O forse me? Penso sia questo il
più giusto titolo di questa triade eterogenea ma con molto in comune. In comune
senz’altro il profumo dei caffè arabo-orientali, e del narghilè acceso e
condiviso. Si parte dall’Egitto, dalla mia Cairo amata e dall’autore che mi
fece innamorare di questa letteratura. Con il suo solito garbo (e dei cenni che
rimandano all’ultimo). Poi si parte per Gerusalemme, sia con la storica
italiana che imbastisce una storia tra passato e presente, tra Roma e
l’Oriente, sia con l’israeliano Grossman, di cui, al solito, apprezzo gli
scritti politici ma non riesco ad entrare nel suo mondo poetico. E qui il
cerchio si chiude, perché si parte lì dove finiva Mahfuz, sempre dalla Guerra
dei 6 giorni.
Cominciamo quindi con il Premio
Nobel.
Nagib Mahfuz “Karnak Café” Newton Compton euro 9,90 (in realtà, scontato
a euro 7,90)
Esile
ed agile… bello come sempre nella costruzione della storia e nel volerci,
comunque, dire qualcosa. Un punto negativo, ma ne parlo alla fine. All’inizio
sembra soltanto un romanzetto sulla vita di uno dei tanti quartieri del Cairo,
il caffè, la bella ex-danzatrice del ventre che lo gestisce, i vari avventori.
Poi, si approfondisce rigo dopo rigo. Diventa una storia d’amore. Per
rivelarsi, al fine, anche e soprattutto una storia sul proprio paese, sulle sue
passioni, sulla rivoluzione di Nasser, sui corrotti al potere negli anni ’60
(in Egitto, ed in quali anni qui da noi?), sulla sconfitta, bruciante,
inattesa, della Guerra dei 6 giorni, sulla rinascita portata dai primi tempi
della guida di Sadat. Solita la tecnica usata, quella di dare, man mano che
procede il testo, la parola ad uno dei personaggi. Si scopre così un altro
punto di vista, si scopre un retroscena che non ci si aspettava. Lo spavento
delle carceri per i giovani figli della rivoluzione degli Anni Cinquanta. La
difficoltà di essere donna e di mantenersi “pura” in un mondo maschile corrotto
e corruttore. L’instaurarsi di un clima di terrore, quello del “tutti contro
tutti”. Certo, Nagib ci dice, da buon vecchio, che ha ancora fiducia, ancora
speranza nei giovani. Ma quanto è (sarà) difficile la loro vita. Bella infine
la catarsi finale, dove il cattivo analizza la situazione e ne pronuncia
un’esegesi migliore di quella che tutti i buoni hanno fin lì mostrato. Mi piace
sempre e lo leggo sempre volentieri. Dove il punto negativo? Ovviamente nella
casa editrice, che, per risparmiare, ne effettua la traduzione dal libro
tradotto in inglese. Più facile trovare traduttori, più semplici i diritti
d’autore. Solito motivo per cui, alla fine, ho sempre un moto di frenata se
devo acquistare Newton Compton.
“è sempre inutile parlare delle storie d’amore con le persone
direttamente interessate” (31)
Passiamo quindi all’italiana,
purtroppo scomparsa, e ad un libro che mi ha accompagnato nell’estate
israeliana.
Antonella Tavassi La Greca “L’anno prossimo
a Gerusalemme” Fausto Lupetti editore s.p. (regalo di Alessandra)
Un
dei due libri che ho portato in giro per il medio - oriente. Forse il libro
giusto per questo viaggio, anche se denota alti e bassi. Scritto su due
registri, il presente, con il viaggio di Miriam e della figlia Veronica (detta
Vero!!), alla ricerca di radici e parenti nella contraddittoria Gerusalemme
degli ultimi anni, tra speranze di pace ed attentati. Ed il passato, la storia
della regina Berenice, l’ultima regina della Giudea, e del suo amore folle e
senza futuro per quel Tito che nel 70 d.C. raderà al suolo il tempio di Salmone.
