Da non confondere con i grandi
narratori di Storia (come Barbero) ed i grandi narratori di storie (come Alice
Munro), oggi parliamo di scrittori che si insinuano nelle pieghe della storia,
per tirar dentro una finzione, con accenti di realtà, nei casi migliori.
Abbiamo così la spagnola Matilde Asensi che s’intrufola tra i templari e il
Vaticano, la canadese Doody che ci riporta in Grecia con Aristotele, un altro
spagnolo, Ildefonso Falcones, con le storie di Barcellona lungo tutto il XIV
secolo, ed infine l’italiano Alfredo Colitto con le avventure di Mondino de’
Liuzzi (medico realmente esistito) nella Bologna dei primi anni delle
Università mediche, nella prima meta del ‘300.
Entriamo nella macchina del tempo
e partiamo.
Matilde Asensi “L’ultimo Catone” Rizzoli euro 9,50 (in realtà, scontato
7,60 euro)
[in: 10/05/2010 – out:
24/10/2011]
[tit. or.: El Último Catón; ling. or.: spagnolo; anno 2001]
Potenza
dei media! La Asensi congegna un decente romanzo utilizzando come chiave
misteriosa un testo noto e come eroe principale una suora paleografa. Il libro
ha un discreto successo in Spagna, ma poco altro. Due anni dopo, Dan Brown
riprende alcune corde del libro (il mistero attraverso qualcosa di famoso ed
una vicenda vicina al Vaticano) ed ha un successo internazionale. Tanto che la
Asensi viene tradotta in varie lingue. E finalmente ha un buon seguito. La
caratteristica comune è che il mistero viene sempre da grandi italiani. Lì era
Da Vinci. Qui invece abbiamo Dante. La Asensi fa un grande lavoro di ricerca sul
più criptico dei tre volumi della Commedia, il Purgatorio. Quello che in genere
è anche meno letto. Collegando un po’ di simbolismo (ben narrato in molti studi
danteschi, ma anche essi non tanto noti) con qualche mistero sulla vita di
Dante (i famosi 4 anni di esilio, la morte al ritorno da Venezia) e con una
storia intrigante, confeziona un libro sicuramente di degna lettura. Anche
divertente, per chi non si impressiona delle molteplici citazioni dantesche. Ma
è anche un buono stimolo per prendere in mano questo Purgatorio, e tirarlo
fuori dal limbo cui viene relegato (ah ah). La storia si srotola intorno
all’esistenza di una setta, come tante nata nell’antichità, di custodi della
Vera Croce, quella trovata da Elena, la madre di Costantino, in quel di Gerusalemme
vicino al Santo Sepolcro, intorno al 330 dell’era volgare. L’elemento
scatenante è la morte di un etiope che pare stesse trafugando un pezzo della
Vera Croce. Per dipanare il mistero ci si mettono in tre: la nostra eroina,
suor Ottavia Salina, palermitana, paleografa e campione di interpretazioni di
testi antichi, il curatore del Museo di Alessandria, il copto Farag, ed il
capitano della Guardie Svizzere (ma in realtà una specie di James Bond
vaticano) Kaspar. Così, tra un’esegesi delle quartine dantesche e l’altra,
seguiamo il nostro trio in giro per varie città mediterranee, alla ricerca del
mistero dei Custodi della Vera Croce, e della loro guida, che si fa chiamare
Catone, da Marco Porzio l’Uticense dei primi canti del Purgatorio. Solo che ora,
dopo 1700 anni circa, abbiamo superato il Catone CCL. Si passa per uno strano
furto presso il Monastero di Santa Caterina nel Sinai, e le varie prove
esoteriche a Siracusa, a Roma, a Ravenna, a Gerusalemme, a Costantinopoli, ad
Alessandria d’Egitto, ad Antiochia. Ognuna descritta da Dante, anche con la
soluzione di come affrontarla. E come a Dante, per ogni girone del Purgatorio
che supera, viene cancellata una delle sette P dei peccati capitali (che
ricordo per chi fosse un po’ arretrato in materia sono accidia, avarizia,
superbia, ira, invidia, gola e lussuria) ai nostri viene imposto un simbolo.
