Andiamo allora con ordine,
iniziando dal colombiano Efraim.
Efraim Medina Reyes “C’era una volta l’amore
ma ho dovuto ammazzarlo” Feltrinelli s.p. (regalo di Alessandra)
All’inizio
mi ha lasciato un po’ freddo. Poi è migliorato. Non un capolavoro. Ma bella la
musica. Non tutta sulle mie corde, ma come non lasciarsi trasportare dai
sottotitoli che scandiscono il viaggio avanti ed indietro del tempo con una
musica che appunto ne sottolinea l’andare? Passiamo quindi nello scorrere delle
pagine attraverso le note dei Sex Pistols, dei Pearl Jam, degli Alice in
Chains, dei Nirvana, di Alan Price, dei Grateful Dead, di Charlie Christian
fino ai Ramones. Andando avanti indietro anche nella Colombia non lucidata alla
Garcia Marquez, ma cupa ed invivibile, tra Cartagena e Bogotà. Ed anche le
storie si intrecciano. Il protagonista in prima persona rivista da un lato le
storie di poco lieto fine dei Sex Pistols e di Kurt Cobain, intrecciandole con
i suoi tentativi di scrivere sceneggiature per improbabili film, e con la sua
storia personale. Dove l’assunto principale è quello del titolo. Dovendo uscir
fuori da un amore che ti devasta la vita, lo devi uccidere dentro di te, per
poter andare avanti. Se rimane lì, anche in un piccolo cantuccio, ci sarà
sempre qualcosa di storto nel tuo procedere. E così Rep il protagonista non
riesce a combinare nulla di positivo, benché aiutato da una madre comprensiva
anche se non presente (io un figlio così l’avrei intanto preso a scapaccioni la
seconda volta che si ripresenta ubriaco come una cucuzza). Quindi, non è tutto
risolto, non fila tutto liscio, le parole usate a volte sono un po’ troppo
grevi, la donna non sempre viene compresa nella sua natura, ed è sempre
tratteggiata dal maschio che ne vede prima la sessualità (sua) e poi il resto.
Ma questo è uno spaccato di vita. Va bene così. In fondo anche la vita non è
sempre ben risolta…
“quando l’amore si spegne è più freddo della morte. Il problema è che
le due parti in causa non si spengono contemporaneamente e quando sei la parte
ancora accesa preferiresti essere morto” (29)
“A una certa ragazza piaceva la campagna, le piacevano le mucche, le
piaceva l’erba bagnata. A me queste cose danno il voltastomaco” (30)
“Sei mai stato allo zoo? Io sì e ho imparato molto. Ho visto un macaco
che si sbatteva la femmina e la femmina che gemeva di piacere… Perché non
dovrei farlo bene io? … Stiamo parlando di donne, ti assicuro che una mosca è
più complicata” (57)
“la musica è un’arte scomparsa alla fine dell’Ottocento… la pittura è
finita poco dopo e… la poesia … sarà possibile solo quando l’uomo sarà sparito
dalla faccia della terra” (59)
“Se ti ostini a cercare qualcosa corri il rischio di trovarla. Non sai
mai cosa ti manca finché non fa molto male” (84)
“L’ho vista solo pochi minuti ma credo di amarla. Non ho mai amato una
donna prima, mi interessavano solo sessualmente. Anche lei mi eccita ma c’è
qualcosa, una strana sensazione nei nervi e l’impressione che morirei soffocato
se non dovessi rivederla” (87)
“Quando sono innamorato di una donna cerco di vederla il meno
possibile…. Vorrei… dare il meglio di me… Il problema è che non so cosa sia il
meglio di me, non sono sicuro che ci sia un meglio in me” (116)
“Se c’è una cosa che riesce a scioccarmi è questa mania di cambiare i
titoli originali di libri e film con altri che fanno schifo” (146)
“secondo me amare una persona è forse più facile che capirla ma molto
più pericoloso perché l’amore fa sempre male. Si può cercare di capire qualcuno
ma non si può cercare di amarlo. L’amore nasce involontario. L’amore può
aumentare o diminuire fino a sfumare del tutto ma non si può imporre. A volte
ci piacerebbe amare una certa persona, possiamo addirittura dire che quella
persona ha tutte le qualità perché ci innamoriamo di lei ma questo non accade.
Con uno sforzo più o meno grande ci si abitua a chiunque, ma abituarsi non è
amare” (148)
“lei aveva più di quanto potessi sognare e credo che quello fosse il
problema: per amare qualcuno quel qualcuno deve aver quanto basta. Un po’ di
meno è insufficiente. Un po’ di più rovina tutto” (149)
“L’amore è bello finché dura ma a volte dura troppo…. Per fortuna
quando le cose vanno male arriva qualcuno e le peggiora” (170)
Passiamo ora all’unica scrittrice
del gruppo.
