Si lo so, oggi è l’11 settembre,
e tutti si aspettano che si parli di 10 anni fa, di cosa si faceva, di cosa si
è pensato, dei rapporti tra paesi, e via discorrendo. Io invece dedico le trame
odierne ad alcune visioni storiche, ma di qualche anno precedente. Delle
letture fatte intorno a Pasqua sulla figura di Gesù, sia da un punto di vista
molto laico come quello di Saramago, sia da quelli più vicini alla scrittura
del tempo, come i vangeli apocrifi o gli scritti di De Luca. Letture stimolanti,
che pongono quesiti e fanno ragionare e riflettere. E ragionare e riflettere è
quanto ultimamente si fa veramente troppo poco.
José Saramago “Il vangelo secondo Gesù
Cristo” Feltrinelli euro 9,50 (in realtà, scontato 7,12 euro)
[in: 01/11/2010 – out: 31/03/2011]
[tit. or.: O Evangelho segundo Jesus Cristo; ling. or.: portoghese; anno 1991]
Nonostante la scrittura di
Saramago mi sia sempre ostica, l’ho letto con passione. Certo, cerca di
sistematizzare (divulgare?) letture non molto note soprattutto nel mondo
occidentale non luterano, tipo il Vangelo del proto-Matteo o il Vangelo di
Maria. Non può accedere ancora al Vangelo di Giuda, che sarà ritrovato qualche
anno dopo la pubblicazione del libro, ma ne anticipa in un certo senso alcuni
contenuti (che poi sono gli stessi utilizzati per tratteggiarne la figura nel
Vangelo secondo Pilato di Schmitt di cui ho parlato non molto tempo fa).
Allora, separiamo tre fasi nella mia fruizione del libro: la storia, la
scrittura, la religione. E parliamone a ritroso, dalla parte in me più debole,
anche se potente e forte nel libro. Non nel senso religioso-cattolico ma nel
senso di analisi del bene e del male, che creano una cosmogonia, una visione
del mondo, quindi, traslatamente, una religione. Qui Saramago fa un’operazione
che da un lato mi incuriosisce dall’altro mi lascia leggermente distante. Ci
sono lunghi passi, e soprattutto nei 40 giorni che passa nel “deserto” (dove
Saramago utilizza per deserto qualsiasi luogo senza umani, quindi anche il
centro di un lago), discutendo di bene, male, prospettive, visioni del mondo
attuali e future con Dio ed il suo alter-ego, nominato Pastore, ma
riconoscibilmente Diavolo. Questi sono i passi che hanno fatto infuriare la
Chiesa, e costretto Saramago ad un volontario esilio per anni lontano dal natio
Portogallo. Che la visione, seppur forte, è certamente eretica (nel senso che
ne dava il vescovo Ireneo nei primi secoli dell’e.v.). Dio Padre utilizza il
Figlio per estendere la comprensione della sua religione, un po’ come fosse un
banchiere che si occupa di finanze, mentre il Figlio, potentemente coeso con la
gente che frequenta, gli uomini, ne capisce meglio la portata, cercando di
trovare un modo per portare a compimento il suo destino, ma fornendo radici di
speranze (poche, che nelle pagine apocalittiche rivelerà anche agli Apostoli
della loro morte). Tutto il resto dell’impianto religioso invece, lo comprendo,
ed in un certo senso ne trovo una possibile giustificata espressione. Il
ragazzo che si interroga su di sé, i diversi anni in isolamento con Pastore (e
qui ci torneremo), Maria di Magdala, la nascita della “sua” comunità, intorno
al lago Tiberiade, nella verde Galilea (ah, quando ci torneremo?), il conflitto
con la Madre, il rapporto con il discepolo più amato, il focoso, ribelle,
intransigente Giuda Iscariota, nonché la decisione di seguire il proprio
destino, chiudendo il libro là dove si era iniziato, con la potente descrizione
della crocefissione sul Golgota. Passando alla scrittura, continuo, come ho
detto, ad avere molta difficoltà a seguire il suo modo di esprimersi. Questo
flusso di scrittura, praticamente senza punteggiatura efficace, e con quel
