Cominciamo questo mese acquarico
di febbraio (nonché nevoso) con una selezione di american - noir più un giallo
fiammingo (in onore della recente visita in Belgio). Una discreta nuova puntata
dello scrittore di long-seller David Baldacci, un buon nero del (purtroppo)
scomparso McBain ed un interessante anche se non eccelso Pelecanos. Una bonus
track del fiammingo Pieter Aspe e della lunga saga del commissario Van In (che
ritroveremo prima o poi). Anche a celebrare i fasti (benché pochi) della
letteratura belga. Non è Simenon, non è Hergé, ma è interessante (anche se non
tradotto benissimo).
David Baldacci “Cani da guardia” Mondadori euro 9,50
[in: 29/12/2010 – out:
28/09/2011]
[tit. or.: Stone cold; ling. or.: inglese; anno 2007]
Un'altra
puntata degli eroi del Camel Club, quelli che cercano la verità. E finalmente,
dopo tre tappe, alcuni nodi vengono al pettine. Per i miei disattenti lettori,
ricapitolo un po’. Dopo aver letto, una decina di anni fa, i primi libri di
Baldacci, lo avevo lasciato da parte, un po’ troppo easy american. Ritrovato
per caso un anno fa, mi è sembrato interessante, per un modo molto scorrevole
di narrare, e perché mi aveva affascinato il personaggio di Oliver/John. Ex -
agente CIA, riuscito ad uscire dagli ingranaggi delle super spie senza essere
ucciso (ma non la moglie), lo troviamo sessantenne, installatosi a Washington
di fronte al Campidoglio con un cartello “Voglio la verità”. Non serve a
niente, ma è lì pronto (se serve) a ripartire al galoppo per riparare qualche
torto. E fonda così il suo Club di vendicatori: il Camel (altro motivo che mi
attira). Con Caleb il bibliotecario, Milton il genio della matematica e Ruben
un altro ex-spione. Intorno al club si aggira Alex, agente FBI in servizio che
serve a chiamare rinforzi se necessario. Ed a forza si inserisce Annabelle,
bella truffatrice e forse innamorata di Oliver. Qui li troviamo alle prese con
un doppio (triplo?) gioco. Da un lato c’è da difendere Annabelle dal gangster
Jerry che lei ha truffato (nel libro precedente) e che la vuole uccidere. Poi
c’è l’inserimento di Harry, figlio di un’ex-spia uccisa dal capo della CIA, che
dopo trenta anni cerca di vendicarsi dei suoi nemici, quelli che hanno ucciso
il padre. Peccato che nel comando ci fosse anche Oliver. Ma il nostro è
cambiato, e quando si trovano faccia a faccia, dopo un lungo esame reciproco,
decidono di unire le proprie forze. Sia per aiutare Annabelle che per aiutarsi
a vicenda. Che la CIA ha scoperto che Oliver/John non è morto. E che Harry ha
delle prove che incastrano la CIA in qualche sordido affare. E che i cattivi
hanno rapito il figlio di Harry. Intanto ricompare il padre di Annabelle,
vecchio e malato, che aveva lasciato uccidere la moglie dal cattivo Jerry,
motivo per cui Annabelle aveva organizzato la truffa sopra citata. Tutti questi
nodi vengono al pettine nelle ultime cinquanta pagine, e Baldacci riesce, in un
modo o nell’altro, a districare le intricate matasse. Con un po’ di alterne
fortune, quasi tutti i buoni hanno quello che si aspettano, e quasi tutti i
cattivi fanno la fine che ci aspetta. In questo modo, mettiamo un punto finale
alla vicenda che, con alti e bassi, si era protratta nei primi due libri della
serie. E che qui ha un grosso punto fermo. Peccato che non tutto vada proprio
per il verso giusto, mettendo in crisi la rettitudine del nostro Oliver. Ed
aprendo qualche interrogativo, così che ci si domanda se avremmo nuovi episodi.
Certo, è un romanzo alla Le Carrè, spionaggi, combattimenti, e qualche critica
ai cattivi che si infiltrano nelle pieghe del sistema. Critiche blande, che non
vanno poi a fondo nel mettere in discussione tutto il sistema di corruzione e
spionaggio vari, che contamina il modello americano e che, anche se
“all’amatriciana”, cerchiamo di esportare anche in Italia. Ma a me piace avere
questi momenti relax. E cercherò di vedere se escono nuovi episodi delle truppe
cammellate.
