mercoledì 25 gennaio 2012

Buon 2010 - 10 gennaio 2010

Non c’è modo migliore per iniziare l’anno nuovo che ripercorrere il viaggio di Capodanno attraverso qualche lettura. Certo, così anticipo un po’ i tempi, sconvolgo l’ordine maniacale delle mie attività. Ma la vita è fatta di questo: quando meno te lo aspetti, qualcosa cambia. Quindi largo ai libri sul Mali ed al viaggio a loro dedicato. Un viaggio difficile, perché mi ero fatto una serie di film su quello che si poteva fare e vedere, e sono tutti diversi. Non entro nelle dinamiche del viaggio poco interessanti per chi non c’era, ma nello specifico sì. Pur avendo letto quanto sotto riporto, pensavo comunque ad un paese simile alla Mauritania e mi sono trovato in un paese più vicino al Senegal. Pensavo ad abitanti mussulmani, invece sono veramente africani. Certo qui mi hanno sorpreso i colori, la vivacità (anche nella povertà), la comunicatività, anche se nella diversità. Ed a chiosa delle sensazioni, riporto una frase della nostra guida Andrè (soprannominato Balthazar) quando ci ha accolto: “Qui sarete a casa vostra, ma ricordate che siete anche a casa nostra”. Ed allora passo agli scritti, sottolineando che li ho redatti prima della partenza (ora li ho solo limati).
Gianni Celati “Avventure in Africa” Feltrinelli euro 7,50
Non so se questo sarà il mio Mali, ma, visto che come dice Sanu non tutti i Mali vengono per nuocere, questo nelle prime cento pagine mi ha incuriosito. Purtroppo della Mauritania fa solo un cenno, ed il Senegal è un po’ lontano nella mia mente per ricordarne la vividezza (il viaggio senegalese data ormai 15 anni, e tutto quello che ricordo, almeno come punto forte, sono le grandi spiagge con l’acqua fredda, quella che ho ritrovato l’anno scorso in Mauritania, la stazione ferroviaria con la gente in attesa di prendere da lì a tre giorni il treno per Timbuctu, ed i tentativi involontariamente comici, ma di rara bellezza espressiva, di Giansimone di parlare francese). Rimangono, dicevo, le cento pagine sul Mali, che descrivono il giro intrapreso dallo scrittore italiano per tessere la sceneggiatura di un improbabile e poi mai realizzato documentario sulle zone toccate dal fiume Niger. Un diario quotidiano che sicuramente dà il senso del viaggio da lui intrapreso, con le sue sensazioni, le sue sconfitte quotidiane con un mondo diverso, che non si adatta a te, soprattutto se tu non ti adatti a lui. Certo, la sua capacità di scrittura fa risaltare bene tutte quelle situazioni che in casi analoghi ho provato andando in giro per il mondo. Qui poi amplificate e/o mitigate, vedremo poi, dal fatto di essere un paese misto. Ma lì non c’è il deserto? Ma lì non c’è la savana? Ma lì non c’è il fiume? Ricordano i polverosi arrivi in sperdute città marocchine, ai limiti di mercati improbabili dove tutti si affannano a comperare qualcosa che ricordi loro il viaggio. Una chiave, una borsa, un monile, o poco altro. Ed io che mi fermo al caffè sulla piazza turbinante e mi metto a sorbire un the con troppo zucchero fumando una sigaretta con troppo catrame. Mi rendo conto che più che parlare del libro, poi, sto parlando di me (e non di altro come mi ripete Paolo Conte). In fondo lo faccio sempre, solo che qui, ora, non uso alibi. Il libro l’ho letto d’un fiato, e l'ho prestato a chi avrebbe viaggiato con me, con noi. Quindi lo cito a memoria, non l’ho sotto mano come altre volte. Poi, più che altro, ne faremo un confronto con quello che ci ispirerà quando anche noi saremo stati in Mali….