Certo la Asensi mette un po’ troppa carne al fuoco: la suora è l’ottava figlia
della famiglia Salina, potentato siciliano (in odore di mafia?) e ci sono
elementi che scivolano lì, tra morti strane e tentennamenti della suora, non
nella fede ma nel suo essere religiosa (e donna), c’è Kaspar, lo 007 svizzero,
copritore di misteri (e ritorna quello del tenente delle guardie che uccide
moglie ed il di lei amante), ci sono le lotte tra copti e mussulmani in Egitto,
e tra ebrei e integralisti a Gerusalemme (dimenticavo, che l’azione si svolge
durante l’anno santo, ed io a Pasqua del 2000 ero proprio a Gerusalemme!), c’è
il cardinale Sodano, e si parla ogni tanto anche di Giovanni Paolo II. Inoltre,
le prime prove incuriosiscono, dopo la quinta ci si comincia un po’ a stufare.
Ma l’ultima è veramente interessante nel suo svolgimento. Perché i nostri eroi
arriveranno all’ultima prova, usciranno dal Purgatorio, ed arriveranno nel
Paradiso Terrestre per incontrare l’ultimo Catone (non è che si sveli tanto,
c’è già nel titolo). Quello che non dico è ciò che succede dopo ai tre. Dicevo,
lettura scorrevole, anticipatrice, a volte un po’ “lenta” (ma è una cifra di
scrittura che ho trovato anche negli altri suoi libri) anche se a tratti
comincia a correre. Però un bel libro storico-misterioso, cui dedico due chiose
finali. La prima è una critica e riguarda il tragitto in macchina che i nostri
fanno per andare dal Vaticano alla Bocca della Verità: io avrei fatto il Ponte
Rotto e via Petroselli, piuttosto che Ponte Garibaldi e via Arenula. La seconda
un ringraziamento: finalmente la Asensi mi spiega il mistero del 13 dicembre
Santa Lucia. In realtà, prima della riforma gregoriana del calendario, Santa
Lucia era correttamente il 21 dicembre, quindi il giorno più corto che ci sia.
Con la riforma (che ricordo ha fatto saltare alcuni giorni, per adeguare la
durata dell’anno solare) la celebrazione è stata anticipata al 13, pur
rimanendo legata alla tradizione del solstizio (ed al fatto che la Santa è la
protettrice della vista). Beh, leggere un libro ed imparare qualcosa, è sempre
un’opera meritoria. Grazie Matilde!
