lunedì 28 maggio 2012

Gialli davanti al camino - 11 dicembre 2012

Si scrive mentre si avvicina il Natale. Sul CD gira tristemente Fossati, dove cerchiamo di trovare la casa della canzone. Ed abbiamo davanti qualche bel romanzo italiano, con un grande Scerbanenco in testa. Accendiamo il camino, mettiamo su anche le castagne, e diamoci alla lettura.
Giorgio Scerbanenco “La sabbia non ricorda” Garzanti euro 10
[in: 27/11/2010 – out: 07/06/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 1963]
Grande Scerby! Un romanzo magistrale, costruito con un bel meccanismo e con tutti gli ingredienti del caso. Forse risente dell’età, ma è come un passito, che in fondo mantiene quello che promette. E pur facendoci ripiombare nel pieno del boom economico italiano, in un’Italia che andava in vacanza a Lignano Sabbiadoro o a Riccione, dove le donne del Sud erano guardate a vista dai fratelli per problemi d’onore, dove si fumava al bar, e dove si ascoltava fino a tardi il juke-box, ecco pur con questo salto all’indietro, il meccanismo giallo è perfetto. Ben inserito nel quadro del vissuto, con quella capacità, che sarà poi magistralmente scandinava, di inserire il giallo nel quotidiano e darci conto dell’uno e dell’altro. Certo, non c’è la denuncia che altrove sarebbe presente. Ma basta il quadro d’insieme. Ed è un bel quadro (un Hopper direi). Ma torniamo al meccanismo. C’è un morto ammazzato, in una spiaggia di un paesino friulano tra Venezia e Trieste. Sembra qualcosa di banale. Ma a poco a poco, Scerbanenco ci svela i vari personaggi che ruotavano intorno a Giannuzzo: il prestatore di soldi, il ricattato, con la bella bionda di turno ed il padre ex-galeotto, la bella turista tedesca, l’innamorato della sorella un po’ “puttanella”, il padre del ricattato. L’abilità è nel non presentarli tutti di botto, ma di farceli scoprire man mano che la narrazione avanza. Di farci scoprire i moventi che ognuno avrebbe potuto avere nel far fuori il bel siciliano. E di farci vedere come ognuno poteva aver avuto anche spazio per commettere l’omicidio. Così ci tiene lì un po’ sospesi, non ci fa capire come si dipanerà la matassa. Anzi, ogni tanto la ingarbuglia un po’. Pensiamo di aver preso il bandolo giusto, lo seguiamo con lui. Ma si perde, così come si perdono i granelli di sabbia in mezzo agli altri granelli di sabbia. Ed in parallelo, seguiamo le gesta del poliziotto. Che non è il solito ispettore o commissario, ma un agente dell’Interpol, capitato casualmente nella vicenda, dove casualmente capita anche la bella Michela, reduce da un esaurimento nervoso per un amore sbagliato. E l’agente, Alberto, lo vediamo anche innamorarsi della bella Michela, con una tormentata vicenda interiore sul che fare verso la fanciulla appunto reduce da amori sbagliati. Mentre Alberto si tormenta il cuore su questa vicenda, la sua testa funziona, o almeno, continua a funzionare e ad incastrare i vari pezzi del rompicapo. Tanto che alla fine, non potrà che arrivare alla soluzione giusta della vicenda. Certo, nel finale capiamo anche noi come si sono svolti i fatti. Ma la maestria di Scerbanenco è di non dare per scontato come andrà a finire tutta la vicenda. Maestria che risalta anche nel dipanarsi dei capitoli, che a volte sembrano quasi mini-racconti a sé stanti, ma sempre funzionali all’asse portante della vicenda. E sediamoci allora, in fondo all’hopperiano bancone del tristo bar che a mezzanotte ancora è aperto, per gustarci un digestivo freddo, come può esserlo una notte d’estate. Ma rinfrescante e ben accetto. Che dire ancora? Leggetelo.
