venerdì 11 maggio 2012

Niente 11 settembre - 11 settembre 2011

Si lo so, oggi è l’11 settembre, e tutti si aspettano che si parli di 10 anni fa, di cosa si faceva, di cosa si è pensato, dei rapporti tra paesi, e via discorrendo. Io invece dedico le trame odierne ad alcune visioni storiche, ma di qualche anno precedente. Delle letture fatte intorno a Pasqua sulla figura di Gesù, sia da un punto di vista molto laico come quello di Saramago, sia da quelli più vicini alla scrittura del tempo, come i vangeli apocrifi o gli scritti di De Luca. Letture stimolanti, che pongono quesiti e fanno ragionare e riflettere. E ragionare e riflettere è quanto ultimamente si fa veramente troppo poco.
José Saramago “Il vangelo secondo Gesù Cristo” Feltrinelli euro 9,50 (in realtà, scontato 7,12 euro)
[in: 01/11/2010 – out: 31/03/2011]
[tit. or.: O Evangelho segundo Jesus Cristo; ling. or.: portoghese; anno 1991]
Nonostante la scrittura di Saramago mi sia sempre ostica, l’ho letto con passione. Certo, cerca di sistematizzare (divulgare?) letture non molto note soprattutto nel mondo occidentale non luterano, tipo il Vangelo del proto-Matteo o il Vangelo di Maria. Non può accedere ancora al Vangelo di Giuda, che sarà ritrovato qualche anno dopo la pubblicazione del libro, ma ne anticipa in un certo senso alcuni contenuti (che poi sono gli stessi utilizzati per tratteggiarne la figura nel Vangelo secondo Pilato di Schmitt di cui ho parlato non molto tempo fa). Allora, separiamo tre fasi nella mia fruizione del libro: la storia, la scrittura, la religione. E parliamone a ritroso, dalla parte in me più debole, anche se potente e forte nel libro. Non nel senso religioso-cattolico ma nel senso di analisi del bene e del male, che creano una cosmogonia, una visione del mondo, quindi, traslatamente, una religione. Qui Saramago fa un’operazione che da un lato mi incuriosisce dall’altro mi lascia leggermente distante. Ci sono lunghi passi, e soprattutto nei 40 giorni che passa nel “deserto” (dove Saramago utilizza per deserto qualsiasi luogo senza umani, quindi anche il centro di un lago), discutendo di bene, male, prospettive, visioni del mondo attuali e future con Dio ed il suo alter-ego, nominato Pastore, ma riconoscibilmente Diavolo. Questi sono i passi che hanno fatto infuriare la Chiesa, e costretto Saramago ad un volontario esilio per anni lontano dal natio Portogallo. Che la visione, seppur forte, è certamente eretica (nel senso che ne dava il vescovo Ireneo nei primi secoli dell’e.v.). Dio Padre utilizza il Figlio per estendere la comprensione della sua religione, un po’ come fosse un banchiere che si occupa di finanze, mentre il Figlio, potentemente coeso con la gente che frequenta, gli uomini, ne capisce meglio la portata, cercando di trovare un modo per portare a compimento il suo destino, ma fornendo radici di speranze (poche, che nelle pagine apocalittiche rivelerà anche agli Apostoli della loro morte). Tutto il resto dell’impianto religioso invece, lo comprendo, ed in un certo senso ne trovo una possibile giustificata espressione. Il ragazzo che si interroga su di sé, i diversi anni in isolamento con Pastore (e qui ci torneremo), Maria di Magdala, la nascita della “sua” comunità, intorno al lago Tiberiade, nella verde Galilea (ah, quando ci torneremo?), il conflitto con la Madre, il rapporto con il discepolo più amato, il focoso, ribelle, intransigente Giuda Iscariota, nonché la decisione di seguire il proprio destino, chiudendo il libro là dove si era iniziato, con la potente descrizione della crocefissione sul Golgota. Passando alla scrittura, continuo, come ho detto, ad avere molta difficoltà a seguire il suo modo di esprimersi. Questo flusso di scrittura, praticamente senza punteggiatura