giovedì 31 maggio 2012

Classici, per cominciare un nuovo anno - 01 gennaio 2012

Cominciamolo bene, speriamo. Sarà un anno difficile e complesso, ma ognuno di noi ha le capacità e la forza per farlo. Si sono ottimista, malgrado tutto, come si dice in altri libri, di cui non parlo ora. Che ora parlo di classici: due che vengono a quindici anni l’uno dall’altro dal mio amato medi oriente, che per diversi versi non mi hanno pienamente soddisfatto. E due che vengono dall’occidente, e da molto lontano nel tempo (dai più di 100 anni del francese a quasi 80 della saga irlandese). Ma anche questi non all’altezza delle mie aspettative. Quindi, classici, ma non riusciti, per me. E lo dico con l’onestà del giudizio soggettivo, senza tirarmi indietro a tutte le critiche di chi questi libri acclama a gran voce.
Abraham Yehoshua “L'amante” Repubblica Novecento euro 4,90
[in: 2003 – out: 06/08/2011]
[tit. or.: Ha-Meahev (המאהב); ling. or.: ebraico; anno 1977]
Il primo romanzo scritto da Yehoshua che finalmente riesco a leggere in questa parentesi estiva tra i due freddi. Altro avevo letto, ma niente mi aveva riportato al bellissimo signor Mani. Ora, questo è sicuramente migliore dell’ultimo (quello del responsabile delle risorse umane, per intenderci), ma continuo ad avere difficoltà a leggere gli autori israeliani. A parte Oz, che è l’unico che si fa leggere, anche con i pugni allo stomaco che ti tira ad ogni pagina. Certo, questo è pieno del sentimento nazionale successivo alla guerra del Kippur (anche se scritto 4 anni dopo) e tra le pagine c’è ancora la sensazione che una convivenza sia possibile. Ma non è questo il fulcro del romanzo, che, benché sempre politicizzato tra le righe, è più attento ai versanti privati. Alle storie di Adam, di sua moglie Asya, di sua figlia Dafi, del giovane arabo Na’im e di Gabriel, l’amante del titolo. E ruota tutto intorno alla ricerca di Gabriel, che prima dell’inizio della storia, proprio durante la guerra, misteriosamente scompare. La scrittura di Yehoshua si affida, come spesso gli accade, al racconto corale, al passare da una soggettiva all’altra dei vari personaggi. Ed attraverso queste diverse soggettive ricostruiamo la storia di Adam e di Asya, del loro amore, e dell’evolversi del loro matrimonio, fino alla stanchezza attuale, fino al rendersi conto, da parte di Adam, che vuol bene ad Asya, e che vuole che stia bene, anche a costo di far finta di non capire che Gabriel è diventato il suo amante. Ma Adam è solo un ricco possidente di un’officina di automobili, anche se da giovane andava a scuola con Asya. Mentre Asya ora è insegnante e continua a professare parole di libertà e di opposizione allo statu quo, anche se il tempo passa e lei sembra inaridirsi. Mentre è proprio questo amore che la fa rinascere, che la fa tornare ai passati splendori. Ed è Adam che guida questa ricerca di Gabriel, che farà di tutto per ritrovarlo. Da contraltare alle storie delle persone mature, ci vengono incontro la freschezza dei giovani. Dafi, studentessa, piena di difficoltà nell’accettare la propria crescita, ma anche piena di slanci e di curiosità. E Na’im, il palestinese che va a lavorare da Adam perché costretto dal padre, mentre lui vorrebbe studiare. Ed è forse proprio Na’im la figura che meglio riesce all’autore. Già pieno di contraddizioni, di amore – odio verso gli ebrei, di ricerca di un suo spazio nel mondo. Spazio che trova nell’affetto di Adam, che trova il modo anche di aiutarlo in diverse situazioni (e non diciamo tutto, no?). Come non narriamo l’evolversi della storia, se Gabriel verrà ritrovato o meno. Le pennellate di Yehoshua comporranno comunque alla fine un bell’affresco psichico, sentimentale e politico di questo mondo di convivenza che si aggira per la città di Haifa. Che è la città dove l’autore vive, e che ci restituisce in queste pagine dove le voci, seppur vicine, sono tanto diverse, quasi a sottolineare l’impossibilità di conoscere che ci sta accanto. E non è un caso che le voci che meglio risaltano siano quelle maschili, di Adam e di Na’im. Una notazione finale sulla traduzione. Possibile che non si possa tradurre “Tavola reale” con “Backgammon”? A pagina 348, non si gioca a Tavola reale, ma, come in molto Medio Oriente ed in Egitto, si gioca a Backgammon. Ed è quello che fa anche “strano” perché i soldati israeliani che attendono l’attacco egiziano, giocano ad un gioco popolare in Egitto. In conclusione, comunque, un libro da leggere senz’altro, se non lo avete già fatto.
