domenica 29 gennaio 2012

Tra il Medio Oriente e noi - 07 febbraio 2010

O forse me? Penso sia questo il più giusto titolo di questa triade eterogenea ma con molto in comune. In comune senz’altro il profumo dei caffè arabo-orientali, e del narghilè acceso e condiviso. Si parte dall’Egitto, dalla mia Cairo amata e dall’autore che mi fece innamorare di questa letteratura. Con il suo solito garbo (e dei cenni che rimandano all’ultimo). Poi si parte per Gerusalemme, sia con la storica italiana che imbastisce una storia tra passato e presente, tra Roma e l’Oriente, sia con l’israeliano Grossman, di cui, al solito, apprezzo gli scritti politici ma non riesco ad entrare nel suo mondo poetico. E qui il cerchio si chiude, perché si parte lì dove finiva Mahfuz, sempre dalla Guerra dei 6 giorni.
Cominciamo quindi con il Premio Nobel.
Nagib Mahfuz “Karnak Café”  Newton Compton euro 9,90 (in realtà, scontato a euro 7,90)
Esile ed agile… bello come sempre nella costruzione della storia e nel volerci, comunque, dire qualcosa. Un punto negativo, ma ne parlo alla fine. All’inizio sembra soltanto un romanzetto sulla vita di uno dei tanti quartieri del Cairo, il caffè, la bella ex-danzatrice del ventre che lo gestisce, i vari avventori. Poi, si approfondisce rigo dopo rigo. Diventa una storia d’amore. Per rivelarsi, al fine, anche e soprattutto una storia sul proprio paese, sulle sue passioni, sulla rivoluzione di Nasser, sui corrotti al potere negli anni ’60 (in Egitto, ed in quali anni qui da noi?), sulla sconfitta, bruciante, inattesa, della Guerra dei 6 giorni, sulla rinascita portata dai primi tempi della guida di Sadat. Solita la tecnica usata, quella di dare, man mano che procede il testo, la parola ad uno dei personaggi. Si scopre così un altro punto di vista, si scopre un retroscena che non ci si aspettava. Lo spavento delle carceri per i giovani figli della rivoluzione degli Anni Cinquanta. La difficoltà di essere donna e di mantenersi “pura” in un mondo maschile corrotto e corruttore. L’instaurarsi di un clima di terrore, quello del “tutti contro tutti”. Certo, Nagib ci dice, da buon vecchio, che ha ancora fiducia, ancora speranza nei giovani. Ma quanto è (sarà) difficile la loro vita. Bella infine la catarsi finale, dove il cattivo analizza la situazione e ne pronuncia un’esegesi migliore di quella che tutti i buoni hanno fin lì mostrato. Mi piace sempre e lo leggo sempre volentieri. Dove il punto negativo? Ovviamente nella casa editrice, che, per risparmiare, ne effettua la traduzione dal libro tradotto in inglese. Più facile trovare traduttori, più semplici i diritti d’autore. Solito motivo per cui, alla fine, ho sempre un moto di frenata se devo acquistare Newton Compton.
“è sempre inutile parlare delle storie d’amore con le persone direttamente interessate” (31)
Passiamo quindi all’italiana, purtroppo scomparsa, e ad un libro che mi ha accompagnato nell’estate israeliana.
Antonella Tavassi La Greca “L’anno prossimo a Gerusalemme” Fausto Lupetti editore s.p. (regalo di Alessandra)
Un dei due libri che ho portato in giro per il medio - oriente. Forse il libro giusto per questo viaggio, anche se denota alti e bassi. Scritto su due registri, il presente, con il viaggio di Miriam e della figlia Veronica (detta Vero!!), alla ricerca di radici e parenti nella contraddittoria Gerusalemme degli ultimi anni, tra speranze di pace ed attentati. Ed il passato, la storia della regina Berenice, l’ultima regina della Giudea, e del suo amore folle e senza futuro per quel Tito che nel 70 d.C. raderà al suolo il tempio di