess (ed è questa l’unica menzione nelle note della sempre pessima di notizie collana di Repubblica), poi si ritira in Scozia (dove vive tuttora) ed inizia a scrivere. Collocando la maggior parte dei suoi libri nell’epoca vittoriana della seconda metà dell’800. E facendone eroe centrale il poliziotto Thomas Pitt, protagonista del suo primo romanzo del 1979. Pitt ad un certo punto si sposa con la simpatica Charlotte che gli porta in dote un’esuberante sorella che ha la particolare tendenza a mettersi in difficoltà. Tutti personaggi che ritroviamo in questo che è il sedicesimo titolo della serie (ormai arrivata al romanzo numero 27). Come tutte le serie di cui ci si immette in corso d’opera, a volte dà per scontati caratteri e riferimenti che si perdono nel tempo (oppure si ricostruiscono, ma appesantiscono il testo, soprattutto se si volesse ogni volta ricapitolare tutto). Quindi ci accontentiamo di sapere che Pitt ha fatto carriera, ed ora viene coinvolto in casi che rischiano di avere risonanze maggiori del previsto. Come in questa uccisione di una prostituta, cosa che avveniva senza troppe notizie in quegli anni (basti pensare a Jack lo Squartatore, che assume notorietà solo per la ripetizione delle uccisioni). Ma intorno al cadavere vengono rinvenuti oggetti che potrebbero coinvolgere persone del “bel mondo”. Comincia così il calvario di Pitt. Che per lunghe pagine arranca, così come i suoi aiutanti. Certo veniamo ben presto a contatto con uno strano circolo di signori, che però da anni si è sciolto. Finlay rimane sempre invischiato in qualche uccisione, ma altri due giovanotti sono ormai fuori da circoli pericolosi ed il quarto, Jago, è diventato sacerdote. Pitt trova il modo di risolvere il caso senza coinvolgere Finlay, anche aiutato dalla cognata. E l’assassino viene processato ed impiccato. Peccato che poco tempo dopo un’altra prostituta viene uccisa secondo le stesse modalità (che non svelo, se non il fatto che la vittima è sempre bagnata d’acqua). Si riaprono i giochi, e le buone doti di Pitt, del suo nuovo capo, nonché di tutto il suo giro, moglie e cognata comprese, vengono messe pesantemente in discussione. Sono già trascorse 400 lente pagine, e Anne Perry, oltre a sfoggiare una discreta capacità di tratteggiare la società vittoriana, ci sta facendo perdere un po’ di tempo. Il narrare è lento, la vicenda non decolla mai tanto (sempre perché, non conoscendo i protagonisti, non ne apprezziamo neanche i tic o le azioni). Poi ha un sussulto di orgoglio e ci regala le ultime settanta intense pagine. Dove Pitt si riscatta, finalmente riesce a mettere in fila i pensieri, a spiegare, in modo meno banale di quanto si potesse pensare, tutte le morti e gli accadimenti connessi. Alla fine quindi discreta scrittura, ma trame un po’ esili. Dipende dall’elevato numero di romanzi o da debolezze strutturali? Per ora lasciamo il dubbio e godiamoci un libro da discreto relax. Finendo però con un grido di dolore. Ma perché, dico io, tradurre un titolo significativo come “Pentecost Alley”, sordido vicolo della Londra vittoriana ove si affacciano case di prostitute e bordelli, con un anodino “Battesimo”? E Battesimo di che? Dell’acqua che inonda le vittime? Della prima volta che si va in un bordello? Della violenza che affiora? Tutte le illazioni le ho provate, e non ne sono venuto a capo. Solo la solita scontentezza e diffidenza per squallide operazioni che hanno come unico risultato di tradire gli autori. Non so se sia sempre colpa dello staff di Repubblica (e forse non è questo il caso), certo le sue collane accumulano un tasso di errori da primato!