“Lo avevo pregato di calmarsi e di non
preoccuparsi tanto per una persona che evidentemente non prendeva sul serio la
propria salute.” (218)
“Perché mi sono andato ad innamorare di una
suora, con tutte le belle donne che c’erano ad Alessandria?” (381)
“La conoscenza della bellezza è … il primo
gradino verso la comprensione di ciò che è buono.” (450)
Margaret Doody “Aristotele e i delitti d'Egitto” Sellerio euro 15 (in
realtà, gratis con Feltrinelli +)
[in: 13/12/2010 – out:
03/11/2011]
[tit. or.: Aristotle and the Egyptian Murders; ling. or.: inglese;
anno 2009]
Margaret
Doody è canadese e questo è già un problema: non è che ci siano tanti scrittori
di fama nel paese delle grandi distese, e soprattutto io saprei citare solo
donne (la Atwood, Alice Munro e perché no, Naomi Klein, e poi?). Quindi ci si
accosta a lei con un po’ di sensazione di fauna protetta. Sono poche, non
parliamone troppo male. Inoltre è professore di letteratura, quindi conosce lo
scrivere (e si vede). E sono trenta anni che si cimenta con Aristotele, su cui
ha imbastito già 7 romanzi, che però mai hanno eguagliato la bellezza e
concretezza del primo (“Aristotele detective”). Perché la Doody lo fa muovere
in queste atmosfere altre, dove c’entra di lato anche la filosofia (che Doody
sa e molto meglio di noi), ma dove questa è uno spunto per parlare di ambientazioni
storiche. E di indagini. C’è qualche morto, ci si muove ad Atene (o in zona),
ci sono molte frizioni (siamo al tempo di Alessandro Magno, ed Aristotele non è
un ateniese doc). Il nostro filosofo, aiutato dal suo dottor Watson – Stefanos,
risolve i misteri, e quasi sempre ci aggiunge qualche risvolto etico –
filosofico. Quest’ultima prova si presenta subito più rischioso, dove si vuole
mettere troppa carne al fuoco. E per me fa un bel buco nell’acqua. Si presenta
come un volumone di quasi 600 pagine, e vuole affrontare anche i problemi
politico-economici del tempo. Gli attriti tra Egitto ed Atene, la carestia
greca, il regno di Alessandro, con la costruzione di Alessandria sulle rive
mediterranee e la decadenza di Tebe e Menfi. E via discorrendo di tutto quanto
posa succedere in quel tempo. Ma Aristotele sta di lato, e Stefanos - Watson
ruba la scena per quasi 400 pagine. Ci sono alcune morti misteriose, ma è tutto
votato a descrivere la vita ad Atene, ai problemi tra vecchie religioni egizie
(come il culto dei coccodrilli) e i nuovi miti alessandrini, alla presenza
(sempre e ovunque) di corrotti. Ma non prende, non morde, non suscita commenti
e/o idee (tanto che non me ne resta neanche una frase). Poi i morti aumentano,
Stefanos è alle corde, ed entra in campo il nostro Aristotele – Sherlock
Holmes. Senza parere, ma anche senza grandi fili che consentano al lettore di
mettersi in campo ed in gara, inizia a collocare tutti i tasselli al loro
posto. Alla fine si arriva a sciogliere tutti i nodi (anche quelli che non
avevamo capito ci fossero). Ma senza che ci si dica tra noi e la Doody, oh che
bella la storia, bella la soluzione, intrigante/ingegnoso il metodo di
risolvere l’inestricabile conflitto finale. Un dotto trattato di “vita reale al
tempo di …” un po’ alla Le Goff sul Medioevo. Ma non convince come romanzo. La
vena sembra esaurita, come se, in mancanza di buone idee, si volesse mirare
molto in alto, quasi a distogliere l’attenzione del lettore dalla poco incisiva
storia. A proposito, ma quale è la storia? Atene è in crisi per la carestia,
non c’è da mangiare. Il reggente Licurgo decide di comperare grano in Egitto,
inviandovi Stefanos a trattare con un ricco carico d’oro (e già potete capire
che sarà un elemento importante). Alter ego della trattativa è Archippo, ricco
ateniese che ha appena avuto un figlio maschio. Ed intanto muore un oscuro
lavorante del falegname vicino di Archippo, ed anche un bimbo ignoto. Micone,
l’altro vicino del danaroso, è poi coinvolto in questioni ereditarie. Si
ritroveranno, pagine e pagine dopo, a Menfi, al cospetto di Cleomenes, il vice
- Alessandro, che all’inizio sembra un furfante craxiano ed alla fine si rivela
un tranquillo democristiano (e ci si capisce, no!). Stefanos fa la figura del
vaso di coccio con Cleomenes, e si tenta più volte di ucciderlo. Intanto muore
il falegname di cui sopra ed il co-ereditario di Micone. E via complicando,
finché, come detto, arriva Aristotele e sistema tutto. La questione del grano
poi, serve anche ad imbastire il discorso sull’economia del tempo, con lunghe
tirate sul costo e sulla vendita del grano, sui sotterfugi e le mazzette. Ma è
tutto troppo lungo. La Doody sapientemente inserisce anche qualche accenno agli
usi e costumi del rapporto uomo – donna, con presenze di etère ed altro. Ma i
personaggi entrano ed escono senza motivo apparente (e dov’è andata a finire la
spia Achia?) lasciandoci scarsamente contenti del risultato. I cattivi saranno
puniti forse al di sopra di quanto meritassero. Scarsa consolazione, per un
libro che ho letto con difficoltà, e più per affetto passato che per interesse
attuale.
