sabato 12 maggio 2012

Donne tra oriente e medio – oriente - 18 settembre 2011

Torniamo un poco alla scrittura al femminile. Con alcuni esempi, direi franco – orientali. Che Leila viene dall'Algeria e scrive in francese, che la Duras è nata in Vietnam ed è anche lei francese, che la Roy è fino all'ultimo indiana, anche se scrive in inglese. Quindi tutte con un piede (o tutti e due) in oriente. Con qualche puntina di delusione. Mi aspettavo di più dall'algerina. Mi aspettavo meno fatica dall'indiana. E finalmente un libro della Duras che mi avvince, pur nella sua difficoltà di scrittura.
Leïla Marouane “Vita sessuale di un fervente musulmano a Parigi” E/O euro 9 (in realtà, scontato 8,10 euro)
[in: 07/11/2010 – out: 10/04/2011]
[tit. La vie sexuelle d’un islamiste à Paris; ling. or.: francese; anno 2006]
Mi aspettavo qualcosa di più « frizzante » ed invece si è rivelato un libro difficile e, date le sue  modalità di scrittura, per me non risolto fino in fondo. Il titolo, e la quarta di copertina, sembrano promettere un racconto che si svolge tra immigrati in quel di Parigi. Ci si immagina una famiglia tradizionale e tradizionalista, con le solite mamme oppressive – apprensive, il figlio devoto e succube, le figlie ribelli più o meno, ed il reprobo, il fulcro della vicenda. Quello che cerca di conciliare oriente ed occidente, cercando il meglio delle due parti e trovandosi a scontrare con le tradizioni da una parte e dall’altra. Questo mi aspettavo. Invece è tutta un’altra storia. Primo perché l’autrice (e questo mi doveva insospettire) è un’algerina, nata in Tunisia perché la famiglia fuggiva dalla guerra di liberazione, vissuta ad Algeri e da lì rifugiata in Francia nel ’90 anche in questo caso per fuggire guerre ed attentati. È anche una scrittrice da sempre impegnata sul fronte delle donne, e della loro emancipazione dai vincoli e dalle coercizioni del mondo islamico. Credo che debba essere trovato e letto il libro del 2005 con il quale vinse il Prix Jean-Claude Izzo (“La Jeune fille et la mère”). E questo ribalta (ovviamente) l’ottica del libro che si ha per protagonista centrale il “fervente mussulmano” del titolo (anche se in francese era “islamiste”) ma serve a mettere alla gogna (e ferocemente) tutti i tentativi di sfruttamento della donna. Per cui, nella ricerca di liberarsi della madre, di trovare una casa in centro a Parigi, e di poter avere una “vita sessuale”, il povero Mohammed incappa in una serie di “mini-racconti” al femminile. Incontra (e quasi sempre al caffè Flore, visto che trova casa vicino a Saint-Germain) la scrittrice eccentrica che si rivela un po’ troppo lesbica, la scultrice che lo usa per una notte, la giovane che cerca di emanciparsi dal padre studiando alla Sorbona. Ma anche le sue tre sorelle, epigone di tre diversi destini. Quella che si mette con un non mussulmano, e viene bandita dalla famiglia. Quella che si mette con un non mussulmano e lo fa convertire, e vive integrata. Quella che si mette con un non mussulmano, viene da questi lasciata, e la famiglia la segrega facendola tornare in patria, con un matrimonio combinato a Blida. E vediamo anche, a fronte delle fatiche (e della non riuscita) dell’emancipazione di Mohammed, la vera libertà e libidine del cugino Driss. Quello che ha due mogli, qualche amante, una vita pubblica riconosciuta. Insomma, quello di successo. Infarcendosi, via via, di luoghi e stereotipi dell’islamitudine: il fratello sempre più buono e devoto, la madre sempre più oppressiva, la marocchina che scaccia il malocchio, il convertito più realista del re. Ed altre macchiette: la portiera portoghese scambiata per una scrittrice algerina, i camerieri dei caffè, l’agente immobiliare, la sparizione degli oggetti dalla nuova casa. Fino alla catarsi finale, che non narro, ma che (con un colpo di scrittura) fa rileggere tutte le vicende in modo diverso (o potrebbe farle rileggere). Ma detto tutto questo, il modo è un modo astioso, rancoroso di scrivere, senza nessuna empatia. Cercando con un gioco perverso di farci diventare simpatici i personaggi narrati per poi metterli alla berlina. Non ci si riesce ad immedesimare con nulla. Credo che siano meglio gli altri romanzi (come quello sopracitato) dove almeno la Marouane si immedesima con le donne protagoniste, dà loro voce per urlare. Qui tenta di esorcizzare il maschilismo islamico, ma non riesce ad essere graffiante come potrebbe. Una prova minore, mi dispiace.