“Nessuno poteva avere tutto; in un modo o nell’altro bisognava fare delle scelte. E si dovevano fare con franchezza e coraggio, e avere quel tanto di buon senso per capire che una decisione andava accettata anche per quelle che ne sarebbero state le conseguenze.” (112)
Michael Connelly  “Il poeta” Piemme euro 12 (in realtà, scontato 8,40 euro)
[A: 11/06/2011 – I: 16/02/2012 – T: 17/02/2012]
[titolo: The Poet; lingua: inglese; pagine: 535; anno: 1996]
Un dei titoli più celebrati di Connelly, e giustamente, anche se qui non abbiamo il grande Harry Bosch. Lo scrittore americano infila una bella trama classica. Una persona coinvolta emotivamente da una morte, per una serie di coincidenze e accostamenti, prima disvela che il suicidio apparente è in realtà un omicidio, poi collega questo ad altri casi, tirando fuori un serial killer agguerrito e molto intelligente. Ed alla fine, risolve il caso. Detto così sembra quasi banale. Ma Connelly riesce a costruire su tutto ciò un castello dalla consistenza robusta. Prima di tutto, adombrando se stesso nel personaggio centrale di Jack, come lui giornalista di nera che tenta (anche) di diventare scrittore. Connelly ce la farà. E Jack? Vedremo. Poi l’apparente suicidio non solo è di un poliziotto, ma di suo fratello poliziotto. Anzi, fratello gemello. Che lascia una frase sul vetro della macchina dove si uccide, apparentemente senza senso. Ma Jack è tenace, ricerca altri casi di poliziotti suicidi. Ne trova. E trova altre frasi. Che poi risultano essere prese da poesie del maestro americano del genere poliziesco – nero - tenebroso, Edgar Allan Poe. Arriva così ad intrufolarsi in una squadra speciale ben agguerrita, una dell’FBI, che si occupa sia di crimini violenti che di suicidi. Qui c’è tutta la verve del giornalista che esce fuori, con salti, agnizioni, e messa in luce di particolari. E la triplice lotta delle anime della squadra. Il capo Bob, sempre alla ricerca di un caso che lo faccia uscire dall’ombra di un padre grande poliziotto. Rachel, l’esperta di profili, che viene anch’essa da un’esperienza traumatica (il suicidio del padre poliziotto, corsi e ricorsi). E Gordon, l’ex-marito di Rachel, pieno di rabbia e di frustrazione, dipinto con tutte le caratteristiche del macho poliziotto americano. Ovviamente Jack e Rachel si innamorano. Ovviamente Gordon cerca di mettere i bastoni tra le ruote a tutto. E si scopre che i poliziotti suicidi poi (almeno alcuni) in realtà non lo erano. Erano tutti dietro un caso di particolare efferatezza, che li sconvolgeva per la brutalità (vuoi donne tagliate in due, vuoi ragazzi violentati ed altro). Casi che non riescono a risolvere, e che li portano alla morte. Con questa teoria della presenza di un serial killer che uccide brutalmente ma senza senso, per poi far fuori il vero obiettivo, cioè i poliziotti. O la presenza di due serial killer, uno “puro” ed uno simbiotico che approfitta delle morti provocate dal primo per perseguire un proprio scopo. La capacità giornalistica esce fuori anche nel contraltare alla storia. Che mentre seguiamo le evoluzioni di Jack e della squadra, stiamo anche sulle piste di un giovane trentenne, con tendenze pedofile e voyeuristiche. Con l’abilità di Connelly di farci intuire i possibili collegamenti, ma di tenerli in sospeso fino alla sarabanda dei finali e dei contro finali. E quando sembra tutto risolto, Jack continua ad interrogarsi su piccole incongruenze, cercando di capire se la soluzione sia stata LA soluzione, o una soluzione, anche perché (e questo lo sospettavamo fin dall’inizio) i tre perni della squadra hanno anche loro luci ed ombre. E sarà soltanto quando riuscirà a togliere tutte le ombre che Jack arriverà alla fine della strada. Tutta una strada, come detto, costellata poi da elementi che riempiono, senza stancare, le più di 500 pagine. Il rapporto tra i fratelli. Le psicologie dei killer. Il mondo dei pedofili. La capacità (o la mancanza di capacità) di amare. Il mondo del giornalismo con il coltello tra i denti, dove conta chi pubblica per primo la notizia, non chi risolve il caso. Come nel mondo amaro dei poliziotti, dove non conta chi risolve il caso, ma chi arresta il colpevole. E via scrivendo, con ritmo e scioltezza. Ed anche intelligenza, e piccolo gioco di parole, dove il serial killer che mette poesie di POE viene soprannominato POEt (non è un errore di battuta, ho voluto farvi gustare il calembour). Insomma, bello ed utile per passare questa giornata allettata e riprendersi al più presto.