Ed McBain “Grande città violenta” Repubblica Giallo euro 5,90
[in: 2004 – out: 06/10/2011]
[tit. or.: Big Bad City; ling. or.: inglese; anno 1999]
Un
altro (e purtroppo tra gli ultimi) bel lavoro di Evan Hunter in arte (tra i
tanti pseudonimi) anche Ed McBain. Il libro ha poco più di dieci anni, ma
l’autore 6 anni fa è venuto a mancare a poco meno di 80 anni. Dispiace, come
per tutti quelli che ci lasciano, che non solo era stato prolifico e
poliedrico, ma anche (e per questo lo ricordiamo e lo ringraziamo) l’inventore
di quello che gli anglosassoni chiamano “police procedural”, cioè un romanzo
non con un protagonista ma con una squadra di comprimari tutti degni del primo
piano. Quello che (per chi vede la Tv) è un po’ l’anima delle fiction
poliziesche moderne (dai nostrani Distretti di Polizia ai vari Csi, Cold Case e
via discorrendo). Lui ha inventato, già nel 1956, la saga dell’87° Distretto,
di cui ha scritto quasi 60 romanzi. Una sezione di agenti che lavorano
all’interno di una grande metropoli, da lui inventata, ma che ricalca,
nell’animo, le grandi città americane, da New York a Chicago a Los Angeles. E
ci sono i vari poliziotti che sia coralmente che, a volte, in singolo, prendono
la scena. Ma è appunto il corale che importa a McBain. Anche se ci sono i suoi
(e i miei) preferiti, Steve Carella su tutti, con la moglie muta un passo
indietro, ma sempre presente. La grande capacità di McBain sta nel proporre in
ogni romanzo nuove storie, facendo evolvere i personaggi, cambiando le
situazioni, ma da un lato con il rigore di chi non si scorda delle storie personali,
dall’altro con l’abilità di presentare nuove storie, in evoluzione rispetto
alle precedenti, e senza farci accorgere che passa il tempo. E senza dover,
dopo ogni poche pagine, ricapitolare chi ha fatto cosa e quando. Così le storie
fluiscono e noi ne fruiamo sentendoci accompagnati da persone che conosciamo,
ma senza la sensazione di vecchio che in meno riusciti tentativi si ha. E senza
la sensazione che il personaggio ha fatto il suo tempo ed è ora di “cambiarlo”
(come dovrebbe essere per il Montalbano di Camilleri). Perché qui il
personaggio è il distretto, e, come disse in un vecchio romanzo uno dei
poliziotti dopo la morte di un agente, i poliziotti muoiono, l’87° resta. Qui
troviamo intrecciate almeno 3 storie maggiori: l’assassinio di una suora, i
furti d’appartamento di un ladro gentiluomo e la caccia al poliziotto da parte
di un delinquente che entra ed esce dal carcere. I furti sono un filone che va
avanti per tutto il romanzo, entrando ed uscendo dalla trama, dove il ladro
entra in appartamenti e ruba, ma con un suo codice deontologico: rubare mai
troppo e lasciare una scatola di biscotti al cioccolato da lui cucinati per far
sapere la sua volontà di non “violentare” le case che visita. Peccato che in
una di questi “visite” ci scappino due morti. E Cookie Boy (questo il suo
soprannome) viene ricercato da ben 4 poliziotti dell’87°, uno dei quali è
Parker che con Carella aveva ferito un ladro che cercava di assalirli con un
coltello. Ma Carella in genere fa coppia con Artie Brown, un nero (Steve
ovviamente è italo-americano). E sono loro che trovano la suora, e cercano di
trovare il bandolo della matassa di una morte inspiegabile, andando a ritroso
nella vita della giovane (che in fondo viene uccisa a 27 anni), a quando faceva la cantante in una
banda rock. Ed è Carella che Sonny il nero ha nel mirino. Perché Sonny in una
rapina ha ucciso il padre di Steve (che era un rompiscatole, ma certo non
meritava quella fine). E perché si è convinto che Carella non gli darà pace,
anche se da quell’omicidio Sonny venne assolto per insufficienza di prove. Si
va avanti così, con i poliziotti che indagano, si scambiano barzellette sulle
suore (un’altra capacità di McBain è di stemperare la tensione ogni tanto con
un po’ di ironia), intrecciano storie ed alla fine trovano il bandolo, o i vari
bandoli, della matassa. Mentre continuano a muoversi all’interno di questa
grande città violenta, che è l’America, signori! Insomma, un bravo scrittore di
storie, abbastanza politically correct, con la capacità di tenere il lettore
sulla pagina senza annoiarlo.