efficace, e con quel riportare anche i discorsi diretti in un flusso che ce li fa sentire a metà tra espressioni di dialogo e racconto di qualcuno. Ci sono stati libri, ad inizio delle mie letture del portoghese, che esasperando queste modalità, mi lasciavano svuotato ed incapace di proseguire. Per questo abbandonai il Memoriale del Convento, ma seppi farmi prendere e portai alla fine la Storia dell’assedio di Lisbona. Ma è una scrittura che ogni volta mi fa chiedere: riuscirò ad andare avanti? Dice cose che non posso non leggere, anche se faccio fatica? E penso che sarà spesso così, se affronterò altre sue scritture. Ed infine la storia, anzi la Storia. Una parte ne ho tratteggiato nel discorso religioso di cui sopra. Ma c’è molto di più. Tanto che, dopo aver letto il libro, ho cominciato a cercare altri libri, di cui presto spero parlerò, che parlino del periodo intorno all’anno zero e dei decenni a seguire. Non entro sulla canonicità delle fonti usate da Saramago, ma, per quello che so, tutta la parte sulla nascita e giovinezza di Gesù è mutuata dal cosiddetto “Vangelo del proto-Matteo”, l’unico, ad esempio che parla della levatrice che fa nascere Gesù. E che non parla (perché anche altri Vangeli non lo fanno) della fuga in Egitto. E tutta la parte del suo rapporto bello e solare con Maria di Magdala è mutuato dal “Vangelo di Maria”, e da tutte quelle fonti che parlano di questa donna che entra a far parte del cerchio ristretto dei discepoli di Gesù (tanto che alcuni la identificano addirittura con l’evangelista Giovanni). Inventata è tutta la parte di Giuseppe: l’unica fonte nota, sebbene non accreditata che parla del padre putativo (la ”Storia di Giuseppe”) lo fa sposare alla sedicenne Maria quando aveva 89 anni e lo fa morire nel suo letto a 111. In nessuna altra parte si parla della sua vita. Traslata è poi l’assenza di Gesù per un certo numero di anni. Saramago lo fa errabondo con Pastore, continuamente in tensione fra tentazione e fuga. Di certo pare (bello l’ossimoro) che abbia vissuto degli anni nella comunità degli Esseni, una setta giudaica proto-cattolica, che predicava l’ascetismo ed il bene. Ma da cui si staccarono delle frange (che ora chiameremo estremiste) che decisero di combattere anche con le armi l’occupazione romana. Ecco nascere quindi gli Zeloti e i Cananei, che in aramaico hanno la radice (ricordo che tutte le lingue di quel bacino sono a-vocaliche), s-q-r-t, da cui i romani ricavarono lo spregiativo “sicario” (in quanto uccidevano), ma che si avvicina alla radice Iscariota, di cui accennavo all’inizio. Perché pare che Giuda ne facesse parte. E sarebbe interessante approfondirne il senso. Senso che si ritrova nel tardo “Vangelo di Giuda”, che ribalta la figura dell’Iscariota come uno che si sacrifica per Gesù. Comprendendo quella variante eretica detta dei “cainisti” o “cainiti” che ribaltavano come necessarie alla maggior gloria della religione la presenza di figure considerate “negative” (ed immagino che se ne parli del libro di Saramago su Caino). Per concludere, si nota nel finale l’assenza (giustificata?) di Barabba, che non è citato in tutti e 4 i Vangeli, ed è spesso ignorato. E la cui etimologia è difficile ed interessante, in quanto “Bar-Abba” in siriaco vuol dire “Figlio del Padre” e nel Vangelo secondo Matteo è citato come “Iesous bar-Abbas”. E si aprono tanti altri interrogativi. Ma credo di averne parlato tanto (non troppo che se ne parlerebbe ancora). Finisco riconoscendo che, con tutti i difetti, l’ho trovato un libro da leggere assolutamente. E come tutti i libri che hanno senso, capace di stimolare riflessioni, ed in me, che sono molto curioso, la voglia di leggere altro sul tema e sul periodo. Un periodo, in ogni caso, rivoluzionario.
