lunedì 21 maggio 2012

Bricolage letterario - 01 novembre 2011

Trama straordinaria, continuando nelle tradizionali spedizioni dei giorni festivi. Ed un bricolage perché anche questa volta incrociamo autori eterogenei, ma per scelta. Stavolta perché queste scritture sono atipiche, non legate a stili particolari. Rincontriamo il buon Crick, di cui si lesse sul bricolage letterario (ricordo il sifone di Sartre). E rinnoviamo gli incontri con il sempre piacevole Baricco, questa volta impegnato in un altro dei suoi progetti letterari, per salvare le storie dall’oblio. Facciamo anche due nuovi incontri: la scrittrice – insegnante Dai Prà che ci porta nel mondo starnoniano dell’alberghiero di Ostia ed il fenomeno di vendite Dave Nicholls, acquistato senza altre notizie in quel di Helsinki durante il viaggio scandinavo e che si è rivelato ben interessante.
Mark Crick “La zuppa di Kafka” Ponte alle Grazie euro 10
[in: 12/11/2010 – out: 15/05/2011]
[tit. or.: Kafka’s soup; ling. or.: inglese; anno 2005]
Dopo aver goduto del “Sifone di Sartre”, ho a lungo cercato il primo libro di Crick, questi “falsi” di ricette della letteratura. Meglio del bricolage, ma con molti alti e bassi. Innanzi tutto, come molti miei vecchi conoscitori sanno, sono da sempre un estimatore dei “falsi letterari”. Dagli ottocenteschi di Targioni Tozzetti, ai primi Finck e Almansi, sino ai più recenti di Michele Serra. Il pregio (ed il limite) dei falsi è che bisogno ben conoscere l’autore sia per falsarlo che per apprezzarne il falsamento. Devo dire che Crick ce la mette tutta, ed in alcuni momenti raggiunge buone punte di satira. In questo (rispetto alla mia lettura) aiutato dal fatto che a me piace leggere ricette (e collezionare ricette d’autore, come nella mia biblioteca da Simenon e Maigret in poi). Venendo allo specifico, il libro uscì nel 2005 con il sottotitolo “La storia completa della letteratura mondiale in 14 ricette”. Qui il mio primo scoglio, perché nell’edizione italiana si parla di 16 ricette. Ho scoperto, da buon segugio, che ad ogni edizione “nazionale” aggiungeva una ricetta specifica. Purtroppo, per l’Italia si è cimentato con le Cozze “marinières” alla Calvino, e devo dire che è il risultato peggiore di tutto il libricino. Mentre, l’aggiunta del “Rösti” alla Thomas Mann nell’edizione tedesca (pur gigionando un po’ tra Montagna Incantata e Morte a Venezia) dà un risultato apprezzabile. Venendo al nocciolo duro delle ricette, invece, direi che abbiamo due plotoncini estremi, in alto ed in basso, ed una serie di pareggi da centro classifica. Assolutamente inutili i “Galletti disossati” alla De Sade, dove si permette di collocare il divino Marchese in epoca attuale, e non riesce ad essere né sulfureo né erotico. Poco sopra la Fenkata di Omero, sia perché si dilunga in inutili diatribe tra il pelide Achille ed Agamennone, sia perché la Fenkata è il piatto nazionale maltese (coniglio marinato). Altrettanto per la Torta di cipolle alla Chaucer, non per il piatto in sé, ma per il fatto che nell’originale è in rima e qui la rima si perde, e quindi, conseguentemente, anche il ritmo. E poco sopra, la fantasia dei polli, il Coq au Vin di Garcia Marquez, dove non si riesce a ricreare le atmosfere magiche degli sperduti villaggi sudamericani, e il Pollo alla Vietnamita di Greene, dove si mescola l’americano tranquillo con il precedente super-cattolicesimo dei salmi. A centro classifica, un po’ sfruttando i tic dei vari autori, si collocano la “Supertorta al cioccolato” alla Welsh (dove si sniffa farina alla grande), il Tiramisù alla Proust (con gli amaretti a far da madaleines), il Risotto ai funghi alla Steinbeck (con le stanche tirate sui funghi secchi anelanti acqua), il Clafoutis alla Virginia Woolf, mescolando un po’ delle sue frasi descrittive di situazioni familiari con un goccio di francofonia. Non sarebbe male, la Zuppa di Kafka del titolo, se non per un cedimento troppo vistoso alle atmosfere del Processo, ma soprattutto per aver fatto cuocere al maestro praghese una zuppa di germogli di soia giapponesi. Invece meritano tutto il rispetto i quattro moschettieri (secondo me) del ricettolario (ricettario-letterario): le uova al dragoncello alla Austen, immerse nella campagna inglese con una bella battaglia tra dragoncello e basilico, i crostini di formaggio alla