martedì 3 gennaio 2012

Il Nobel ed alcuni odori - 12 luglio 2009

Nel senso che questa settimana mi occupo di autori di considerazione elevata. Dopo aver letto alcune recenti prove dell’ultimo Nobel (e non mi sono piaciute), ho passato alcuni giorni in compagnia di questi eterogenei compagni di viaggio. Due autori da anni nella lista dei papabili ed un poeta strano che invece l’ha avuto. Il primo, di cui lessi qualcosa anni fa, continua a non piacermi. Sarà la mia inconfessata vena razzista verso slavi e albanesi… La seconda è per me uno dei più fulgidi esempi di scrittura bella, coinvolgente, veramente di livello superiore. Il Nobel, beh, il caraibico mi ha lasciato perplesso (sempre per quella vena di diffidenza verso la poesia), ma ha trovato momenti (e l’ho riportato) in cui una riga, una rima, mi hanno trasportato altrove. E non è poco.
Ma andiamo con ordine.
Ismail Kadaré “La figlia di Agamennone” Longanesi euro 13 (in realtà, scontato 10,40 euro)
L’albanese in odore di Nobel. Tutto di testa, datato, un po’ palloso. E triste. L’operazione molto intellettuale della pubblicazione, ora, di questo testo di venticinque anni fa. Quindi con uno sguardo da antropologo, che vede i comportamenti pre “caduta del muro”, e cerca di capire come ci si muoveva in quei contesti. Kadaré mette in ballo tutta l’allegoria del potere che opera al meglio per perpetuare sé stesso, inscenando un regime in cui il filo connettivo non è altro che la paura. Inserisce due o tre bozzetti di ascesa e caduta all’interno del regime che sarebbero da ridere se non fossero di un’assoluta tragicità. Finire nelle prigioni albanesi, senza un reale perché, in un mondo che fa di Kafka l’emblema costitutivo. Il tutto collegato dal problema del protagonista che viene mollato dalla sua bella per la ragion di Stato, e che cerca di “tragediarsi” ammantando la sua sconfitta con i paludamenti della grecità di Agamennone. Certo, lui ci dà la sua soluzione: il sacrificio di un proprio caro, consente al potere di chiedere e di ottenere il sacrificio di tutti (unendo poi Henver a Josip). Ma che operazione datata! Non è che si guarda all’85 con l’occhio del duemila. Si è dentro fino al collo in quell’atmosfera. Capisco che avrebbe avuto delle difficoltà insormontabili ad essere pubblicato, ma, altra domanda retorica, come ha fatto con tanta lucidità a rimanere fuori da quasi tutto? E ancora, la sua biografia (vedi sotto) qualcosa spiega, ma per tornare al testo, è di una lugubre elencazione di passi irrinunciabili, che mi domando se riuscirò mai a leggere altro. Un grido si è levato a metà libro e non mi ha più mollato: che palle!
Continuiamo con la mia scoperta canadese (scoperta perché ne sentivo parlare da tanto ma solo nell’ultimo anno ne ho letto).
Alice Munro “Nemico, amico, amante …” Einaudi euro 11,50 (in realtà, scontato 9,20 €)
Bellissimo. Mi era piaciuto Ortiche della raccolta di “Short Stories” che da qui era tratto e mi è piaciuto questo insieme di racconti. La maggior parte del mio pensiero non può poi che rinviare a quel primo racconto che mi ha dato la spinta ad approfondire questa autrice. Per me sicuramente più da Nobel che un palloso Le Clézio! Ogni storia, riesce a presentare il suo mondo, come se fosse un mondo infinito, cioè se riempisse pagine e pagine di romanzi, poi ci si accorge che l’autrice in una ventina di pagine riesce a darti il senso del luogo, le caratteristiche degli attori della vicenda, ed a comunicarti la sua visione del mondo. Dal primo, quello del titolo, che da una beffa infantile fa partire una giravolta di micro-avvenimenti da far impallidire uno Schnitzler per arrivare ad un finale in cui i meno cattivi se la cavicchiano ed i meno buoni no. E passando tra dolori e dolori, piccole gioie e piccoli sapori, si riesce a dare un senso non dico a tutto (anche perché, con Vasco, “un senso non ce l’ha”), ma almeno ad apprezzarne i momenti buoni. Quei momenti, che qui ed ora arrivano, e bisogna stare attenti che poi ci sfuggono. L’amore isolato tra il ragazzo e la malata. La vita strampalata della vecchia zia. Il rapporto dell’ateo con la religione, quando questa diventa opprimente. E poi altri amori anche di un momento che ci si porta appresso per tutta la vita. Ed un amore per tutta la vita che ci si porta appresso anche quando l’oggetto amato si ammala di Alzheimer e non ti riconosce più. Bello, struggente, a volte straziante. Ma mi riconcilia con tutti quei raccontini che non riesco a mandar giù. Dove si capisce che è il saper scrivere rende lo scritto sia esso di una pagina che di mille, degno di essere letto.
