sabato 28 gennaio 2012

Negativo (ma qualcosa no) - 31 gennaio 2010

Oggi, fedelmente aderendo al titolo della settimana, parliamo di libri che non mi sono piaciuti. Infatti, capita, mica si leggono solo cose sempre belle e piene di note positive. A volte ci sono libri che leggo per qualche motivo, ma che non mi prendono, mi lasciano dubbi. Io continuo a leggerne, pensando che forse, pian pianino, si riesca a trovare il motivo per cui è piaciuto a qualcuno,  o a molti. A volte ci si riesce. A volte, no. Certo il peso dei due autori odierni è ben diverso. L’italiano ha scritto alcune cose (ma è un autore teatrale, e le sue scritture di teatro sono di sicuro interesse) ma è comunque un autore di caratura normale. In questa prova mi sembra si sia cimentato con qualcosa superiore alle sue forze, anche se poi finì anche finalista allo Strega. L’americano, invece, è un fenomeno mondiale, osannato, esaltato, preso ad esempio come nuovo paradigma di scritture. Ma a me non è piaciuto, non mi convince, credo che abbia solo utilizzato (certo con capacità) alcuni stili narrativi, con alcune ideuzze, ma che, alla resa dei conti, mi ha annoiato. E se un libro mi annoia, ne parlo male, anche se lo finisco, anche se ad altri piace. Sono sempre così (in realtà non è vero, ma un po’ di auto-incensamento fa bene), dico sempre quello che penso. Poi ne discutiamo.
E cominciamo con il teatrante napoletano.
Ruggero Cappuccio “La notte dei due silenzi” Sellerio euro 10 (in realtà, scontato euro 8)
Avete presente una mega-palla galattica? Beh, questo la fa sembrare un racconto di fate. Ho impiegato 10 giorni trascinandomelo per ogni dove, e non si riusciva ad andare avanti che di poche pagine. E quelle trascorse facevano rimpiangere il fatto di non averlo cestinato… ma che vuole dimostrare l’autore? Quale trama ci racconta? L’amore tra due giovani, la sua impossibilità in un Regno delle Due Sicilie intorno al 1860 o giù di lì (forse già si affacciano i fremiti garibaldini? Forse è un voler narrare un privato che va a rotoli in un mondo che si sta perdendo?). Ma chi sono questo principe Alessandro Altomare che passeggia perdendosi per le spiagge amalfitane e questa Chiara della Serena (nome omen) bella, altera, morta (forse) di vaiolo oppure fuggita? Più di 200 pagine per descrivere, narrare, adombrare fatti, indurre ipotesi. Ma con uno stile contorto che poi alla fine nulla dice, nulla spiega. Non perché si debba spiegare tutto, tutto può rimanere mistero, ma la bravura di un autore è quella di indurre il lettore a pensare delle soluzioni, delle ipotesi, ad auto-svelarsi delle trame. Qui non c’è possibilità, tutto è talmente “impossibile” che non si capisce quale sia il possibile reale. Tanto per citare (anche a livello fisico) come si costruisce una clessidra con due giare di vetro per il vino riempite di sabbia fine? Una clessidra che deve scandire il tempo per circa tre mesi. E quanta sabbia ci vuole, visto che non verrà mai girata? Ma qui già si va nell’intellegibile. Certo doveva insospettirmi uno che a pagina 22 già dice “Il paese oscurava tutti i suoi pubblici lumi, e il catafalco dove era disteso l’Altissimo appariva sulla sommità del duomo, illuminata solo dallo sfiaccolio lattiginoso e svogliato dei portatori. Una falange di musicanti, vestiti di nero, infiatava trombe cupe e malsane, martellate dall’eco torbida di una grancassa.” E via scrivendo, cercando con perversione l’agglutinarsi di aggettivi improbabili per nome comuni, volendo creare effetti mirabili, ma che rimandano solo la fatica del leggere. Per poi arrivare dopo 200 pagine a dire “un impercettibile nutrimento di crema lunare allattava i viali di una bava d’argento senza provenienza”. Sta forse parlando dell’amore tra due lumache? No, descrive il paesaggio di Ravello dopo il passaggio del Re. Insomma, vogliamo finire di riempire scaffali di libri inutili? O se questo è di qualche utilità, qualcuno me la spiega?
“i grandi amori sono quelli che non elemosinano la comprensione. I grandi amori sono solo quelli che sanno ammettere il silenzio” (218)
E veniamo invece al dolente (per me) americano, di cui ho ricevuto libri, senza per ora comprarne di mio, ed ancora non so se lo farò.
Chuck Palahniuk “Fight Club” Mondadori s.p. (regalo di Nicoletta)