riportare anche i discorsi diretti in un flusso che ce li fa sentire a metà tra
espressioni di dialogo e racconto di qualcuno. Ci sono stati libri, ad inizio
delle mie letture del portoghese, che esasperando queste modalità, mi
lasciavano svuotato ed incapace di proseguire. Per questo abbandonai il
Memoriale del Convento, ma seppi farmi prendere e portai alla fine la Storia
dell’assedio di Lisbona. Ma è una scrittura che ogni volta mi fa chiedere:
riuscirò ad andare avanti? Dice cose che non posso non leggere, anche se faccio
fatica? E penso che sarà spesso così, se affronterò altre sue scritture. Ed
infine la storia, anzi la Storia. Una parte ne ho tratteggiato nel discorso
religioso di cui sopra. Ma c’è molto di più. Tanto che, dopo aver letto il
libro, ho cominciato a cercare altri libri, di cui presto spero parlerò, che
parlino del periodo intorno all’anno zero e dei decenni a seguire. Non entro
sulla canonicità delle fonti usate da Saramago, ma, per quello che so, tutta la
parte sulla nascita e giovinezza di Gesù è mutuata dal cosiddetto “Vangelo del
proto-Matteo”, l’unico, ad esempio che parla della levatrice che fa nascere
Gesù. E che non parla (perché anche altri Vangeli non lo fanno) della fuga in
Egitto. E tutta la parte del suo rapporto bello e solare con Maria di Magdala è
mutuato dal “Vangelo di Maria”, e da tutte quelle fonti che parlano di questa
donna che entra a far parte del cerchio ristretto dei discepoli di Gesù (tanto
che alcuni la identificano addirittura con l’evangelista Giovanni). Inventata è
tutta la parte di Giuseppe: l’unica fonte nota, sebbene non accreditata che
parla del padre putativo (la ”Storia di Giuseppe”) lo fa sposare alla sedicenne
Maria quando aveva 89 anni e lo fa morire nel suo letto a 111. In nessuna altra
parte si parla della sua vita. Traslata è poi l’assenza di Gesù per un certo
numero di anni. Saramago lo fa errabondo con Pastore, continuamente in tensione
fra tentazione e fuga. Di certo pare (bello l’ossimoro) che abbia vissuto degli
anni nella comunità degli Esseni, una setta giudaica proto-cattolica, che
predicava l’ascetismo ed il bene. Ma da cui si staccarono delle frange (che ora
chiameremo estremiste) che decisero di combattere anche con le armi
l’occupazione romana. Ecco nascere quindi gli Zeloti e i Cananei, che in
aramaico hanno la radice (ricordo che tutte le lingue di quel bacino sono
a-vocaliche), s-q-r-t, da cui i romani ricavarono lo spregiativo “sicario” (in
quanto uccidevano), ma che si avvicina alla radice Iscariota, di cui accennavo
all’inizio. Perché pare che Giuda ne facesse parte. E sarebbe interessante
approfondirne il senso. Senso che si ritrova nel tardo “Vangelo di Giuda”, che
ribalta la figura dell’Iscariota come uno che si sacrifica per Gesù.
Comprendendo quella variante eretica detta dei “cainisti” o “cainiti” che
ribaltavano come necessarie alla maggior gloria della religione la presenza di
figure considerate “negative” (ed immagino che se ne parli del libro di
Saramago su Caino). Per concludere, si nota nel finale l’assenza
(giustificata?) di Barabba, che non è citato in tutti e 4 i Vangeli, ed è
spesso ignorato. E la cui etimologia è difficile ed interessante, in quanto
“Bar-Abba” in siriaco vuol dire “Figlio del Padre” e nel Vangelo secondo Matteo
è citato come “Iesous bar-Abbas”. E si aprono tanti altri interrogativi. Ma credo
di averne parlato tanto (non troppo che se ne parlerebbe ancora). Finisco
riconoscendo che, con tutti i difetti, l’ho trovato un libro da leggere
assolutamente. E come tutti i libri che hanno senso, capace di stimolare
riflessioni, ed in me, che sono molto curioso, la voglia di leggere altro sul
tema e sul periodo. Un periodo, in ogni caso, rivoluzionario.
