In questa che forse è una delle
ultime trame estive, vedremo un po’, rimaniamo ancora in Italia, e magari con
qualcosa di giallo intorno. Ma con un po’ di respiro ampio, lasciamo da parte
Mondadori & C, e ci dedichiamo a editori più consoni. Un Marcos y Marcos,
che fa sempre piacere che scova piccoli gioiellini nascosti. Un Sellerio, che
non fa mai male. Ed uno dei tanti noir di Repubblica, con i vari alti e bassi
delle scelte editoriali.
Cominciamo con un molteplice
omaggio, alle librerie, ai gialli ed ai loro estimatori.
Lello Gurrado “Assassinio in libreria”
Marcos y Marcos euro 12 (in realtà, scontato 8,40 euro)
[in: 13/10/2010 – out: 19/02/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2008]
Una specie di multiplo omaggio.
Comperato per festeggiare la riapertura di Feltrinelli Repubblica dopo mesi di
chiusura, un libro che è stato scritto per “festeggiare” la chiusura di una
bellissima libreria, la Libreria del Giallo di Milano, gestita dalla bravissima
Tecla Dozio. E pieno di scrittori gialli dalla prima all’ultima riga. Un grande
divertissement, non stravolgente la letteratura mondiale, ma capace di termini
sulle spine per vedere come si muovevano i vari personaggi. Tanto che l’ho
letto in una notte! Non conoscevo il giornalista Natale detto Lello, settantino
barese emigrato da sempre a Milano. Ma mi ha divertito, con i suoi alti e bassi
dello scrivere, senza essere né troppo pedante, né troppo “riverente” (quando
si mette in campo un Camilleri che indaga si rischia grosso). Il meccanismo è
semplice ed intrigante: alla festa per i dieci anni della libreria sono
invitati tutti i giallisti italiani in un ricevimento informale nella libreria.
E vi si trovano tutti i miei scrittori, Camilleri, Lucarelli, Carlotto, Fois,
la Vallorani, Faletti, Pinketts, Colaprico, Biondillo (tanto per citare a
memoria quelli che ricordo). E poi gli appassionati che da sempre frequentano via
Peschiera. Non ultimo (e non vi dirò chi è) l’assassino che con il cianuro
uccide la Tecla. Ad un certo punto arriveranno anche gli stranieri, Lansdale,
Connelly, Mankell, la George, la Vargas, Taibo II ed altri. Ma questa è la
presenza un po’ “inutile”. Una celebrazione, ma poco funzionale alla storia, se
non per ribadire la conoscenza e frequentazione di tali scrittori, e
sottolinearne gli inevitabili tic. Dalla morte di Tecla si diparte il duplice
binario della storia. Le gesta dell’assassino da una parte, e l’inchiesta
condotta sì dalla magistratura e dalla polizia, ma dove una loro parte non da
poco fanno i giallisti ed i risolutori di misteri. Misteri che inducono a
coinvolgere anche personaggi esterni, ma sempre a me cari, non ultimo l’ottimo
Bartezzaghi (manca solo il buon Ennio, ma siamo a Milano e non a Roma). Il
divertissement è far agire gli scrittori come i loro personaggi eponimi, in un
gioco di specchi e di rimandi. Quindi, mentre tutti si danno da fare alla
ricerca della soluzione, vediamo in controluce entrare in scena il commissario
Montalbano, Lazzaro Santandrea, il commissario Binda, l’ispettore De Luca.
Qualche pezzo salta (mi sarebbe piaciuto vedere anche l’Alligatore, ma non si
può avere tutto). E di passaggio in passaggio, alla fine tutto si scioglie ed i
fili si snodano abbastanza piacevolmente. Mi è rimasto un solo dubbio per tutto
il libro: ma è così facile procurarsi del cianuro che nessuno ha pensato come
poteva averlo trovato l’assassino? Che questo è l’unico filone di cui non si
accenna mai durante l’indagine. Alla fine, in ogni caso, un bel divertimento di
testa, dove non posso non citare un altro punto positivo del buon Lello: una
pagina deliziosa dedicata al grande Sanatonio, mitico ispettore francese che
accompagnò le mie prime frequentazioni parigine, aiutandomi a capire la lingua
ed a farmi innamorare del noir. Ti tengo d’occhio, Gurrado!
E continuiamo con un doppio
Camilleri, che non guasta mai.