Joyce Carol Oates “La madre che mi manca” Mondadori euro 9,40 (in
realtà, scontato 7,52 euro)
Sono rimasto molto perplesso da
questo romanzo. Certo non avevo letto se non un racconto della Oates, e forse
mi aspettavo una prosa svelta, brillante e accattivante come quella della
Munro. Ma il percorso di agnizione e cognizione dell’io narrante, questa Nikki
figlia ribelle e single, che ha un carico enorme di frustrazioni e
recriminazioni verso la madre ingombrantemente ingenua, non mi ha coinvolto. La
madre muore uccisa da un malvivente e Nikki comincia a percorrere questo lungo
tunnel, ora vuoto, fatto di cassetti mai aperti, armadi pieni di oggetti e di
odori, lettere ricevute e cartoline non spedite. Le fa da contro-altare la
sorella saggia, equilibrata, sposata con due figli, che invece dalla morte
della madre trova la forza di ribellarsi e di riprendersi (almeno una parte
del-) la sua vita, decidendo di lasciare il marito e la figlia più grande per
ricominciare ad insegnare in un’altra città portandosi appresso il figlio
piccolo. Nikki è una delle tante cattive ragazze che circolano per i suoi
romanzi (tra l’altro ha una storia con un uomo sposato e irresponsabile). C’è
anche, alla fine, un’idea di redenzione, che forse ci fa dire che sarà
possibile per le due sorelle una vita “nuova”. Rimane grossa, così come nel
racconto letto lo scorso anno, la capacità di auto-analisi, il mettere a nudo
senza pietà. Ma il tutto risulta depauperato dalla verve che ci risulta a lei
usuale. Forse troppe pagine, forse troppa scrittura (è il suo settantesimo
libro). Non so, spero di leggere altro e di modificare la mia opinione.
“se mai sapesse di te… di me? In che senso? Che ci vediamo. E tu sei
sposato” (130)
“mi mancava la pazienza, e la pazienza è sintomo di maturità” (295)
“se non mi scrivo anche le più piccole cose me le dimentico. Così
scrivo tutto e non dimentico niente” (303)
Finiamo quindi con questo
Giappone filmico, ma hollywoodiano.
Arthur Golden “Memorie di una Geisha” TEA
euro 10 (in realtà, scontato euro 8)
Artificioso,
come un bel fil americano degli anni ’30. Cioè, non c’entra molto né con il
Giappone né con le Geishe. Partendo da questi dati, un libro discretamente ben
scritto, con una trama, appunto, da film anni ’30: bimba strappata alla
famiglia, avviata a fare la geisha, entra in conflitto con la Geisha ben voluta
dalla casa di Geishe dove vive, viene aiutata da un’altra Geisha, vince la
battaglia, diventa una geisha ricercata e moderatamente ben voluta, forse trova
l’amore, e finisce la sua vita a gestire una casa del tè a New York. La storia
è ovviamente ben scritta, sicuramente si è anche basata su informazioni (di
prima o seconda mano) sul mondo delle Geishe che un po’ ne adombrano il modo di
vivere, soprattutto nel periodo precedente l’ultima guerra, là dove il Giappone
era ancora avvolto nei suoi misteri imperiali. Ma si buttano là alcune ombre
che lasciano il dubbio: realtà o effettacci? La Geisha è un’artista raffinata o
una prostituta di alto profilo? La verginità veniva veramente venduta al
miglior offerente? E via di questo passo. Certo, la vicenda giudiziaria che ha
coinvolto Golden con una Geisha che lo ha accusato di aver falsato le sue
memorie, non ha certo favorito a rendere il libro una sorta di “vita vissuta”
piuttosto che un parto della fantasia. Io propendo per la seconda versione, e
mi domando come sarebbe un libro di Geishe scritto da giapponesi (uomini o
donne). Ed è una domanda difficile perché quello è un mondo con una tipologia
di testa che non riesco ad incontrare (ne incontro solo la pancia, nel senso
che torno sempre con piacere a gustare sushi e sashimi). Mi ricordo le decine
(al massimo) di film giapponesi “puri” che ho visto e che (Kurosawa a parte)
non è che mi abbiamo poi coinvolto gran che.
“A volte credo che le cose che ricordo siano più reali di quelle che
vedo” (562)
“si era staccato da me … con la stessa naturalezza con cui le foglie
cadono dagli alberi. … Anche ora che lui non c’è più, l’ho ancora con me, nella
ricchezza dei miei ricordi” (563)
Ora sono qui, bloccato da questa
sciatalgia che mi ferma nel corpo e nella mente. Se le avete saltate, rileggete
le frasi citate, e ricordo a Rosa di ripassare la lezione n.18. Attendiamo
quindi di “uscire al fin a riveder le stelle”.
Nessun commento:
Posta un commento