Nonostante la bella post-fazione della Pivano, non mi è piaciuto. Ho fatto fatica. E trovo più simpatica e coinvolgente la schizofrenia del Gorilla di Sandrone a questo pamphlettone americano. A questo punto poi mi incuriosisce il film. La storia viaggia a metà tra le fantasie del protagonista (un impiegato sfiduciato tormentato dall’insonnia) e lo squallore della realtà americana, tutta fatta di finzioni. Qualcuno (lui? Tyler?) decide allora di inventarsi il segretissimo Fight Club il cui unico fine è quello di far sfogare e dare un riscatto a una miriade di violenti paria moderni, sulle cui spalle la società si poggia a peso morto. Così tra sogno e realtà si va avanti fino alla (prevedibile) catarsi finale. Ma dov’è che il romanzo prende la gente? La scrittura? Le situazioni? L’idea fantastica così come la Pivano ce la spiega nelle sue ultime pagine? A valle di centinaia di libri di fantascienza letti in gioventù e di altrettanti bei libri di utopie, di ucronie, ed altri luoghi fantastici, a me non lascia molto. Vuole graffiare? Vuole parlare male di questo mondo cattivo che tutto aliena? Non lo so. Non è nelle mie corde. Non sono in sintonia. Spero di leggere altro e di capire di più di questo scrittore che, a ora, mi pare solo sopravalutato. Ripeto, ora mi incuriosisce il film, per capire che tipo di messaggio ne viene fuori. Ricordando i trailer, mi sembra che si sia capito il peggio di quello che voleva dire l’autore. Ma tant’è, si studierà meglio in seguito.
Chuck Palahniuk “Survivor” Mondadori euro 8,80 (libro in affido da Chiara)
Forse un po’ meglio (a tratti) del primo ma mi sembra che Chuck sia una grossa bolla di sapone. Qualche invenzione interessante, ma un po’ di prosopopea per dire che so tutto io. E qualche scopiazzatura (si sente a volte l’Irving del Mondo di Garp). Questa volta la storia (almeno il plot centrale) è più comprensibile dell’altro. C’è un tal Tender Branson, ultimo membro sopravvissuto di una setta, che narra la storia della sua vita alla scatola nera di un aereo che sta precipitando al largo dell'Australia. Interessante l’idea di numerare le pagine al contrario, così sappiamo di avvicinarci alla fine quando stiamo arrivando alla pagina 1. Così come interessanti le escursioni nell’economia domestica durante la sua vita di maggiordomo. Ma poi appunto prende il tono delirante (anche se molto americano) delle sette e della loro vita (e tuttavia salverei il personaggio, per me divertentissimo, di Fertility). E via discorrendo in un crescendo di improbabilità o di voluto ammiccamento (io come sono bravo che colpisco qui e là e faccio male all’America). Però è sempre troppo di testa. E quando l’invenzione è lì per sé stessa, rimane col fiato corto e nulla più. In questo, come nell’altro, sembra che abbia avuto una buona idea per i primi 10 minuti, e poi, invece di finirla lì, è voluto andare avanti fino a farne un librone di più di 200 pagine, smarrendo la lucidità. Alla fine dei conti, forse se ne leggerà ancora per studio, ma non per entusiasmo.
“l’unica cosa che ho imparato è che tutto quello che ami morirà. La volta che incontri qualcuno di speciale, puoi farci affidamento il giorno che è già morto e sepolto” (277)
“se ti preoccupi sempre del peggio, è quello che finirai per avere” (48)
Ma il titolo prometteva anche qualcosa di positivo, ed eccolo in coda. Finalmente ho avuto pubblicate alcune mie righe. Devo dire che vedere un libro stampato è stato ben diverso da vedere righe ballonzolanti su mail e computer. Mi ha dato una grossa emozione personale. Dovrei ringraziare molte persone, ma qui elenco solo Luciano che da decenni sostiene che io sia migliore di quanto penso di me stesso. Tuttavia non posso tralasciare un grazie a Luciana che è poi l’artefice del tutto. Non vi aspettate cose mirabolanti, in realtà è solo uscito il libro che annualmente raccoglie le scritture dal carcere cui io do il mio apporto come consulente musicale. Ed in questa raccolta c’è un mio breve scritto su questa mia attività di “musicologo dietro le sbarre”. Il libro si chiama “L’umano e il suo rovescio”, a cura di Luciana Scarcia ed edito dalle edizioni Sinnos. Non so ancora come fare ad averlo, ma mi informerò se qualcuno è interessato. Io ho scritto un pezzo sulla mia esperienza dal titolo “Magia delle canzonette”. Ce ne vuole molta di magia in questa vita, e sono sicuro che questa ne porterà altre.

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