Salmone. La scrittrice Miriam, infatti, invitata da alcuni parenti per una cerimonia di nozze, parte per Gerusalemme insieme alla figlia Veronica. Un viaggio che cambierà la vita a entrambe alla scoperta delle proprie radici; un tuffo nella realtà drammatica della terra santa al tempo del muro eretto da Ariel Sharon per impedire ai palestinesi di raggiungere clandestinamente i territori arabi. Le tensioni e i conflitti odierni di quelle genti e di quella terra sono soprattutto incarnati dai personaggi di Sarah, che si appresta a unirsi in matrimonio con l’ultraortodosso Isaac; e di suo fratello Josif, giovane soldato obiettore. Non ultime le “ziette” nubili, testimoni di un passato ormai sepolto e custodi della memoria del padre che, giovanissimo, si era trasferito nella terra dei suoi avi. A ciò si alterna il libro che Miriam sta scrivendo su Berenice, che diventa l’Io narrante della storia parallela, per raccontare il suo dolore per la sconfitta dei suoi cittadini dopo la drammatica Seconda Distruzione del Tempio ed il suo amore per un uomo, Tito, da cui per ragioni politiche e religiose dovrà separarsi. Certo non tutto è omogeneo, e forse la morte dell’autrice ha privato del tempo della limatura, per rendere più efficaci i drammatici passaggi (soprattutto l’impatto e lo scontro tra la civiltà romana che tutto macinava e questi ebrei che mai piegarono la testa). Tuttavia ben si è adattato ai miei ritmi di viaggio, restituendomi pensieri intorno ad una fumata di narghilè.
Finiamo la triade con il per me difficilmente digeribile David.
David Grossman “A un cerbiatto somiglia il mio amore” Mondadori s.p. (regalo di Alessandra)
Quanto tempo ho impiegato a leggere questa megagalattica palla! Veramente poi ha anche dei bei momenti, ma è faticoso: faticosa la scrittura, faticosa la trama, faticoso il sovra testo. La trama in sé è anche linearmente raccontabile: si inizia in Israele, durante la guerra dei Sei Giorni (cfr. Mahfuz). Avram, Orah e Ilan, sedicenni, sono ricoverati (per qualche ignota malattia) nel reparto di isolamento di un ospedale di Gerusalemme. I tre ragazzi si uniscono in un'amicizia che si trasformerà, molto tempo dopo, nell'amore e nel matrimonio tra Orah e Ilan. Dopo trentasei anni, Orah è una donna separata, madre di due figli, Adam e Ofer. Quest'ultimo, militare di leva, accetta di partecipare a un'incursione in Cisgiordania. Preda di un oscuro presentimento, Orah decide di abbandonare tutto e partire, per non essere presente quando gli ufficiali dell'esercito verranno a darle la notizia della morte del figlio. Ad accompagnare la donna c'è Avram, ricomparso nella sua vita dopo più di un ventennio. Il loro viaggio diventa occasione di riflessione e di rimpianto, ma anche di gioia e tenera rievocazione. Fino a che arriverà il momento di tornare a fare i conti con il presente che, tutt'intorno, preme inesorabile. Questa la trama visibile, perché poi le quasi mille pagine si ingarbugliano di mille rivoli e contorcimenti, a volte funzionali a volte inutilmente astrusi, per cui leggevo e rileggevo le pagine per capire che volesse dire. Questa la fatica della scrittura, che già ricordavo in “Vedi alla voce amore” letto tanti e tanti anni fa, ma tanti che quasi mi ero fortunatamente scordato di come mi facesse fatica. Quindi non sorprende se un dono del Natale 08 sia stato terminato solo un anno dopo… Una scrittura, ad esempio, che non prevede parlato, e quando si parla si riporta come flusso di pensiero, senza segni di scrittura, lasciando a mezzo se è vero dialogo o ricordo dello stesso. Ed alla