Pinter, un pezzo di teatro in un atto, qualche filo d’olio d’oliva e molta mozzarella, e la sogliola à la Dieppoise alla Borges, che riesce a far rivivere in parte il modo affabulatorio del grande argentino, accumulando indizi e citazioni, falsi di falsi e casualità volute. In testa, solitario ed inarrivabile, l’agnello all’aneto alla Chandler, tra cucine in rovina, alimenti rimediati, whisky sour, ed una bionda che non arriva e non arriverà. Insomma, poteva venir fuori qualcosa di meglio e di più ironico, sfruttando la brevità cui ci costringe il raccontare una ricetta. Un divertissement, alla ricerca di falsi migliori (notate che ho accuratamente evitato la parola apocrifi che, dopo i dibattiti in altre e più elevate trame non mi sento più di associare ai falsi).
Alessandro Baricco “La storia di Don Giovanni raccontata da” Repubblica Save the Story s.p. (regalo di A.)
[in: 14/02/2011 – out: 11/06/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2010]
Come dice il lancio pubblicitario“Grandi scrittori, piccoli lettori, storie immortali”. Sì, la storia immortale di Don Giovanni raccontata perché sia fruibile da piccoli lettori. Ma raccontata con l’abituale cipiglio del “vecchio Holden”, e con un epilogo ben congeniato. Innanzi tutto, l’operazione la trovo ben riuscita, in quanto ricostruisce una possibile storia di Don Giovanni, che, tra teatro e letteratura, ha avuto non poche trasposizioni e riproposizioni. Dalle storie orali che circolavano da sempre tra Spagna e Italia, alla prima sistemazione da parte di Tirso da Molina (“L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra”),alla visione allegorica di Molière (“Don Giovanni o il convitato di pietra”),alla stupenda tessitura di Lorenzo Da Ponte per Mozart (“Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni”) sino alla visione solitaria di Kierkegaard (“Diario del seduttore”), tante sono le visioni dell’eponimo personaggio. Baricco ha il merito, nel momento che narra la storia per “piccoli lettori”, di eliminarne i fronzoli, ed andare all’essenza, così come è uso nella sua scrittura. Don Giovanni tenta di sedurre Donna Anna, ma, scoperto, fugge uccidendone il padre, il Commendatore. Nella fuga incontra Donna Elvira da lui sedotta e abbandonata poco tempo prima. Mentre il suo servo intrattiene la Donna sulle conquiste del padrone (“Il catalogo è questo”), Don Giovanni fugge di nuovo. Seduce altre donne, poi inseguito dai fratelli di Donna Elvira, dai poliziotti di Donna Anna, passando per un cimitero incontra la statua mortuaria del Commendatore. La statua gli chiede il pentimento, e, al suo rifiuto, lo porta con sé… Dove lo porta, ognuno è libero di decidere il finale. Questa appunto è l’ossatura della storia, e così possiamo ricordarla e tramandarla (“Save the Story” ci chiede Baricco), prenderne i personaggi e farli diventare simboli. Le Donne bistrattate, ridotte ad oggetti (e qualcuno farà utili collegamenti con l’oggi). Il Don Giovanni, che da nome spagnolo, diventa aggettivo da appiccicare a chi non ferma mai il suo sguardo, ma continua ad andare ed andare (nel catalogo, le donne sono 2.065). Il servo furbo, ma anche accondiscendente, e a volte, ingannato dal padrone stesso. E via discorrendo. Alla fine, nel breve epilogo che ci dà conto di dove andranno i vari personaggi della storia, dopo la scomparsa di Don Giovanni, Baricco ci trafigge con una domanda, che forse sarà complicata per i piccoli lettori, ma che assurge ad elemento di riflessione per noi, diciamo, adulti. “Siamo colpevoli quando desideriamo qualcosa che fa male ad altri? O i nostri desideri sono sempre innocenti, ed è un nostro diritto cercare di realizzarli?” Una domanda la cui risposta presuppone di costruirsi un’etica della vita, e non è semplice rispondervi in modo poco banale. Fin dove può andare il mio “io” senza collidere con l’io degli altri? Quale può essere un confine etico tra ricerca del piacere e rinuncia al suo soddisfacimento? E se non fare niente può far male a due persone su tre, mentre far qualcosa fa piacere (o forse meno male) sempre a due persone su tre, ma non le stesse? Si potrebbe andare avanti, ma qui mi fermo, ringraziando lo scrittore, il disegnatore (poche e ben caratterizzati i disegni del testo), gli autori di tutte le storie dongiovannesche e chi me lo ha regalato.