“Facendo il verso al Mario quello de La Terrazza [Gassman nel film di Scola, n.d.t.] mi sono chiesto con un sogghigno se fosse lecito essere felici anche a costo dell’infelicità altrui.” (94)
Arundhati Roy “Il dio delle piccole cose” Repubblica Novecento euro 4,90
[in: 2004 – out: 16/04/2011]
[tit. or.: The God of the Small Things; ling. or.: inglese; anno 1997]
Lettura di preparazione del viaggio pasquale, anche se i cingalesi non sono uguali agli abitanti del Kerala di cui parla la Roy. Sono vicini e simili. Ma volevo leggere qualcosa di atmosfera indiana. E, devo dire, l’atmosfera c’è, ma non mi è piaciuto tantissimo. Si sente che è un romanzo auto-biografico (o semi), si sente la partecipazione dell’autrice (che ha impiegato 5 anni a scriverlo e che poi non ha scritto altri romanzi). Ma non sono entrato in sintonia con il modo di andare su e giù per il tempo, con le tematiche affrontate, con le cose dette e non dette. Il nodo della vicenda è la storia di due gemelli dizigotici (Estha il maschio e Rahel la femmina), colpiti da un avvenimento più grande di loro all’età di 7-8 anni (la morte della cugina Sophie Mol), e rimasti traumatizzati anche ora che si re-incontrano più che trentenni. Il filo conduttore è la scoperta di quanto le piccole cose della vita, a poco a poco si ingrandiscono e modificano il comportamento delle persone così come lo svolgimento della loro vita. Sono piccoli granelli di sabbia, che si mettono di traverso agli ingranaggi e ci portano altrove. Così è per Estha, traumatizzato da un venditore di limonata un po’ sporcaccione, che cerca di mettersi al riparo da futuri traumi, cercando rifugio di là dal fiume, e trasportandovi, giorno dopo giorno, piccole cose che servono per sopravvivere. Aiutato sia dalla gemella Rahel, sia dal paria Velutha, il senza-casta, che si innamora di Ammu, la bella madre dei gemelli. Ma l’amore intra-caste non è consentito nel 1969, ed Ammu viene punita, e lei si rifà urlando il suo dolore ai gemelli, che, per paura, ritengono di dover fuggire nel rifugio di Estha. Ma per non essere scoperti, Sophie, la cugina venuta dall’Inghilterra, figlia di zio Chacko ormai divorziato dall’altera Margaret, in visita nel Kerala essendo morto Joe, il suo secondo padre, vuole essere portata anche lei via. La fuga notturna è funestata dal cattivo tempo, la barchetta che attraversa il fiume si rovescia e Sophie annega. La zia di Ammu, Baby, per salvare l’onore familiare, accusa Velutha della morte ed i due gemelli non riescono a sfuggire alle sue coercizioni. E Chacko, che non perdonerà Ammu, la scaccia di casa. Ed Ammu, che aveva divorziato dal padre dei gemelli, alcolista e manesco, si trova costretta a mandare via Estha, non potendo mantenere due figli. Ed Estha crescerà con il padre, divenendo introverso e muto. E Rahel crescerà con Baby, ma fuggirà ben presto, prima a Delhi, poi in America sposata anche lei con un debole che lascerà presto. Ed ora, a 31 anni, nel 1993, ritornerà nel Kerala, perché sono quasi tutti morti. E si ricongiungerà con Estha. Tutta la vita, tutte le vite, concatenate e srotolate male per colpa di un venditore di limonata. Ma, ovviamente, i bersagli della Roy sono altri e tanti: certo la vita nel Kerala, la lotta alle caste, le costrizioni dell’amore, ma anche il comunismo che nel Kerala (come nel Bengala) riesce per anni a governare, ma spesso con persone poco capaci, o il cristianesimo sirio-ortodosso (molto diffuso proprio nel Kerala, che porta a scelte deleterie la zia Baby e che la Roy visse in casa, essendo la religione materna). Rivisto così, sembra meglio di quanto fosse nel momento della lettura. Ma non posso dimenticare la fatica di andare qua e là nel tempo, di passare dalla prospettiva della bimba di 7 anni al disilluso vedere della donna di 31. Non è riuscito ad avvincermi. Un buon libro, pieno, appunto di giuste accuse ad aspetti deleteri della vita indiana, ma che non mi ha fatto volare. Sarà che con l’Asia continuo ad avere problemi…
“Gli esseri umani sono creature abitudinarie … ed è sorprendente a cosa sono capaci di adattarsi.” (58)
“Lo sai cosa succede quando ferisci le persone? … Quando le ferisci, cominciano a volerti meno bene. Ecco cosa fanno le parole sbadate. Fanno sì che gli altri ti vogliano un po’ meno bene.” (119)