Andrea Camilleri “Il tailleur grigio” Noir
Repubblica euro 7,90
[in: 30/06/2010 – out: 01/04/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2008]
Ma quale nero! A me pare un
romanzo di rimpianti. Dopo molte resistenze dovute all’urgenza di altre letture
(unita al fatto che, spesso, almeno nell’ultima produzione, il Camilleri senza Salvo
non mi piace tanto) finalmente leggo il primo volume della serie dello scorso
anno di Repubblica Noir. Diciamo subito (anzi, lo ripeto) queste operazioni
commerciali mi stanno stufando. Come si può contrabbandare per nero un libretto
dove non ci sono morti “seri”, non ci sono ammazzatine, al più c’è un senso di
“signora del male” che accompagna la seconda moglie del protagonista. E tutto
il noir si concentra: a) nella copertina; b) nel risvolto di copertina dove
l’ignoto estensore paragona Adele alle donne fatali di Maupassant e di Pierre
Louÿs ed altri ottocenteschi francesi. Mi sembra poco e fuorviante. La
narrazione in sé (in quel vigatese che abbaiamo ormai imparato a conoscere)
narra della breve vita felice (come direbbe Hemingway) di un funzionario di
banca, preso nel giorno della sua andata in pensione. Momento di bilanci e di
slanci. Si fanno i conti con la vita passata, con le decisioni (sul filo della
legge) che un (alto) funzionario di banca siciliano deve prendere per
mantenersi (più o meno) al di qua della legge. Si fanno i conti con il figlio
sposato ed in attesa, ma lontano, nella nebbia londinese, figlio di primo
letto, fuggito dalla Sicilia ingrata all’invaghirsi il padre della giovane
vedovella Adele. Si fanno i conti con la morte della prima moglie. E con la
storia d’amore (appassionata e dolente, meritevole forse di un’analisi migliore
della mia penna su motivi che spingono ad avvicinarsi e rimanere attaccati
esseri di mondi lontanissimi) con la bellissima Adele. Vedova di un suo sottoposto
inutile, schiantatosi in moto. Vedova che tutti concupiscono, ma che solo lui,
triste ma rispettoso, riuscirà ad impalmare. Cominciando una vita pubblica di
grande effetto. Lui funzionario e redine economica della casa. Lei patrocinante
tutte le cause pubbliche, presenzialista, e poi, dati i non pochi trentanni di
differenza, grande fattrice di ramificazioni cornificanti sulla testa del
funzionario. Che accetta, perché … perché ci sono cose difficili da spiegare, e
poi nei suoi confronti è sempre premurosa. E non mette più quel tailleur grigio
che indossava al funerale del primo marito. E rimane premurosa quando al
funzionario pensionato come a molte persone di quell’età viene un piccolo
cancro alla prostata. E lo cura ed accudisce finché lui non guarisce. Rimetterà
il tailleur grigio quando lui ritorna a casa dall’ospedale? Lasciamo ai pochi
lettori di scoprire la fine della trama. Ma, appunto, come sopra indicato, non
un nero, ma un libro di rimpianti, di ricordi, di cose che sono successe, di
somme da tirare e conti da far quadrare. Soprattutto con sé stessi. Non mi è
piaciuto come libro in sé, non mi è piaciuto come libro di Camilleri, mi piace
domandarmi alla fine se saremo capaci, prima o poi, di avere l’onestà di fare
due conti. Ah, saperlo.
Andrea Camilleri “Gran Circo Taddei e altre
storie di Vigata” Sellerio euro 14 (regalato a mamma)
[in: 01/04/2011 – out: 08/04/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2011]
Racconti, e già questa da qualche
punto in meno. Quasi tutti leggibili (forse l’ultimo…) ma un gran sottotono.
Vedremo. 8 racconti di una quarantina di pagine ognuno. La costruzione risulta
decente, hanno un loro ritmo, molto dovuto alla lingua vigatese che viene
usata. Ed anche la maggior parte vi è anche ambientata. Ed ambientata sempre
negli anni del fascismo. Solo uno è totalmente fuori Vigata, tutto si svolge a
Palermo, ed è il penultimo in ordine di gradevolezza. Il peggiore, come detto,
è l’ultimo che sembra quasi voler tirar via le pagine, senza un costrutto
reale. Altri poi gli elementi di comunanza. In quasi tutti ci sono storie se
non proprio d’amore e di sesso, dove però l’elemento rapporto uomo – donna ha
un suo peso nell’equilibrio della vicenda. Ma non vorrei trattarne
isolatamente, che poco senso ha dirne la trama o le invenzioni o i meccanismi
di costruzione di suspense o di scioglimento della vicenda (mai del mistero che
non siamo nel lato giallo del siracusano). Ma li penso come ad un corpus unico,
quasi un tentativo di trasportare in terra siciliana vicende diverse co-ambientate.
Del tipo di quelle scritte dal buon Andrea Vitali per il suo micro-cosmo sul
lago di Como. Questo però mi fa tornare in mente quanto siano di minor efficace
le storie senza Montalbano. Che il commissario da una sua robustezza
all’intreccio, anche nelle sue prove minori. Camilleri, nei primi libri
pre-Montalbano aveva ancora forza, vigore, idee, curiosità. Insomma, era una
lettura piacevole ed intelligente (rammento sempre le risate con “Il birraio di
Preston”). Poi si è un po’ involuto. E, continuo a pensarlo anche di queste,
sembra diventato una macchina da produzione. Una fattoria dove il quasi
novantenne scrittore butta là delle ideuzze, e quale baldo giovane ne trae
storie e storielle. Che poi l’autore sciacqua e risciacqua. Ma che alla fine
risultano annacquanite assai. Così queste, dove c’è qualcuno che si innamora,
qualcuno che viene messo alla berlina, qualche scherzo feroce, qualche
risatina. E tuttavia non si affonda mai. Rimane tutto in superficie. Sì, il
tocco di Camilleri si avverte quando fa intervenire qualche elemento
imprevisto, qualche scivolata che non ti aspetti. Però niente risate, niente
ammiccamenti, niente godimenti intellettuali tampoco. Non che ci si aspetti
sempre “alte vette”, ma non mi accontento di queste pur lussureggianti pianure.
Speriamo nel ritorno presto ed alto del commissario. Intanto, pregherei la
Sellerio di licenziare in tronco il perfido Salvatore Silvano Nigro, che mi
deve spiegare dove ha visto “la costruzione cinematografica di Tarantino” in
queste vicende. Ma si vada a leggere Bunker per capirne qualcosa.
Beh, qualche sassolino dalle
scarpe me li sono levati. Serviranno? Non si mai, intanto servano a me che sono
più contento. Sperando che venga meno umido nei prossimi giorni.
Nessun commento:
Posta un commento