Cominciamolo bene, speriamo. Sarà
un anno difficile e complesso, ma ognuno di noi ha le capacità e la forza per
farlo. Si sono ottimista, malgrado tutto, come si dice in altri libri, di cui non
parlo ora. Che ora parlo di classici: due che vengono a quindici anni l’uno
dall’altro dal mio amato medi oriente, che per diversi versi non mi hanno
pienamente soddisfatto. E due che vengono dall’occidente, e da molto lontano
nel tempo (dai più di 100 anni del francese a quasi 80 della saga irlandese).
Ma anche questi non all’altezza delle mie aspettative. Quindi, classici, ma non
riusciti, per me. E lo dico con l’onestà del giudizio soggettivo, senza tirarmi
indietro a tutte le critiche di chi questi libri acclama a gran voce.
Abraham Yehoshua “L'amante” Repubblica
Novecento euro 4,90
[in: 2003 – out: 06/08/2011]
[tit. or.: Ha-Meahev (המאהב); ling. or.: ebraico; anno 1977]
Il primo romanzo scritto da
Yehoshua che finalmente riesco a leggere in questa parentesi estiva tra i due
freddi. Altro avevo letto, ma niente mi aveva riportato al bellissimo signor
Mani. Ora, questo è sicuramente migliore dell’ultimo (quello del responsabile
delle risorse umane, per intenderci), ma continuo ad avere difficoltà a leggere
gli autori israeliani. A parte Oz, che è l’unico che si fa leggere, anche con i
pugni allo stomaco che ti tira ad ogni pagina. Certo, questo è pieno del
sentimento nazionale successivo alla guerra del Kippur (anche se scritto 4 anni
dopo) e tra le pagine c’è ancora la sensazione che una convivenza sia
possibile. Ma non è questo il fulcro del romanzo, che, benché sempre
politicizzato tra le righe, è più attento ai versanti privati. Alle storie di
Adam, di sua moglie Asya, di sua figlia Dafi, del giovane arabo Na’im e di
Gabriel, l’amante del titolo. E ruota tutto intorno alla ricerca di Gabriel,
che prima dell’inizio della storia, proprio durante la guerra, misteriosamente scompare.
La scrittura di Yehoshua si affida, come spesso gli accade, al racconto corale,
al passare da una soggettiva all’altra dei vari personaggi. Ed attraverso
queste diverse soggettive ricostruiamo la storia di Adam e di Asya, del loro
amore, e dell’evolversi del loro matrimonio, fino alla stanchezza attuale, fino
al rendersi conto, da parte di Adam, che vuol bene ad Asya, e che vuole che
stia bene, anche a costo di far finta di non capire che Gabriel è diventato il
suo amante. Ma Adam è solo un ricco possidente di un’officina di automobili,
anche se da giovane andava a scuola con Asya. Mentre Asya ora è insegnante e
continua a professare parole di libertà e di opposizione allo statu quo, anche
se il tempo passa e lei sembra inaridirsi. Mentre è proprio questo amore che la
fa rinascere, che la fa tornare ai passati splendori. Ed è Adam che guida
questa ricerca di Gabriel, che farà di tutto per ritrovarlo. Da contraltare
alle storie delle persone mature, ci vengono incontro la freschezza dei
giovani. Dafi, studentessa, piena di difficoltà nell’accettare la propria
crescita, ma anche piena di slanci e di curiosità. E Na’im, il palestinese che
va a lavorare da Adam perché costretto dal padre, mentre lui vorrebbe studiare.
Ed è forse proprio Na’im la figura che meglio riesce all’autore. Già pieno di
contraddizioni, di amore – odio verso gli ebrei, di ricerca di un suo spazio
nel mondo. Spazio che trova nell’affetto di Adam, che trova il modo anche di
aiutarlo in diverse situazioni (e non diciamo tutto, no?). Come non narriamo
l’evolversi della storia, se Gabriel verrà ritrovato o meno. Le pennellate di
Yehoshua comporranno comunque alla fine un bell’affresco psichico, sentimentale
e politico di questo mondo di convivenza che si aggira per la città di Haifa.
