domenica 27 maggio 2012

L’inverno degli inediti estivi/1 - 08 dicembre 2011

Cominciamo, in questa festa infrasettimanale, a prendere in esame la collana uscita da giugno in poi, in allegato al Corriere della Sera, e dedicata, come dice il titolo, a “Inediti d’Autore”. In genere sono racconti, per questo ne prendo in esame dosi massicce e non omeopatiche. Che a volte sono brevi, ed a volte non particolarmente interessanti. Certo, qualche autore nuovo mi si è presentato. E qualcuno che conoscevo ha dato, nel bene o nel male, prova di sé.
In questa prima infornata, ritroviamo la da poco letta Avallone (che ancora mi lascia dubbioso), un ottimo Veronesi, un buon Volo, un inutile Lucarelli, una buona prova sia della Bignardi che della Gamberale che non conoscevo, un sufficiente Colaprico ed una delusione con la Comencini. Comunque autori, che, più o meno, sono presenti nelle mie liste di lettura.
Silvia Avallone “La lince” Corriere della Sera euro 1
[in: 27/05/2011 – out: 17/08/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2011]
Il primo libro della collana “Inediti d’autore” del Corriere della Sera che ho comprato ed ora letto. Non il primo uscito, ma il secondo, che il primo di Saviano me lo sono lasciato sfuggire ed ora sono mesi che lo inseguo senza successo. Ho appena finito “Acciaio”, il libro super premiato della Avallone, e non ne ho parlato benissimo, anche se rimane interessante. Qui ribadisco il giudizio. Non è che mi piace molto la sua scrittura. Non solo, ma qui, nella brevità del racconto, non riesce neanche a distendere le lunghe falcate di descrizioni ed atmosfere. Qui bisogna essere concisi. Ma la storia del “tosto” rapinatore a tutto servizio che ad un certo punto si intenerisce per un ragazzo sbandato, non regge molto. Senza cadere nelle idiozie del risvolto che cerca di nobilitare lo scritto come fosse una moderna “Morte a Venezia” traslata in autostrada, certo è che la Avallone sempre su ambigui rapporti mono - sesso si trascina. Non si capisce (non si vuole capire) se ci sia omosessualità o meno, si lascia un po' in penombra. Ma la storia regge fino ad un certo punto. Il duro Piero sembra sempre sul punto di cadere un po’ nel ridicolo. Ed i suoi tormenti ci lasciano freddini. Solo capiamo e comprendiamo il ragazzo che poi lo manda via quando Piero disobbedisce ad un suo desiderata. Il tradimento è sempre la cosa peggiore nei rapporti tra le persone. Ma poi il percorso di Piero, le rapine, Maria, le battute finali che vogliono dire e non dire, mi hanno lasciato molto distante. Niente coinvolgimenti. Nessuna aspettativa particolare. E poi sopporto malamente quando le storie saltabeccano qua e là senza un motivo apparente, solo per far dire all’autore: guarda come sono brava a gestire il mio scritto. Insomma, seconda prova e secondo rinvio a settembre. Vediamo se la Avallone riuscirà prima o poi a risolvere i suoi debiti formativi (ovviamente verso il mio immaginario, che comunque è una brava e degna scrittrice per i suoi ventisette anni).