“Anch’io sto cambiando, non si può rimanere eternamente giovani…” (93)
Naguib Mahfouz “Il ladro e i cani” Repubblica Novecento euro 4,90
[in: 2003 – out: 10/08/2011]
[tit. or.: Al-liss Wa-l-kilāb (اللصֹوֹالڪالب ); ling. or.: arabo; anno 1961]
Strana e contorta la storia di questo libro. Mahfouz è stato uno degli elementi che a suo tempo mi avevano spinto ad iniziare lo studio della lingua araba. Mi piaceva la lettura della Trilogia del Cairo e (tra le tante cose) mi dicevo: pensa che bello sarebbe leggerlo in originale. Ora, dopo tempo e fatica, posso dire che fu un’illusione. Bella ovviamente, che mi ha insegnato poco di arabo e molto di amicizia (vero Paola, Otto, Nico, Rosy, ecc…). E qui torniamo al libro, che proprio in una delle prime lezioni della mia meravigliosa maestra si parlò di letteratura, e di questo libro, che mi affrettai ad acquistare alla libreria araba a Tiburtino. Ovviamente mai letto. Ora, ne leggo la traduzione  (ottima di Valentina Colombo), ed il mio giudizio su questo libro si è ridimensionato. In realtà, non è che mi sia piaciuto molto. Certo, Mahfouz tocca alcuni elementi peculiari della sua produzione  letteraria. Soprattutto quello della doppia lettura dello scritto. C’è il racconto, che parla della caduta in abisso di un ladro nel girone infernale della Cairo contemporanea allo scritto (siamo nel ’61). Un ladro ex-studente promettente con idee “rivoluzionarie” che, non trovando sbocchi sociali, si rivolge agli sbocchi privati, di una sua personale lotta contro il sistema a colpi di ruberie. E che viene tradito sia da altri ladri sia dal suo mentore, il professore che gli aveva instillato le idee nuove. Cerca di ribellarsi, cerca di vendicarsi. Ma tutto si rivolge contro di lui. I cani ne avranno ragione, e la sua lotta sarà sterile e lo porterà … Beh questo lo lascio in sospeso che comunque dovete leggerlo, anche se non eccelso. E c’è la lettura in controluce, la critica alla società nasseriana degli squilibri. Adombrando pulsioni verso il nuovo, verso un modo diverso di convivere, verso un ruolo maggiore, più libero della donna. Una critica al sistema corrotto dei giudici e dei mass-media (che al tempo erano principalmente la carta stampata). Una critica che ah quanto sentiamo attuale anche passati ormai ben cinquanta anni. Purtroppo, per la riuscita completa dello scritto, la parte finale la trovo un po’ debole rispetto a tutta la costruzione che Mahran ha fatto degli elementi della sua ribellione. Come irrisolta rimane la sua storia con la sfortunata Nur. Chi legge di arabo mi dice che la forza del romanzo sta nell’uso della tecnica di “flusso di coscienza”, già da tempo utilizzata nei romanzi occidentali, ma che qui viene per la prima volta utilizzata in arabo. Sono, infatti, i pensieri non organizzati ma come vengono in testa a Mahran che Mahfouz cerca di riprodurre. E con efficacia. Tuttavia, il risultato non può che risentire del passare degli anni. Ma in complesso, una lettura interessante, ed anche da consigliare a chi voglia avere visione di un modo interno di riproporre la vita nei paesi arabi, senza le mediazioni occidentali che ne annacquano la visione. Una buona lettura, da portarsi a Zamalek, e sfogliare su qualche terrazzo di pensioni locali.
