Ellery Queen “Il re è morto” Repubblica Giallo euro 5,90
[in: 2005 – out: 08/02/2011]
[tit. or.: The King is dead; ling. or.: inglese; anno 1952]
Un giallo classico, di buona
fattura e di robusto autore (o meglio autori, visto che Ellery Queen è lo
pseudonimo adottato dai cugini Frederic Dannay e Manfred Bennington Lee). Prima
di entrare nello specifico, parto di tangente per segnalare un merito che ha
avuto questo libro nel colmare una mia lacuna. Ellery visita ad un certo punto
un appartamento con una collezione vastissima di dischi di tutti i generi,
anche autori “moderni” e ne elenca un dotto numero. L’unico che non conoscevo è
tale Toch. Visto che non si è curiosi a caso, ne cerco informazioni e, assai
sorprendentemente, trovo invece che dovrei conoscerlo. È, infatti, l’inventore
del “canto-parlato” di cui la sua opera migliore è la “Fuga Geografica”, quella
che inizia invocando “Ratibor”, e che non è altro che la parte finale dello
spettacolo di Rosa! Ah, che intreccio. Torniamo al testo. Intanto la difficile
traduzione del titolo. Non perché non sia tradotto giusto. Ma tutta la storia
si basa sulle minacce di morte che riceve il perno del romanzo, che, ricco
sfondato, gestore di azioni e aziende, si fa chiamare … King. I nostri due
cugini organizzano al solito un bel montaggio di attività e preparativi (fisici
e psicologici) per arrivare al dubbio ed al giallo. Tale King vive la maggior
parte del tempo sulla sua isola privata, con i suoi due fratelli (Abel e
Judah), la moglie Karla ed uno stuolo di scienziati, militari e medici, ed
altro. Riceve una minaccia di morte che lo avverte dove e come sarà ucciso. La
bellezza del mistero è che, a quell’ora ed in quel momento, King si troverà in
una stanza chiusa e blindata. Il resto (cioè tutta la prima parte) è un po’
noiosa e stanchina. Sì, serve ad introdurre i personaggi. A convincere Ellery
ed il padre Ispettore di rimanere sull’isola per scoprire il mistero. Ma prende
poco. Già un omicidio su di un’isola è di difficile gestione (bisogna avere
abilità per non cadere in tranelli vari). Poi, l’omicidio in una stanza chiusa
è uno dei primi eponimi del giallo. Un omicidio (o tentativo, certo non ve lo
dirò io), in una stanza chiusa in un’isola è una specie di elevazione al
quadrato del problema. Ma tolta appunto la prima parte farraginosa, la seconda
metà è scorrevole, piena di domande, di soluzioni, e di contro-soluzioni. Alla
fine il buon Ellery troverà il filo tenue dell’intricata matassa, e proverà a seguirlo
ed a scioglierlo. Il finale è di buon livello, dove tutti i nodi che si sono
accumulati per strada trovano il modo di essere sciolti e dispiegati. Con una
punta di cinismo finale, che tuttavia non guasta, e lo rende un po’ più attuale
della sua età. Ma si sa noi anziani, quando ci si mantiene in forma, sembriamo
sempre molto più atletici dell’età anagrafica. Che gli anni sono quelli che si
mostrano, non quelli che si hanno. Qui un po’ ci sono, ma meno dei quasi
sessanta anagrafici. Ed è sempre un piacere leggere il buon Queen (evito di
fare battute scontate su di uno scrittore che si firma Queen e che scrive un
libro che si chiama King, e tutto nell’anno della morte di Re Giorgio VI e
dell’ascesa al trono di Elisabetta II, che è vero sono inglesi, ma sempre
affascinavano i nostri cugini americani un po’ snob).
Luis Sepúlveda “Un nome da torero”
Repubblica Giallo euro 5,90
[in: 2004 – out: 12/03/2011]
[tit. or.: Nombre de torero; ling. or.:
spagnolo; anno 1994]
Ne lessi i primi capitoli anni fa
in un casale reatino, ma mi fermai al terzo. Poi non era mio e lo lasciai lì.
Ora, dalla biblioteca della mamma, l’ho ripreso, e non mi sono fermato sino
alla fine. Seppur pubblicato nella mega collana di Repubblica “Le strade del
giallo”, lo ritengo tutto (o almeno tanto) ma non un giallo. C’è un po’ di
suspense, si thrillereggia un po’, ma non è quello (per me) il nodo del
romanzo. Il nodo sta nel crollo delle certezze del mondo post-89, e nella sua
ricostruzione. Nel crollo degli ideali rivoluzionari e nell’adattarsi all’ora.