Sandro Veronesi “Profezia” Corriere della Sera euro 1
[in: 27/05/2011 – out: 18/08/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2011]
In attesa di capire se mi va di leggere il suo ultimo libro, ritrovo nell’interessante collana degli Inediti del Corriere della Sera un racconto di Veronesi. Prima di tutto un plauso a questa forma racconto, che sfrutta al meglio questo strumento (ricordo sempre a me non congeniale). È un racconto ben costruito, anche se si snoda come un lungo monologo rivolto direttamente al lettore. Veronesi sfrutta questo artificio per costruire un suo gioco delle parti. Il nodo del racconto è il rapporto tra l’io narrante ed il padre. Padre malato, morente, e poi morto. Avrebbe un diverso impatto se si mettesse a snocciolare i fatti e gli avvenimenti che compongono gli ultimi tempi della vita del genitore. Ben più efficace ho trovato questo modo di affrontarlo. Che tutti hanno avuto o avranno (spero il più tardi possibile) un impatto con la morte dei propri cari. E sicuramente quello verso il padre è un impatto che non solo ritengo in generale duro da affrontare, ma che, avendolo vissuto da non molto, mi rimanda echi personali non ancora (forse mai) sopiti. E nonostante tutto quello che ci diciamo prima di affrontare questi tremendi passi, sarà sempre nuovo, doloroso, dilaniante il viverlo. Da poco è morta la madre dell’io scrivente. Ed è stata una morte dolorosa, dilaniante. Ora che a pochi mesi anche il padre imbocca lo stesso percorso, l’io narrante si auto-convince che non farà gli stessi errori. Che riuscirà a condurre in porto la vicenda con le minori sofferenze per tutti. Ma non sarà, non potrà mai essere così. Ognuno è diverso, ed anche il rapporto con i genitori è diverso. E se non si è riusciti prima a pacificarsi con loro (che sempre bisognerà trovare una via di pacificazione) non sarà durante il dolore che ci si riuscirà. Spero che mia madre continui ad andare avanti il più a lungo possibile. Ma leggere queste pagine è stato un pugno allo stomaco ed un ripensamento di tutte le convinzioni che ho accumulato in questi ultimi tre anni. Sarà sempre e comunque difficile e doloroso affrontare la morte di qualcuno. Non ne saremo mai preparati. Questo il messaggio forte e dolente che mi rimanda Veronesi, in queste sessanta pagine strazianti, anche laddove non potrà mancare l’ironia. Il migliore dei racconti inediti che ho letto.
Fabio Volo “La mia vita” Corriere della Sera euro 1
[in: 27/05/2011 – out: 19/08/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2011]
Come al solito (a volte tendo a ripetermi…) a me la scrittura di Fabio Volo piace. Non è mai troppo banale o piana, anche senza essere troppo cerebrale. Ed i suoi libri scorrono piacevolmente, a volte lasciando in testa domande e pensieri. Come al solito (tendo anche qui a ripetermi) non sono mai convinto fino in fondo quando un uomo si immerge nell’universo femminile scrivendo “da donna”. Ed ovviamente viceversa. Mi sembra sempre che manchi qualcosa. O che ci sia qualcosa che non si riesca ad esprimere fino in fondo. Bene, qui abbiamo esattamente questa situazione. Un lungo monologo di una donna che cerca di comprendere l’avvicendarsi di una serie di situazioni che l’hanno portata ad un matrimonio un tempo felice, poi sempre meno, ed ora è qui, nella casa sul mare del prossimo ex-marito per prendere qualcosa che le appartiene (e non vi dirò cosa), lasciandosi andare ai ricordi, ripercorrendo le tappe di questa sua agnizione. Un lungo percorso, questa donna che sperava – pensava al principe azzurro, che pensava una cosa l’amore una cosa il sesso, che annullava tutta se stessa per essere di complemento al suo uomo. Il marito che è bello, vincente, con una bella famiglia alle spalle, piena di soldi. Una di quelle famiglie che, appunto, pensano tutto si risolva con i soldi. Mentre lei ha poco. Forse solo il ricordo di un padre che non c’è più e che l’aveva sempre trattata da uguale, facendola crescere anche attraverso errori e follie. Ed una volta presa coscienza, lei non si tira più indietro. Non si può comprare la felicità. Ma si può resistere alla tentazione di vendere la serenità. Insomma, un bell’argomento, sempre di attualità. Rimane il dubbio espresso all’inizio. Mi piacerebbe sentire una voce femminile che commenta questo percorso. Ci si ritrova? È così? Io resto sui miei dubbi, ma sono pronto a discuterne. Comunque un bel racconto, nel gruppo di testa dei migliori di questa collana.