“Nessun lavoro è meschino, se rispettabile.” (40)
“Egli … dichiara: ‘Approfitterò della tua ospitalità per un lungo periodo.‘ Raggiante, Nur solleva la testa e mormora: ‘Puoi restare tutta la vita, se vuoi!’” (83)
“Talvolta accade che la luce di una lampadina venga oscurata da escrementi di mosche.” (135)
“Questo … gli rivela che …. è ormai una parte insostituibile di lui, al di sopra di ogni aspettativa: è una componente fondamentale della sua inutile vita, sospesa in equilibrio sull’orlo del precipizio. Nel buio, chiude gli occhi e tacitamente confessa a se stesso che ne è innamorato e che non esiterebbe a sacrificare la propria vita pur di vederla tornare.” (143)
André Gide “L'immoralista” Repubblica Novecento euro 4,90
[in: 2004 – out: 16/09/2011]
[tit. or.: L’immoraliste; ling. or.: francese; anno 1902]
Più di cento anni, e si sentono tutti. Si sentono nella trama, si sentono nella scrittura, insomma una lettura di puro interesse filologico, che poco apporta alle emozioni umane. Eppure, Gide è considerato uno dei maestri del Novecento (infatti, sta in questa pur meritoria collana di Repubblica). Ed inoltre nel 1947 ottiene anche il Nobel per la letteratura, tardo riconoscimento al quasi ottantenne scrittore. Ricordo che un tempo provai a leggere “I sotterranei del Vaticano” e non riuscii ad andare oltre le prime venti pagine. Qui, mi sono imposto di vedere cosa tirava fuori in queste 150 pagine scarse. Innanzi tutto, devo ribadire che più di cento anni di scrittura lasciano il segno. Ricordo altri autori coevi a Gide (o di poco prima o di poco dopo) il cui modo di scrivere mi procura lo stesso fastidio. Conrad su tutti, ad esempio. L’autore si mette là, nella bocca del suo personaggio principale. E pontifica per tutto il romanzo. Non narrando, ma tenendo quasi un sermone dal pulpito. Ho fatto questo per questo e quest’altro motivo. Quella donna è stata buona con me. Quel ragazzo mi ha sorriso. Mai uno sguardo in cui tutti sono vivi. Solo lui è vivo, solo lui sa e dice. E cosa dice il nostro Michel - Andrè (perché c’è tanto di Gide in Michel)? Dice che era uno studioso di cose antiche (tipo la storia di Atalarico, che credo tutti conoscano), che alla morte del padre si sposa per convenienza, che fa un viaggio nei paesi arabi francofoni. E rimane affascinato dall’immanenza, dal sole, dalla natura, e dalle persone. Soprattutto uomini e ragazzi, che anche Michel ha la sua vena omosessuale. Ma non se ne parla, ancora è tabù. Oscar Wilde viene imprigionato per questo. Si aspetta ancora il grande coraggio espressivo di Thomas Mann e la sua Morte a Venezia. Così Gide, dice e non dice. Dice che Michel cerca di raggiungere i suoi sogni, la bellezza di una vita estetica, la compagnia gradita. Eccessi nel bere. E tanti altri eccessi, che vediamo solo dalle sue parole, e che quindi accettiamo con il filtro del suo pudore. Eccessi anche nella malattia, nella tubercolosi che al tempo mieteva vittime su vittime. Ma lui si salva, non così la povera Marceline. Che forse si sarebbe salvata se Michel non pensasse sempre e soltanto al proprio ombelico. Ombelico che continua a guardare fino in fondo. Che fa mascherare di grande pensamento tutta la sua vita, prima, durante e dopo Marceline. Ma che vita fa il buon Michel? Non ha mai avuto un problema economico al mondo. Vuole comprare una casa? Lo fa. Vuole viaggiare da Parigi a Siracusa? E via, si parte. Purtroppo, ripeto, il tipo di scrittura non facilita a me seguire la storia. Che alla fine mi sembra pallosa e non capisco dove sia l’immoralità. È immorale perché cerca di capire chi sia e cosa vuole dalla vita? Che cerca di capire se ama di più le donne o gli uomini? Che egoisticamente porta in giro per l’Europa la moglie malata perché lui vuole andare in giro? E cosa avrebbe detto Gide sulla moralità se avesse conosciuto Berlusconi? Alla fine, certo, calato nella realtà di centodieci anni fa, doveva avere un suo impatto. Ora la magia è scomparsa. Resta un lungo racconto senza mordente, che si legge come Michel legge le storie dei suoi amati Goti. Passivamente, senza coglierne possibili magie, come farebbe ora una narrazione di Alessandro Barbero.
