venerdì 27 gennaio 2012

Dei toni leggeri - 24 gennaio 2010

Dopo due giorni di “buen ritiro” non ho la forza di affrontare grandi argomenti o grandi scritture. Allora ne approfitto per riprendere alcuni gialli classici, dell’ottima collana di Repubblica (ottima anche se con alti e bassi, come tutte le ultime cose pubblicate da loro). Ritorno ciò ai Classici Mondadori, quei Gialli che hanno impresso un marchio in Italia a tutto il genere, e che dal dopoguerra in poi hanno riempito le pagine di buone riuscite, soprattutto allora sotto la guida del buon Tedeschi (cui non a caso si intitola un premio ai giallisti italiani, di cui parlerò nel futuro). Qui abbiamo tre esempi, uno discreto, uno buono (d’altra parte Philo Vance mi è sempre piaciuto), ed uno un po’ datato, ma dignitoso per l’epoca della scrittura.
Mignon Good Eberhart “Breve ritorno” Repubblica/CSGM (Collezione Storica Gialli Mondadori) euro 3,90
Un esempio di una buona scrittura del giallo. Ben costruito, piena di possibilità, anche se da buona scrittrice di gialli di stampo classico, la soluzione la fa intuire ben prima della fine del libro. Il plot è di quelli che ormai diventeranno classici: un cattivone che angustia la famiglia (moglie, sorella e cognata), muore in un incidente aereo. Tutti si risistemano, si fanno una nuova vita. Poi il cattivone ritorna (non era mica morto…). Ognuno vede il suo pezzo di cielo andare in frantumi. Fortunatamente il cattivone muore nel giro di una notte (e questa volta realmente, c’è un bel cadavere). Allora si intrecciano i giochi di sospetti, di paure che sia stata proprio quella persona che però non merita di essere accusata. Di coperture, che si rivelano più disastrose di confessioni a cielo aperto. Tutti hanno dei motivi per uccidere. Tutti hanno la possibilità. Il buon dottore anima della vicenda ed innamorato della bella signorina, pur nei tormenti di pensarla colpevole, non potrà far altro che portare avanti il gioco di analisi e svelamento. E tutto si svelerà facendo andare i tasselli giusti negli incavi corretti. Quando si sa ben scrivere si può maneggiare una materia scivolosa e buttar giù duecento pagine senza che il lettore decida di andare a farsi una passeggiata altrove. In alcuni punti, per il mio gusto, la scrittura rischia di essere didascalica ed un po’ di maniera (stereotipi vari, tra cui la belloccia che non si ricorda mai i nomi di nessuno e chiama tutti “Tesoro!”). Ma va bene così.
S.S. Van Dine “La strana morte del signor Benson” Repubblica/CSGM euro 3,90
Un classico, ma ben scritto. La prima delle avventure investigative di Philo Vance, il dandy che aiuta il commissario a risolvere intricati casi polizieschi. Con quell’aria sorniona che sembra sempre prendere un po’ in giro anche il lettore. Philo ha già capito tutto dalle prime mosse, ma con atteggiamento socratico da un lato cerca di aiutare il lettore nello sviluppo del ragionamento che lo ha portato alla soluzione del mistero. Dall’altro, cerca comunque di trovare delle prove. Come in questo caso, uccisione di un agente di cambio nella sua casa, in un momento che sembra di relax (sta leggendo un libro, è in giacca da camera). Philo irrompe con la sua logica (che forse ora sembra di routine ma che all’epoca della scrittura, intorno agli anni ’30, era rivoluzionaria) e ci dice subito l’altezza dell’assassino (o assassina): basandosi sul foro di entrata, sulla possibile distanza, e quant’altro. Interessato ai risvolti psicologici del crimine, Vance convince il Procuratore Markham ad investigare sugli amici di Benson, sui suoi affari lavorativi e sentimentali, finché farà saltare l’alibi di qualcuno che alla fine dovrà confessare. Stranamente basata su un fatto realmente avvenuto e mai risolto: l’uccisione del giocatore professionista di bridge Joseph Elwell, colpito a morte in una stanza chiusa dall’interno e senza che indossasse il parrucchino. Van Dine ci fa capire subito che altrettanto di interesse saranno le altre sue prove, anche se, purtroppo una decina d’anni solo dopo questo primo romanzo, la morte fermerà la sua penna. Ma io ho tutti i suoi scritti.
Piers Marlowe “Il doppio tredici” Repubblica/CSGM euro 3,90
Veramente datato. Reperto ma niente di più (ed alcuni passaggi, al solito, saltati). La storia ha 60 anni e li dimostra tutti: filo conduttore il contrabbando di diamanti dal Sud Africa. Tanti cattivelli, ma il più losco Gomez non facciamo in tempo a trovarlo che sta già più di là che di qua, ed il più “banderuola”, Owen, scorrazza per mezzo libro, cambiando bandiera ogni 10 pagine, per poi scoprire che forse lavorava solo per sé, e si lascia una bella di strisciata di morti a tale proposito. Qualche buono, il capitano della nave, invischiato suo malgrado nelle fosche trame, e sua figlia, la bella del reame, che non potrà che finire tra le braccia del protagonista. Poi c’è il superbuono, gestore di una banca di affari, che assume tanti loschi senza rendersene conto, ma che darà una mano ai nostri perché se la possano cavare. Ed infine il così così, né buono buono, ma neanche cattivo cattivo. Un avventuriero, si diceva ai tempi, un po’ ai margini della legalità, ma che (pur rubando, picchiando ed uccidendo) rimane coerente al suo disegno interno: fare di tutto per guadagnare molto a poco prezzo, ma senza tradire mai nessuno. Ecco direi, integro è la parola giusta. Il nostro (che aveva avuto screzi in africa con Gomez) viene da questi arruolato per introdurre diamanti in Inghilterra (in modo da potersi vendicare per poi ucciderlo), coinvolgendo la bella della barca. Ma il nostro passa un po’ di peripezie pre-hard boiled ed alla fine sgomina i cattivi, impalma la bella, e viene assunto del buon legale. Ma perché è così fortunato? Lo spiega e lo riporta nel titolo. Perché è nato il giorno 26 che (appunto) è due volte tredici, quindi doppiamente fortunato. Ecco, solo per questo mi ero già predisposto benignamente nei suoi confronti. Poi, alla fine, devo riconoscere che è una lettura minore, da collocare tra i passatempi delle code estive.
“Quando un uomo è curioso e vuole rendersi conto del perché di una cosa, non ha più tregua. Deve per forza trovare una risposta. Tu appartieni a quella specie di uomini che si cacciano nei guai per questo motivo. Ti butti dentro a capofitto” (34-35)
Eccoci allora con molta leggerezza ai saluti settimanali, ai tanti appuntamenti. Uno per me fondamentale i prossimi giorni in banca, di cui per ora lascio aleggiare il mistero. E poi si deve trovare il tempo per gli amici e perché non anche per qualche cena post-vacanze? Vediamo. 

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