giovedì 26 gennaio 2012

Alcune perplessità - 17 gennaio 2010

Poiché al solito la vita e i libri si mescolano in un guazzabuglio di spunti e sensazioni, ecco che oggi andiamo a parlare di tre libri eterogenei, due del Nord ed uno del Sud del lontano continente americano. A tutti mi ero accostato con speranze che non sempre sono tornate al punto giusto. Il colombiano l’ho addirittura avuto in regalo nel Natale 08, ha viaggiato con me in Mauritania, ma sono riuscito a leggerlo solo prima di partire per Israele. Della Oates avevo letto un bel racconto e speravo che la dimensione romanzo le desse più respiro. Ma non è così. Il Giappone sempre mi affascina, soprattutto nel cibo, ma ne vorrei di autentico e non di artificiale.
Andiamo allora con ordine, iniziando dal colombiano Efraim.
Efraim Medina Reyes “C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo” Feltrinelli s.p. (regalo di Alessandra)
All’inizio mi ha lasciato un po’ freddo. Poi è migliorato. Non un capolavoro. Ma bella la musica. Non tutta sulle mie corde, ma come non lasciarsi trasportare dai sottotitoli che scandiscono il viaggio avanti ed indietro del tempo con una musica che appunto ne sottolinea l’andare? Passiamo quindi nello scorrere delle pagine attraverso le note dei Sex Pistols, dei Pearl Jam, degli Alice in Chains, dei Nirvana, di Alan Price, dei Grateful Dead, di Charlie Christian fino ai Ramones. Andando avanti indietro anche nella Colombia non lucidata alla Garcia Marquez, ma cupa ed invivibile, tra Cartagena e Bogotà. Ed anche le storie si intrecciano. Il protagonista in prima persona rivista da un lato le storie di poco lieto fine dei Sex Pistols e di Kurt Cobain, intrecciandole con i suoi tentativi di scrivere sceneggiature per improbabili film, e con la sua storia personale. Dove l’assunto principale è quello del titolo. Dovendo uscir fuori da un amore che ti devasta la vita, lo devi uccidere dentro di te, per poter andare avanti. Se rimane lì, anche in un piccolo cantuccio, ci sarà sempre qualcosa di storto nel tuo procedere. E così Rep il protagonista non riesce a combinare nulla di positivo, benché aiutato da una madre comprensiva anche se non presente (io un figlio così l’avrei intanto preso a scapaccioni la seconda volta che si ripresenta ubriaco come una cucuzza). Quindi, non è tutto risolto, non fila tutto liscio, le parole usate a volte sono un po’ troppo grevi, la donna non sempre viene compresa nella sua natura, ed è sempre tratteggiata dal maschio che ne vede prima la sessualità (sua) e poi il resto. Ma questo è uno spaccato di vita. Va bene così. In fondo anche la vita non è sempre ben risolta…
“quando l’amore si spegne è più freddo della morte. Il problema è che le due parti in causa non si spengono contemporaneamente e quando sei la parte ancora accesa preferiresti essere morto” (29)
“A una certa ragazza piaceva la campagna, le piacevano le mucche, le piaceva l’erba bagnata. A me queste cose danno il voltastomaco” (30)
“Sei mai stato allo zoo? Io sì e ho imparato molto. Ho visto un macaco che si sbatteva la femmina e la femmina che gemeva di piacere… Perché non dovrei farlo bene io? … Stiamo parlando di donne, ti assicuro che una mosca è più complicata” (57)
“la musica è un’arte scomparsa alla fine dell’Ottocento… la pittura è finita poco dopo e… la poesia … sarà possibile solo quando l’uomo sarà sparito dalla faccia della terra” (59)
“Se ti ostini a cercare qualcosa corri il rischio di trovarla. Non sai mai cosa ti manca finché non fa molto male” (84)
“L’ho vista solo pochi minuti ma credo di amarla. Non ho mai amato una donna prima, mi interessavano solo sessualmente. Anche lei mi eccita ma c’è qualcosa, una strana sensazione nei nervi e l’impressione che morirei soffocato se non dovessi rivederla” (87)
“Quando sono innamorato di una donna cerco di vederla il meno possibile…. Vorrei… dare il meglio di me… Il problema è che non so cosa sia il meglio di me, non sono sicuro che ci sia un meglio in me” (116)
“Se c’è una cosa che riesce a scioccarmi è questa mania di cambiare i titoli originali di libri e film con altri che fanno schifo” (146)
“secondo me amare una persona è forse più facile che capirla ma molto più pericoloso perché l’amore fa sempre male. Si può cercare di capire qualcuno ma non si può cercare di amarlo. L’amore nasce involontario. L’amore può aumentare o diminuire fino a sfumare del tutto ma non si può imporre. A volte ci piacerebbe amare una certa persona, possiamo addirittura dire che quella persona ha tutte le qualità perché ci innamoriamo di lei ma questo non accade. Con uno sforzo più o meno grande ci si abitua a chiunque, ma abituarsi non è amare” (148)