“Un uomo, qualunque sia l’epoca in cui viva o sia vissuto, è
mentalmente contemporaneo di un altro individuo di una qualsiasi altra epoca”
(155)
Claudio Gianotto “I vangeli apocrifi” Il
Mulino euro 9,80 (in realtà, scontato 7,84 euro)
[in: 31/03/2011 – out: 04/04/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2009]
Sull’onda della lettura di
Saramago, ho cercato subito qualcosa di non romanzato da leggere in parallelo
alla vicenda narrata dal portoghese. Ho quindi scelto questo saggio che, a
smentire il titolo, più che sui vangeli apocrifi, parla della trasformazione
dall’oralità alla scrittura nei primi anni dell’era volgare. In questo comincio
subito la polemica con la quarta di copertina che, per marketing, cerca di
vendere il libro sul perché i vangeli apocrifi vengono esclusi dall’esegesi
canonica degli scritti su Gesù. Ora nel libro del prof. Gianotto, esimio
docente di Storia del Cristianesimo nella benemerita Università di Torino (che
tiene anche il mio amato Barbero tra i docenti), si parla certo di Vangeli
apocrifi, ma in un contesto più ampio. Il contesto, importante e fondamentale,
della nascita della scrittura degli elementi dottrinali del cristianesimo. Che
i primi anni dopo la morte di Gesù (qui ne parlo laicamente e storicamente, poi
si entrerà più nel dottrinale), era sufficiente la tradizione orale. Le persone
avevano vissuto quei momenti. Ne potevano parlare in quanto testimoni degli avvenimenti.
E la promessa dell’avvento del “Mondo Nuovo” sembrava dover avvenire da lì a
poco. Gli anni invece passano, si devono re-interpretare le parole ed i detti
di Gesù in chiave di più ampio respiro. Ed intorno al 50 dell’era volgare, si
viene quindi a creare il corpo dei primi scritti che poi arriveranno a noi. Nel
50 cominciano a circolare le Lettere di Paolo, nel 60 ad essere scritto il
Vangelo di Marco, intorno all’80 i Vangeli di Matteo e Luca e verso il 100 il
Vangelo di Giovanni. Facendo un parallelo ed un salto, è quanto succederà
nell’Islam 600 anni dopo. Maometto recitava e faceva apprendere a memoria il
Corano ed i relativi detti. Dopo la sua morte i collaboratori cercano (ed in
alcuni casi mantengono) la memoria “parola per parola”. Ma dal terzo califfo ci
si accorge della possibilità di troppe variazioni e si comincia a scrivere. Ma
torniamo alle origini. Bello ed interessante, anche dal punto antropologico, è
il passaggio dall’oralità alla scrittura. La difficoltà tuttavia è ben
molteplice: non c’è una scrittura unica, non c’è (ancora) un’unicità di
adesione al dettato dello scrivibile. Si scrive in aramaico, in greco, in
latino, in copto. E si traduce da una lingua all’altra. Ed i 12 Apostoli vanno
in peregrinazione per le vie del mondo, ad aumentar la fede (come chiedeva il
Dio in Saramago). Ma questo porta, di necessità, adattamenti alla realtà
locali, interpretazioni a volte parziali (non direi volontariamente faziose),
che porteranno a tante frange e rivoli interpretativi diversi (costringendo il
buon Ireneo a scrivere il suo famoso “Contro le eresie”). E, ultimo elemento
non banale, non tutto e non in modo omogeneo c’è pervenuto. Ad un certo punto,
la Chiesa decide quali siano gli scritti canonici, quelli che riflettono la
verità della Chiesa stessa. Così arriveranno, copiate e ricopiate nei secoli,
le Lettere di San Paolo, i 4 Vangeli, le Apocalissi. Tutto il corpo che fa