Pieter Aspe “Caos a
Bruges” Fazi euro 14
[in: 27/11/2010 – out:
17/11/2011]
[tit. or.: De Midasmoorden; ling. or.: fiammingo o nederlandese;
anno 1996]
Avevo
letto un anno fa circa il primo libro della serie del commissario Van In
scritto dal fiammingo Aspe. E mi domandavo in quale lingua leggerlo, dato che
anche in francese, lingua della prima lettura, era comunque una traduzione. Ho
deciso quindi di leggere il secondo in italiano. Devo confessare che sono un po’
deluso. Non entro nelle indubbie capacità della traduttrice, che certamente
conosce il nederlandese. Ma la resa, in italiano, mi è sembrata molto minore.
L’andamento è stato molto frammentario, mentre il primo sembrava più fluido.
Sembrano perdersi dei passaggi ed anche la fine, pur concludendo le parentesi
aperte, mi è parsa un po’ affrettata. Intanto, già dal titolo siamo a delle
scelte precise. Perché “I Mida assassini” diventa ora “Caos a Bruges”? Certo il
titolo era una indicazione precisa. E non a caso che buona parte degli
assassini hanno un certo gusto per il lusso. Vuoi per le frequentazioni (locali
costosi, aerei privati), vuoi per le abitudini (macchine di lusso, caviale al
cucchiaio). Ed ovvio che le loro azioni creino confusione nella calma cittadina
fiamminga. Ma il caos è più dedicato ad un libro varie volte citato nel
romanzo. Un libro che spiega la teoria del caos come elemento di lettura della
realtà. Teoria che viene un po’ banalizzata con la classica citazione, se un
messicano si soffia il naso in Messico, cosa succederà a Berlino? Ed in
effetti, nella trama, ci sono una serie di sassolini, di soffiate di naso, che
sembrano non essere correlate tra loro. Ma alla fine, si scoprirà la trama che
proprio dalla Germania ha inizio e fine. Ritroviamo quindi gli eroi del primo
libro, anche se con diverso peso. Ovvio che Van In sia sempre al centro, ma qui
beve meno birra con Léo, che compare pochissimo, e molti più superalcolici.
Sempre più forte si fa il suo legame con Hannelore, la bella sostituto
procuratore di cui si è innamorato, ma con la quale ha uno strano rapporto,
visto che continua a vedere l’altrettanto bella (e giovane) Veronique. Ed è più
presente Guido, il brigadiere gay, che diventa sempre più un alter-ego di Van
In. La trama ci porta nel mondo del grande turismo, quello alla Alpitour
internazionale. Ed al tentativo di far diventare Bruges una specie di
Disneyland del Medioevo. Costruendo villette in periferia, estromettendo i
residenti dal centro (e Van In rischia di perdere anche la sua casetta). Ma i
deus ex-machina della vicenda non hanno fatto i conti con lo starnuto, perché
il tedesco motore della vicenda viene riconosciuto da un ebreo olandese come
figlio di un gerarca nazista assassino dello zio. E la vicenda attuale si mescola
con il trafugamento dei beni culturali da parte dei gerarchi di Hitler, in
particolare una statua del Michelangelo residente in Bruges. E con un
procuratore distrettuale a sua volta figlio di un gerarca belga di allora fede
nazista che proprio i nazisti aiuto nelle ruberie. Per non farci mancare nulla,
c’è anche un mafioso – macaronì che si dà agli omicidi a destra e a manca. Ed
un ladro di appartamenti acrobata (si allena scalando montagne a mani nude!).