Carlo Lucarelli “Sotto la luna” Corriere della Sera euro 1
[in: 27/05/2011 – out: 21/08/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2011]
Ci sono autori che ad un certo punto si imbattono in un filone, e decidono di rimanerci attaccati, nel bene e nel male. Questo mi è sembrato il percorso di Lucarelli, che, dopo le prove a me care sia di Coliandro che di Almost Blue e compagnia, passando per i Misteri d’Italia, da me volutamente ignorati, si imbatte nelle guerre d’Africa degli Italiani. Ed ecco che comincia a sfornare racconti e romanzi su questo argomento, o comunque avendo questo scenario come sfondo. L’anno scorso produsse un comunque discreto Ferengi. Poi uscì l’ottava vibrazione e mi è sembrata discreta. Ora mi sembra che non solo si ripeta troppo, ma che vada esaurendo le idee, o cercando di mescolarle. Siamo sempre sul finire del XIX secolo, l’Italia va alla conquista di “un posto al sole” come dirà anni dopo Mussolini. Intanto, militari ed altri si intruppano in Abissinia, nella lunga guerra che porterà alla sconfitta di Adua. Anche qui ci fornisce un bozzetto di quella guerra, con il militare che cerca la battaglia per rinverdire fasti familiari. E si imbatte in uno strano tenente, che con pochi ascari, fa strage di nemici. Il nostro chiede di entrare nello squadrone delle vendette. E qui Lucarelli perde il filo, mescolando fatti e sensazioni descrivibili e comprensibili, con elementi “sovrannaturali” o comunque irrazionali. Cosa pensate ci si possa aspettare da un titolo come questo, quando il tenente colonnello, da solo, con la luna piena, assalta e distrugge anche senza armi una città nemica? Sì, è proprio quello che pensate. Una scritturina che strizza l’occhio a John Landis. E dopo una cinquantina di pagine un po’ tirate via, cerca di nobilitare il tutto facendo del tenente Marconi un giornalista che gira per l’Europa incontrando gli scrittori che in quel periodo parlavano di questi strani casi. I Bierce e i Lovercarft, i Conan Doyle ed altri, andando a disturbare il buon Pirandello e “i mali di luna”. Un tentativo miserello di nobilitare un raccontino povero. È ora di cambiare registro, Lucarelli. O di inventarne uno nuovo. Così ci si va esaurendo nelle secche del banale.
Daria Bignardi “L’amore del mondo” Corriere della Sera euro 1
[in: 27/05/2011 – out: 23/08/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2011]
Prima lettura di uno scritto della Bignardi. Con senza dubbio dei buoni risultati. Qui siamo dalle parti del racconto puro, quindi con un po’ di titubanza da parte mia per due noti motivi: la mia riluttanza alla forma-racconto e la presenza di un’autrice ancora ignota. Poteva portarmi verso il rifiuto. Invece… Invece mi è piaciuto. Un buon ritmo, una buona alternanza di scrittura, dove si passa tra il soggettivo del personaggio centrale del romanzo, mamma moderna piena di impegni con famiglia a carico, ai personaggi di contorno: la figlia Maddalena detta Maddi, il marito, che sì rimane un po’ in ombra, ma forse ha un ruolo più importante di quello che sembra a prima vista. Il momento scatenante è l’herpes che compare sul labbro della nostra eroina, che la costringe a fermarsi un attimo, a riflettere sulla sua vita. Perché un herpes è segno che il corpo si indebolisce. E se si indebolisce il corpo anche lo spirito vacilla. Riflette allora sulle scelte fatte, da quella di abbandonare il negozio di animali per sposare Paolo, a quella di lasciare la redazione della rivista, che dopo la Maddi sono venuti i gemelli, e tre figli non sono uno scherzo. Il fatto che a poco a poco le passa la voglia di ridere e scherzare. Che guardando il lago pensa a come entrarci dentro, quasi a ricalcare le orme di una Virginia Woolf rimodernata. E dopo l’herpes la distrazione che la porta a rompersi una gamba. L’incontro con l’altra ammalata che la costringe alla riflessione ed a domandarsi, veramente, cosa sia e cosa intende fare di sé stessa. Perché dentro di sé ha tanto amore, per tutti, ma è come se ad un certo punto ci si fosse messo un tappo, e non se ne venga più fuori. Riuscirà la nostra a togliere quel tappo? A guarire dall’incidente e riprendere a camminare? Queste sono domande cui risponde Daria, non io. E che vi invito a percorrere. Insomma, una buona prova che invoglia a leggerne ancora.