parte del Nuovo Testamento. A lato, ci sono gli apocrifi ed altri scritti. Qui
sta la maggior bellezza dello scritto di Gianotto. Da un lato si etimologizza
la parola. Apocrifo significa velato, segreto, ha nella sua radice il greco
Krypto (da cui criptico). Quindi questi vangeli contengono rivelazioni,
elementi segreti, a volte di “conoscenze” da non divulgare. Messi al margine,
l’aggettivo si sostantivizza per diventare sinonimo sia di falso sia di scritto
non canonico. Ma all’interno di questi Vangeli ci sono passi che si possono
leggere in parallelo ai Vangeli cosiddetti Sinottici. Ed in alcuni punti sono
anche meno “criptici” dello stesso Vangelo di Giovanni (considerato il più
oscuro dei quattro). Questa è la parte che più mi ha coinvolta. Con la
descrizione del “Vangelo Q” che potrebbe essere un quinto Vangelo da cui Marco,
Matteo e Luca hanno tratto la loro scrittura. O quella del Vangelo di Tommaso,
del Vangelo di Maria (mi affascina sempre più la figura della donna di
Magdala), del Vangelo di Filippo, il Vangelo dell’infanzia di Gesù, sino al
recentemente scoperto Vangelo di Giuda (dove si riprendono i temi della figura
di Giuda come ne parlai in Schmitt ed in Saramago). Poi ci sono quelli
veramente out, quelli dedicate alle conoscenze segrete, detti “Vangeli
gnostici” (e di cui parlai quanto commentai il libro curato da Monaldi),
raccolta di vangeli che portano ad una linea dottrinaria diversa ed elitaria
(da loggia massonica diremmo ora). Quindi seppur un’interessante lettura (e di
stimolo per riflessioni sulla figura di Gesù, sul suo messaggio, sul contesto
storico, sul contesto dei suoi discepoli, sulle predicazioni di quegli anni, e
via discorrendo) siamo ancora alla ricerca di qualcosa sull’argomento. E
continueremo a farlo.
Erri De Luca “Penultime notizie circa
Ieshu/Gesù” Edizioni Messaggero Padova euro 5
[in: 10/05/2011 – out:
31/05/2011]
[tit. originale; ling.
or.: italiano; anno 2009]
Mi aspettavo qualcosa di più e
meglio. Più che un discorso organico, sono “mini-racconti”, o riflessioni.
Alcune più riuscite di altre, ma dalle premesse mi aspettavo qualcosa che si
snodasse tra le pagine, tracciando (forse) momenti della vita di un figlio di
emigranti (una delle belle immagini inserite da Erri). Il buon De Luca qui
interviene come studioso dell’ebraico e quindi come ricercatore di parole ed
esegesi che ritornino al tracciato originario delle vicende. La prima buona
idea che immette è quella del titolo, quelle penultime parole. Perché le ultime
saranno quella della definitiva ricucitura della frattura del tempo tra la vita
provvisoria e quella definitiva. Proprio il titolo mi aveva attirato,
promettente uno sguardo attento e non banale su quel tempo della vita che
alcuni videro. Tuttavia questa rimane un po’ l’intenzione, perché, se è vero
che soprattutto nei primi racconti ci sono quelle penultime notizie, corredate
da alcuni bei discorsi, poi un po’ si perde, ritorna ad essere un po’ troppo
gigione delle sue conoscenze, pur senza dubbio ottime. Ma lo scritto ne
risente, non si appiana in un racconto, ma va’ quasi a frasi tronche, quasi
cercasse di riproporre in italiano modalità e tempi di scritture antiche. La
seconda immagine forte, è quando parla di Abramo, dei suoi colloqui con Dio
(anzi, in ebraico Iod) e del grande messaggio di cui Abramo è portatore: amore.
