lunedì 7 maggio 2012

Italiani non mondadoriani - 07 agosto 2011

In questa che forse è una delle ultime trame estive, vedremo un po’, rimaniamo ancora in Italia, e magari con qualcosa di giallo intorno. Ma con un po’ di respiro ampio, lasciamo da parte Mondadori & C, e ci dedichiamo a editori più consoni. Un Marcos y Marcos, che fa sempre piacere che scova piccoli gioiellini nascosti. Un Sellerio, che non fa mai male. Ed uno dei tanti noir di Repubblica, con i vari alti e bassi delle scelte editoriali.
Cominciamo con un molteplice omaggio, alle librerie, ai gialli ed ai loro estimatori.
Lello Gurrado “Assassinio in libreria” Marcos y Marcos euro 12 (in realtà, scontato 8,40 euro)
[in: 13/10/2010 – out: 19/02/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2008]
Una specie di multiplo omaggio. Comperato per festeggiare la riapertura di Feltrinelli Repubblica dopo mesi di chiusura, un libro che è stato scritto per “festeggiare” la chiusura di una bellissima libreria, la Libreria del Giallo di Milano, gestita dalla bravissima Tecla Dozio. E pieno di scrittori gialli dalla prima all’ultima riga. Un grande divertissement, non stravolgente la letteratura mondiale, ma capace di termini sulle spine per vedere come si muovevano i vari personaggi. Tanto che l’ho letto in una notte! Non conoscevo il giornalista Natale detto Lello, settantino barese emigrato da sempre a Milano. Ma mi ha divertito, con i suoi alti e bassi dello scrivere, senza essere né troppo pedante, né troppo “riverente” (quando si mette in campo un Camilleri che indaga si rischia grosso). Il meccanismo è semplice ed intrigante: alla festa per i dieci anni della libreria sono invitati tutti i giallisti italiani in un ricevimento informale nella libreria. E vi si trovano tutti i miei scrittori, Camilleri, Lucarelli, Carlotto, Fois, la Vallorani, Faletti, Pinketts, Colaprico, Biondillo (tanto per citare a memoria quelli che ricordo). E poi gli appassionati che da sempre frequentano via Peschiera. Non ultimo (e non vi dirò chi è) l’assassino che con il cianuro uccide la Tecla. Ad un certo punto arriveranno anche gli stranieri, Lansdale, Connelly, Mankell, la George, la Vargas, Taibo II ed altri. Ma questa è la presenza un po’ “inutile”. Una celebrazione, ma poco funzionale alla storia, se non per ribadire la conoscenza e frequentazione di tali scrittori, e sottolinearne gli inevitabili tic. Dalla morte di Tecla si diparte il duplice binario della storia. Le gesta dell’assassino da una parte, e l’inchiesta condotta sì dalla magistratura e dalla polizia, ma dove una loro parte non da poco fanno i giallisti ed i risolutori di misteri. Misteri che inducono a coinvolgere anche personaggi esterni, ma sempre a me cari, non ultimo l’ottimo Bartezzaghi (manca solo il buon Ennio, ma siamo a Milano e non a Roma). Il divertissement è far agire gli scrittori come i loro personaggi eponimi, in un gioco di specchi e di rimandi. Quindi, mentre tutti si danno da fare alla ricerca della soluzione, vediamo in controluce entrare in scena il commissario Montalbano, Lazzaro Santandrea, il commissario Binda, l’ispettore De Luca. Qualche pezzo salta (mi sarebbe piaciuto vedere anche l’Alligatore, ma non si può avere tutto). E di passaggio in passaggio, alla fine tutto si scioglie ed i fili si snodano abbastanza piacevolmente. Mi è rimasto un solo dubbio per tutto il libro: ma è così facile procurarsi del cianuro che nessuno ha pensato come poteva averlo trovato l’assassino? Che questo è l’unico filone di cui non si accenna mai durante l’indagine. Alla fine, in ogni caso, un bel divertimento di testa, dove non posso non citare un altro punto positivo del buon Lello: una pagina deliziosa dedicata al grande Sanatonio, mitico ispettore francese che accompagnò le mie prime frequentazioni parigine, aiutandomi a capire la lingua ed a farmi innamorare del noir. Ti tengo d’occhio, Gurrado!
E continuiamo con un doppio Camilleri, che non guasta mai.
Andrea Camilleri “Il tailleur grigio” Noir Repubblica euro 7,90
[in: 30/06/2010 – out: 01/04/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2008]
Ma quale nero! A me pare un romanzo di rimpianti. Dopo molte resistenze dovute all’urgenza di altre letture (unita al fatto che, spesso, almeno nell’ultima produzione, il Camilleri senza Salvo non mi piace tanto) finalmente leggo il primo volume della serie dello scorso anno di Repubblica Noir. Diciamo subito (anzi, lo ripeto) queste operazioni commerciali mi stanno stufando. Come si può contrabbandare per nero un libretto dove non ci sono morti “seri”, non ci sono ammazzatine, al più c’è un senso di “signora del male” che accompagna la seconda moglie del protagonista. E tutto il noir si concentra: a) nella copertina; b) nel risvolto di copertina dove l’ignoto estensore paragona Adele alle donne fatali di Maupassant e di Pierre Louÿs ed altri ottocenteschi francesi. Mi sembra poco e fuorviante. La narrazione in sé (in quel vigatese che abbaiamo ormai imparato a conoscere) narra della breve vita felice (come direbbe Hemingway) di un funzionario di banca, preso nel giorno della sua andata