Annamaria Fassio “Shanghai” Mondadori euro 4,20
[in: 25/01/2011 – out: 28/07/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno
2009]
Sapete tutti, ovviamente, della
mia passione per gli scrittori italiani di gialli. E sapete anche che ho letto
molto degli scritti della Fassio. Soprattutto le storie ambientate in quel di
Genova che vedevano protagonisti la coppia Erica Franzoni e Antonio Maffina.
Questo, uscito in un agosto per me medio - orientale, l’avevo perso. Ma ora che
l’ho ritrovato mi domando se ne valeva la pena. Non c’è l’ispettore, non c’è
Genova, e la vicenda si sposta in una Cina dove non mi ci ritrovo. Ci si muove
a Shanghai, ma non è quella reale, seppur claustrofobica e poco invitante, di
Qiu Xialong. È una città che ormai non è più dissimile dalla Hong Kong degli
anni Novanta, con in più violenza e sordidezza. Ci sono ingredienti da giallo
classico, come l’imprenditore italiano in odore di fuori legge para-mafioso,
che si trasferisce in Cina perché lì ci sono meno regole e più possibilità di
fare soldi. Ci sono bellissime donne cinesi, dedite a raffinati giochi di sesso
orientale, ma anche a vendette dure e prolungate nel tempo (i cinesi si sa
hanno memorie da elefanti). Ci sono piccoli ladruncoli in odor di cocaina. Ci
sono poliziotti cinesi corrotti (ma vien da dire poliziotti corrotti tout
court). Insomma, ci sono tutti gli ingredienti del giallo, magari aggiornando
le atmosfere noir con un pizzico di Tarantino (la piccola Su Ping sembra tanto
Uma Thurman di Kill Bill). Ma il risultato è povero. Povero d’ambientazione,
che, come detto sopra, non restituisce la città cinese com’è, ma come la si
immagina, città corrotta del ventunesimo secolo. E colpisce che l’autrice dica
di aver scritto questo romanzo dopo un soggiorno in Cina, fermando sulla carta
le sensazioni avute laggiù. Non so che Cina ha visitato ma a me viene rimandata
più Cina e più Shanghai da mezza pagina dei prolissi libri di Qiu Xialong, che
da questo romanzetto. Che se invece di Shanghai, si fosse chiamato Singapore,
non avrebbe spostato di una virgola le sensazioni e le atmosfere. Povero di
pathos, che ci immaginiamo ben presto come il sordido Francesco, malavitoso da
esportazione, non possa che venire stritolato da un mondo che frequenta ma che
non capisce. Anzi che non si sforza di capire, come se si potesse interpretare
l’altro con le nostre categorie, senza fare uno sforzo di andargli incontro.
Povero alfine di quei colpi di scena che sono l’anima di un bel romanzo giallo.
Anche le vicende del poliziotto Wang, legato alla Cina e rispettoso delle sue
tradizioni, sì un po’ ci coinvolgono. Ma l’ispettore Chen ci fa pensare molto
di più. Alla fine non ci potranno essere vincitori, in questa lotta dove quello
che si globalizza non è l’economia ma il malaffare. Un povero risultato, e
spero che per i suoi settanta anni, la Fassio ci faccia un regalo tornando ad
atmosfere a lei più consone. Dispiace anche che la collana Mondadori sia caduta
così in basso. Certo non era ancora nelle pessime mani di Costanzo, ma
Sponzilli non riusciva a risalire dai cali di vendite. Forse, questo tipo di
periodici hanno ormai fatto il loro tempo, e bisogna prenderne atto. Noi,
osservatori e bibliofili, stiamo un po’ a guardare dalla finestra.