Amore per gli altri, ed amore per sé stessi. Amore di obbedienza. Quando Iod
parla, l’amore di Abramo esegue. E seguiamo il racconto fino alla deposizione
del legato Isacco sull’altare e quando Iod dice di fermarsi perché ora ha
conosciuto. Messaggio potente, sul riconoscimento del libero arbitrio. Iod
poteva imporre l’onniscienza, qui impone la sapienza. Il terzo punto di
racconto alto, è quel capitoletto dedicato a Ieshu figlio di emigranti. Perché
quello erano Ioséf e Myriam. Per via del censimento di Erode, emigrano dalla
terra di Giudea verso i luoghi natii di Ioséf, in quella Bet Lèhem che aveva
visto i suoi antenati. Emigrano con altre schiere di pellegrini a piedi o con
l’asino per le strade d’Israele. E lì, a Bet Lèhem sono anch’essi stranieri,
non hanno conoscenti, sono alla stregua dei poveri emigranti odierni. E la
partoriente Myriam si deve fermare in una stalla. Lì dove nasce il bambino
Ieshu, che sì discende da David come dicono le scritture, ma è una discendenza
meticcia, con progenitrici cananee, moabite ed altro. Dal punto di vista
ebraico, Ieshu è un meticcio. E questo ci dà agio a pensare ai nostri meticci
attuali, al messaggio portato da Abramo. Ed a rifletterci. Altri punti non
raggiungono questa forza. Troppo sul versante della ricerca del comico il
dialogo dei tre re magi che seguono la stella cometa. Anche se questo da modo a
De Luca di buttare lì una riflessione sul dolore della consapevolezza dell’uomo
Ieshu che saprà essere vissuto mentre tanti bambini furono sterminati da Erode.
Un dolore che cercherà di placare con i balsamici effetti di guarigioni e
resurrezioni miracolose, ma che potrà prorompere solo alla fine, in quella
montagna a forma di teschio dove, rifiutandosi di assumere il ruolo politico
che volevano gli zeloti, assume quello dell’amore totale e completo. E di una
forza che nessuna rivoluzione politica poteva prevedere. Volgendosi anche verso
la madre ai piedi della croce, una madre che pur non potendo trattenere il
dolore, ben comprende che ha goduto dell’amore del figlio 30 anni più delle
persone che partorirono a Bet Lehem sotto la stella. Ricordiamo inoltre anche
questo capovolgimento, che le stelle comete, ai tempi, erano presagi di
sventura. Mentre Ieshu ne ribalta il significato, in presagi di speranze. Altri
capitoli girano intorno a problematiche filologiche, a volte di non semplice
seguitura per noi che poco si sa di lingue arcaiche. L’equivalenza semantica
tra malik (re) e man (manna). Il “pardès” ebraico, che è terreno di alberi da
frutto (e che darà origine al paradiso). L’amore per Iod “in tutto” e non “con
tutto” il tuo cuore. Alla fine, pur pieno di spunti, mi risulta un testo monco.
Mancato nel seguire quelle penultime notizie in modo meno episodico. Mancato
perché segue ragionamenti non semplici in modo episodico. Seppur mancato,
comunque carico di spunti e di riflessioni che continueranno al di là del
testo.
Sono certo che queste riflessioni
a ruota libera faranno girare le rotelle in testa ai miei amati lettori. Che è
quanto di meglio possa sperare in questa domenica 11 settembre. Domenica che
apre una settimana che si spera veda arrivare altri nodi al pettine, e
sbrigliarli quanto prima. E perché no, vedere se riuscire a fare anche un
piccolo omaggio alla bellissima Nicoletta che ci ha lasciato a luglio, ma che
sarà ben presente al festival della filosofia della natura di Sassuolo.
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