Sono tutte letture terminate poco
dopo la fine dell’estate, da ricordare ora che fa un po’ (troppo freddo).
Cominciando quindi dal più freddo di tutti, dal commissario svedese.
Henning Mankell “L’uomo che sorrideva”
Marsilio euro 8,50
E
con questo (che poi è il quarto della serie) ho finito di leggere tutti i libri
della saga del commissario Wallander. Questo è un romanzo del suo periodo buio,
uscito dal terzo dove uccide un uomo, e prima del quinto e della storia d’amore
con Beiba. Come atmosfera, poi, si ricollega molto all’Omicidio al Savoy del
commissario Beck, dove sempre di intoccabili si parla. Periodo cupo, quindi
molto incentrato sul commissario che guarda sé stesso e cerca di capire la sua
strada. Non vuole più far parte di quel mondo che uccide, ma la morte di un
amico lo coinvolge, lo rimette in gioco. E non si tira indietro. Anche perché
quello sa fare. Quello è il suo mestiere. Cercare di scovare gli assassini, e
tirar su una squadra di poliziotti, cosa che merita una buona dose di lavoro
psicologico, come in tutti i lavori di squadra. Questa forse la cifra che più
mi ha preso, di un libro scritto bene, ma, se vogliamo, un po’ da mestierante.
Non c’era l’entusiasmo delle prime inchieste, la scoperta del solitario mondo
scandinavo. E per il lato sociologico, dopo i primi buoni tentativi, rientra un
po’ nel solco preso dalla coppia svedese antesignana del giallo di critica
sociale. La novità è questa attenzione agli altri, che merita un gran lavoro
(sempre ed in ogni contesto). Qui mi è piaciuto, anche se nella velocità degli
accenni. Avendo letto il resto della saga so già cosa lo aspetta, l’amore con
la lituana, il doverla lasciare per motivi vari, la crescita della figlia, la
morte del padre. E so già che Mankell riprenderà con più lena a scrivere di
altre storie ed altri intrecci, più crudi e più avvincenti. Una buona lettura
da rientro estivo.
Saliamo molto, di toni e di
temperatura, scendendo giù in Sicilia.
Andrea Camilleri “La danza del gabbiano”
Sellerio 13 (in realtà, gratis con Feltrinelli +)
Si
torna a qualche trama di stampo classico. Un po’ di giallo che non guasta. Qui,
infatti, si comincia con la scomparsa del buon Fazio, in fondo una persona che
sta a cuore a Salvo forse più della ormai distante Livia. Tanto che se la
dimentica (dovevano fare un giro nella Val di Noto, e se non lo avete fatto ve
lo consiglio) e si butta a capofitto nella ricerca, nel ritrovamento ed in
tutte le conseguenze che la sparizione aveva sollevato. Inchieste di droga, o
di contrabbando: navi che vanno e che vengono, trame sempre più fitte e tese
all’internazionalizzazione del crimine. Un rompicapo insomma, che mette a dura
prova la mente sempre più brillante del commissario. La stanchezza che aveva
dimostrato ne L’età del dubbio lascia
il posto in queste pagine a una consapevolezza più lucida e matura. Non
mancano, ormai siamo alle costanti, le tirate sull’età che avanza, e sul
rapporto con le “fimmine” più giovani. Anche se qui un soprassalto di coscienza
fa rimanere il buon Salvo sulle sue, senza correre dietro a tutte le gonnelle
che girano. Altra costante ormai, le chiacchiere tra sé e sé, con il suo
alter-ego che prova a mettere in dubbio le sue certezze, ma che, più che altro,
serve a dipanare i misteri. Visto che non si riesce a colloquiare con il
lettore, queste chiacchiere servono a discutere l’andamento delle indagini con
qualcuno, ed a farle avanzare. Qualche trovata di estemporaneità (non vuole
andare a Scicli perché rischia di incontrare l’attore che interpreta Salvo nei
film, oppure teme di non avere le parole giuste per raccontare le sue storie al
suo biografo, Camilleri) che sono simpatiche. Le solite sparatine contro i
guasti della società. Ed un discreto finale con mafiosi e politici che (forse?)
faranno la fine che si meritano. Si legge tutto d’un fiato, e non lascia
pesantezze addosso (anche se Montalbano si fa di quelle mangiate pantagrueliche
che solo a narrarne già si ingrassa). Rimangono i dubbi di fondo (quand’è che
lascia Livia? Come fare ad essere un sé stesso con quindici anni di più di quando
si è iniziato?) ma è una prova migliore assai delle ultime.