Qiu Xialong “La misteriosa morte della
compagna Guan” Marsilio euro 12,50 (in realtà, scontato 8,75 euro)
[in: 04/02/2011 – out: 12/09/2011]
[tit. Dead of a Red Heroine); ling. or.: inglese; anno 2000]
Ho finalmente letto il primo
libro delle storie dell’ispettore Chen Cao, di cui avevo parlato in occasione
del primo libro letto, ma che non era il primo della serie. Solite storture del
mercato italiano. Un autore ha successo all’estero, si prende il libro, si
traduce e si vede cosa succede in Italia. Se le vendite vanno, si comincia a
pubblicare anche i libri precedenti. Marketing che va bene con libri isolati,
ma che lascia il tempo quando parliamo di storie collegate. Ed infatti, il
primo libro letto mi aveva lasciato insoddisfatto. Ora, non dico che siamo al
superlativo, ma sicuramente un libro degno, con una bella storia, e con qualche
sicuro pregio. Il pregio migliore deriva dal farci calare veramente
nell’atmosfera cinese, con tutto il bene ed il male che ne consegue. Siamo agli
inizi degli anni Novanta, da poco c’è stata Tienanmen, ed il mondo politico ed
economico cinese è attraversato come un brivido dalle parole d’ordine di
Deng Xiaoping. Non è facile entrare in
questo clima, ma Qiu ci porta per mano, un po’ didascalico, e ci fa rivivere
quegli anni. Lì dove cominciava anche la lotta di potere tra la vecchia guardia
e le nuove leve. E dove un mondo chiuso come quello della polizia è la miglior
palestra per far vedere le storture di queste lotte. Che si intrecciano anche
nella morte della bella Guan, maldestramente tradotta solo come “compagna"
laddove il titolo inglese parlava di “Eroina Rossa”, cioè di una figura di
spicco del mondo lavorativo cinese, una “Lavoratrice Modello” esempio per i
milioni di lavoratori con paghe di fame che si aggirano per la Cina. L’indagine
capita per caso tra le mani dell’ispettore Chen, che a sua volta è un caso
atipico ma emblematico. Laureato in letteratura con una tesi su T. S. Elliott,
è un discretamente noto autore di poesie di stampo classico (e su questo
torneremo). Ma si deve pur mangiare, ed essendo nelle “quasi - liste nere”,
avendo avuto uno zio bollato come contro-rivoluzionario al tempo della
rivoluzione culturale, non può aspirare ad una cattedra universitaria, e si
deve accontentare di un posto ministeriale. Ma è un uomo retto, e nel lavoro di
indagine mette tutta la rettitudine del poeta. In questo aiutato dal poliziotto
Yu e dalla bella di lui moglie Peiqin. Sarà invece ostacolato da tutta la
burocrazia interna che non vede di buon occhio l’ascesa di un giovane
trentacinquenne alle leve del potere. Anche perché ben presto il maggior
sospettato sarà proprio il figlio di un ex-grande dirigente di partito, con
alle spalle una potente famiglia, con una suocera nel Direttivo del Partito. La
lunga, e un po’ prolissa storia, si dipana intorno a questa lotta. Con i nostri
che cercano in tutti i modi di trovare le prove di un omicidio ed il potere che
cerca di insabbiare, usando tutte le leve che un potere dittatoriale ha a
disposizione: diffamazione, emarginazione, costruzione di false piste, e via
berlusconando. Certo, bisogna calarsi e molto nell’ambiente cinese, ma lo
sforzo ne vale la pena. Ne viene restituita in primo luogo la città di
Shanghai, così come si viene evolvendo negli anni. E così come la ricordo, che
proprio in quegli anni vi feci la mia prima visita. E poi la vita quotidiana in
Cina, con l’inizio dei problemi di traffico, data l’immissione sempre più
massiccia di veicoli a motore al posto delle biciclette. Con i problemi di
alloggio, che le case sono assegnate dal partito secondo strane graduatorie di