“Presto capii che le cose ritenute peggiori (la menzogna, per non dire di altre) sono difficili da fare quando non le si è mai fatte; ma presto diventano tutte agevoli, gradite, facili da fare, e, in seguito, del tutto naturali.” (61)
“Le opere migliori dell’uomo nascono immancabilmente dal dolore. Che cos’è il racconto della felicità? Solamente ciò che la prepara o ciò che la distrugge, si può raccontare.” (70)
“Non ero mai stato un buon conversatore… In compagnia degli altri mi sentivo monotono, triste, fastidioso, annoiavo gli altri ed ero annoiato io stesso. (90)
Maurice Walsh “Un uomo tranquillo” Repubblica Novecento euro 4,90
[in: 2005 – out: 13/10/2011]
[tit. or.: The Quiet Man and Other Stories; ling. or.: inglese; anno 1935]
6 racconti irlandesi, con gli stessi personaggi tanto da poter diventare un libro. Forse non organico, ma un affresco dell’Irlanda tra il 1920 ed il 1930. Da una piccola scheggia del libro, il film di John Ford con John Wayne del ’52 che ricordo con affetto (una piccola chicca con la rossa Maureen O’Hara su tutti). L’autore è intrinsecamente irlandese, e lo si nota dall’amore verso i paesaggi, verso le bevute (siano di birra o di whisky) e verso il carattere peculiare del popolo irlandese. Tuttavia, il complesso è carente di pathos, di coinvolgimenti, di sorprese. Seguiamo questi personaggi, che ci vengono presentati nel prologo, sei uomini e quattro donne. Ne vediamo il procedere negli anni, ma ci meravigliamo poco dell’evolversi delle loro storie. Ci saranno scontri, ci saranno incomprensioni, ma tutto primo o poi volgerà, se non al bello, quanto meno al sereno. E dato che siamo nella metà degli anni Trenta, non potrà che finire ogni storia con un elemento di speranza e, quasi sempre, con l’amore che trionfa. La storia migliore è in ogni caso la prima, dove siamo ancora nel pieno della Rivolta Irlandese, con la guerra tra IRA ed esercito inglese, imboscate, fughe, vita nei campi, spie e controspionaggi. Lì impariamo a conoscere il comandante Hugh, onesto e cortese, il basista Sean, colpito duramente dai problemi di spionaggio, il tranquillo Paddy (che diventerà il centro del film di Ford), la fervente repubblicana Kate, il mezzo-americano Owen che rudemente si innamora della scozzese Margaid, e Archibald, il fratello di Margaid, che è scozzese ma arruolato nell’esercito inglese. E questo crea una situazione potenzialmente esplosiva, quando, per non ucciderlo visto che hanno studiato insieme, Sean decide di rapirlo. Ma presto, e fortunatamente, la pace del ’21 placa gli animi, la storia si scioglie, e tutti tornano alle loro occupazioni. E dalla storia della figlia del Capitano, si passerà ad elementi più intimi. La riconquista della propria pace interiore di Sean. La conquista del suo posto tranquillo di Paddy. Le battute di pesca con l’amico americano, che porteranno all’improvviso innamorarsi anche di Kate. E lo scioglimento delle storie di spionaggio iniziali, quando torna a farsi viva Nuala bella e problematica. Il tutto, stranamente, più collegato dal filo delle storie che tiene il maggiore Archibald, che è scozzese, e non irlandese. Ma Walsh vuole spezzare tutte le sue possibili lance in favore delle minoranze oppresse dal colosso britannico, siano esse irlandesi, scozzesi, gallesi o gaeliche in genere. Non si parla e non si narra molto di città, ed anche Dublino è solo sfiorata. Perché si sta in campagna, tra l’erica ed i corsi d’acqua. Spesso con un fucile in mano per la caccia, sempre con una canna da pesca magari per prendere qualche bel salmoncino. E tanti bicchieri, di birra ovvio, ma anche di liquori forti, con una lunga ed appassionata descrizione della preparazione di un grog per scaldarsi nelle fredde sere invernali. Insomma, una lettura discreta, che mi ha fatto riandare alla breve visita di un paio d’anni fa a Dublino, con la voglia di tornare per vedere questa volta la natura. Anche Walsh, come detto, non è un eccelso, è solo uno scrittore amante del proprio paese. Ma anche l’onestà va premiata. Dispiace solo che Ford non abbia incluso altri elementi nel suo film, che risulta essere monco se non sapessimo la storia altra di Paddy, che non era solo un pugile ma anche un combattente per la libertà. E nelle prime pagine, si respira di più l’atmosfera riportata nel film “Michael Collins” (che consiglio di vedere a chi non lo ha visto).