E
finiamo con un salto nella sempre amata e gradevole Barcellona.
Alicia Gimenez-Bartlett “Il silenzio dei
chiostri” Sellerio euro 15
Un
brodo un po’ lungo (manca un po’ di ritmo) ed un aggirarsi tra Conventi e
Monasteri (segno dei tempi…). Certo, è bello dopo del tempo, ritrovarsi con una
vecchia amica, la dura Petra, e sentirne parlare e discuterne con lei, magari
davanti ad una buona birra e a delle tapas. Un po’ fuori dal coro le pagine dei
rapporti tra lei ed i figli del suo terzo (ma forse quello buono) marito. Nel
senso che sia la piccola che i gemelli sono di grosso spasso, e spero non
vengano abbandonati. Ma sono un po’ come della buona panna, su di un gelato che
sarebbe buono anche senza. E non mi dite che servono a caratterizzare Petra, o
il suo evolversi (alla fine le più di 500 pagine, sono forse un po’ troppe).
Come fulmine a ciel sereno giunge tra le braccia di Petra il caso dell’omicidio
nel convento delle sorelle del Cuore Immacolato, reso ancor più scabroso dalle
modalità in cui sembra avvenuto. Il cadavere di frate Cristóbal dello Spirito
Santo ritrovato accanto alla teca che custodiva il Beato Asercio de Montcada,
il cui corpo incorrotto è misteriosamente scomparso. La difficoltà, come detto sopra, è muoversi
in Conventi che sembrano sottostare ad altre leggi, di modo e di comportamento
(ma divertente ed interessante la prima parte con Suor Gabriela, anche se poi
diventa un po’ un cliché). Dopo 350 pagine di faticoso guardarsi l’ombelico
(con qualche frecciata neanche troppo nascosta alla cattolicissima Spagna),
Alicia e Petra prendono in mano la matassa, e, come Dio vuole, ne escono un 200
pagine di finale un po’ più su di tono. Giudizio quindi altalenante, certo non
meno della sufficienza, perché comunque è una scrittrice che amo, e che mi
piace anche quando legge l’elenco del telefono. Spero che ci riporti Petra
sulla terra, anche se mi dispiacerebbe se si perdesse Marina, la nuova
assistente, per strada.
“il fatto è che non so essere
riconoscente quando gli altri si occupano di me” (63)
“il fatto è che l’amore può trasformare il carattere di un uomo,
perfino la sua vita, ma si rivela del tutto inefficace contro le miserie
quotidiane” (95)
“L’amore è una pianta delicata che richiede continue cure,
contrariamente a quanto ci è sempre stato fatto credere. L’amore vero resiste a
tutte le tempeste, diciamo noi spagnoli. Può darsi, eppure rischia di seccarsi
se nessuno lo annaffia un pochino tutti i giorni” (447)
Tornato al freddo di Roma, dopo
il gelo e la neve del Belgio, mi sento un po’ acciaccato (colpa forse anche di
uno scivolone bruxellese) e non mi va molto di affrontare questa nuova
settimana. Dove ci si inizia a muovere (e vi farò sapere che vuol dire), dove
si pensa con gratitudine agli acquari passati e si aspetta la grande festa
tonda dell’amico Luciano.
Consiglio una birra belga,
segnalatami dagli amici di Gent, si chiama “La Chouffe” bionda con buon sapore
e discreto tenore alcolico.
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