merito. E dove vediamo ad esempio Yu e Peiqin con figlio dodicenne vivere in
una stanza di 15 metri quadri, e dove, per uscire di casa, devono transitare
per la stanza abitata dal padre di Yu. Con i problemi di rapporti umani ed
amorosi, che Chen vorrebbe amare la bella Ling, ma questa è di una famiglia di
potere e lui no. E potrebbe essere attratto dall’altrettanto bella Wang, ma
questa è sposata (e per i confuciani questo è un vincolo che non va toccato) ed
il marito è fuggito in Giappone (e questo è un tabu per gli ossequiosi delle
direttive del Partito). Ma tra una poesia e l’altra, Chen riuscirà a tirare i
giusti fili ed a sbrogliare in qualche modo la matassa. Forse non nel modo che
ci aspettiamo noi e lui, ma il filo riprenderà a correre. In attesa di nuove
avventure. Un’ultima parola sulla poesia. Chen, ma anche molti personaggi, ogni
tanto infiorettano il discorso con citazioni di poesie classiche cinesi, che
ovviamente sono il pane di Qiu (che le insegna in un’Università americana), ma
che per noi necessitano di spiegazioni su spiegazioni. Perché, prese così come
la prima che riporto sotto sulla lingua e i capelli, a volte sembrano
tautologie o discorsi banali. A volte si tramutano in incomprensibili paragoni
tra uccelli che volano e pesci che saltano e si trasformano in draghi. Questa è
la parte più ostica. Unita alla sensazione che Qiu possa e riesca a scrivere di
tutto ciò solo perché vive negli Stati Uniti. E non è un caso che scriva in
inglese e non in cinese. In definitiva, comunque, un buon libro per avere uno
sguardo interno alla Cina attuale.
“Come può riconoscermi da una foto del liceo? Ti ricordi il famoso
verso di He Zhizhang? La mia lingua non è mutata, ma i miei capelli sono
diventati grigi.” (11)
“Decise di tornare a casa a piedi. A volte riusciva a pensare meglio
mentre camminava.” (127)
“Dopotutto un uomo è solamente quello che decide di fare o di non
fare.” (246)
Alex B. Di Giacomo “Punto di rottura” Mondadori euro 4,20
[in: 05/12/2010 – out: 21/09/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno
2010]
Ennesimo
giallo italiano della collana mondadoriana. Uno degli ultimi con la veste
grafica suntuosa e storica. Da qualche mese, cali di vendite e altro, hanno
riesumato una veste meno patinata, e dei titoli più da edicola. Ennesimo giallo
anche con la sua importanza, come vincitore dell’unico ragionevolmente serio
premio giallistico italiano, il premio Tedeschi, dal nome dello storico
curatore dei Gialli Mondadori. Dell’autore si sa veramente poco, in quanto è al
suo primo romanzo, e fino ad ora ha fatto lo scenografo per qualche puntata di
“Distretto di Polizia” su Canale 5 (e non dite che Costanzo è il direttore
della rivista che siete i soliti malfidati). Ha quasi 40 anni, ed ambienta
questo polpettone sull’onda dei suoi venti anni, cioè tra il 1992 ed il 1994. E
cerca di fare un grosso scheker mescolando elementi di sicuro effetto con altri
che ci vorrebbe altra maestria per maneggiare. La storia segue le vicende di
Davide un tecnico del SISDE dedito alle intercettazioni ambientali. Purtroppo
il suo incontro con noi coincide con un grande scacco: l’uccisione di un
magistrato fatto saltare in aria a pochi passi da casa. Insomma, avete capito
bene, si comincia dalla strage di via D’Amelio (e non, come qualche blog di
ignoranti ha ripetuto più volte, con la strage di Capaci, avvenuta 57 giorni
prima). Certo il nostro sceneggiatore si è documentato, perché un personaggio è
ricalcato sulla figura reale dell’agente Emanuela Loi, che si doveva sposare
pochi giorni dopo. Ed il nostro tecnico fa la parte del non più futuro marito.