fine, non ultima, la fatica del sovra testo, visto che il libro esce poco tempo dopo la morte in una scaramuccia usuale in quel di Israele di uno dei figli di Grossman. Ovvio, nessuno negherà mai il dolore di un genitore alla perdita di un figlio. Ed ogni genitore cercherà di elaborarla nei modi a lui usuali, nel silenzio, nel pianto, nell’esternazione, nella scrittura. Comprensibile. Ma qui si aspetta ad ogni rigo, ad ogni pagina che questo orrore salti fuori. E non avviene. Mai. Alla fine tutto sembra essere un lungo pianto ebraico di fronte al Muro di Gerusalemme, con quegli ondeggiamenti rituali che intontiscono che li fa e chi li guarda, fungendo un po’ da mantra un po’ da training autogeno. Ma tutto ciò rimane nella mente sicuramente mia e forse di Grossman. Quello che resta sulla pagina è un inutile tormento di centinaia e centinaia di pagine, dove non riesco ad amare gli attori del dramma, ed aspetto ad ogni piè sospinto che qualcuno me ne spieghi le movenze. Ma non arriva. Io chiudo il libro. Ripenso ai miei viaggi in Israele e rimango con la stessa attonita sensazione: non si riuscirà mai ad uscirne in modo decente. 
“Sei proprio un coglione, giochi con i sentimenti degli altri, ecco quello che fai” (65)
“Sognatore, malato d’amore, di sesso. Si prendeva una cotta per qualunque ragazza gli passasse nelle vicinanze, non importava chi fosse, bastava che fosse femmina e lui come minimo avrebbe fatto di lei Brigitte Bardot.” (68)
“Davvero, chi immaginava che facesse così bene scrivere?” (372)
“ricordati soltanto che a volte una cattiva notizia non è che una buona notizia che è stata fraintesa, e ricordati anche che quella che era una cattiva notizia, può tramutarsi in buona col tempo, forse la migliore” (401)
“Non capisco come si può scegliere il nome a un figlio, prendere una decisione tanto cruciale…” (408)
“non c’è limite alla fantasia dei guai” (539)
“forse è questo che rimpiango: non aver provato amore per una donna. Non averne incontrata una che fosse un’ancora per me, alla quale poter dare tutto me stesso” (570)
“Non mi hai mai detto… che mi ami. Una ragazza ha bisogno di sentirselo dire.. Ma tu sei avaro, al massimo dici ‘amo il tuo corpo’, ‘ mi piace stare con te’, ‘mi piace il tuo sedere’” (584-5)
“Lei gli chiedeva tanto poco, e nemmeno quello riusciva a darle” (586)
Poiché è la prima trama del mese di febbraio, riporto ai miei assidui lettori, l’elenco dei libri letti in novembre.
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
1
Zygmunt Bauman
Amore liquido
Laterza
7,50
2
Leonardo Sciascia
Atti relativi alla morte di Raymond Roussel
Sellerio
8
3
Erle Stanley Gardner
Perry Mason e l’avversario leale
Repubblica/CSGM
3,90
4
Michel Faber
Il petalo cremisi e il bianco
Einaudi
15
5
Daniel Kehlmann
Io e Kaminski
Voland
14
6
Qiu Xiaolong
Quando il rosso è nero
SuperPocket
5,60
7
Roberto Bolano
Stella distante
Sellerio
8
8
Marco Aime
Diario Dogon
Bollati Boringhieri
9
9
Gianni Celati
Avventure in Africa
Feltrinelli
7,50
10
Paolo Grugni
Let it be
Mondadori
4,20
11
Lorenzo Angeloni
In Darfur
Emergency
s.p.
12
Veit Heinichen
A ciascuno la sua morte
E/O
9,50
13
Andrea Camilleri
Il birraio di Preston
Sellerio
8

Che settimana di transito, amici miei. Un po’ (forse anche qualcosa in più) di dolore nel giorno del ricordo di mio padre, la preparazione della settimana belga (eh, si, torniamo anche in quel di Gent), ed alcuni mattoncini di un possibile futuro (forse un po’ liquidi, ma chissà…). Ne esco devo dire stanco, quasi come un martini cocktail di James Bond.

Nessun commento:

Posta un commento