Marco Aime “Diario Dogon” Bollati Boringhieri euro 9
Un antropologo serio che non si tira indietro. Un antropologo contro per una passeggiata sulla falaise di Bandiagara. Vedremo se i Dogon saranno così, smitizzati dal suo occhio lucido e cinico, o saranno ancora come nel Dio d’acqua di Griaule, che negli anni Trenta ne ha costruito il mondo fantastico-fabuloso (non è un errore, volevo farvi venire in mente non solo le favole ma anche l’affabulazione, che sembra essere una prerogativa dogoniana, del tipo ‘come ci piace parlare’). Qui, in questo libro primo per me nello specifico sui posti che si andranno a vedere mi colpisce, pur nella constatazione del passaggio decennale tra lo scritto e la mia fruizione del testo, la sintonia che ho con Aime sulla difficoltà di andare viaggiando. Cioè, tutti sanno quanto mi piaccia andare in giro, a vedere e riempirmi gli occhi e la mente di cose. Ma quanto poi si vede realmente, in queste toccate e fughe che forse non fanno altro che alimentare miti consumistici lasciando nessuna traccia nella propria crescita interiore. Posso dire che poi solo dopo qualche volta che torno e torno, riesco a superare certi muri, certe difficoltà. La prima volta è uno spalancare gli occhi e farsi assorbire dalle immagini, suoni, luci e colori. Solo dopo, altre volte, il tutto si stempera con la quieta accettazione del luogo e delle sue particolarità, nel bene e nel male, come l’ultima volta a Gerusalemme. Ma torniamo ai Dogon, a quello che si vedrà, al trekking sulla falaise. Come dice Seneca, lasceremo noi stessi nelle nostre case, e viaggeremo con gli occhi aperti. Senza miti precostituiti. In fondo, ho quasi dispiacere di aver letto dei maliani, delle loro storie, ma anche delle quotidiane meschinerie. Chissà…
“Chi sceglie di recarsi in Mali (e non sono molti) difficilmente è un viaggiatore alle prime armi e quasi sempre è un individuo che nel viaggio cerca non solo momenti di svago, ma anche un’occasione di approfondimento e conoscenza” (19-20)
“Il turista che viene a visitare i Dogon  non è un turista “mcdonaldizzato” che cerca e spera di trovare in ogni sua meta condizioni il più possibile simili a quelle di casa sua. Al contrario, è uno che cerca emozioni nuove e stupore” (39-40)
“Al momento della partenza abbiate cura di non portare in viaggio voi stessi. Molti uomini, dice Seneca, non ritornano migliori di quando sono partiti, avendo portato se stessi nel viaggio (R. Lassels ‘The Voyage in Italy’)”
Marco Aime “Timbuctu” Bollati Boringhieri euro 10
Da leggere e meditare. Mi piace anche qui il modo di scrivere di marco Aime, che dice e racconta, ma senza troppo salire in cattedra. Dà l’impressione di avere le sue idee, ma di poterne discutere con chi ne ha diverse. Qui siamo in un mondo, un’atmosfera diversa. Non siamo più tra i “favolosi” Dogon, ma nella mitica, irraggiungibile, meta della memoria, Timbuctu. Una delle più belle immagini che mi ha regalato questo libro, è la visione di Timbuctu come separazione tra due mondi: inizio del deserto per chi viene dal Sud, dal fiume, dai sub-tropici, e fine del deserto e della sete per chi viene dal Nord. Questo poi rimane, la Timbuctu che da qualcosa a chi la guarda, ma sempre partendo dal sé. Ha l’ambizione di essere città, laddove tutto è villaggio. Ha l’ambizione di aver scritto la storia, ma è una storia che a noi arriva poco (e male). Sia perché è spesso una storia orale, sia perché è (ovviamente) diversa da quella che abbiamo studiato a scuola. Noi si parlava di Dante e Machiavelli, qui del grande Haji che fece il viaggio alla Mecca iniziando quel mito di ricchezza ed opulenza che avrebbe reso immortale la città. Questa mi sembra in fine la cifra del libro, e forse del viaggio, ora prima di partire. Si va in un posto diverso, ma non mi aspetto l’esotico. Mi aspetto che i maliani vestano jeans e Ray-Ban. E allora perché ci vai? Per la sempre presente spinta ad andare altrove, andare ovunque, vedere cose diverse. Oppure vedere cose uguali, ma capire che lì, per arrivarci, hanno fatto un percorso diverso dal mio. Ed arrivare a rispettare. Questo mi ha forse di più insegnato il viaggio: rispetto degli altri, ed umiltà. Avrò pure visitato più di 60 paesi diversi, ma il prossimo è sempre una scoperta, che sono certo mi insegnerà ancora qualcosa.