Van In per 2/3 del libro sembra interessato solo ad ubriacarsi ed a frequentare
la bella Hanne. Poi, con un’accelerazione improvvisa, e come detto all’inizio,
un po’ immotivata, comincia a chiarire i misteri. I legami tra ladroni attuali
e ladroni dell’epoca. Una combriccola di “buoni cittadini” con molti scheletri
negli armadi, che si aiutano a vicenda, con lo scopo preciso di arricchirsi e
godersi la vita, a scapito di tutto e di tutti. Con un colpo geniale, Van In
imbroglia gli uni e gli altri, quasi a volerli mettere un contro l’altro
armati. Non si sa se ci riesce o se era già tutto previsto (ma allora la teoria
del caos?). Tuttavia alla fine quelli che sappiamo essere i colpevoli
pagheranno il fio delle loro colpe. Solo il mafioso sembra farla franca (lo
ritroveremo?). Ed intanto Pieter e Hanne si riavvicinano sempre più, tanto che
c’è quasi odor di nascite. Un giallo ben costruito, sì, ma tuttavia mal reso, e
che mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca. Non so come procedere con questo
giallista, che in patria è osannato (dai fiamminghi) quasi e più del francofono
Simenon.
“Alcuni hanno un fisico perfetto, altri si
devono accontentare del cervello.” (24)
George Pelecanos “Vendetta” Repubblica Giallo euro 5,90
[in: 2005 – out: 22/11/2011]
[tit. or.: Shame the Devil; ling. or.: inglese; anno 2000]
Discretamente
leggibile e moderatamente godibile. Non molto di più. Ma per fortuna neanche
tanto di meno. Quali sono le sue caratteristiche principali? È di origine
greca, vive a Washington, prima della scrittura fa mille mestieri ed è di 5
giorni più giovane della mia amica Rosa. Tralasciando l’ultimo dettaglio, poco
influente nella sua produzione, gli altri sono delle caratteristiche che
entrano, con più o meno forza, nei suoi romanzi. Tutti ambientati a Washington.
Tutti con personaggi che prendono spunti dai suoi mille mestieri (barista,
cuoco, venditore di scarpe). Tutti con una buona dose di presenza multietnica,
ed in special modo di origine greca. Questo appena letto ho scoperto in seguito
essere il punto di raccordo finale di due sue scritture seriali: quella che gli
ha dato fama e soldi, imperniata sul semi-investigatore privato Nick Stefanos,
e quella su Washington attraverso gli anni, seguendo le gesta di un altro
greco, Dimitri Karras. In questa “Vergognati Diavolo”, che meglio si adatta
piuttosto dell’italiano “Vendetta”, in effetti, siamo più sul genere grande
plot narrativo, con punte di noir. Ma non di giallo. Niente grandi misteri, o
ricerca di colpevoli. Vediamo tutto in presa diretta. Da una parte due
malavitosi di buon rango, Frank e Otis, che tentano una rapina che va
maledettamente male, ed alla fine della quale troviamo sul terreno morti il
fratello di Frank, il cuoco e i camerieri della pizzeria, il figlio di cinque
anni di Dimitri, e, colpito alla schiena e poi paralitico, il poliziotto Jonas.
Ci spostiamo avanti negli anni (tre circa), e ritroviamo i buoni, che si
coagulano intorno a Nick Stefanos. Del quale seguiamo le gesta investigative,
ma anche il lavoro di cameriere, ed il tentativo (riuscito) di tirar fuori
dalle secche del ricordo il fino ad allora tristo Dimitri. Ma ritroviamo anche
i cattivi, che Frank vuole vendicare il fratello. Scopriamo anche chi sia quel
diavolo che si deve vergognare (o che si vergogna). Ma come in una delle serie
televisive di cui Pelecanos diventerà abile sceneggiatore in questo inizio di
secolo, i racconti paralleli convergono, e si risolvono, non dico al meglio per
tutti. Ma quanto meno al meglio nel politically correct americano. I cattivi
riceveranno la loro giusta punizione. I buoni, anche se a volte con le ossa
rotte, usciranno verso un possibile nuovo futuro per ricominciare a vivere.
Poiché non è dato che si siano lette le storie precedenti, ogni tanto Pelecanos
ce ne fa un sunto. Così scopriamo che i padri di Nick e Dimitri si conoscevano.