La scrittrice Miriam, infatti, invitata da alcuni parenti per una cerimonia di
nozze, parte per Gerusalemme insieme alla figlia Veronica. Un viaggio che
cambierà la vita a entrambe alla scoperta delle proprie radici; un tuffo nella
realtà drammatica della terra santa al tempo del muro eretto da Ariel Sharon
per impedire ai palestinesi di raggiungere clandestinamente i territori arabi. Le
tensioni e i conflitti odierni di quelle genti e di quella terra sono
soprattutto incarnati dai personaggi di Sarah, che si appresta a unirsi in
matrimonio con l’ultraortodosso Isaac; e di suo fratello Josif, giovane soldato
obiettore. Non ultime le “ziette” nubili, testimoni di un passato ormai sepolto
e custodi della memoria del padre che, giovanissimo, si era trasferito nella
terra dei suoi avi. A ciò si alterna il libro che Miriam sta scrivendo su
Berenice, che diventa l’Io narrante della storia parallela, per raccontare il suo
dolore per la sconfitta dei suoi cittadini dopo la drammatica Seconda
Distruzione del Tempio ed il suo amore per un uomo, Tito, da cui per ragioni
politiche e religiose dovrà separarsi. Certo non tutto è omogeneo, e forse la
morte dell’autrice ha privato del tempo della limatura, per rendere più
efficaci i drammatici passaggi (soprattutto l’impatto e lo scontro tra la
civiltà romana che tutto macinava e questi ebrei che mai piegarono la testa).
Tuttavia ben si è adattato ai miei ritmi di viaggio, restituendomi pensieri
intorno ad una fumata di narghilè.
Finiamo la triade con il per me
difficilmente digeribile David.
David Grossman “A un cerbiatto somiglia il
mio amore” Mondadori s.p. (regalo di Alessandra)
Quanto
tempo ho impiegato a leggere questa megagalattica palla! Veramente poi ha anche
dei bei momenti, ma è faticoso: faticosa la scrittura, faticosa la trama,
faticoso il sovra testo. La trama in sé è anche linearmente raccontabile: si
inizia in Israele, durante la guerra dei Sei Giorni (cfr. Mahfuz). Avram, Orah
e Ilan, sedicenni, sono ricoverati (per qualche ignota malattia) nel reparto di
isolamento di un ospedale di Gerusalemme. I tre ragazzi si uniscono in
un'amicizia che si trasformerà, molto tempo dopo, nell'amore e nel matrimonio
tra Orah e Ilan. Dopo trentasei anni, Orah è una donna separata, madre di due
figli, Adam e Ofer. Quest'ultimo, militare di leva, accetta di partecipare a
un'incursione in Cisgiordania. Preda di un oscuro presentimento, Orah decide di
abbandonare tutto e partire, per non essere presente quando gli ufficiali
dell'esercito verranno a darle la notizia della morte del figlio. Ad
accompagnare la donna c'è Avram, ricomparso nella sua vita dopo più di un
ventennio. Il loro viaggio diventa occasione di riflessione e di rimpianto, ma
anche di gioia e tenera rievocazione. Fino a che arriverà il momento di tornare
a fare i conti con il presente che, tutt'intorno, preme inesorabile. Questa la
trama visibile, perché poi le quasi mille pagine si ingarbugliano di mille
rivoli e contorcimenti, a volte funzionali a volte inutilmente astrusi, per cui
leggevo e rileggevo le pagine per capire che volesse dire. Questa la fatica
della scrittura, che già ricordavo in “Vedi alla voce amore” letto tanti e
tanti anni fa, ma tanti che quasi mi ero fortunatamente scordato di come mi
facesse fatica. Quindi non sorprende se un dono del Natale 08 sia stato
terminato solo un anno dopo… Una scrittura, ad esempio, che non prevede
parlato, e quando si parla si riporta come flusso di pensiero, senza segni di
scrittura, lasciando a mezzo se è vero dialogo o ricordo dello stesso. Ed alla
fine, non ultima, la fatica del sovra testo, visto che il libro esce poco tempo
dopo la morte in una scaramuccia usuale in quel di Israele di uno dei figli di
Grossman. Ovvio, nessuno negherà mai il dolore di un genitore alla perdita di
un figlio. Ed ogni genitore cercherà di elaborarla nei modi a lui usuali, nel
silenzio, nel pianto, nell’esternazione, nella scrittura. Comprensibile. Ma qui
si aspetta ad ogni rigo, ad ogni pagina che questo orrore salti fuori. E non
avviene. Mai. Alla fine tutto sembra essere un lungo pianto ebraico di fronte
al Muro di Gerusalemme, con quegli ondeggiamenti rituali che intontiscono che
li fa e chi li guarda, fungendo un po’ da mantra un po’ da training autogeno.
