venerdì 13 gennaio 2012

Non mi piace - 18 ottobre 2009


A volte bisogna pur affermare che qualcosa non ci piace, che non è bello, che non ha le corde giuste per farti stare bene. Troppo zuccheroso nelle ultime settimane, forse perché mi piace sempre quello che leggo, ma qui ho letto per diversi motivi, e, complessivamente, il giudizio non si avvicina alla sufficienza. Certo, il peso è diverso, un libro palloso di un autore generalmente positivo, può essere giudicato diversamente dalla prova singola di un nuovo autore. Tant’è, ora vi beccata una sfilza di giudizi “neri”, così magari trovo qualcuno a cui invece sono piaciuti e ci si discute un po’. E non saranno i soli, che ultimamente leggo poche cose positive. E tra un po’ torneremo ancora con libri negativi.
Partiamo dal vecchietto irlandese, di cui credo aver letto in gioventù del Viaggio di Felicita (ma l’ho scoperto a posteriori).
William Trevor “Morte d’estate” Guanda euro 7,23 (in affido da Chiara, Non è un regalo e non è un prestito. Mi sono stati lasciati in custodia dei libri, e questo è solo il primo che recensisco, che quindi considero “affidati”)
Non mi è proprio piaciuto. All’inizio non sapevo neanche chi fosse questo Trevor, poi ho scoperto che è irlandese. Qualcuno lo paragona a Checov per le indagini sul comportamento umano, per il sottolineare l’incidenza del fato e della casualità degli eventi sulla quotidianità. Beh, non ci siamo proprio… Certo, è altrettanto vero che i suoi sono personaggi deboli, che subiscono gli eventi senza mai riuscire ad esserne attori in prima persona, capaci di cambiare il corso delle cose. Anche qui, il povero Thaddeus subisce. La morte della moglie. La suocera che invade la sua vita. La bambinaia-punk che si innamora di lui. E tutto va per la discesa inesorabile, verso la scoperta di un’infelicità sempre pronta ad esplodere. Ma Checov… via non esageriamo. Qui, poi potrebbe succedere di tutto. La bambinaia potrebbe creare uno sconforto ancora maggiore nella già triste vita di Thaddeus. Così come potrebbe farlo la sua vecchia amante. Ma poi, senza un vero perché (o forse perché le marionette di Trevor sono ancora più deboli di quanto si possa ipotizzare) tutto torna nel solco di una quotidianità, povera, fatta delle macerie che restano. Resta anche un’enorme desolazione. Verrebbe voglia di dire a qualcuno dei vari personaggi, beh per la miseria, dì qualcosa, prova ad essere sincero, prova a seguire quello che vorresti e che potresti fare. Verrebbe voglia di gridare. Ma siamo già all’ultima pagina. Thaddeus ritorna nel giardino di casa con la figlioletta a curare le sue piantine. O almeno così lo immagino io. E tutte queste pagine per … Argh!!! Forse è meglio che finisca qui, altrimenti mi innervosisco di nuovo. Non nego certo che sappia scrivere ( troveremo nella vita autori che litigano con la penna). Qui è la materia che non mi soddisfa. O le cose che lui ci vuole presentare.
Non abbiamo una (ancora) biografia italiana di questo irlandese che trenta anni prima di Anto è nato nello stesso giorno. Dopo una laurea in storia ed il matrimonio con Jane nel ’52, si trasferisce a Londra dove insegna e lavora all’editing di altri scrittori. Dagli inizi degli anni ’60 inizia a scrivere a tempo (quasi) pieno e si trasferisce nel Devon, dove vive tuttora.
Dall’Irlanda, ad un americano che si riscopre gaelico e che incide nelle piaghe dell’America dura, ma che continua a lasciarmi perplesso.
Cormac McCarthy “Figlio di Dio” Einaudi euro 9,50 (in realtà, scontato 7,60 euro)