“Si va a Timbuctu perché è lontana, la si crede isolata e si trova una fila di bianchi che attende di collegarsi a casa [ad un internet point]” (12)
“Bruce Chatwin sostiene che esistono due Timbuctu; una reale e una mentale. La prima è quella città sfiancata dal caldo e siccità che molti trovano insignificante, se non addirittura brutta. La seconda vive in uno dei tanti miti di cui si nutre la nostra immaginazione: laggiù, sperduta ai margini del mondo, simbolo del chissà dove” (33)
“Roger Caillè non è stato il primo bianco a raggiungere Timbuctu, è stato solo il primo a raccontarla a noi, ma le mete diventano tali se si costruisce un immaginario che le rende uniche e indispensabili.” (49)
“La visita che le guide propongono ai turisti è un itinerario a punti: in mezzo il nulla. … Le passeggiate tra un paragrafo e l’altro della guida rappresentano quasi una metafora del moderno modo di viaggiare. Gli aerei ci trasportano in poche ore da un continente all’altro… In mezzo niente…. Viene a mancare quella fondamentale dimensione del viaggio che è il transitare” (75)
“Il turista è un visitatore frettoloso che preferisce i monumenti agli esseri umani, scriveva Tzvetan Todorov. A Timbuctu i monumenti non scarseggiano affatto, ma non sono come ce li aspettiamo.” (85)
“Timbuctu evoca lontananza, mondi sperduti, luoghi quasi irraggiungibili, al limite del mondo. … [e poi] ci si trova di fronte a una città di terra, dove anche gli edifici più antichi … in fondo assomigliano a quelli costruiti qualche anno fa. … [qui non c’è] niente che ci faccia capire che di qui è passata la storia” (86)
“nella lista del patrimonio dell’umanità [dell’Unesco] Timbuctu è iscritta dal 1998. Nasce così la Timbuctu dei turisti, quelli che poi rimangono delusi, ma che possono raccontare di esserci stati, perché questo luogo ha talmente colonizzato la mente di noi occidentali, da avere ancora la forza di far nascere suggestioni da post- o pseudo esploratori” (177)
“Dice Calvino… di una città non godi le … meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda” (179)
Allora che dire a consuntivo? Di Celati condivido quel senso di oppressione che arriva dall’essere circondato di gente (e di bambini) che chiede, chiede e chiede. Sui Dogon lascio il giudizio in sospeso, troppo breve il loro contatto (e con una guida locale, assolutamente, intrinsecamente inadeguata). Mentre condivido e sottoscrivo quasi ogni parola su Timbuctu, aggiungendo che il dato che a me riviene (soprattutto dopo il solitario giro pomeridiano) è quello di una città che non concede nulla all’occidente ed al turista. Noi Maliani di qui, siamo così. E se ti vuoi rapportare a noi, quasi non facciamo uno sforzo per venirti incontro. Non saremo noi a darti un posto alla nostra tavola spontaneamente. Tu devi cominciare a sederti, e poi si vedrà. Spero, che tutto ciò possa aprire una discussione sia tra chi c’è stato con me sia tra chi c’è andato per sé, sia tra chi ci vorrebbe andare.
Poiché è la prima trama del mese di gennaio, come sanno i miei assidui lettori, vi riporto infine l’elenco dei libri letti in ottobre.
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
1
Paola Mastrocola
Che animale sei?
Guanda
10,00
2
Andrea Camilleri
La danza del gabbiano
Sellerio
13,00
3
Ruggero Cappuccio
La notte dei due silenzi
Sellerio
10,00
4
Piers Marlowe
Il doppio tredici
Repubblica/CSGM
3,90
5
Alicia Gimenez-Bartlett
Il silenzio dei chiostri
Sellerio
15,00
6
Chuck Palahniuk
Survivor
Mondadori
8,80
7
Stieg Larsson
La regina dei castelli di carta
Marsilio
21,50
8
Romano De Marco
Ferro e fuoco
Mondadori
3,90
9
Osip Mandel’stam
Viaggio in Armenia
Adelphi
10,00
10
Joe R. Lansdale
Una stagione selvaggia
Einaudi
11,00
11
Ray Bradbury
Fahrenheit 451
Mondadori
s.p.
12
Henning Mankell
Prima del gelo
Mondadori
8,80
Ma tu sei contento di esserci andato? Alla fine, sommando pro e contro, si, molto, perché anche se quasi nulla è andato come pensavo andasse, ora ci penso sopra e credo di capire qualcosa in più.
Ma non del Mali, di me.

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