Ma tutto ciò rimane nella mente sicuramente mia e forse di Grossman. Quello che
resta sulla pagina è un inutile tormento di centinaia e centinaia di pagine,
dove non riesco ad amare gli attori del dramma, ed aspetto ad ogni piè sospinto
che qualcuno me ne spieghi le movenze. Ma non arriva. Io chiudo il libro.
Ripenso ai miei viaggi in Israele e rimango con la stessa attonita sensazione:
non si riuscirà mai ad uscirne in modo decente.
“Sei proprio un coglione, giochi con i
sentimenti degli altri, ecco quello che fai” (65)
“Sognatore, malato d’amore, di sesso. Si
prendeva una cotta per qualunque ragazza gli passasse nelle vicinanze, non
importava chi fosse, bastava che fosse femmina e lui come minimo avrebbe fatto
di lei Brigitte Bardot.” (68)
“Davvero, chi immaginava che facesse così
bene scrivere?” (372)
“ricordati soltanto che a volte una cattiva
notizia non è che una buona notizia che è stata fraintesa, e ricordati anche
che quella che era una cattiva notizia, può tramutarsi in buona col tempo,
forse la migliore” (401)
“Non capisco come si può scegliere il nome a
un figlio, prendere una decisione tanto cruciale…” (408)
“non c’è limite alla fantasia dei guai”
(539)
“forse è questo che rimpiango: non aver
provato amore per una donna. Non averne incontrata una che fosse un’ancora per
me, alla quale poter dare tutto me stesso” (570)
“Non mi hai mai detto… che mi ami. Una
ragazza ha bisogno di sentirselo dire.. Ma tu sei avaro, al massimo dici ‘amo
il tuo corpo’, ‘ mi piace stare con te’, ‘mi piace il tuo sedere’” (584-5)
“Lei gli chiedeva tanto poco, e nemmeno
quello riusciva a darle” (586)
Poiché è la prima trama del mese
di febbraio, riporto ai miei assidui lettori, l’elenco dei libri letti in novembre.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
1
|
Zygmunt Bauman
|
Amore liquido
|
Laterza
|
7,50
|
2
|
Leonardo Sciascia
|
Atti relativi alla morte di
Raymond Roussel
|
Sellerio
|
8
|
3
|
Erle Stanley Gardner
|
Perry Mason e l’avversario
leale
|
Repubblica/CSGM
|
3,90
|
4
|
Michel Faber
|
Il petalo cremisi e il bianco
|
Einaudi
|
15
|
5
|
Daniel Kehlmann
|
Io e Kaminski
|
Voland
|
14
|
6
|
Qiu Xiaolong
|
Quando il rosso è nero
|
SuperPocket
|
5,60
|
7
|
Roberto Bolano
|
Stella distante
|
Sellerio
|
8
|
8
|
Marco Aime
|
Diario Dogon
|
Bollati Boringhieri
|
9
|
9
|
Gianni Celati
|
Avventure in Africa
|
Feltrinelli
|
7,50
|
10
|
Paolo Grugni
|
Let it be
|
Mondadori
|
4,20
|
11
|
Lorenzo Angeloni
|
In Darfur
|
Emergency
|
s.p.
|
12
|
Veit Heinichen
|
A ciascuno la sua morte
|
E/O
|
9,50
|
13
|
Andrea Camilleri
|
Il birraio di Preston
|
Sellerio
|
8
|
Che settimana di transito, amici
miei. Un po’ (forse anche qualcosa in più) di dolore nel giorno del ricordo di
mio padre, la preparazione della settimana belga (eh, si, torniamo anche in
quel di Gent), ed alcuni mattoncini di un possibile futuro (forse un po’
liquidi, ma chissà…). Ne esco devo dire stanco, quasi come un martini cocktail
di James Bond.
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