Ancora un romanzo sull’America del dentro. Non quella bella delle coste, ma quella del centro, quella dove una chiesa ed una pompa di benzina fanno cittadina. Continuo a leggere di McCarthy anche se non sempre mi piace. Ma lì, tra praterie, case fatiscenti, forre e dirupi, lì ti ci porta, alla grande. E tra elementi ignoti come quelli della frase che riporto. Non so se sia più bravo Cormac a trovare peromischi o il traduttore a citare le macchie di stramonio. Ma che diavolo sono? Un brano da Spoon River, senza la “pietas” di Lee Masters. Qui c’è solo desolazione e ricerca di arrivare all’oggi, che tanto il domani non è previsto. Non ci sono buoni, non ci sono personaggi cattivamente positivi. Solo il dolore. Il freddo. L’angoscia di un sesso non vissuto. La follia (follia?) di Ballard, anche lui figlio di Dio, ma per quale motivo vive su questa terra? Per ammazzare cani? Per ammazzare umani? Per arrivare a quel domani che non c’è? Rubare orologi per venderli per comprare whisky per ubriacarsi per cercare qualcuno a cui rubare l’orologio. Siamo sull’altro versante dell’inutile quotidianità. Anche qui senza speranza. Ma con tanta casualità. Si muore per un’ora d’amore. Si vive per attraversare questo orrore. E qui seguiamo, ma senza tanta partecipazione, questa discesa agli inferi del protagonista. Tuttavia, pur nella perplessità, continuo a leggere il buon Cormac che ci porta in (cioè dentro) America. Ritorno infine sulla nota del traduttore, che ritengo sia un mago: dove si trovano la flora e la fauna citate? Lo stramonio è velenoso ed è noto come “erba del diavolo”. Il solano è una famiglia che, oltre a piante velenose, comprende la patata e la melanzana. E i peromischi detti anche “topi dalle zampe bianche” che cosa sono? Come può uno scrittore scrivere una frase del genere e poi parlare di morti e stragi e crudeltà varie? Chi ne sa qualcosa?
“cammino fino in mezzo a macchie di stramonio e solano…. In mezzo a tracce leggere lasciate da uccelli e peromischi”
Ed ora passiamo dall’America del Nord a quella che dovrebbe essere la solare America del Sud.
João Paolo Cuenca “Una giornata Mastroianni” Cavallo di Ferro euro 12,50 (in realtà, scontato 10 euro)
Questo più che non piacermi, non mi ha convinto. È agile, veloce, si legge degustandolo come una capirinha gelata. Ma … l’unica cosa innovatrice, divertente, è il titolo, o meglio, la definizione. Una giornata Mastroianni viene definita come una giornata passata a bere (strabere), fumare, far sesso con delle belle donne, e lasciarsi scivolare verso probabilmente il nulla. È questo il messaggio? Fare il dandy non può che portare alla distruzione del sé? Se questo è il messaggio, certo poteva essere scritto meglio. O meglio indirizzato. Così certo è ironico, si attraversa una giornata dei due amici a Rio de Janeiro, sole, caldo, barbieri, ristoranti, scrittori, attori. Per poi dirci che è reale solo quello cui assistiamo in questo preciso momento. Chiudiamo gli occhi, voltiamo l’angolo, e tutto scompare, come per la regia di un cineasta da strapazzo. Felliniano, più che altro. Con quei rimandi forse colti alle pellicole del grande (ma chi ha visto Rimini, ed abita in Via Otto e Mezzo 23, può mai meravigliarsi di un ristorante Snaporatz?) e quella profusione (inusuale per un sudamericano) di parole “in italiano nel testo”. Insomma, forse il giovane trentenne ha un suo bello e ben seguito blog, il “Folhetim Bizarro”, ma per il resto non rimane che una promessa. Lo si aspetta a prove più dure e convincenti.
“il mio problema è che non riesco a interessarmi a niente che non sia me stesso” (83)
“il silenzio… è il segreto. Sarebbe una mostruosità dire tutto” (91)
Poiché non solo i libri che ho letto non mi sono piaciuti, ma tutta un’altra serie di cose, il momento pubblico attuale, il mio “lavoro”, ed altro discorrendo, mi consolo inviandovi un grossissimo, gigantesco, bacio..

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