Che l’avvocatessa che da lavoro a Nick è sposata con un tizio che, nei libri
precedenti, era socio di Dimitri. E tante altri elementi di quello che si
chiama in gergo “cross over”. In effetti, mi ero chiesto come mai, la moglie di
Dimitri, che nelle prime trenta pagine è una presenza che si sente, poi
scompaia per sempre. Probabilmente era presente nelle puntate precedenti, e qui
aveva fatto il suo tempo (come quando scomparivano i medici di E.R.). Gli amori
del nostro greco, poi, fanno tempo a comparire qua e là. Soprattutto la musica,
con continue citazioni di brani soul degli anni sessanta e settanta. Ma anche
basket. E gran parte della vicenda si svolge tra le chiacchiere della cucina
dello “Spot”. Certo, lascia un po’ perplessi il tasso alcolico di tutti i
personaggi. Che bevono whiskey e birra a tutto spiano. E si ubriacano a gran
velocità. E certo, è discretamente interessante lo spaccato della Washington
reale, non di quella patinata dei presidenti, ma di quella giornaliera della
marea di gente che ci vive, con tutti i problemi. Non ultimi (e questo
Pelecanos lo rende bene) quelli delle convivenze multietniche e quello della
presenza di vari gradi di droga e drogati. Ma tuttavia non graffia, non incide,
non prende più di tanto. E questa sensazione un po’ di sbandamento si sente per
tutto il libro. Comunque un autore che non conoscevo, e che tuttavia merita di
essere conosciuto.
Prima trama di febbraio, e
vediamo un’analisi della gran massa di letture novembrine. Venti titoli, con
tre buone prove (il classico Forster, il duro McCarthy ed i ricordi
giovanil-contadini di padre Bianchi) ed una pessima riuscita della nuova serie
di Repubblica (“Amore ai nostri tempi”) su cui tornerò a breve.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Franco Di Mare
|
Casimiro Roléx
|
Corriere della Sera
|
1
|
2
|
2
|
Margaret Doody
|
Aristotele e i delitti d'Egitto
|
Sellerio
|
15
|
2
|
3
|
Donato Carrisi
|
Falene
|
Corriere della Sera
|
1
|
3
|
4
|
W. Somerset Maugham
|
Acque morte
|
Repubblica Giallo
|
5,90
|
2
|
5
|
Fabio Volo
|
Un posto al mondo
|
Mondadori
|
12
|
2
|
6
|
Carla Vangelista
|
L’attesa
|
Corriere della Sera
|
1
|
3
|
7
|
Massimo Picozzi
|
Le regole
|
Corriere della Sera
|
1
|
3
|
8
|
Edward M. Forster
|
Camera con vista
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
4
|
9
|
Matteo B. Bianchi
|
Al sangue
|
Corriere della Sera
|
1
|
3
|
10
|
Ildefonso Falcones
|
La cattedrale del mare
|
TEA
|
13
|
2
|
11
|
Matteo Colombo
|
Magari disturbiamo
|
Corriere della Sera
|
1
|
3
|
12
|
Rex Stout
|
Alta cucina
|
Repubblica Giallo
|
5,90
|
3
|
13
|
Andrea Camilleri
|
La strage dimenticata
|
Sellerio
|
7
|
3
|
14
|
Pieter Aspe
|
Caos a Bruges
|
Fazi
|
14
|
3
|
15
|
Cormac McCarthy
|
Cavalli selvaggi
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
4
|
16
|
Alfredo Colitto
|
I discepoli del fuoco
|
Piemme
|
11,50
|
3
|
17
|
Enzo Bianchi
|
Il pane di ieri
|
Einaudi
|
9,50
|
4
|
18
|
George Pelecanos
|
Vendetta
|
Repubblica Giallo
|
5,90
|
2
|
19
|
Clive Cussler & Paul Kemprecos
|
Tempesta al Polo
|
TEA
|
8,90
|
3
|
20
|
Carlos Fuentes
|
Vlad
|
Repubblica Amore
|
3,90
|
1
|
Quattro
giorni a Bruxelles mi hanno salvato dal caos del 3 febbraio romano (ma non da
quello belga, dove, anche se non mi ha coinvolto di persona, il pomeriggio di
venerdì ha visto collassare la rete autostradale belga, con una punta di 1.200
km di fila) e mi danno possibili spunti per i miei prossimi impegni personali.
Non anticipiamo nulla, e vediamone lo svolgimento.
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