“Vita pazza … di un uomo che amava troppo le donne per volerne una sola” (quarta di copertina)
Silvia Dai Pra’ “Quelli che però è lo stesso” Laterza euro 10 (in realtà, gratis con Feltrinelli +)
[in: 04/03/2011 – out: 31/08/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2011]
Un nuovo titolo della sempre ottima (e quando non ottima almeno di buon livello) collana “Contromano” di Laterza. In genere, è una collana che presenta scrittori che parlano delle loro zone natie e di particolarità delle stesse (ricordo la Torino di Culicchia, la Roma della Petrignani, la Firenze della Stancanelli, la Bologna di Brizzi). Ma a volte ha dei titoli atipici, sensazioni, momenti vari (le panchine di Sebaste, tanto per ricordarne una). Qui siamo in una situazione un po’ di mezzo: parla un insegnante al primo incarico di supplenza annuale (che fa un po’ Starnone), alle prese con dei ragazzi di periferia, o comunque di margine, che non se la cavano molto bene con l’italiano (e questo fa un po’ Di Chiara), in un istituto professionale di Ostia. Questa rimane la connotazione geografica più azzeccata (e la migliore come punta di interesse del libro). Sembra quasi di veder scorrere le immagini di “Caro Diario” quando Moretti va alla ricerca della tomba di Pasolini. E le immagini in contrasto (almeno per noi romani, che sono difficilmente esportabili) del traffico sulla Colombo, del litorale di Ostia e della casa di partenza del Pigneto. A volte c’è un po’ troppa carne al fuoco, in questo diario di un anno vissuto dalla cattedra. La vita privata di Silvia (che traspare in controluce, tra detto e non detto, con il mitico accenno dell’ex che rivuole i soldi di metà della libreria Billy di Ikea!!). La vita pubblica, cioè l’universo scolastico di una scuola ai margini, di una dove si va perché si deve finire l’obbligo, ma niente di più. Con i docenti “scoglionati”, ma molte volte solo presupponenti e spocchiosi. Con gli alunni il cui unico intento è arrivare in qualche modo alla fine dell’anno (ed in molti non ci arrivano). Con la difficile integrazione verso gli stranieri (rumeni e marocchini; interessante la connotazione sia di Costantin rumeno che non parla italiano ma parla correntemente inglese sia di Nadjette, marocchina che rifiuta il velo). Con il fascismo-qualunquismo di base, che ragiona per stereotipi, ma che è ben difficile contrastare (“xkè noi semo oltre, pressorè!”). Con quelli dei corsi serali, che devono prendere un diploma perché “fa punteggio” (ed il carabiniere Salvatore mi ricorda tanto un Vincenzo dei corsi di arabo). Ecco, ognuno di questi temi poteva essere sbozzato meglio, poteva costituire un elemento, un pilastro di un discorso magari meno ampio ma che portava questa volta sì a ragionare di tutto ciò. Invece un po’ si sorvola, un po’ si accenna. Ed un po’ si cede al tentativo quasi folklorico di descrivere per sommi capi ridenti questi mondi diversi. Come la visita della scolaresca a Montecitorio, che si esalta nella kermesse finale di una visita all’aula, dove non si capisce se i “barbari” sono in tribuna o nella platea. Perché lì, all’alberghiero di Ostia i ragazzi si chiamano Tomas (senza l’acca) o Jessica o Sheila, perché lì si canticchia Gigi D’Alessio e non si sa chi sia Fabrizio De Andrè (ma tutti conoscono Vasco). Si fanno macchiette dei ragazzi, delle bidelle, della preside. Sì, ci può stare. Ma andare avanti solo a macchiette poi lascia un po’il tempo. Ed alla fine