Pete Dexter “Così si muore a God’s Pocket” Repubblica Noir euro 6,90
[A: 05/09/2011 – I: 18/02/2012 – T: 19/02/2012]
[titolo: God’s Pocket; lingua: inglese; pagine: 331; anno: 1983]
Inizio e poi termino la trama di questo libro con delle critiche, prima di passare al romanzo ed al suo contenuto. Il dato iniziale, forse ormai scontato, è la faciloneria con cui i curatori di Repubblica classificano i libri. Perché “Noir”? Perché ci sono dei morti? Allora tutta la vita di ognuno può essere così etichettata. Si dovrebbe fare uno sforzo di approfondimento ed andare alle radici. Questo è un romanzo, né Noir né Giallo né Thriller. Non ne ha le atmosfere. È un romanzo che descrive una tranche di vita a Filadelfia, con alcune (molte?) appendici autobiografiche dello stesso Dexter. Va beh, ci sono morti. Ma non c’è ricerca di colpevoli. Che colpevoli non ce ne sono. Si narra e si descrive una settimana, più o meno, della vita di un quartiere povero di Filadelfia. Pieno di personaggi, così come piena di personaggi è la città stessa. Lo stile è quello che già avevo notato in Dexter. Si fanno piccoli brani con al centro uno dei personaggi – corifei della vicenda. Andando avanti sino alle conclusioni incrociate e di riassunto. Quello che ne esce fuori è un quadro della vita e degli abitanti del quartiere di God’s Pocket (la tasca di Dio). C’è l’allargata famiglia Hubbard, con il giovane poco più che ventenne Leon, quello che muore, al centro. Un giovane sbandato, sballato, attaccabrighe. Con il padre morto giovane, la madre ancora belloccia ed il padrigno Michael che si arrabatta con furtarelli e giocate ai cavalli. C’è il mafiosetto Angelo Bird Scapezio, che procura i furtarelli a Michael e lo aiuta a piazzare Leon in un cantiere da muratore. Ci sono il capocantiere (bianco) ed il mastro anziano (nero) del cantiere dove muore Leon. C’è l’Hollywood Pub dove tutti (o quasi) i personaggi si ritrovano per bere pinte dietro pinte di birra (e per commentare gli avvenimenti del quartiere e decidere cosa fare). E poi fuori, esterno, l’alter-ego dello scrittore, il giornalista Richard, quello che scrive corsivi di colore sulla città da venti anni, avviato ormai al declino fisico e produttivo. Tutti questi personaggi si muovono sullo sfondo di una gigantesca commedia degli equivoci, tutti apparentemente logici, e tutti che tirano fuori i lati peggiori di ogni persona o categoria di persone. L’unico dato certo è la morte di Leon. Che il capomastro attribuisce ad un incidente sul lavoro. Che il giornale buca perché scrive un trafiletto sbagliato e Richard non ne fa un corsivo. Che la gente del Pocket travisa, perché Leon, pur essendo un attaccabrighe, è uno del quartiere, e si fa quadrato intorno. Poi Michael perde ai cavalli i soldi del funerale. Il becchino gli restituisce il cadavere che lui piazza nel suo camion frigorifero, con il quale avrà un incidente, e la polizia troverà di nuovo il morto. Ed il giornale ripubblicherà la notizia della morte facendo sempre più innervosire gli abitanti di Pocket. Che la mafia di Bird vuole vendicare Leon, ma manda degli sballati che si fanno massacrare dal capomastro, e poi altri sballati da Bird che si fanno massacrare dalla vecchia