Che è la città dove l’autore vive, e che ci restituisce in queste pagine dove
le voci, seppur vicine, sono tanto diverse, quasi a sottolineare
l’impossibilità di conoscere che ci sta accanto. E non è un caso che le voci
che meglio risaltano siano quelle maschili, di Adam e di Na’im. Una notazione
finale sulla traduzione. Possibile che non si possa tradurre “Tavola reale” con
“Backgammon”? A pagina 348, non si gioca a Tavola reale, ma, come in molto
Medio Oriente ed in Egitto, si gioca a Backgammon. Ed è quello che fa anche
“strano” perché i soldati israeliani che attendono l’attacco egiziano, giocano
ad un gioco popolare in Egitto. In conclusione, comunque, un libro da leggere
senz’altro, se non lo avete già fatto.
“Anch’io sto cambiando, non si può rimanere eternamente giovani…” (93)
Naguib Mahfouz “Il ladro e i cani”
Repubblica Novecento euro 4,90
[in: 2003 – out: 10/08/2011]
[tit. or.: Al-liss Wa-l-kilāb (اللصֹوֹالڪالب ); ling. or.: arabo; anno 1961]
Strana
e contorta la storia di questo libro. Mahfouz è stato uno degli elementi che a
suo tempo mi avevano spinto ad iniziare lo studio della lingua araba. Mi
piaceva la lettura della Trilogia del Cairo e (tra le tante cose) mi dicevo:
pensa che bello sarebbe leggerlo in originale. Ora, dopo tempo e fatica, posso dire
che fu un’illusione. Bella ovviamente, che mi ha insegnato poco di arabo e
molto di amicizia (vero Paola, Otto, Nico, Rosy, ecc…). E qui torniamo al
libro, che proprio in una delle prime lezioni della mia meravigliosa maestra si
parlò di letteratura, e di questo libro, che mi affrettai ad acquistare alla
libreria araba a Tiburtino. Ovviamente mai letto. Ora, ne leggo la
traduzione (ottima di Valentina
Colombo), ed il mio giudizio su questo libro si è ridimensionato. In realtà,
non è che mi sia piaciuto molto. Certo, Mahfouz tocca alcuni elementi peculiari
della sua produzione letteraria.
Soprattutto quello della doppia lettura dello scritto. C’è il racconto, che
parla della caduta in abisso di un ladro nel girone infernale della Cairo
contemporanea allo scritto (siamo nel ’61). Un ladro ex-studente promettente
con idee “rivoluzionarie” che, non trovando sbocchi sociali, si rivolge agli
sbocchi privati, di una sua personale lotta contro il sistema a colpi di
ruberie. E che viene tradito sia da altri ladri sia dal suo mentore, il
professore che gli aveva instillato le idee nuove. Cerca di ribellarsi, cerca
di vendicarsi. Ma tutto si rivolge contro di lui. I cani ne avranno ragione, e
la sua lotta sarà sterile e lo porterà … Beh questo lo lascio in sospeso che
comunque dovete leggerlo, anche se non eccelso. E c’è la lettura in controluce,
la critica alla società nasseriana degli squilibri. Adombrando pulsioni verso
il nuovo, verso un modo diverso di convivere, verso un ruolo maggiore, più
libero della donna. Una critica al sistema corrotto dei giudici e dei
mass-media (che al tempo erano principalmente la carta stampata). Una critica
che ah quanto sentiamo attuale anche passati ormai ben cinquanta anni.
Purtroppo, per la riuscita completa dello scritto, la parte finale la trovo un
po’ debole rispetto a tutta la costruzione che Mahran ha fatto degli elementi
della sua ribellione. Come irrisolta rimane la sua storia con la sfortunata
Nur. Chi legge di arabo mi dice che la forza del romanzo sta nell’uso della tecnica
di “flusso di coscienza”, già da tempo utilizzata nei romanzi occidentali, ma
che qui viene per la prima volta utilizzata in arabo. Sono, infatti, i pensieri
non organizzati ma come vengono in testa a Mahran che Mahfouz cerca di
riprodurre. E con efficacia. Tuttavia, il risultato non può che risentire del
passare degli anni. Ma in complesso, una lettura interessante, ed anche da
consigliare a chi voglia avere visione di un modo interno di riproporre la vita
nei paesi arabi, senza le mediazioni occidentali che ne annacquano la visione.
Una buona lettura, da portarsi a Zamalek, e sfogliare su qualche terrazzo di
pensioni locali.