si arriva con un po’ di sorriso in fondo alla bocca, ma molto amaro. Come ragionare con questi ragazzi che hanno il mito della forza, che non usano preservativi, che hanno gli amici già in carcere? Li si porta a leggere Pavese o Montale, la Morante o Pasolini. Ma in fondo già sappiamo che saranno tentativi isolati e vani. Si arriva alla fine dell’anno, ci saranno promossi o bocciati. E la professoressa Silvia che chissà il prossimo anno dove avrà l’incarico (e soprattutto, se lo avrà). Alla fine, un onesto tentativo, leggibile, ma non riuscito, che consiglio ai miei amici insegnanti (fa sempre bene, anche se “estremizza”) ed a tutti quelli cui piace Ostia.
David Nicholls “One day” Hodder euro 11,90
[in: 24/08/2011 – out: 03/09/2011]
[tit. originale; ling. or.: inglese; anno 2009]
Nei giorni scandinavi, pur avendone portato una buona riserva, a causa comunque delle limitazioni di peso, ad un certo punto i libri sono finiti. Certo, mi sarebbe piaciuto leggere qualche autore locale, ma nessuna delle tre lingue scandinave è alla mia portata. E mi sembra tuttora un controsenso leggere un autore scandinavo tradotto in inglese. Allora ho optato per un libro che (secondo i giornali locali) è in testa a tutte le classifiche di vendita dei paesi freddi. Perché lì l’inglese lo usano, e fanno anche la Top Ten dei libri in lingua originale. La mia scelta è quindi caduta su questo giorno di David Nicholls. Non conoscevo l’autore inglese, che ho scoperto quarantacinquenne ex-attore e sceneggiatore (studiò in gioventù con Colin Firth). Ed ho scoperto anche (tornando in Italia) che questo suo libro era uscito (tradotto per Neri Pozza) ed era anche piaciuto a qualche mio amico. Buon segno? Probabilmente sì, anche perché l’idea di base, forse già sfruttata altrove, è ben resa da Nicholls. Seguiamo le vicende dei nostri due protagonisti, Dexter ed Emma, in un unico giorno dell’anno, per venti anni dal 1988 al 2007. Sempre e soltanto il 15 luglio. Ci vuole un po’ di tecnica, e questa Nicholls ce l’ha, per farci entrare nel giorno dell’anno seguente, e riassumere (per sommi capi, ma mai in modo pedante) cosa sia successo nell’anno passato. A partire da quel primo venerdì, in cui c’è l’incontro d’amore e di sesso fra i due giovani quasi ventenni. Poi li seguiamo, quasi come alter ego sdoppiati dello stesso Nicholls, nel corso degli anni. Che Dexter entra in televisione, ne viene buttato fuori (come Nicholls dopo la cancellazione dei suoi programmi nel 2002). Che Emma tenta di scrivere per il teatro e recitare, poi comincia a scrivere libri (come David sempre nel 2002). E seguiamo il loro intrecciarsi, perdersi e ritrovarsi. Le vicende dei loro amori, matrimoni e nascite (metto tutto al plurale, così non si sa se parlo di uno di loro o di tutti e due, lasciamo un po’ di suspense). Sempre due facce di una medaglia, con l’aspetto forte, determinato ma fragile, e l’aspetto sbruffone ma insicuro. Un po’perdenti entrambi, ma anche vincenti nel trovare, nel corso degli anni e nella difficoltà di crescere, una loro strada. Ci si domanda se convergerà, ma questo non ve lo posso svelare. Quello che posso dire sono alcune annotazioni lungo il corso del libro: l’inglese discretamente difficile, pieno non tanto di slang (che sarebbe possibile trovare con qualche buon traduttore) ma di neologismi derivanti dalla vita quotidiana in rapporto con i mezzi di comunicazione; la fotografia (o forse il video) di una