Ildefonso Falcones “La cattedrale del mare” TEA euro 13 (in realtà,
scontato euro 9,10)
[in: 04/02/2011 – out: 11/11/2011]
[tit. or.: La Catedral del
Mar; ling. or.: spagnolo; anno 2006]
Un
grande volume di più di 600 pagine, ma una piccola delusione (per fortuna non
una grande). Innanzi tutto, non so perché, dal titolo mi aspettavo un racconto
che parlasse di navi che a me sembrava appropriato pensando ai grandi velieri
del passato, ed immaginando uno spagnolo che ne parlasse. Invece la cattedrale
del mare è proprio una chiesa, di Barcellona che esiste realmente e si chiama
Santa Maria del Mar. ed alla fine il volumone risulta una specie di Ken Follett
alla spagnola, come dicono anche i lanci pubblicitari. Anche se “I pilastri
della terra”, pur nella sua ottica da best-seller, mi ha dato altri respiri ed
altra voglia di leggere. Questo libro, pur nella sua voluminosità, sempre come
è scritto nei lanci, si legge facile, proprio perché non pone grossi problemi,
si affida ad un meccanismo consolidato (avvenimenti storici reali mescolati ad
invenzioni) e trascina via la mente come un bel kolossal americano alla Cecil
B. De Mille. Seguiamo così le vicende della famiglia Estanyol, per un’ottantina
di anni all’interno del 1300. Prima attraverso i drammi del padre Bernat, che
vede rovinata la sua festa di nozze dallo “ius primae noctis” chiesto dal
signorotto locale, e poi attraverso la sua fuga dalle campagne verso Barcellona
alla ricerca della libertà. E poi seguendo praticamente tutta la vita del
figlio Arnau. Che una volta rimasto solo dopo la morte del padre, passa tutta
la trafila di un povero dabbene, volenteroso e fondamentalmente buono. Dalla
giovinezza come “baistaxos” cioè trasportatore di pietre per la costruzione
della nascente Santa Maria del Mar (fatto reale), poi come difensore di ebrei
perseguitati, poi come banchiere aiutato (anche se in modo non palese) dagli
stessi ebrei. E con una delle sue navi va in soccorso alla flotta di Pietro il
Cerimonioso (fatto reale, anche se Falcones fa un po’ di confusione tra Pietro
IV d’Aragona e Pietro III di Barcellona e Pietro II di Valencia e Pietro I di
Sardegna, che sono poi la stessa persona) dall’assalto al porto di Barcellona
da parte di Pietro il Crudele. Il nostro Arnau aveva già avuto una sposa, morta
di peste, anche se la cornificava bellamente con l’affascinante Aldeis. Ma il
re, per ricompensa, gli da in sposa Elinor, una sua pupilla. Ed il menage di
Arnau, che viveva tranquillo da banchiere, insieme al moro Guillem ed alla
giovane Mar, figlia di un suo collega baistaxos morto di peste, ne viene
definitivamente sconvolta. Elinor cerca di portare il sussiego della nobiltà
nella vita di Arnau, ma lui è troppo “buono” per fare il nobile cattivo, si
inimica baroni e baronetti, e dovrà subirne l’atroce vendetta. Che prima si
accanisce su Mar (che ovviamente lo ama di nascosto, pur avendo 20 anni di
meno), e poi su lui stesso, accusandolo di eresia. Interviene così anche la
Santa Inquisizione, prima nelle vesti di suo fratellastro Joan, che non
resisterà ai legami di sangue e ne sarà travolto, poi nella persona del grande
inquisitore Nicolau Eymerich (e qui Falcones, fa un’opera di citazione
trasversale, perché Eymerich non è un personaggio realmente esistito, ma l’eroe