“Un uomo, qualunque sia l’epoca in cui viva o sia vissuto, è mentalmente contemporaneo di un altro individuo di una qualsiasi altra epoca” (155)
Claudio Gianotto “I vangeli apocrifi” Il Mulino euro 9,80 (in realtà, scontato 7,84 euro)
[in: 31/03/2011 – out: 04/04/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2009]
Sull’onda della lettura di Saramago, ho cercato subito qualcosa di non romanzato da leggere in parallelo alla vicenda narrata dal portoghese. Ho quindi scelto questo saggio che, a smentire il titolo, più che sui vangeli apocrifi, parla della trasformazione dall’oralità alla scrittura nei primi anni dell’era volgare. In questo comincio subito la polemica con la quarta di copertina che, per marketing, cerca di vendere il libro sul perché i vangeli apocrifi vengono esclusi dall’esegesi canonica degli scritti su Gesù. Ora nel libro del prof. Gianotto, esimio docente di Storia del Cristianesimo nella benemerita Università di Torino (che tiene anche il mio amato Barbero tra i docenti), si parla certo di Vangeli apocrifi, ma in un contesto più ampio. Il contesto, importante e fondamentale, della nascita della scrittura degli elementi dottrinali del cristianesimo. Che i primi anni dopo la morte di Gesù (qui ne parlo laicamente e storicamente, poi si entrerà più nel dottrinale), era sufficiente la tradizione orale. Le persone avevano vissuto quei momenti. Ne potevano parlare in quanto testimoni degli avvenimenti. E la promessa dell’avvento del “Mondo Nuovo” sembrava dover avvenire da lì a poco. Gli anni invece passano, si devono re-interpretare le parole ed i detti di Gesù in chiave di più ampio respiro. Ed intorno al 50 dell’era volgare, si viene quindi a creare il corpo dei primi scritti che poi arriveranno a noi. Nel 50 cominciano a circolare le Lettere di Paolo, nel 60 ad essere scritto il Vangelo di Marco, intorno all’80 i Vangeli di Matteo e Luca e verso il 100 il Vangelo di Giovanni. Facendo un parallelo ed un salto, è quanto succederà nell’Islam 600 anni dopo. Maometto recitava e faceva apprendere a memoria il Corano ed i relativi detti. Dopo la sua morte i collaboratori cercano (ed in alcuni casi mantengono) la memoria “parola per parola”. Ma dal terzo califfo ci si accorge della possibilità di troppe variazioni e si comincia a scrivere. Ma torniamo alle origini. Bello ed interessante, anche dal punto antropologico, è il passaggio dall’oralità alla scrittura. La difficoltà tuttavia è ben molteplice: non c’è una scrittura unica, non c’è (ancora) un’unicità di adesione al dettato dello scrivibile. Si scrive in aramaico, in greco, in latino, in copto. E si traduce da una lingua all’altra. Ed i 12 Apostoli vanno in peregrinazione per le vie del mondo, ad aumentar la fede (come chiedeva il Dio in Saramago). Ma questo porta, di necessità, adattamenti alla realtà locali, interpretazioni a volte parziali (non direi volontariamente faziose), che porteranno a tante frange e rivoli interpretativi diversi (costringendo il buon Ireneo a scrivere il suo famoso “Contro le eresie”). E, ultimo elemento non banale, non tutto e non in modo omogeneo c’è pervenuto. Ad un certo punto, la Chiesa decide quali siano gli scritti canonici, quelli che riflettono la verità della Chiesa stessa. Così arriveranno, copiate e ricopiate nei secoli, le Lettere di San Paolo, i 4 Vangeli, le Apocalissi. Tutto il corpo che fa parte del Nuovo Testamento. A lato, ci sono gli apocrifi ed altri scritti. Qui sta la maggior bellezza dello scritto di Gianotto. Da un lato si etimologizza la parola. Apocrifo significa velato, segreto, ha nella sua radice il greco Krypto (da cui criptico). Quindi questi vangeli contengono rivelazioni, elementi segreti, a volte di “conoscenze” da non divulgare. Messi al margine, l’aggettivo si sostantivizza per diventare sinonimo sia di falso sia di scritto non canonico. Ma all’interno di questi Vangeli ci sono passi che si possono leggere in parallelo ai Vangeli cosiddetti Sinottici. Ed in alcuni punti sono anche meno “criptici” dello stesso Vangelo di Giovanni (considerato il più oscuro dei quattro). Questa è la parte che più mi ha coinvolta. Con la descrizione del “Vangelo Q” che potrebbe essere un quinto Vangelo da cui Marco, Matteo e Luca hanno tratto la loro scrittura. O quella del Vangelo di Tommaso, del Vangelo di Maria (mi affascina sempre più la figura della donna di Magdala), del Vangelo di Filippo, il Vangelo dell’infanzia di Gesù, sino al recentemente scoperto Vangelo di Giuda (dove si riprendono i temi della figura di Giuda come ne parlai in Schmitt ed in Saramago). Poi ci sono quelli veramente out, quelli dedicate alle conoscenze segrete, detti “Vangeli gnostici” (e di cui parlai quanto commentai il libro curato da Monaldi), raccolta di vangeli che portano ad una linea dottrinaria diversa ed elitaria (da loggia massonica diremmo ora). Quindi seppur un’interessante lettura (e di stimolo per riflessioni sulla figura di Gesù, sul suo messaggio, sul contesto storico, sul contesto dei suoi discepoli, sulle predicazioni di quegli anni, e via discorrendo) siamo ancora alla ricerca di qualcosa sull’argomento. E continueremo a farlo.