generazione inglese che passa dagli anni duri della Thatcher al boom laburista per ritrovarsi di nuovo in difficoltà nel nuovo millennio; il carattere di Dexter, che non mi piace, non perché sia molto (troppo) auto-indulgente (chi è che non lo è un po’ con sé stesso?), ma perché sembra sempre trascinato dagli eventi, senza mai prendere una decisione forte, senza mai avere uno straccio di fermezza. Certo è dolce, e fa ridire molto, ma a volte mi sono domandato, perché tutte quelle donne si innamoravano di lui? O facevano sesso con lui? Solo per la sua aura di fama televisiva? E certo ancora, mi è molto più piaciuto quando mette su il suo locale di caffè ed altri alimenti. E la figura di Emma, decisa, determinata, ma che non fa mai un passo per cercare di toccare la sua felicità con mano. Aspetta, aspetta, aspetta. Forse perché lo scrittore è maschio e non sa che anche le donne possono attivarsi alla ricerca della loro anima gemella. Ultima annotazione, la parte finale l’ho trovata un po’ moscia e forse troppo “mocciana”. Avrebbe fatto bene, il nostro buon David, a leggersi qualche pagina di Daria Bignardi su amore e felicità, e forse avrebbe raddrizzato le ultime 80 pagine che mi sono sembrate la parte più debole. Tuttavia, un libro interessante, che consiglio di cercare nell’edizione italiana e di leggere.
“She was discovering once again that reading and writing were not the same – you couldn’t just soak it up then squeeze it out again.” [Stava scoprendo ancora una volta che lettura e scrittura non sono la stessa cosa –non si poteva semplicemente assorbirla e poi spremerla fuori.] (183)
Prima trama di Novembre, mese scorpionico, e torna l’elenco delle letture, questa volta per il mese d’agosto, anche qui intramezzato dal bel viaggio scandinavo, ma allungato dalla lettura degli inediti del Corriere della Sera. Con alcune particolarità: due titoli della stessa autrice letti nello stesso mese, un libro citato anche nelle trame appena riportate, e due libri e tre racconti di buon livello (e nessuno di pessimo).
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Marc Augé
Un etnologo nel metro
Elèutheria
10
4
2
Abraham Yehoshua
L'amante
Repubblica Novecento
4,90
3
3
Èrik Orsenna
Les Chevaliers du Subjonctif
Livre de Poche
6,05
3
4
Silvia Avallone
Acciaio
Rizzoli
s.p.
2
5
Naguib Mahfouz
Il ladro e i cani
Repubblica Novecento
4,90
3
6
Håkan Nesser
L’uomo senza un cane
TEA
9
3
7
Paul Auster
Timbuctù
Einaudi
10,50
4
8
Silvia Avallone
La lince
Corriere della Sera
1
2
9
Sandro Veronesi
Profezia
Corriere della Sera
1
4
10
Fabio Volo
La mia vita
Corriere della Sera
1
3
11
Carlo Lucarelli
Sotto la luna
Corriere della Sera
1
2
12
Daria Bignardi
L’amore del mondo
Corriere della Sera
1
3
13
Benedetta Cibrario
Villa Vallestì
Corriere della Sera
1
4
14
Carlos Ruiz Zafon
Il palazzo della mezzanotte
Mondadori
13
2
15
Piero Colaprico
Arrivano i NAM
Corriere della Sera
1
3
16
Chiara Gamberale
L’amore quando c’era
Corriere della Sera
1
4
17
Andrea Camilleri
La targa
Corriere della Sera
1
2
18
Cristina Comencini
Voi non la conoscete
Corriere della Sera
1
2
19
Silvia Dai Pra’
Quelli che però è lo stesso
Laterza
10
3
Pare ormai al tramonto il natalizio Giappone, sperando si possa riproporre a Pasqua. Ed in attesa che qualcosa si muova, tra Roma e Bologna, si profila all’orizzonte un viaggio avventuroso. Come si avranno notizie, faremo il solito tam – tam.

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