“Nessun lavoro è meschino, se rispettabile.” (40)
“Egli … dichiara: ‘Approfitterò della tua ospitalità per un lungo
periodo.‘ Raggiante, Nur solleva la testa e mormora: ‘Puoi restare tutta la
vita, se vuoi!’” (83)
“Talvolta accade che la luce di una lampadina venga oscurata da
escrementi di mosche.” (135)
“Questo … gli rivela che …. è ormai una parte insostituibile di lui, al
di sopra di ogni aspettativa: è una componente fondamentale della sua inutile
vita, sospesa in equilibrio sull’orlo del precipizio. Nel buio, chiude gli
occhi e tacitamente confessa a se stesso che ne è innamorato e che non
esiterebbe a sacrificare la propria vita pur di vederla tornare.” (143)
André Gide “L'immoralista” Repubblica
Novecento euro 4,90
[in: 2004 – out: 16/09/2011]
[tit. or.: L’immoraliste; ling. or.: francese; anno 1902]
Più
di cento anni, e si sentono tutti. Si sentono nella trama, si sentono nella
scrittura, insomma una lettura di puro interesse filologico, che poco apporta
alle emozioni umane. Eppure, Gide è considerato uno dei maestri del Novecento
(infatti, sta in questa pur meritoria collana di Repubblica). Ed inoltre nel
1947 ottiene anche il Nobel per la letteratura, tardo riconoscimento al quasi
ottantenne scrittore. Ricordo che un tempo provai a leggere “I sotterranei del
Vaticano” e non riuscii ad andare oltre le prime venti pagine. Qui, mi sono
imposto di vedere cosa tirava fuori in queste 150 pagine scarse. Innanzi tutto,
devo ribadire che più di cento anni di scrittura lasciano il segno. Ricordo
altri autori coevi a Gide (o di poco prima o di poco dopo) il cui modo di
scrivere mi procura lo stesso fastidio. Conrad su tutti, ad esempio. L’autore
si mette là, nella bocca del suo personaggio principale. E pontifica per tutto
il romanzo. Non narrando, ma tenendo quasi un sermone dal pulpito. Ho fatto
questo per questo e quest’altro motivo. Quella donna è stata buona con me. Quel
ragazzo mi ha sorriso. Mai uno sguardo in cui tutti sono vivi. Solo lui è vivo,
solo lui sa e dice. E cosa dice il nostro Michel - Andrè (perché c’è tanto di
Gide in Michel)? Dice che era uno studioso di cose antiche (tipo la storia di
Atalarico, che credo tutti conoscano), che alla morte del padre si sposa per
convenienza, che fa un viaggio nei paesi arabi francofoni. E rimane affascinato
dall’immanenza, dal sole, dalla natura, e dalle persone. Soprattutto uomini e
ragazzi, che anche Michel ha la sua vena omosessuale. Ma non se ne parla,
ancora è tabù. Oscar Wilde viene imprigionato per questo. Si aspetta ancora il
grande coraggio espressivo di Thomas Mann e la sua Morte a Venezia. Così Gide, dice
e non dice. Dice che Michel cerca di raggiungere i suoi sogni, la bellezza di
una vita estetica, la compagnia gradita. Eccessi nel bere. E tanti altri
eccessi, che vediamo solo dalle sue parole, e che quindi accettiamo con il
filtro del suo pudore. Eccessi anche nella malattia, nella tubercolosi che al
tempo mieteva vittime su vittime. Ma lui si salva, non così la povera
Marceline. Che forse si sarebbe salvata se Michel non pensasse sempre e
soltanto al proprio ombelico. Ombelico che continua a guardare fino in fondo.
Che fa mascherare di grande pensamento tutta la sua vita, prima, durante e dopo
Marceline. Ma che vita fa il buon Michel? Non ha mai avuto un problema
economico al mondo. Vuole comprare una casa? Lo fa. Vuole viaggiare da Parigi a
Siracusa? E via, si parte. Purtroppo, ripeto, il tipo di scrittura non facilita
a me seguire la storia. Che alla fine mi sembra pallosa e non capisco dove sia
l’immoralità. È immorale perché cerca di capire chi sia e cosa vuole dalla
vita? Che cerca di capire se ama di più le donne o gli uomini? Che
egoisticamente porta in giro per l’Europa la moglie malata perché lui vuole
andare in giro? E cosa avrebbe detto Gide sulla moralità se avesse conosciuto
Berlusconi? Alla fine, certo, calato nella realtà di centodieci anni fa, doveva
avere un suo impatto. Ora la magia è scomparsa. Resta un lungo racconto senza
mordente, che si legge come Michel legge le storie dei suoi amati Goti.