Piero Colaprico “Arrivano i NAM” Corriere della Sera euro 1
[in: 27/05/2011 – out: 27/08/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2011]
Continuo a leggere racconti e romanzi brevi di Colaprico, anche perché non riesco a trovare la trilogia del commissario Binda. Ma prima o poi… Si vede bene che il nostro buon giornalista è aduso a frequentazioni sia di malavita (d’altra parte continua a lavorare in nera) sia di quel mondo che sembra ben descritto nei suoi libri a quattro mani con Pietro Valpreda. Qui, sfrutta la forma racconto per tirar fuori un paradosso ed affrontare un problema. Il paradosso viene dal fatto che, per fronteggiare “torti vari” si trovano a lavorare gomito a gomito (ma con le stesse armi di prima) una quarantina d’anni dopo ex-brigatisti, fiancheggiatori dei Nuclei Armati Proletari, ex-Ordine Nuovo ed altre frange un tempo ferocemente contrapposte. Con quella filosofia di fondo, un po’ risorgimentale, che si, si avevano (e si hanno) idee diverse, ma tutti si voleva cambiare il mondo. In fondo, noi credevamo (come diceva la Banti). Purtroppo, si credeva in cose che erano a volte traballanti, e che la storia a poi, più o meno, stritolato. Il problema è quello costituito non dagli immigrati cosiddetti “buoni”, quelle che vengono a fare lavori che l’italiano medio ora rifiuta. Ma da quelli cattivi. Quelli che organizzano giri di spaccio. Quelli che fanno lavorare altri operai in nero. Quelli che costringono i ragazzi all’accattonaggio. E che sono, purtroppo, arabi, cinesi, rumeni, e via citando nazioni non a caso. E poiché nessuno sembra prendere sul serio questi nuovi “cattivi”, ci pensano i nostri ex-estremisti di destra e di sinistra a riprendere tirapugni ed altre armi improprie, e da bravi sessantenni ancora sulla cresta dell’onda, si mettono in testa di raddrizzare questi torti privati. Visto che i torti pubblici sono rimasti impuniti. Così che scendono in piazza i NAM (e non vi dico che cosa vuol dire). A volte Colaprico tende a guardare con un occhio troppo benevolmente ironico chi durante gli anni settanta non sempre si è comportato “comme il faut”. E questa ironia non sempre rende piacevole lo scritto. Ma i due punti di sopra rimangono. Soprattutto quello del cercare di risolvere in qualche modo questi “torti privati”. Insomma, scorrevole senza dubbio, ma di un onesto medio livello. Poteva affondare un po’ di più. Ma come lettura estivo - inedita va più che bene.
Chiara Gamberale “L’amore quando c’era” Corriere della Sera euro 1
[in: 27/05/2011 – out: 28/08/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2011]
In attesa di leggere il suo romanzo, ben collocato nel mio scaffale, approfitto degli Inediti del Corriere per dare uno sguardo alla scrittura della Gamberale. Una bella sorpresa. Scorrevole ed intrigante (stavo anche per dire coinvolgente). Devo dire, un racconto come a me piace possa essere un racconto. Un’idea, che sostiene la scrittura per tutte le 60 pagine dello scritto. Una scrittura movimentata, che passa dal narrato alle mail, dal telefono agli sms. Qualche passaggio ironico, ed un racconto che si disvela a poco a poco. Così vediamo riannodarsi dopo 12 anni le fila delle storie di Amanda e Tommaso. Ritroviamo in controluce la storia della loro grande passione. Ne vediamo l’evolversi sulle strade diverse della vita, per scelte, per convinzioni, a volte anche solo per casualità. Vediamo (forse) la maturità di chi non era maturo un tempo, ora avvocato, con moglie adorabile ed un paio di figli. Scopriamo l’angoscia di chi, tutto sommato, sapendo di dover crescere, poi ne ha paura. Ed insegnando vede riflessi nei ragazzi le potenzialità e le paure di un tempo. Bella la trovata del contraltare con il tema dell’alunna Patrizia detta Izia. Insomma un bel racconto, ben scritto, senza particolari cadute. Certo, poi che affronta una tematica universale e sempre presente: la differenza tra il vissuto ed il potenziale. L’amore è meglio averlo davanti, costruendo ponti verso l’avvenire? O è meglio averlo dietro, sapendo di aver vissuto momenti irripetibili? O, difficoltà massima, viverlo quotidianamente, sapendo che ci sono alti e bassi, che c’è sempre il rischio di cadere nella routine? Rimane sempre quell’immagine che uscì fuori durante un seminario con Maria Luisa. La felicità è un picco che ti porta in alto, ti fa volare. Ma non puoi stare sempre sul picco. Così come non puoi stare sempre in salita, cercando un nuovo e più alto punto di felicità. Allora, cerchiamo di capire che ci può essere un altipiano di serenità. E quando dico altipiano, significa una pianura, ma in quote alte, almeno di gioia. Non una pianura affogata nel fango paludoso dei rimpianti e dei rimorsi. Comunque, il dibattito è aperto.