Erri De Luca “Penultime notizie circa Ieshu/Gesù” Edizioni Messaggero Padova euro 5
[in: 10/05/2011 – out: 31/05/2011]
[tit. originale; ling. or.: italiano; anno 2009]
Mi aspettavo qualcosa di più e meglio. Più che un discorso organico, sono “mini-racconti”, o riflessioni. Alcune più riuscite di altre, ma dalle premesse mi aspettavo qualcosa che si snodasse tra le pagine, tracciando (forse) momenti della vita di un figlio di emigranti (una delle belle immagini inserite da Erri). Il buon De Luca qui interviene come studioso dell’ebraico e quindi come ricercatore di parole ed esegesi che ritornino al tracciato originario delle vicende. La prima buona idea che immette è quella del titolo, quelle penultime parole. Perché le ultime saranno quella della definitiva ricucitura della frattura del tempo tra la vita provvisoria e quella definitiva. Proprio il titolo mi aveva attirato, promettente uno sguardo attento e non banale su quel tempo della vita che alcuni videro. Tuttavia questa rimane un po’ l’intenzione, perché, se è vero che soprattutto nei primi racconti ci sono quelle penultime notizie, corredate da alcuni bei discorsi, poi un po’ si perde, ritorna ad essere un po’ troppo gigione delle sue conoscenze, pur senza dubbio ottime. Ma lo scritto ne risente, non si appiana in un racconto, ma va’ quasi a frasi tronche, quasi cercasse di riproporre in italiano modalità e tempi di scritture antiche. La seconda immagine forte, è quando parla di Abramo, dei suoi colloqui con Dio (anzi, in ebraico Iod) e del grande messaggio di cui Abramo è portatore: amore. Amore per gli altri, ed amore per sé stessi. Amore di obbedienza. Quando Iod parla, l’amore di Abramo esegue. E seguiamo il racconto fino alla deposizione del legato Isacco sull’altare e quando Iod dice di fermarsi perché ora ha conosciuto. Messaggio potente, sul riconoscimento del libero arbitrio. Iod poteva imporre l’onniscienza, qui impone la sapienza. Il terzo punto di racconto alto, è quel capitoletto dedicato a Ieshu figlio di emigranti. Perché quello erano Ioséf e Myriam. Per via del censimento di Erode, emigrano dalla terra di Giudea verso i luoghi natii di Ioséf, in quella Bet Lèhem che aveva visto i suoi antenati. Emigrano con altre schiere di pellegrini a piedi o con l’asino per le strade d’Israele. E lì, a Bet Lèhem sono anch’essi stranieri, non hanno conoscenti, sono alla stregua dei poveri emigranti odierni. E la partoriente Myriam si deve fermare in una stalla. Lì dove nasce il bambino Ieshu, che sì discende da David come dicono le scritture, ma è una discendenza meticcia, con progenitrici cananee, moabite ed altro. Dal punto di vista ebraico, Ieshu è un meticcio. E questo ci dà agio a pensare ai nostri meticci attuali, al messaggio portato da Abramo. Ed a rifletterci. Altri punti non raggiungono questa forza. Troppo sul versante della ricerca del comico il dialogo dei tre re magi che seguono la stella cometa. Anche se questo da modo a De Luca di buttare lì una riflessione sul dolore della consapevolezza dell’uomo Ieshu che saprà essere vissuto mentre tanti bambini furono sterminati da Erode. Un dolore che cercherà di placare con i balsamici effetti di guarigioni e resurrezioni miracolose, ma che potrà prorompere solo alla fine, in quella montagna a forma di teschio dove, rifiutandosi di assumere il ruolo politico che volevano gli zeloti, assume quello dell’amore totale e completo. E di una forza che nessuna rivoluzione politica poteva prevedere. Volgendosi anche verso la madre ai piedi della croce, una madre che pur non potendo trattenere il dolore, ben comprende che ha goduto dell’amore del figlio 30 anni più delle persone che partorirono a Bet Lehem sotto la stella. Ricordiamo inoltre anche questo capovolgimento, che le stelle comete, ai tempi, erano presagi di sventura. Mentre Ieshu ne ribalta il significato, in presagi di speranze. Altri capitoli girano intorno a problematiche filologiche, a volte di non semplice seguitura per noi che poco si sa di lingue arcaiche. L’equivalenza semantica tra malik (re) e man (manna). Il “pardès” ebraico, che è terreno di alberi da frutto (e che darà origine al paradiso). L’amore per Iod “in tutto” e non “con tutto” il tuo cuore. Alla fine, pur pieno di spunti, mi risulta un testo monco. Mancato nel seguire quelle penultime notizie in modo meno episodico. Mancato perché segue ragionamenti non semplici in modo episodico. Seppur mancato, comunque carico di spunti e di riflessioni che continueranno al di là del testo.
Sono certo che queste riflessioni a ruota libera faranno girare le rotelle in testa ai miei amati lettori. Che è quanto di meglio possa sperare in questa domenica 11 settembre. Domenica che apre una settimana che si spera veda arrivare altri nodi al pettine, e sbrigliarli quanto prima. E perché no, vedere se riuscire a fare anche un piccolo omaggio alla bellissima Nicoletta che ci ha lasciato a luglio, ma che sarà ben presente al festival della filosofia della natura di Sassuolo.

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