Passivamente, senza coglierne possibili magie, come farebbe ora una narrazione
di Alessandro Barbero.
“Presto capii che le cose ritenute peggiori (la menzogna, per non dire
di altre) sono difficili da fare quando non le si è mai fatte; ma presto
diventano tutte agevoli, gradite, facili da fare, e, in seguito, del tutto
naturali.” (61)
“Le opere migliori dell’uomo nascono immancabilmente dal dolore. Che
cos’è il racconto della felicità? Solamente ciò che la prepara o ciò che la
distrugge, si può raccontare.” (70)
“Non ero mai stato un buon conversatore… In compagnia degli altri mi
sentivo monotono, triste, fastidioso, annoiavo gli altri ed ero annoiato io
stesso. (90)
Maurice Walsh “Un uomo tranquillo” Repubblica Novecento euro 4,90
[in: 2005 – out: 13/10/2011]
[tit. or.: The Quiet Man and Other Stories; ling. or.: inglese; anno 1935]
6 racconti irlandesi, con gli
stessi personaggi tanto da poter diventare un libro. Forse non organico, ma un
affresco dell’Irlanda tra il 1920 ed il 1930. Da una piccola scheggia del
libro, il film di John Ford con John Wayne del ’52 che ricordo con affetto (una
piccola chicca con la rossa Maureen O’Hara su tutti). L’autore è
intrinsecamente irlandese, e lo si nota dall’amore verso i paesaggi, verso le
bevute (siano di birra o di whisky) e verso il carattere peculiare del popolo
irlandese. Tuttavia, il complesso è carente di pathos, di coinvolgimenti, di
sorprese. Seguiamo questi personaggi, che ci vengono presentati nel prologo,
sei uomini e quattro donne. Ne vediamo il procedere negli anni, ma ci
meravigliamo poco dell’evolversi delle loro storie. Ci saranno scontri, ci
saranno incomprensioni, ma tutto primo o poi volgerà, se non al bello, quanto
meno al sereno. E dato che siamo nella metà degli anni Trenta, non potrà che
finire ogni storia con un elemento di speranza e, quasi sempre, con l’amore che
trionfa. La storia migliore è in ogni caso la prima, dove siamo ancora nel
pieno della Rivolta Irlandese, con la guerra tra IRA ed esercito inglese,
imboscate, fughe, vita nei campi, spie e controspionaggi. Lì impariamo a
conoscere il comandante Hugh, onesto e cortese, il basista Sean, colpito
duramente dai problemi di spionaggio, il tranquillo Paddy (che diventerà il
centro del film di Ford), la fervente repubblicana Kate, il mezzo-americano
Owen che rudemente si innamora della scozzese Margaid, e Archibald, il fratello
di Margaid, che è scozzese ma arruolato nell’esercito inglese. E questo crea
una situazione potenzialmente esplosiva, quando, per non ucciderlo visto che
hanno studiato insieme, Sean decide di rapirlo. Ma presto, e fortunatamente, la
pace del ’21 placa gli animi, la storia si scioglie, e tutti tornano alle loro
occupazioni. E dalla storia della figlia del Capitano, si passerà ad elementi
più intimi. La riconquista della propria pace interiore di Sean. La conquista
del suo posto tranquillo di Paddy. Le battute di pesca con l’amico americano,
che porteranno all’improvviso innamorarsi anche di Kate. E lo scioglimento
delle storie di spionaggio iniziali, quando torna a farsi viva Nuala bella e
problematica. Il tutto, stranamente, più collegato dal filo delle storie che
tiene il maggiore Archibald, che è scozzese, e non irlandese. Ma Walsh vuole
spezzare tutte le sue possibili lance in favore delle minoranze oppresse dal
colosso britannico, siano esse irlandesi, scozzesi, gallesi o gaeliche in
genere. Non si parla e non si narra molto di città, ed anche Dublino è solo
sfiorata. Perché si sta in campagna, tra l’erica ed i corsi d’acqua. Spesso con
un fucile in mano per la caccia, sempre con una canna da pesca magari per
prendere qualche bel salmoncino. E tanti bicchieri, di birra ovvio, ma anche di
liquori forti, con una lunga ed appassionata descrizione della preparazione di
un grog per scaldarsi nelle fredde sere invernali. Insomma, una lettura
discreta, che mi ha fatto riandare alla breve visita di un paio d’anni fa a
Dublino, con la voglia di tornare per vedere questa volta la natura. Anche
Walsh, come detto, non è un eccelso, è solo uno scrittore amante del proprio
paese. Ma anche l’onestà va premiata. Dispiace solo che Ford non abbia incluso
altri elementi nel suo film, che risulta essere monco se non sapessimo la
storia altra di Paddy, che non era solo un pugile ma anche un combattente per
la libertà. E nelle prime pagine, si respira di più l’atmosfera riportata nel
film “Michael Collins” (che consiglio di vedere a chi non lo ha visto).