Cristina Comencini “Voi non la conoscete” Corriere della Sera euro 1
[in: 27/05/2011 – out: 30/08/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2011]
Un altro libro della Comencini, che sovente mi interessa ed incuriosisce con i suoi film, ma altrettanto sovente non mi convince pienamente nei suoi scritti. Così anche in questo. Storia di una donna spezzata, che in un difficile scritto in soggettiva cerca di farci partecipe della sua angoscia di vivere. Certo, la scrittura è di buon livello, perché non è facile mantenere la prima persona quando si parla di disagi psichici, che se sfociano in disturbi della personalità (schizofrenia, od altro) rendono quasi impossibile mantenere coerente il filo del discorso. La Comencini ci riesce, a scapito forse della chiarezza della trama. Non si capisce bene (o forse non si vuol capire? O si cerca di mascherare?) perché questa donna di 34 anni, marito e due figli, ad un certo punto scinda la sua vita in due metà praticamente incomunicabili. In un primo tempo, sembra che la “metà oscura” faccia parte di qualche sorta di brigatismo degli ani duemila. Poi ci si accorge che è solo problema di soldi e rapine. Fatto sta che troviamo Nadia ormai già dentro il carcere, che cerca di capirsi e di farsi capire da noi. Interessanti, quasi vissute dal di dentro, alcuni squarci di vita carceraria (apprezzati per i noti motivi di frequentazione). Ma alla fine, la prova-racconto non convince. Non si chiarisce il rapporto con la madre: se tanto “pessimo” come sembra in controluce, com’è che continua a chiederne in qualche modo l’aiuto. Inesistente il rapporto con il marito Giorgio (e che te lo sei sposato a fare?). Da depressione post-partum il rapporto con i figli (ma ormai hanno 5-6 anni, sarebbe ora di avere con loro un rapporto diverso, o ci si porta dietro irrisolto il rapporto edipico con la madre?). Incomprensibile la morte del fratello, tanto che ci si domanda come e quando muoia, che dal contesto io non sono riuscito a comprenderlo. Rimane ancora la canzone del titolo. Che avevo subito immaginato si riferisse alla ben nota Eulalia Torricelli da Forlì. Se da un lato poi mi riporta alle cantate a squarciagola delle estati paterne, o dei viaggi con Sara, nel contesto non si evince fino a che punto sia funzionale alla vicenda. Comunque, un’ultima annotazione-sfida: chi mi sa dire chi sia Giosuè De Rossi? Prometto che quando pubblicherò le trame ve lo svelo. …
Intanto non si viaggia fuori dall’Italia, anche se la Sicilia questo dicembre sembra essere molto gettonata. Né si procede con le altre iniziative in ballo. Sarà la crisi. Sarà… beh vedremo tra qualche settimana. 
PS: visto che ogni promessa… vi ricordo che il De Rossi di cui sopra è l’amante di Eulalia Torricelli!

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