“Lei sapeva che cosa erano i pensieri fissi, le ossessioni, le angosce, perciò lo comprendeva. Non si fugge da qualche cosa che abbiamo dentro di noi.” (53)
“Egli si ravviò i corti capelli … mentre guardava lei, pensando oscuramente a come aveva fatto a stare tanto tempo senza vederla, poi, sempre oscuramente, capì che in tutto quel tempo che ne era stato lontano aveva sofferto, anche se non sapeva di soffrire, anche se credeva di soffrire per altre ragioni e invece l’unica ragione della sua torpida scontentezza, in tutto quel tempo passato senza di lei, era stata proprio lei.” (106)
“Gli dispiaceva lasciarla così, ma forse non c’è modo di lasciarsi migliore di un altro: sono tutti peggiori.” (168)
Andrea Fazioli “L’uomo senza casa” Guanda euro 9,50
[in: 01/10/2010 – out: 04/09/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2008]
Come si può classificare un autore che scrive in italiano ma è di Bellinzona, cioè un puro prodotto ticinese? Si deve parlare di letteratura italiana? O di letteratura svizzera? Ed a proposito, esiste una letteratura svizzera? Dopo questa onesta parata di domande senza risposte, veniamo al giovane Fazioli (il trentatreenne ticinese appunto). Non so dove avevo sentito parlare di lui (qualche rivista che devo aver “archiviato” nel frattempo) e quando ho visto il tascabile Guanda mi sono affrettato a prenderlo (anche se non a leggerlo). Devo dire che mi ha fatto una buona impressione (e si vede che avere Biondillo come editor è una buona cosa), anche se all’inizio il romanzo non riusciva a decollare. La storia, tipicamente svizzera, ruota intorno a riciclaggio di soldi ed investimenti lucrosi, anche se lo spunto è la costruzione prima e l’ampliamento poi di una diga. Che come tutte le dighe, sommerge terre ed in questo caso anche case. Ma quando si fa la prima volta, venti anni addietro, le istanze ecologistiche ed ambientalistiche sono ancora di là da venire. Fatta la diga, sommersa la contrada di Malvaglia. Nel presente, a causa dell’ampliamento della stessa, si riscatenano le polemiche. Ma questa volta i fautori della diga cominciano a morire. Certo, c’erano state due persone scomparse anche venti anni prima, ma nessuna vi aveva dato peso. Ora invece, si scatena il giallo. E tutto si va incentrando sul personaggio principale, lo stralunato Elia Contini (anche i nomi dei personaggi sono molto … ticinesi). Che di mestiere fa l’investigatore privato, ma che soprattutto è un solitario ed un po’ strano personaggio. Innanzi tutto, una delle due persone scomparse anni addietro è proprio il padre di Elia. E si mormora che sia fuggito con il Martignani e soldi vari. Contini ha anche uno strano rapporto con Francesca, ma che non va né avanti né indietro, dato che lui il più delle volte tace. O parla fuori tempo, come tutte le persone che, rimuginando fatti e parole, a volte escono con frasi stonate. E che diventa amico del giovane avvocato Chico Malfanti, un ventisettenne in cerca disperata di compagnia femminile che non trova. E che si trova praticamente sempre sul luogo dei delitti subito dopo che vengono commessi. Completano l’arena dei personaggi attivi il faccendiere Finzi, socio a suo tempo del Martignani. Il giovane Tommi Porta, coetaneo di Elia e suo vecchio compagno di giochi. E l’avvocato Calgari, il difensore dei ricorrenti contro la costruzione della diga. Dicevo all’inizio che la storia sembrava non decollare, perché sappiamo subito chi è l’assassino del sindaco. E sembra che questo incanali tutta la storia nella direzione di un giallo psicologico per scoprire la natura dei comportamenti umani. Poi ci sono una serie di svolte, che non narrerò, che invece riportano tutto verso un giallo classico. E di buona fattura. Con tentativi di chiudere i cerchi prima del tempo, ed una soluzione finale che seppur ipotizzabile è ben costruita e gestita dal nostro autore. Che intanto, tra un cadavere e l’altro, trova il tempo di farci immergere nella realtà della Svizzera italiana, tra Bellinzona e Lugano, tra il carnevale di città e la ricerca delle volpi in montagna. E di farci intravedere anche qualche profilo svizzero. L’amante introverso dei mondi solitari. I transfrontalieri per studio che si laureano a Milano. Insomma, una bella situazione, ben descritta e ben portata avanti. Un autore che cercherò di seguire in altre prove, che mi pare lo meriti. Anche perché, il triste Contini ogni tanto sente musica, ed è una musica triste ma interessante (da Jacques Brel a Georges Brassens). Bravo Elia!