zia. In tutto questo assistiamo alla caduta verso l’abisso di Richard, assistiamo alla scoperta ed alla perdita dei suoi sogni. Al suo invaghirsi della madre di Leon, ma senza costrutto alcuno. Per poi sbottare con un corsivo, finalmente completo ed esaustivo su tutta la vicenda. Ma talmente costruito nella sua testa, che non verrà capito da nessuno e lo porterà alla sconfitta finale. Che tutti usciranno sconfitti dalla vicenda. O comunque con la vita e le aspettative diverse da quelle che sembravano avere. Non vi dico tutti i finali, ma ne esce complessivamente fuori un quadro interessante di Filadelfia e dei suoi abitanti di margine. Quelli su cui scriveva anche Dexter, prima di essere preso a mazzate da baseball per un suo articolo non capito. Dov’è allora il Noir? È un discreto romanzo, a volte furbescamente giornalistico, anche senza troppe velleità finali. Un romanzo così così, insomma. Ma ciò non dovrebbe esimere dal rispetto delle idee dell’autore. Che chiama il romanzo “God’s Pocket” intendendo ironizzare su un reale quartiere di Filadelfia che si chiama “Devil’s Pocket”. Ed allora perché introdurre quella frase “Così si muore a…”? Marketing? Classificare il romanzo come Noir quando non lo è? Solito, infinito, immarcescibile malcostume. Finirà mai?
Prima trama di maggio, e piccola analisi del mese di Febbraio, con un buon tasso di letture e di letture “di livello”. Nessun top, ma la conferma della Gordimer, di Milena Agus e dell’ottimo Connelly, nonché la scoperta di Elisabetta Rasy. Di converso, per fortuna, niente di realmente illeggibile.
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Veit Heinichen
La calma del più forte
E/O
10,50
2
2
Erik Orsenna
La Révolte des accents
Livre de Poche
5,60
3
3
Andrea Camilleri
Maruzza Musumeci
Sellerio
10
3
4
Nadine Gordimer
Nessuno al mio fianco
Repubblica Novecento
4,90
4
5
Eric-Emmanuel Schmitt
La Rêveuse d’Ostende
Livre de Poche
6,50
3
6
Joyce Carol Oates
Sophie
Repubblica Amore
3,90
3
7
Paolo Maurensig
Canone inverso
Mondadori
9
3
8
Anne Perry
Il battesimo
Repubblica Giallo
5,90
2
9
Elisabetta Rasy
Molta luce in pieno inverno
Repubblica Amore
3,90
4
10
Osvaldo Soriano
Triste, solitario y final
Repubblica Novecento
4,90
2
11
Mariusz Szczygieł
Reality
Nottetempo
8
3
12
Milena Agus
Sottosopra
Nottetempo
s.p.
4
13
Michael Connelly
Il poeta
Piemme
12
4
14
Anna Gavalda
Je l’aimais
J’ai lu
4,80
2
15
Pete Dexter
Così si muore a God’s Pocket
Repubblica Noir
6,90
2
16
Andrea Camilleri
La setta degli angeli
Sellerio
14
3
17
Amos Oz
Conoscere una donna
Feltrinelli
8,50
3
Come prima trama tutta di libri 2012, faccio notare la novità delle indicazioni bibliofile di ogni libro tramato: data di arrivo nella mia libreria (A), data di inizio e fine lettura (I e T), e numero di pagine.
Ma per tornare al resto, come dice il mio oroscopo di oggi, questo sarà un mese fortunato. Speriamo di sì. Certo mi hanno chiesto di rinnovare il contratto di lavoro, e dovrebbe essere bene. Ma sento anche che, preso dagli impegni contrattuali, trascuro tutto il resto: amici, salute, impegni e forse dimentico anche qualcosa. Cari fedeli amici e lettori, mi saprete perdonare?

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