“Johanna … era in grado di capire cosa andava fatto, e come, e anche di trovare e gestire il personale, ma non aveva il minimo talento nel persuadere e incantare la gente. Prendere o lasciare, ecco quale sarebbe stato il suo stile. E di sicuro i clienti avrebbero lasciato” (15)
“perché dici che ti dispiace dirmelo? Hai mai notato che quando qualcuno dice che gli dispiace dire qualcosa, in realtà non vede l’ora di dirla?” (72)
“con lui non si poteva affrontare nulla che assomigliasse a un problema serio. Discutere un problema significava cercare una soluzione… il che non era interessante” (190)
“quello che ... aveva davvero voglia di fare non era più cercare, ma sedersi a terra … restare seduta per ore … per rimanere in quello spazio dove nessuno la conosceva né pretendeva niente da lei” (198)
“le era passato per la mente il pensiero che ... la cosa giusta da fare sarebbe stata gettarsi nell’acqua. Così com’era, grondante di felicità. Soddisfatta come di certo non le sarebbe capitato di sentirsi più” (234)
E finiamo con un salto ai Caraibi.
Derek Walcott “Mappa del Nuovo Mondo” Adelphi euro 9,50 (in realtà, scontato 7,60 euro)
Ancora Poesia, con la maiuscola. Leggere le parole in inglese trascina in un mondo altro. Una magia di suoni, di affastellamenti, di ore ed ore passate a limare, come Michelangelo i suoi marmi, per poi tirarne fuori le forze dei suoi Mosè, le angosce e le bellezze delle sue Pietà. Ripeto, il verso non sempre mi facilita, non sempre è nelle mie corde. Anche qui, a volte mi perdo, a volte la frase è troppo complicata, rimanda a troppo altro che il mio scarso intuito non riesce a decifrare. Ma è affascinante, con quella forza di sintesi di versi come “I’m just a red nigger who love the sea / I had a sound colonial education / I have a Dutch, nigger, and English in me / and either I’m nobody or I’m a nation”. Che oltre ad essere una sintesi autobiografica di Walcott, mi rendono il sentire delle rime baciate sea / me – education / nation. Come fare a tradurre questi versi? Impresa non difficile, ma chiaramente impossibile. E prima e dopo i versi, bisogna immergersi nelle parole di accompagnamento di Iosif Brodskij, il cui titolo già è tutto uno spiegare della poetica del Nobel caraibico (“Il suono della marea”). Ed ora diamo il Nobel ad un onesto scribacchino come Le Clézio?
“to change your language you must change your life” (72)
“tra questa dorsale di monti / e il vago mare / … / c’è troppo nulla qui” (83)
 “si potrebbe anche smettere di scrivere / … / e diventare, invece / il loro lettore ideale … che antepone l’amore / per i capolavori al tentativo / di ripeterli … / e diventare il più grande lettore del mondo” (91)
“anche il fulmineo lampo dell’amore / non ha un epilogo tonante / muore con un suon di fiori / che sbiadiscono … / finché restiamo soli / col silenzio che circonda la testa di Beethoven” (95)
“strong as the wind … / brings those we love before us, as they were / with faults and all, not nobler, just there (porta coloro che amiamo di fronte a noi, così come sono/ con gli errori ed il resto, non più nobili, ma esattamente loro stessi)” (102)
“certe cose non le scegliamo noi / ma siamo quello che abbiamo fatto (we are what we have made) / soffriamo gli anni passano, lasciamo / tante cose per via” (106-107)
“I tried other women / but, once they stripped naked, their spiky cunts / bristled like sea-eggs and I couldn0t dive. / .. / Where is the pillow I will not have to pay for, / and the window I can look from that frames my life?” (120)
Certo, ultimamente tendo a ripetermi ed a trovare cruciali tutte le settimane. E forse lo saranno finché non ho avrò trovato (o ritrovato) un senso alla mia strada (grazie Vasco).
Per ora buon caldo e buon bagno a chi se lo può permettere.

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