Massimo Carlotto & Mama Sabot “Perdas de Fogu” E/O euro 8
[in: 01/11/2010 – out: 15/09/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2008]
Un buon romanzo che potrebbe ben figurare nella collana VerdeNero dedicate da Lega Ambiente a disastri e catastrofi provocate dall’insipienza umana. Intanto c’è l’unione in scrittura tra il bravo Carlotto, di cui conosciamo bene le doti di giallista per averne parlato a lungo durante la lettura della saga dell’Alligatore, ed un collettivo di giovani scrittori sardi (dove Carlotto ormai vive la maggior parte del tempo) che sicuramente ha fatto un buon lavoro per le parti documentali. Lo spunto, infatti, come dice il titolo, viene dalla zona di terra per lo più occupata da militari, nota con il nome del più vicino paese, cioè Perdas de Fogu (e che a me riporta anche al triste anno militare di mio fratello, che lì cadde in una profonda depressione), anche se il nome della zona è Salto di Quirra. Ed è lì che si accumulano scorie (anzi, come impariamo dal testo, nano-particelle) che sono residui radioattivi di potenti ordigni militari. Quelli che fanno ammalare di cancro molti dei soldati sparsi per il mondo. E purtroppo anche i civili all’intorno. Ma quello che fanno emergere bene dal contesto narrativo i nostri scrittori, sono anche le collusioni, tra civili, politici e militari, non solo per mettere a tacere tutte le problematiche relative all’inquinamento, ma anche per accaparrarsi le commesse di nuove zone militari per testare aerei di nuova generazione, ed altre amenità, che hanno il solo scopo di utilizzare una terra poco abitata per le loro oscene prove (un po’ di parallelo tra la Sardegna e l’atollo di Bikini…). Sappiamo bene del pessimismo storico di Carlotto, dove non ci sono praticamente mai eroi del tutto positivi. L’unico dato positivo che Carlotto ripropone, qui come altrove, è la solidarietà di quelli che hanno vissuto male storie, in genere di chi si conosce e si ritrova in carcere, magari con poca colpa (sempre presente parte della sua storia personale, ovvio). Qui, inoltre, per infarcire bene le storie di malaffare e di corruzione, non solo non ci sono eroi positivi, ma tutti sono coinvolti, tutti hanno delle mani in pasta per cercare di arraffare il meglio a scapito di tutto e di tutti. Polizia, carabinieri, finanzieri, servizi deviati, politici, imprenditori. Nessuno si salva nella colata caustica di malaffare che gira intorno a far mantenere il più possibile il silenzio sui guasti di Salto di Quirra. Neanche i malavitosi normali, quelli dediti a spaccio e prostituzione, ne escono con le ossa sane. Il nucleo della vicenda ruota su un ex-maresciallo disertore della guerra in Afghanistan perché un po’ troppo coinvolto anche nel traffico di oppio. Rintracciato, viene usato prima dai poliziotti per stanare un suo ex-complice (ma il colpo riesce a metà). Poi da questi venduto ad un cartello di politici ed imprenditori che cerca di sfruttare appunto la zona di Perdas de Fogu. Dovrà far tacere una troppo insistente ricercatrice, sarà sempre ricercato dall’ex-complice, ci si metteranno in mezzo altri malavitosi, con un susseguirsi di ricatti, uccisioni ed altre atrocità. Nessuno ne uscirà senza qualche danno, più o meno grave. E questo ce lo aspettiamo, sia dal contesto, sia dalla vena pessimistica (ma purtroppo molto realistica) dei nostri amici sardi. Solo il malaffare politico-imprenditoriale non potrà che continuare non dico a prosperare, ma quanto meno a perpetuarsi. D’altra parte, come aspettarsi di meglio in un paese come il nostro, con la classe politica che ci ritroviamo? Certo, avrebbe potuto essere un po’ più incisivo, e magari delineare meglio qualche personaggio. Come il Pierre del centro della vicenda, che sarebbe bello vedere impegnato in altre e più proficue avventure. Un buon libro, dicevo, che serve a traghettare i pensieri verso l’inizio di un autunno combattivo.