Ma anche nella critica, sempre ed ovunque in Sepúlveda, di tutti gli –ismi,
anche se alcuni vanno anche combattuti, fino in fondo. Ed infine nella
solidarietà degli ultimi, vuoi essi gli emarginati di Amburgo o gli sperduti
abitanti della Patagonia (e ci si riuscirà un giorno ad andare?). Così, il
nostro buon cileno intreccia un po’ di sue storie personali (i desaparecidos
cileni in prima linea, ma anche la fuga in Europa, l’odio per i traditori che
andavano ai concerti degli Inti Illimani per riconoscere i fuorusciti) con una
storia di amicizia e di fuga al contrario, dall’Europa verso la “sua”
Patagonia. Molte, un po’ alla maniera delle cantate del Sud, sono le storie che
si affacciano alle pagine. Trafilata vediamo la storia di amicizia tra lo
sfortunato Ulrich che non riesce a scappare dalla Germania Est ed il riflessivo
Hans che fugge con il bottino, ma che preferirà vivere del suo aspettando il
ritorno di Ulrich. Poi la storia di Frank, ex-spia della Stasi che non riesce a
riciclarsi nel nuovo mondo. E quella di Juan (il Sepúlveda mascherato) che
cercherà di risolvere l’inseguimento ad Hans, a Frank e a tutto il suo passato,
solo per amore di quella Veronica costretta all’autismo dalla brutalità
pinochettiana (e non svelo nulla, che tutto viene detto nelle prime pagine).
Con quel leit-motiv del nome da torero (perché Juan Belmonte è stato IL torero,
quello che ha portato la tauromachia nell’era moderna ed è stato UNO degli
interpreti di ‘Morte nel pomeriggio’ di Hemingway), che non viene mai portato
fino in fondo, ma sempre lasciato un po’ lì, sospeso. In fin dei conti, un
libro dolente, che gira e rigira intorno ad una ferita ancora aperta, senza
riuscire a medicarla fino in fondo. E non un romanzo totalmente riuscito, anche
se dignitoso. A me, come accennato sopra, rimarrà ancora negli occhi il
desiderio di vedere Ushuaia, Punta Arenas e le praterie della fine del mondo.
“Perdere è una questione di metodo [poi ripreso due anni dopo
dall’amico Gamboa per il suo libro]” (20)
“Quando … [sei partito]… non avevi nemmeno un capello bianco, e ora ti
ritrovi con la testa di due colori, come se una parte fosse un negativo
malamente conservato di quello che eri, e l’altra una copia ancora peggiore di
quello che sei” (106)
Raymond Chandler “Il grande sonno” Repubblica Giallo euro 5,90
[in: 2004 – out: 16/03/2011]
[tit. or.: The Big Sleep; ling. or.: inglese; anno 1939]
La nascita di un mito. Chandler
ha cinquanta anni ed è al suo primo romanzo. Certo, sono cinque – sei anni che
scrive racconti. E la sua vita non è stata “pipe e pantofole” sino ad allora.
Americano emigrato in Inghilterra, dove studia e si accosta ai classici,
partecipa alla prima guerra mondiale combattendo in Francia, e poi mille altri
mestieri di ritorno in America. Da qui, in poi, il successo. Hollywood, fama,
denaro, e alcool molto alcool, sino alla morte settantenne per polmonite alla
fine degli Anni Cinquanta. Ma è qui, in questo romanzo, che getta le basi non
solo della sua fortuna, ma di tutta una letteratura che allora sembrò solo di
genere (hard boiled veniva chiamata, per la crudezza delle rappresentazioni
della vita quotidiana, le morti, la vita al limite e spesso al di là della
legge), ma che riletta attentamente è stata anche giustamente accostata al
modernismo. Quel filone di rinnovamento del romanzo mondiale che nei primi 40
anni del secolo scorso aveva come alfieri Pirandello, Kafka, Hemingway, la
Woolf e tanti altri. Accostata, che Chandler non è “solo” modernista. Mette in
scena quello che vede (e che sente) nei bar e nei bassifondi di Los Angeles, ma
anche nelle ville dorate della California con gli stanchi ricchi che non sanno
come spendere il loro non sudato denaro. E segue il tutto con gli occhi di un
investigatore privato. Non tanto uno che cerca di guadagnarsi la vita
inseguendo divorzi e piccole frodi. Ma qualcuno che vive la vita quotidiana
della città, ne conosce gli alti e i bassi. E soprattutto, mette in campo
questo Philip Marlowe che ci sorprende ad ogni piè sospinto per la presenza di
una sua etica. Non diciamo una dirittura morale, che sarebbe impropria, ma
un’etica sì, basata sul rispetto del cliente, sulla convinzione che, pur
esistendo un lato in ombra in ognuno, non si possa andare oltre un certo
limite. Ed imbastisce una storia, forse datata in alcune parti, ma certo molto
meno confusa, leggendola, di quello che se ne dice senza conoscerla. O
conoscendo solo i suoi risvolti cinematografici. Certo, Marlowe è molto Bogart,
con l’impermeabile beige e la sigaretta in bocca, e la non curanza con cui
guarda una donna senza vestiti ma che non tocca (etica, etica, ed altro). Ma,
per me, è anche stemperato da una punta di Elliot Gould, piuttosto che intristito
nella vecchiaia di Robert Mitchum. E molta della confusione viene proprio dal
film, che, sì, è quello confuso, perché nel film vengono fusi due romanzi di
Chandler, e se ne affida la sceneggiatura a quel mostro di bravura letteraria
che era William Faulkner. E viene messa più in positivo di quanto sia nel libro
la figura di Vivian, che è stupendamente interpretata da Laureen Bacall, al
tempo del film ancora moglie di Humphrey. Con l’invenzione del finale
pirotecnico della morte del cattivo Eddie Mars. Tutto questo non c’è nel libro.