Essendo il 1 gennaio, questa trama è non solo la prima del mese, ma la prima dell’anno. Per la parte del mese, quindi, vado a riportare i libri letti nel mese di ottobre, dove si è toccato il massimo dell’anno (22 libri/mese, quasi uno al giorno anche se la metà sono gli inediti del Corriere). Purtroppo, un mese anche abbastanza mediocre, senza nessuna vetta, e con ben 4 libri che non mi sono decisamente piaciuti.
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
David Baldacci
Cani da guardia
Mondadori
9,50
3
2
Valeria Parrella
Behave
Corriere della Sera
1
2
3
Amara Lakhous
Divorzio all’islamica a viale Marconi
E/O
s.p.
2
4
Elif Shafak
Latte nero
Rizzoli
s.p.
3
5
Ed McBain
Grande città violenta
Repubblica Giallo
5,90
3
6
Marco Malvaldi
Sol levante e pioggia battente
Corriere della Sera
1
3
7
Maria Pia Ammirati
Le voci intorno
Corriere della Sera
1
1
8
Marco Buticchi
Evil
Corriere della Sera
1
2
9
Geraldine Brooks
I custodi del libro
Beat
9
3
10
Maurice Walsh
Un uomo tranquillo
Repubblica Novecento
4,90
3
11
Federica Bosco
L’artista
Corriere della Sera
1
1
12
Elizabeth George
Prima di ucciderla
TEA
9
2
13
Marco Malvaldi
Odore di chiuso
Sellerio
13
3
14
Federico Moccia
La bugia
Corriere della Sera
1
1
15
Antonia Arslan
Le luci del ‘45
Corriere della Sera
1
3
16
John Steinbeck
Furore
Repubblica Novecento
4,90
3
17
Matilde Asensi
L’ultimo Catone
Rizzoli
9,50
3
18
Valerio Evangelisti
Day Hospital
Corriere della Sera
1
1
19
Sibilla Aleramo
Una donna
Repubblica Novecento
4,90
3
20
Michela Murgia
L’incontro
Corriere della Sera
1
3
21
Francesco Piccolo
La separazione del maschio
Einaudi
11
2
22
Eraldo Baldini
Nostra Signora delle Patate
Corriere della Sera
1
3
Ma è anche la prima trama dell’anno. Facciamo allora anche un piccolo consuntivo dei volumi di lettura. Il 2011 è stato un anno veramente denso di lettura. Infatti, ho letto 200 libri per un totale secondo anobii di 47754 pagine. Con una media, quindi, di 16 libri e 2/3 al mese, pari a circa 5 libri ogni 9 giorni. E circa 900 pagine a settimana.
Non voglio tediarvi ancora con i numeri, ma tornare ai commenti iniziali. Soprattutto a valle di alcuni giorni a vedere lo splendore della Sicilia Barocca, di cui non ci si stanca mai. Certo, si sperava anche di fare qualche viaggio più lungo, ma la crisi è ovunque, ed anche il turismo ne risente. Ma ho piacere di salutare i miei amici che comunque sono in giro per il mondo, tra il Marocco ed il Libano. A presto

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