“Dopotutto, è talmente facile mandare in frantumi una storia. Spezzare una catena di pensiero. Sciupare il frammento di un sogno portato in giro con precauzione, come un pezzo di porcellana. Lasciarlo stare, viaggiarci insieme … è fra tutte la cosa più difficile da fare.” (200)
“Il segreto delle Grandi Storie è che esse non hanno segreti. Le Grandi Storie sono quelle che abbiamo già sentito e che vogliamo sentire di nuovo. Quelle in cui possiamo entrare da una parte qualunque e starci comodi. Non ci ingannano con trasalimenti e finali a sorpresa. Non ci sorprendono con l’imprevisto. Ci sono familiari come le case in cui abitiamo. Come l’odore della pelle del nostro amante. Sappiamo in anticipo come vanno a finire, eppure le seguiamo come se non lo sapessimo. Allo stesso modo in cui sappiamo che un giorno dovremo morire, ma viviamo come se non lo sapessimo. Nelle Grandi Storie sappiamo che sopravvive, che muore, chi trova l’amore e chi no. E ciononostante vogliamo sentirle un’altra volta. In questo consiste il loro mistero e la loro magia.” (238)
Marguerite Duras “L'amante” Repubblica Novecento euro 4,90
[in: 2004 – out: 04/05/2011]
[tit. L’amant; ling. or.: francese; anno 1984]
La scrittura è la solita, difficile andata su e giù per la lingua, che a volte mi lascia indietro. Ma il libro è bello, intenso, in alcuni punti folgorante. Ho sempre un rapporto difficile con la scrittrice e non sempre ne sono riuscito ad apprezzare scritti (come l’ultimo recensito su Occhi blu…). Qui in definitiva però mi è piaciuta, soprattutto per lo sforzo autobiografico di ricostruire, più di cinquanta anni dopo, una vicenda di formazione della giovane Marguerite. Siamo intorno agli anni 30, in Indocina, e lì, sulle rive del Mekong sboccia l’amore proibito tra la quindicenne francese ed il ricco e trentenne cinese. Amore proibito dalle convenzioni, dall’età dei protagonisti, osteggiato dalle due famiglie, inviso alla società coloniale che comunque non accetta relazioni tra asiatici ed europei. Il racconto, tutto in prima persona, senza dialoghi, va su e giù tra le vicende, tra le piccole cose della vita, ma non è solo un racconto d’amore o sull’amore. Perché è un racconto sulla vita della giovane francese sperduta nella landa indocinese. E dove la Duras racconta i piccoli e grandi drammi della sua vita: l'odio per il fratello maggiore, il rapporto conflittuale con la madre e l'omosessualità latente della stessa Duras nei confronti dell'amica Heléne. Sono folgoranti alcuni momenti (il primo traghetto sul fiume, alcune scene d’amore con il bel cinesino, il cappello da uomo in testa a Marguerite, il ritorno in Francia, la morte senza riappacificazione con la madre). E molto spesso non sono le vicende ad essere narrate, ma il modo in cui la scrittrice le vive, il modo in cui le racconta ed è sul filo dell’immaginazione che la Duras ritrova sé stessa a 16 anni. Ed è forte e duro il modo in cui esce fuori il rapporto con la madre. Ah quanto sarebbe stato bello, utile dirsi tutto in faccia, magari urlando, invece di andare avanti tra tutte le cose non dette. Ma detto di questi punti a favore, rimane questo modo di uscire dal narrato, di non concludere, di saltare qua e là nel tempo e nello spazio, senza in realtà volere (riuscire) a chiudere tutti i discorsi aperti. È qui che la scrittura si fa difficile, è qui che, a volte, perdo un po’ il filo e non riesco ad esprimere un giudizio totalmente positivo sul libro. Ma è stato utile leggerlo (ed anche veloce, che il racconto non tocca le 100 pagine). Questo, sì, un classico del Novecento (e niente a che vedere con l’orrendo film che poi se ne è tratto).
“Sono come voglio apparire, anche bella se gli altri lo vogliono, o carina … insomma posso diventare come gli altri vogliono che sia.” (19)
“Fin dai primi giorni [del nostro amore], sapendo che è impossibile un avvenire in comune, eviteremo di parlare dell’avvenire.” (43)
Abbiamo ben girato la boa di metà mese, ma poco si è fin qui concluso. Molte le mancanze, soprattutto di volontà. Ma anche qualche fattore esterno, come questo mal di fondo schiena che da una settimana mi costringe quasi a letto. Una bella cura di Voltaren e tutto passa. Una bella cura di volontà, e vediamo di essere più ottimisti da stasera.

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