Che parte dalla ricerca della soluzione di un ricatto ai danni del padre di
Vivian da parte di Marlowe, prosegue con la ricerca dello scomparso marito di
Vivian stessa, e con la soluzione di questi due misteri. Certo, compare Eddie
Mars, che comunque è il re dei cattivi di Los Angeles, e compare la lotta senza
quartiere tra lui e Marlowe. Ma qui, nel libro, non si va oltre la soluzione
dei misteri proposti. Lasciando ad altri libri cosa succederà, forse, dopo. Nel
libro non possiamo far altro che seguire Marlowe che, passo dopo passo, svela
le magagne che si presentano, fa un po’ il buon samaritano con la bionda che si
sta perdendo ma forse no, beve a tutto spiano. E seguiamo l’uso sapiente del
dialogo, questo puro elemento di novità che Chandler maneggia benissimo, un po’
sulla falsariga di come scriveva il giovane Hemingway (che aveva 10 anni meno
di lui). E l’uso asciutto delle descrizioni, un po’ paradossali ma efficaci
(come quella che cito sotto), inseguendo le citazioni trasversali che
l’intellettuale Chandler mette qua e là, anche se pochi se ne accorsero al
tempo. Come, quando, mirabilmente, per spiegare il comportamento poco ortodosso
della sorellina Carmen, risponde, mozartianamente, “Così fan tutte”.
“Un uomo grasso, di mezza età, con un paio di occhi color cielo che si
ingegnavano a far passare una mancanza d’espressione per un’aria amichevole.”
(107)
Essendo incontrovertibilmente la
prima trama agostana, vi peccate immediatamente anche l’elenco dei libri di
maggio, un mese superaffollato di letture, di un buon livello medio. Si era
appena al ritorno dagli ozi maldiviani, già in pensiero per l’organizzazione
sudamericana. A parte alcune buone letture di classico stampa (Sciascia e
Simenon su tutti), il resto è un po’ scivolato.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Marguerite Duras
|
L'amante
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
3
|
2
|
Alexander McCall Smith
|
44 Scotland Street
|
TEA
|
8,60
|
2
|
3
|
Domenico Seminerio
|
Il cammello e la corda
|
Sellerio
|
11
|
3
|
4
|
Erle Stanley Gardner
|
Perry Mason e la testimone guercia
|
Repubblica Giallo
|
5,90
|
3
|
5
|
Yasmina Khadra
|
La part du mort
|
Folio
|
s.p.
|
2
|
6
|
Stéphane Hessel
|
Indigantevi!
|
add editore
|
5
|
3
|
7
|
Leonardo Sciascia
|
A ciascuno il suo
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
4
|
8
|
Mark Crick
|
La zuppa di Kafka
|
Ponte alle Grazie
|
10
|
2
|
9
|
Amin Maalouf
|
Le Premier
Siècle après Béatrice
|
Livre de Poche
|
4,95
|
2
|
10
|
Georges Simenon
|
L'uomo che guardava passare i treni
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
4
|
11
|
Andrew Sean Greer
|
La storia di un matrimonio
|
Adelphi
|
10
|
3
|
12
|
Laura Grimaldi
|
La colpa
|
Mondadori
|
4,20
|
3
|
13
|
Dashiell Hammett
|
Il falco maltese
|
Repubblica Giallo
|
5,90
|
3
|
14
|
Georges Simenon
|
Il cane giallo
|
Repubblica Giallo
|
5,90
|
4
|
15
|
Patricia Cornwell
|
Predatore
|
Mondadori
|
9,50
|
3
|
16
|
Arnaldur Indridason
|
Un grande gelo
|
TEA
|
9
|
3
|
17
|
Elizabeth Peters
|
Il faraone assassino
|
TEA
|
8,60
|
2
|
18
|
Erri De Luca
|
Penultime notizie circa Ieshu/Gesù
|
Edizioni Messaggero Padova
|
5
|
3
|
E vediamo se si riesce a finire
l’organizzazione di un altro viaggio per il freddo Nord. Avventure continua a
propormi viaggi di stampo marocchino, ma credo che per ora sia abbastanza.
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