Quindi depressioni, ed altre menate varie, e ci ritroviamo nel luglio di due
anni dopo. Dove alle vicende così dette alte (stragi, servizi deviati, mafia di
stato, logge segrete, e via elencando), si affiancano una banda di ladruncoli
che ruba rocambolescamente una partita di eroina e diamanti provenienti dal
Sudafrica. Peccato che nel malloppo ci sia anche un dischetto che contiene
rivelazioni importanti. Infatti, è inviato da un mafioso, da anni riparato nel
continente nero, e pare implicato nei fatti di cui sopra. Peccato che nella
fuga con il malloppo, la banda sequestri il nostro Davide. Peccato che della
banda fa parte l’americana Lucy, bella ed in via di pentimenti. Davide si
innamora di Lucy? I due dopo una serie di rocambolesche avventure riescono,
usando pistole, intercettazioni e ricatti, a riparare vivi nell’isola di
Madeira? Il SISDE farà sparire tutte le prove? Tutte domande cui, se siete
attenti lettori, non potete che rispondere affermativamente. Il tutto mescolato
anche con gli inizi di Mani Pulite, il destino del famigerato decreto Biondi,
che non passerà (secondo il nostro sceneggiatore) perché l’Italia non vince i
mondiali. Altrimenti “panem et circenses” ed un bel colpo di spugna, come
berlusconianamente si continua a fare da quasi venti anni. Peccato, e qui
termino con le recriminazioni, che il culmine delle vicende si voglia far
coincidere con la finale del mondiale del ’94, quella del famoso errore di
Baggio dal dischetto. Ci starebbe quasi tutto, meno l’anello di quadratura,
l’anniversario della strage iniziale, che avvenne il 19 luglio del ’92, mentre
la finale si svolge il 17 luglio del ’94. Questa la storia, più o meno, con il
tentativo dello sceneggiatore di volare alto, di mischiare “sacro e profano”.
Ma seppur decentemente documentato, il nocciolo della matassa è di una banalità
sconcertante e, purtroppo, ben lontano dalla realtà. Che ci sono sicuramente
servizi deviati e logge varie. Ma l’intreccio tra male e peggio è molto più
alto e non così banalmente risolvibile come ci si vuol far credere. Ma lo
scrivere scorre abbastanza, ripeto, e continuo a chiamare Di Giacomo lo
sceneggiatore, perché sembra proprio il plot di un futuro sceneggiato. Per
essere un romanzo, i caratteri dei personaggi, le situazioni, insomma tutto il
background letterario che ci dovrebbe essere, non c’è. È trattato con
un’allegra superficialità. Perché si sa, l’immagine è più potente dello
scritto. Basta metterci un bel cast ed il gioco è fatto. Un’ultima annotazione,
molto personale, l’unico sentito grazie all’autore è di avermi fatto rivenire
alla mente Cinquale (dopo che Nesi mi riportò a Vittoria Apuana).
“La formazione dei sentimenti è più banale
di quello che si crede. Un bel giorno la memoria cancella spietate pene come il
segno del gesso da una lavagna, e si comincia a pensare a un’altra.” (171)
Elizabeth George “Prima di ucciderla” TEA euro 9 (in realtà, scontato
6,30 euro)
[in: 29/07/2011 – out:
17/10/2011]
[tit. or.: What Came Before He Shot Her; ling. or.: inglese;
anno 2006]
Ho
impiegato molto tempo ad acquistarlo perché non ero convinto. Infatti, la
precedente puntata della saga dell’ispettore Lynley l’ho tramata il 19 marzo
del 2009, dove me la prendevo con l’evidente masochismo della George che “per
rendere simpatici i cattivi fa soffrire i buoni”. Ed, infatti, quel libro
terminava con l’uccisione della moglie dell’ispettore. E non ci vuole molto a
capire che questo “Prima di ucciderla” non possa che parlare degli avvenimenti
che si stavano svolgendo in parallelo all’altro libro, prendendo al centro
qualcuno che alla fine sparerà alla signora Lynley. Poiché quella morte mi
aveva lasciato un po’ sconcertato, ho aspettato a digerirla prima di prendere
in mano questo parrallel-quel. Ed ho fatto bene, perché mi ha fatto innervosire
ancora di più. In un libro che, secondo la stessa autrice, fa parte della serie