Essendo il 1 gennaio, questa
trama è non solo la prima del mese, ma la prima dell’anno. Per la parte del
mese, quindi, vado a riportare i libri letti nel mese di ottobre, dove si è
toccato il massimo dell’anno (22 libri/mese, quasi uno al giorno anche se la
metà sono gli inediti del Corriere). Purtroppo, un mese anche abbastanza
mediocre, senza nessuna vetta, e con ben 4 libri che non mi sono decisamente
piaciuti.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
David Baldacci
|
Cani da guardia
|
Mondadori
|
9,50
|
3
|
2
|
Valeria Parrella
|
Behave
|
Corriere della Sera
|
1
|
2
|
3
|
Amara Lakhous
|
Divorzio all’islamica a viale Marconi
|
E/O
|
s.p.
|
2
|
4
|
Elif Shafak
|
Latte nero
|
Rizzoli
|
s.p.
|
3
|
5
|
Ed McBain
|
Grande città violenta
|
Repubblica Giallo
|
5,90
|
3
|
6
|
Marco Malvaldi
|
Sol levante e pioggia battente
|
Corriere della Sera
|
1
|
3
|
7
|
Maria Pia Ammirati
|
Le voci intorno
|
Corriere della Sera
|
1
|
1
|
8
|
Marco Buticchi
|
Evil
|
Corriere della Sera
|
1
|
2
|
9
|
Geraldine Brooks
|
I custodi del libro
|
Beat
|
9
|
3
|
10
|
Maurice Walsh
|
Un uomo tranquillo
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
3
|
11
|
Federica Bosco
|
L’artista
|
Corriere della Sera
|
1
|
1
|
12
|
Elizabeth George
|
Prima di ucciderla
|
TEA
|
9
|
2
|
13
|
Marco Malvaldi
|
Odore di chiuso
|
Sellerio
|
13
|
3
|
14
|
Federico Moccia
|
La bugia
|
Corriere della Sera
|
1
|
1
|
15
|
Antonia Arslan
|
Le luci del ‘45
|
Corriere della Sera
|
1
|
3
|
16
|
John Steinbeck
|
Furore
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
3
|
17
|
Matilde Asensi
|
L’ultimo Catone
|
Rizzoli
|
9,50
|
3
|
18
|
Valerio Evangelisti
|
Day Hospital
|
Corriere della Sera
|
1
|
1
|
19
|
Sibilla Aleramo
|
Una donna
|
Repubblica Novecento
|
4,90
|
3
|
20
|
Michela Murgia
|
L’incontro
|
Corriere della Sera
|
1
|
3
|
21
|
Francesco Piccolo
|
La separazione del maschio
|
Einaudi
|
11
|
2
|
22
|
Eraldo Baldini
|
Nostra Signora delle Patate
|
Corriere della Sera
|
1
|
3
|
Ma è anche la prima trama
dell’anno. Facciamo allora anche un piccolo consuntivo dei volumi di lettura.
Il 2011 è stato un anno veramente denso di lettura. Infatti, ho letto 200 libri
per un totale secondo anobii di 47754 pagine. Con una media, quindi, di 16
libri e 2/3 al mese, pari a circa 5 libri ogni 9 giorni. E circa 900 pagine a
settimana.
Non voglio tediarvi ancora con i
numeri, ma tornare ai commenti iniziali. Soprattutto a valle di alcuni giorni a
vedere lo splendore della Sicilia Barocca, di cui non ci si stanca mai. Certo,
si sperava anche di fare qualche viaggio più lungo, ma la crisi è ovunque, ed
anche il turismo ne risente. Ma ho piacere di salutare i miei amici che
comunque sono in giro per il mondo, tra il Marocco ed il Libano. A presto
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