“lei aveva più di quanto potessi sognare e credo che quello fosse il problema: per amare qualcuno quel qualcuno deve aver quanto basta. Un po’ di meno è insufficiente. Un po’ di più rovina tutto” (149)
“L’amore è bello finché dura ma a volte dura troppo…. Per fortuna quando le cose vanno male arriva qualcuno e le peggiora” (170)
Passiamo ora all’unica scrittrice del gruppo.
Joyce Carol Oates “La madre che mi manca” Mondadori euro 9,40 (in realtà, scontato 7,52 euro)
Sono rimasto molto perplesso da questo romanzo. Certo non avevo letto se non un racconto della Oates, e forse mi aspettavo una prosa svelta, brillante e accattivante come quella della Munro. Ma il percorso di agnizione e cognizione dell’io narrante, questa Nikki figlia ribelle e single, che ha un carico enorme di frustrazioni e recriminazioni verso la madre ingombrantemente ingenua, non mi ha coinvolto. La madre muore uccisa da un malvivente e Nikki comincia a percorrere questo lungo tunnel, ora vuoto, fatto di cassetti mai aperti, armadi pieni di oggetti e di odori, lettere ricevute e cartoline non spedite. Le fa da contro-altare la sorella saggia, equilibrata, sposata con due figli, che invece dalla morte della madre trova la forza di ribellarsi e di riprendersi (almeno una parte del-) la sua vita, decidendo di lasciare il marito e la figlia più grande per ricominciare ad insegnare in un’altra città portandosi appresso il figlio piccolo. Nikki è una delle tante cattive ragazze che circolano per i suoi romanzi (tra l’altro ha una storia con un uomo sposato e irresponsabile). C’è anche, alla fine, un’idea di redenzione, che forse ci fa dire che sarà possibile per le due sorelle una vita “nuova”. Rimane grossa, così come nel racconto letto lo scorso anno, la capacità di auto-analisi, il mettere a nudo senza pietà. Ma il tutto risulta depauperato dalla verve che ci risulta a lei usuale. Forse troppe pagine, forse troppa scrittura (è il suo settantesimo libro). Non so, spero di leggere altro e di modificare la mia opinione.
“se mai sapesse di te… di me? In che senso? Che ci vediamo. E tu sei sposato” (130)
“mi mancava la pazienza, e la pazienza è sintomo di maturità” (295)
“se non mi scrivo anche le più piccole cose me le dimentico. Così scrivo tutto e non dimentico niente” (303)
Finiamo quindi con questo Giappone filmico, ma hollywoodiano.
Arthur Golden “Memorie di una Geisha” TEA euro 10 (in realtà, scontato euro 8)
Artificioso, come un bel fil americano degli anni ’30. Cioè, non c’entra molto né con il Giappone né con le Geishe. Partendo da questi dati, un libro discretamente ben scritto, con una trama, appunto, da film anni ’30: bimba strappata alla famiglia, avviata a fare la geisha, entra in conflitto con la Geisha ben voluta dalla casa di Geishe dove vive, viene aiutata da un’altra Geisha, vince la battaglia, diventa una geisha ricercata e moderatamente ben voluta, forse trova l’amore, e finisce la sua vita a gestire una casa del tè a New York. La storia è ovviamente ben scritta, sicuramente si è anche basata su informazioni (di prima o seconda mano) sul mondo delle Geishe che un po’ ne adombrano il modo di vivere, soprattutto nel periodo precedente l’ultima guerra, là dove il Giappone era ancora avvolto nei suoi misteri imperiali. Ma si buttano là alcune ombre che lasciano il dubbio: realtà o effettacci? La Geisha è un’artista raffinata o una prostituta di alto profilo? La verginità veniva veramente venduta al miglior offerente? E via di questo passo. Certo, la vicenda giudiziaria che ha coinvolto Golden con una Geisha che lo ha accusato di aver falsato le sue memorie, non ha certo favorito a rendere il libro una sorta di “vita vissuta” piuttosto che un parto della fantasia. Io propendo per la seconda versione, e mi domando come sarebbe un libro di Geishe scritto da giapponesi (uomini o donne). Ed è una domanda difficile perché quello è un mondo con una tipologia di testa che non riesco ad incontrare (ne incontro solo la pancia, nel senso che torno sempre con piacere a gustare sushi e sashimi). Mi ricordo le decine (al massimo) di film giapponesi “puri” che ho visto e che (Kurosawa a parte) non è che mi abbiamo poi coinvolto gran che.
“A volte credo che le cose che ricordo siano più reali di quelle che vedo” (562)
“si era staccato da me … con la stessa naturalezza con cui le foglie cadono dagli alberi. … Anche ora che lui non c’è più, l’ho ancora con me, nella ricchezza dei miei ricordi” (563)
Ora sono qui, bloccato da questa sciatalgia che mi ferma nel corpo e nella mente. Se le avete saltate, rileggete le frasi citate, e ricordo a Rosa di ripassare la lezione n.18. Attendiamo quindi di “uscire al fin a riveder le stelle”.

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