della saga sull’inquisizione dell’italiano Valerio Evangelista, che lo fa agire
nella stessa epoca storica, pur se con altri fini). Alla fine, gli sforzi
congiunti di Aldeis (ormai diventata una prostituta, ma contenta del suo status),
del moro Guillem e della bella Mar, porteranno il bene a trionfare in
quell’angolo di Barcellona. Fino alla grande inaugurazione della Chiesa, nella
Pasqua del 1384. Come potete vedere da queste righe, un grande affresco
storico, che tocca tanti tasti, propri della Spagna del 1300: nobili e terre,
preti e inquisizione, ebrei e mori presenti sul suolo spagnolo (anche se gli
arabi sono insediati ancora nel Sud, e lo saranno fino al 1492: e che altro vi
ricorda questa data?), nascita dei banchieri e delle commesse marittime. Ma li
tocca senza approfondirli, senza quella capacità, che almeno ha Follett, di far
vedere le trasformazioni di una nazione. Perché la nostra attenzione è fatta
sempre più convergere sulle vicende private di Arnau. Che poi, in tutta la
seconda metà del libro, non fa altro che aspettare che gli altri facciano
qualcosa per lui. Lui essendo solo equo e giusto (ed in favore dei diseredati).
Se non ci fossero ebrei, mussulmani e prostitute farebbe di certo una brutta
fine. Due soli appunti finali: la solita tirata d’orecchie al correttore, che
lascia il refuso a pagina 373 dove si parla del trattato di Agnani invece che
di quello di Anagni. Ed il dispiacere di perdere un po’ del senso del titolo
spagnolo, dove come vedete nel cappello di questa trama, si parla di “Catedral
del Mar”, e dove uno dei personaggi chiave è proprio la bella Mar. Ma penso
fosse difficile da riportare in italiano. Comunque, un romanzo discretamente
scorrevole, ben scritto e piacevolmente letto. Purtroppo non molto più di così.
Alfredo Colitto “I discepoli del fuoco” Piemme euro 11,50
[in: 04/02/2011 – out:
20/11/2011]
[tit. originale; ling.
or.: italiano; anno 2010]
Seconda
puntata della saga basata sulle vicissitudini del medico bolognese del trecento
Mondino de’ Liuzzi. Ribadisco quanto già detto su Colitto. Non mi piace sui
gialli “moderni”, mentre qui (e nel precedente) anche se niente di eccelso, ha
una sua normale dignità di trama e di lettura. Soprattutto nelle parti di
ricostruzione e descrizione della vita in Bologna nella prima metà del 1300. Ne
esce fuori un quadro realistico e convincente, molto meno delle descrizioni
simili fatte da Falcones nella coeva Barcellona, che sembrano invece una
proiezione fantastica di quello che ci immaginiamo essere il Medioevo. Qui si
vedono le strade sporche, le case fredde (scandalo dà il medico che addirittura
mette un vetro ad una finestra), il poco mangiare, il quartiere del Portello
con poveri e prostitute, i conventi e le conventicole, le diatribe anche dure
tra francescani, benedettini e domenicani, la presenza dell’Inquisizione, la
facilità con cui le case di paglia prendono fuoco, e via discorrendo. Certo, la
trama è semplice e lineare. Anche qui, come nel precedente “Cuore di ferro”, si
prendono le mosse da morti misteriose: morte per fuoco, ma dove il cadavere
sembra bruciare dall’interno, tant’è che, come nel caso di Bertrando, non
brucia la sedia ove è seduto. Mondino non vorrebbe essere coinvolto,
soprattutto perché il primo morto è il padre del suo grande nemico, il volgare
e manesco Azzone. Ma viene cooptato dal reggente, memore del successo