Corrado Augias “Quella mattina di luglio” Repubblica Giallo euro 5,90
[in: 2005 – out: 29/09/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 1995]
Fortuna che viene dalla libreria di mamma, che fa piacere leggerlo ma non è un gran che (e si sono risparmiati i 6 euro). Augias continua a riproporre quella mescolanza tra avvenimenti storici e vita quotidiana, per lo più seguendo le tracce di qualche commissario o ispettore o comunque poliziotto. Poliziotto che qui assume l’improbabile nome di Flaminio Prati. E con la vicenda che scorre nei giorni cruciali della storia italiana dal 19 al 26 luglio del 1943. Purtroppo qui la mescolanza si fa ardita, che narrare di quei giorni non è facile sia per il convulso scorrere degli avvenimenti, sia che gli avvenimenti stessi non sono così limpidi come si potrebbe credere. C’è quindi al solito la storia “gialla” (e ci mettiamo molte virgolette, che è solo un pretesto). La mattina del 19 luglio viene trovata morta una donna di facili costumi in uno stabile di via dei Reti a San Lorenzo. Qui, c’è l’unico momento di buon intreccio, che subito il quartiere viene bombardato, ed il corpo del reato sparisce sotto le macerie. Ma il commissario Prati l’ha visto, e, un po’ tirato per i capelli, comincia ad indagare. Risale così pian piano alla storia della donna, prostituta in un bordello di via degli Avignonesi, con un geloso infermiere che le fa la corte, ma anche con contorni di gerarchi del regime che le ronzano intorno. L’infermiere sembra un buon capro espiatorio comunque, che è socialista e sovversivo. Le autorità puntano molto sul diversivo dell’omicidio per distogliere l’attenzione dall’avanzata delle truppe alleate in Sicilia e per l’imminente riunione del Gran Consiglio del 24 luglio. Augias in tutta questa parte tenta di fare un parallelo con le vicende italiche attuali (anche se lo scritto è del ’95) dove già si vedeva la tendenza a usare media e “machismo” per distogliere l’attenzione dai problemi reali (ed è stato un buon profeta, che 15 anni dopo, anche le prostitute tornano in prima linea). Nel procedere del racconto, Augias inzeppa un bel po’ di topiche del regime: attrici che cercano di far fortuna mostrando il seno alla Carla Calamai, donnine di tutti i generi che si appiccicano ai potenti per un po’ di visibilità, giornalisti che cercano di farsi largo tra i proclami di regime (dicendo sempre di sì ai potenti) gerarchi e fascistelli vari, ognuno con le sue piccole mire ed i grandi naufragi. E poi c’è il popolo, la gente comune, che soffre per le bombe, per le tessere alimentari, per tutte le penurie di un regime arrivato alla frutta e che reagisce solo a colpi di feste rutilanti e grandi lustrini in Via Veneto e dintorni. Tra i vari personaggi emerge anche l’attricetta Doris, che aiuta il commissario ad annodare un po’ di notizie sparse, facendo poi emergere, come uomo-ombra della vicenda, un potente, un capo della milizia fascista. Alla fine, la pazienza del commissario farà in modo di dipanare i vari fili, ma non ci sarà “giustizia”, che senza il corpo del reato, non c’è reato, e sì, ci saranno giuste punizioni per i cattivi, ma sarà più la storia reale a comminarle che la storia minuta. Rimarrà il rimpianto, al commissario Prati che rincontriamo alla fine quasi ottantenne di non aver capito se amasse o no la bella Doris, e comunque di non aver fatto nulla per capirlo. Insomma, alla fine una storiella che si poggia su alcuni fatti reali, e li imbastisce con un po’ di decente finzione (ad esempio, il capo della Milizia viene additato come promotore di un ordine del giorno favorevole a Mussolini nella famosa riunione, dove, in effetti, l’allora segretario del Partito Fascista, tal Carlo Scorza, ne presentò uno che però non venne votato). Ma il risultato è un po’ moscio, neanche all’altezza delle pur non eccelse prove di Augias con la storia italica minuta dall’11 al 21 della prima trilogia. Non è un giallo, non è storia, non è avvincente, in fondo l’unico commento da fare è che non è.
Il lavoro langue, i viaggi latitano, i primi Natali si avvicinano, prima quelli piccoli poi quelli grandi, i Sagittari festeggiano le loro feste e si avvicinano anche i Capricorni. Ma siamo sempre, forse, contenti così.

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