dell’ispettore, primo l’ispettore stesso non compare mai, e seconda il sergente
Barbara che tanto mi era simpatico appare nella penultima pagina. Tutto il
resto delle quasi 600 pagine è dedicato alla storia dei fratelli Campbell e
della loro zia Kendra. Certo si parla di criminalità, soprattutto di micro-criminalità
giovanile, si parla delle minoranze disadattate nella Londra multietnica, si
parla di disagio sociale. Ma dove sia il giallo, il nero, il mystery o il
thriller, è una domanda che dobbiamo fare all’autrice. E non sono sicuro che
abbia la risposta pronta. Nella precedente trama ipotizzavo un distacco della
scrittrice dal suo ispettore, come se volesse trovare il modo di toglierlo
dalla trama principale. Ma una creatura che ha sopportato più di 10 romanzi non
è facile da allontanare. E credo questo secondo romanzo, con la sua storia in
parallelo, servisse più a lei per prendere le distanze, che a noi per seguire
le vicende. Infatti, anche io, per quasi metà del libro lo leggevo un po’ con
la coda dell’occhio. Come aspettando altro. Quando ho capito che altro non
c’era, mi sono messo a seguire meglio la storia. La storia di Ness, quindicenne
violata dall’amante della nonna (!!), ribelle senza causa, che sembra ad un
certo punto trovare una via d’uscita con l’aiuto di una signora pakistana, ma …
La storia di Toby, il fratellino di otto anni, probabilmente ritardato, o
comunque problematico, che stava per morire quando la madre lasciò il
passeggino (volutamente?) sulla corsia degli autobus. Ma soprattutto la storia
di Joel, quello dai capelli rossi, il dodicenne che è il perno del racconto,
dove cerca in tutti i modi di proteggere sorella e fratello, riuscendo ogni
volta a cacciarsi in un guaio più grosso. Fino agli ultimi guai, forse senza
uscita. E la storia della zia, che si trova 3 ragazzi tra capo e collo, quando
la loro nonna, nonché sua madre, decide di scappare con l’amante in Giamaica
(ah, dimenticavo, i tre ed anche la zia sono più o meno colored). Lei cerca di
salvare capra e cavoli con il buon senso, anche se ha una storia poco
rassicurante alle spalle (primo marito malato di AIDS ed ucciso per strada,
secondo in carcere per furto), e durante la storia si innamora, lei
quarantenne, di un palestrato di 23. E nel contorno, le violenze della
periferia londinese, la crudeltà dei ragazzi verso i “diversi”, il tentativo di
usare il proprio copro, come fa Ness, per tirarsene fuori. Le visite periodiche
alla madre dei tre, ricoverata in ospedale psichiatrico. Il racconto
dell’uccisione del padre, quando riaccompagnava a casa da scuola Joel e Toby.
Insomma, la George ci mette di tutto per rendere invivibile il quadro che
abbiamo davanti. Ci riesce. E ci lascia anche degli interrogativi. Perché il
cattivo Stanley ha un buon rapporto con la polizia? Cosa farà Joel di fronte a
Barbara? Dov’è finito Cal? E lo stralunato Ivan è solo stralunato o nasconde
segreti? E Dix si allontanerà per sempre? Ci saranno altre puntate per tornare
su questi temi? Vedremo di scoprirlo, sperando che la George ritorni alla sana
vena delle sue prime opere, dove, anche se sempre con qualche omicidio di
troppo, c’era comunque un bell’affresco del mondo anglo-sassone contemporaneo,
con tutte le difficoltà e le contraddizioni presenti, accentuate a volte dal
fatto, non trascurabile, che la George scrive tutto ciò dalla sua casetta di
Seattle, in America. Rimane certo, e qui vi lascio, il messaggio forte della
difficoltà di vivere nel mondo inter-razziale lì dove manca il rispetto
dell’altro. E lì dove, per una serie di circostanze che si accumulano e si
stratificano, viene meno la fiducia nel prossimo. Sarà sempre più difficile
risolvere i propri guai senza appoggiarsi a qualcuno.
Si
sa che le settimane scorrono, e ce ne sono alcune più importanti di altre.
Basta così.
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