nell’indagine precedente sui cuori. E ben presto verrà in suo aiuto anche
Gerardo di Castelbretone, che ha deciso di lasciare l’Ordine dei Templari ma
non sa se rimanere ancora monaco. Come si dipana la storia, veniamo quindi a
conoscenza del complotto di una setta che si rifà al culto di Mitra mescolando
riferimenti vedico – persiani con appendici romane che, arrivando sino a
Costantino, fanno sì che si possa mescolare cristianesimo e mitraismo. In un
tempio ritrovato in Bologna, gli adepti si riuniscono libandosi di “haoma”,
nome iraniano di una bevanda ricavata dall’Efedra (quindi contenente efedrina
come stimolante) ed inneggiante al fuoco. Fuoco di cui il reggitore del complotto
ha trovato la ricetta per realizzare il cosiddetto “fuoco greco” e tramite
questo vuole purificare la città per l’arrivo di un “nuovo mondo”. Ricordo che
il “fuoco greco” era una miscela contenente calce viva, per cui veniva
alimentata e non spenta con l’acqua. Così, da una parte seguiamo i
complottanti, mentre dall’altra, benché con riluttanza, seguiamo Mondino ed i
suoi. Nelle lezioni di anatomia, nella ricerca di scoprire i misteri delle
morti per fuoco, nella ricerca altresì di una misteriosa “vigna” che dovrebbe
condurre al tempio nascosto. Nella vendetta che cerca fratello Samuele per la
morte del suo amante. Nei dubbi del capitano del popolo. Nelle quotidiane
diatribe tra Mondino ed il suo figlio maggiore Gabardino (nome storico del
figlio). Nelle vicissitudini di Gerardo tra pietas ospitaliera, ricerca della
bella Clara, diatribe con il muratore turco Ahmed. Ovviamente sarà Gerardo il
motore dei ritrovamenti e delle agnizioni fondamentali, certo spinto dalle
conclusioni anatomiche del dotto Mondino (che scriverà qualche anno dopo
realmente un trattato “Sull’Anatomia” per secoli testo fondamentale della
medicina) e dalla sua comprensione delle reazioni del corpo umano. Come in ogni
testo che si rispetti, le conclusioni volgeranno al bello. Dato che Bologna non
fu rasa al suolo, se ne deduce che il complotto viene sventato. I cattivi
saranno puniti secondo giustizia. Tuttavia, nel finale non possiamo che
sottolineare la bellezza creativa di alcune storie che, convergendo, creano la
suspense per la resa dei conti, e che l’autore, sapientemente, svolge tutte. O
quasi, che rimane il mistero di come, attraverso il canto si possa creare
combustione, anche se sappiamo, noi moderni, che le vibrazioni unisone possono
creare strani fenomeni. Come detto all’inizio, quindi, una buona lettura, una
buona ricostruzione storica, un thriller decente anche se non eccelso. Insomma,
piacevole lettura con una pila di castagne da sgranocchiare a lato.
“Quando prendi una decisione, controlla
sempre di non averla presa per paura di qualcosa. La paura è una pessima
consigliera.” (101)
“- Anche tu mi credi un egoista? … - Diciamo
che avete la tendenza a vedere i problemi degli altri solo in relazione ai
vostri.” (293)
A pezzi e bocconi, sopravvissuti
ad un tremendo venerdì 17, guardiamo con fiducia e serenità le prove che ci
aspettano. Il viaggio tra i Buddha delle foreste laotiane (medico permettendo).
Le iniziative alla ricerca dell’acqua. I piccoli e grandi impegni.
Siamo
positivi, attivi ed auguriamoci il bene reciproco.
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