in pensione. Momento di bilanci e di slanci. Si fanno i conti con la vita passata, con le decisioni (sul filo della legge) che un (alto) funzionario di banca siciliano deve prendere per mantenersi (più o meno) al di qua della legge. Si fanno i conti con il figlio sposato ed in attesa, ma lontano, nella nebbia londinese, figlio di primo letto, fuggito dalla Sicilia ingrata all’invaghirsi il padre della giovane vedovella Adele. Si fanno i conti con la morte della prima moglie. E con la storia d’amore (appassionata e dolente, meritevole forse di un’analisi migliore della mia penna su motivi che spingono ad avvicinarsi e rimanere attaccati esseri di mondi lontanissimi) con la bellissima Adele. Vedova di un suo sottoposto inutile, schiantatosi in moto. Vedova che tutti concupiscono, ma che solo lui, triste ma rispettoso, riuscirà ad impalmare. Cominciando una vita pubblica di grande effetto. Lui funzionario e redine economica della casa. Lei patrocinante tutte le cause pubbliche, presenzialista, e poi, dati i non pochi trentanni di differenza, grande fattrice di ramificazioni cornificanti sulla testa del funzionario. Che accetta, perché … perché ci sono cose difficili da spiegare, e poi nei suoi confronti è sempre premurosa. E non mette più quel tailleur grigio che indossava al funerale del primo marito. E rimane premurosa quando al funzionario pensionato come a molte persone di quell’età viene un piccolo cancro alla prostata. E lo cura ed accudisce finché lui non guarisce. Rimetterà il tailleur grigio quando lui ritorna a casa dall’ospedale? Lasciamo ai pochi lettori di scoprire la fine della trama. Ma, appunto, come sopra indicato, non un nero, ma un libro di rimpianti, di ricordi, di cose che sono successe, di somme da tirare e conti da far quadrare. Soprattutto con sé stessi. Non mi è piaciuto come libro in sé, non mi è piaciuto come libro di Camilleri, mi piace domandarmi alla fine se saremo capaci, prima o poi, di avere l’onestà di fare due conti. Ah, saperlo.
Andrea Camilleri “Gran Circo Taddei e altre storie di Vigata” Sellerio euro 14 (regalato a mamma)
[in: 01/04/2011 – out: 08/04/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2011]
Racconti, e già questa da qualche punto in meno. Quasi tutti leggibili (forse l’ultimo…) ma un gran sottotono. Vedremo. 8 racconti di una quarantina di pagine ognuno. La costruzione risulta decente, hanno un loro ritmo, molto dovuto alla lingua vigatese che viene usata. Ed anche la maggior parte vi è anche ambientata. Ed ambientata sempre negli anni del fascismo. Solo uno è totalmente fuori Vigata, tutto si svolge a Palermo, ed è il penultimo in ordine di gradevolezza. Il peggiore, come detto, è l’ultimo che sembra quasi voler tirar via le pagine, senza un costrutto reale. Altri poi gli elementi di comunanza. In quasi tutti ci sono storie se non proprio d’amore e di sesso, dove però l’elemento rapporto uomo – donna ha un suo peso nell’equilibrio della vicenda. Ma non vorrei trattarne isolatamente, che poco senso ha dirne la trama o le invenzioni o i meccanismi di costruzione di suspense o di scioglimento della vicenda (mai del mistero che non siamo nel lato giallo del siracusano). Ma li penso come ad un corpus unico, quasi un tentativo di trasportare in terra siciliana vicende diverse co-ambientate. Del tipo di quelle scritte dal buon Andrea Vitali per il suo micro-cosmo sul lago di Como. Questo però mi fa tornare in mente quanto siano di minor efficace le storie senza Montalbano. Che il commissario da una sua robustezza all’intreccio, anche nelle sue prove minori. Camilleri, nei primi libri pre-Montalbano aveva ancora forza, vigore, idee, curiosità. Insomma, era una lettura piacevole ed intelligente (rammento sempre le risate con “Il birraio di Preston”). Poi si è un po’ involuto. E, continuo a pensarlo anche di queste, sembra diventato una macchina da produzione. Una fattoria dove il quasi novantenne scrittore butta là delle ideuzze, e quale baldo giovane ne trae storie e storielle. Che poi l’autore sciacqua e risciacqua. Ma che alla fine risultano annacquanite assai. Così queste, dove c’è qualcuno che si innamora, qualcuno che viene messo alla berlina, qualche scherzo feroce, qualche risatina. E tuttavia non si affonda mai. Rimane tutto in superficie. Sì, il tocco di Camilleri si avverte quando fa intervenire qualche elemento imprevisto, qualche scivolata che non ti aspetti. Però niente risate, niente ammiccamenti, niente godimenti intellettuali tampoco. Non che ci si aspetti sempre “alte vette”, ma non mi accontento di queste pur lussureggianti pianure. Speriamo nel ritorno presto ed alto del commissario. Intanto, pregherei la Sellerio di licenziare in tronco il perfido Salvatore Silvano Nigro, che mi deve spiegare dove ha visto “la costruzione cinematografica di Tarantino” in queste vicende. Ma si vada a leggere Bunker per capirne qualcosa.
Beh, qualche sassolino dalle scarpe me li sono levati. Serviranno? Non si mai, intanto servano a me che sono più contento. Sperando che venga meno umido nei prossimi giorni.

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